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Venerdì, 01 Novembre 2024

Tsipras oramai si è infilato in un vicolo cieco

Quello che per tutti noi era sembrata una straordinaria trovata, quella di adire ad un referendum popolare dove i greci avrebbero scelto la linea da seguire nelle trattative con la troika, si sta rivelando un boomerang per Tsipras. Una via d’uscita dalla trattativa con la troika che non ha tenuto conto degli ovvi risvolti emotivi del popolo greco. Premetto che come sono venuto a conoscenza di questa scelta ho immediatamente plaudito ritenendola intelligente e furba. In effetti nella prime ore l’Europa è rimasta sconcertata, disorientata e stupita. Con il passare del tempo questo disorientamento ahimè si è trasformato in irritazione. I rappresentanti dei creditori pubblici e privati della Grecia, nel giro di 48 ore hanno capito che Tsipras l’ellenico si era messo da solo in un vicolo cieco. Chiudendo le banche per sei giorni lavorativi e la borsa di Atene, ha messo in grande e seria difficoltà la sua gente. Venti euro al giorno non bastano per pagare le medicine, il cibo e quant’altro una famiglia necessita nell’ordinaria amministrazione. I contraccolpi all’economia residuale, in particolare a quella turistica è stata estremamente negativa. La gente si sta veramente arrabbiando perché ci piaccia o no il credo politico è una bella cosa ma si scontra con le concrete difficoltà di poter svolgere una vita normale.

La Merkell, che stupida non è, ha subito capito che Tsipras andava cotto a fuoco lento per cinque giorni nel suo stesso brodo, un lasso di tempo sufficiente per mettere in ginocchio le resistenze idealistiche del popolo greco e porlo nelle condizioni, per paura, di fargli votare a forte maggioranza SI. Oggi anche gli altri patner europei hanno seguito l’esempio della cancelleria tedesca, che io sarei stato felice di averla la posto del nostro guascone fiorentino. Attenzione non parteggio per la sua politica egoistica al soldo dei poteri forti, ma per la sua attenta e oculata capacità di saper fare gli interessi del suo popolo, del suo paese, funzione pubblica a noi ancora sconosciuta.

La Merkell, prima tra tutti i negoziatori ha capito che Tsipras sino a domenica non avrebbe potuto fronteggiare il continuo crescere del malcontento della sua gente, e non solo, sadicamente contenta, anzi felicemente certa che, lunedì mattino 6 luglio il suo ostico e fastidioso antagonista sarà costretto inesorabilmente con la coda in mezzo le gambe a rassegnare le dimissioni da capo del governo greco. Ho sentito molti amici in Grecia, se pur vero è che la mia non può essere ritenuta una indagine demoscopica, posso solo asserire che l’80% delle persone contattate e le loro famiglie già oggi a quattro giorni dal voto sono orientate a votare per il SI.

La vittoria del SI avrebbe come immediata conseguenza la costituzione di un governo di unità nazionale, in quanto andare alle urne per una ulteriore consultazione politica sarebbe catastrofico per tutti. Però quanti mesi durerebbe questo governo di unità nazionale? Che affidabilità potrebbe avere per il futuro della Grecia se non quello di rimandare il problema di qualche semestre? La litigiosità politica ellenica è ancora endemica e questo la troika lo sa per cui potrebbe imprimere una forte accelerazione al processo di negoziazione degli accordi sospesi con delle aggravanti per il popolo greco. Ancora una volta vinceranno i poteri forti, la vecchia politica consoliderà il suo potere proprio perché si erge a protezione della finanza, ritenendo convinta com’è che se fallisce una banca,  a pagare dev’essere il popolo, e paradosso di iniquità sociale e democratica è che quando la banca macina utili questi sono a destinati agli azionisti che nella fattispecie sono privati.

Io resto convinto assertore che un esito positivo alla posizione di Tsipras potrebbe aprire un piccolo varco all’egemonia incontrastata della finanza, oramai unico punto di riferimento delle politiche economiche e finanziarie della società odierna. Unica remota speranza è che il popolo greco del terzo millennio riesca a tirar fuori quell’orgoglio di sapersi erede della cultura su cui oggi poggiano tutti i popoli di una Europa che forse la vorrebbe fuori. In qualche caso l’utopia diventa ragione.

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