Il Presidente della Repubblica congela le dimissioni di Renzi
Il Presidente della Repubblica congela le dimissioni che Renzi gli ha presentato al Quirinale vista la necessità di completare l'iter parlamentare della manovra e per scongiurare i rischi di esercizio provvisorio. Il premier potrà lasciare 'al compimento di tale adempimento', presumibilmente venerdì'. Dopo la vittoria del No al Referendum costituzionale, 59,11% contro 40,89%, Mattarella ha ricordato che in Italia c'è una 'democrazia solida' e 'scadenze da rispettare'. Per questo, 'il clima politico sia improntato al rispetto reciproco'. Nel pomeriggio, prima di salire al Colle, Renzi ha presieduto un Consiglio dei ministri nel quale ha ringraziato i membri del Governo per lo 'spirito di squadra', confermando le sue dimissioni.
Ci sono due casi recenti di presidenti del Consiglio che "congelarono" le loro dimissioni per permettere una rapida approvazione della manovra economica per scongiurare il rischio di un esercizio provvisorio. Si tratta delle dimissioni dell'ultimo governo Berlusconi nel 2011 e del Governo Monti l'anno successivo nel 2012. In entrambe i casi la crisi si manifestò tra la fine di novembre e dicembre: Berlusconi "congelò" le dimissioni per soli quattro giorni, mentre Monti ci mise un po' di più a chiudere la legge di Bilancio: 13 giorni.
Basta scorrere le notizie dell'epoca e i comunicati ufficiali del Quirinale per una rapida ricostruzione di quello che sembra al momento un percorso possibile anche per il Governo Renzi. Era l'otto novembre quando Berlusconi salì al Colle per dimettersi. Questo fu il comunicato diffuso in serata dal Quirinale: il presidente Napolitano "ha espresso viva preoccupazione per l'urgente necessità di dare puntuali risposte alle attese dei partner europei con l'approvazione della Legge di Stabilità, opportunamente emendata alla luce del più recente contributo di osservazioni e proposte della Commissione europea.
Una volta compiuto tale adempimento, il Presidente del Consiglio rimetterà il suo mandato al Capo dello Stato". Cosa che puntualmente avvenne quattro giorni dopo, il 12 novembre. "Il Presidente Napolitano ha ricevuto il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, il quale, essendosi concluso l'iter parlamentare di esame e di approvazione della legge di stabilità e del bilancio di previsione dello Stato, ha rassegnato le dimissioni del Governo da lui presieduto. Il Presidente della Repubblica, nel ringraziarlo per la collaborazione, si è riservato di decidere ed ha invitato - si legge nel comunicato ufficiale - il Governo dimissionario a rimanere in carica per il disbrigo degli affari correnti". Ed ha quindi indetto le consultazioni per il giorno successivo.
Per quanto riguarda poi l'analisi dei flussi, l'Istituto Cattaneo evidenzia come ci sia stata nel Pd una "componente minoritaria ma significativa di elettori dissenzienti rispetto alla linea ufficiale", che va da un minimo del 20,3% di Firenze (rispetto a chi ha votato Pd nel 2013) e del 22,8% di Bologna, al 33% di Torino, fino a punte del 41,6% di Napoli e di 45,9% di Cagliari. Quasi nessuno degli elettori del Pd nel 2013 si e' rifugiato nell'astensione. Secondo Antonio Noto il 23% di No sono elettori Dem. Granitico invece il voto dei simpatizzanti di M5s, che hal 90% ha seguito le indicazioni di Grillo.
Gli elettori del Pdl del 2013 in parte si sono astenuti, ma una buona fetta ha votato sì (il 44% a Firenze e il 41% a Bologna), mentre tutti gli elettori centristi di Scelta civica ha messo una croce sul Si. Quindi i 13.432.187 di Sì, sono già il tanto evocato "partito della nazione", vale a dire un Pd più spostato al centro e privato della propria sinistra. Proprio questo dato potrebbe indurre Renzi a rimanere sulla tolda del Pd e, grazie a una legge elettorale a turno unico, tentare di vincere eventuali elezioni anticipate. I 13,4 milioni di Si sono tutti suoi, mentre i 19,4 milioni sono distribuiti tra i vari partiti del No (M5s, Fi, Lega, Fdi, Sinistra Italiana).
Dopo un costante calo dei votanti nella diverse tornate elettorali, i cittadini recatisi alle urne per il referendum hanno segnato un vero boom: 33.243.845 per l'esattezza, un numero superiore a qualsiasi altra consultazione referendaria, e paragonabile a quello delle elezioni politiche del 2013, quando ai seggi si presentarono in 36 milioni. Questo dato, come evidenzia anche l'Istituto Cattaneo di Bologna, significa che il voto di ieri è stato "politico" prima ancora che sul testo della riforma.
Che la tornata di ieri sia stata anche, e per molti soprattutto, un giudizio sul Governo Renzi, viene messo in evidenza da alcuni dati dell'analisi dell'Istituto Cattaneo: il No, infatti ha prevalso nelle fasce di popolazione più in difficoltà, sia a livello geografico, che a livello generazionale, che sotto il profilo del reddito. Al Sud il No è stato più forte, così come tra i giovani e nelle fasce di reddito più basse. Il Cattaneo ha evidenziato che anche la percentuale di presenza straniera ha inciso: nelle zone con maggior concentrazione ha prevalso il No, in quelle a minor concentrazione ha vinto il Si.
Renzi al risveglio del dopo-voto voleva lasciare tutto e subito: sia il governo e, secondo alcuni, perfino la guida del Pd. "L'ho detto, sono diverso dagli altri, non posso restare un giorno in più", era inamovibile il premier agli alleati e ai fedelissimi che gli chiedevano di restare almeno fino a fine anno. C'è voluta una paziente moral suasion del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, durata per tutta la giornata, a convincere il segretario Pd a "congelare" le dimissioni fino all'approvazione della legge di bilancio che il governo vuole in tempi brevissimi ma che ha riti e passaggi che comunque richiedono tempo. In fondo si tratta solo di qualche giorno di sacrificio, ha detto il presidente. E Renzi si è convinto solo quando si è capito che l'approvazione della manovra potrebbe essere rapidissima.
Il Presidente della Repubblica, considerata la necessità di completare l'iter parlamentare di approvazione della legge di bilancio onde scongiurare i rischi di esercizio provvisorio, ha chiesto al Presidente del Consiglio di soprassedere alle dimissioni per presentarle al compimento di tale adempimento": lo si legge in una nota del Quirinale al termine dell'incontro, al Quirinale, tra il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e Matteo Renzi.
Il capo dello Stato in mattinata in una nota ave a ricordato che "Vi sono di fronte a noi impegni e scadenze di cui le istituzioni dovranno assicurare in ogni caso il rispetto, garantendo risposte all'altezza dei problemi del momento". "L'Italia è un grande Paese con tante energie positive al suo interno. Anche per questo occorre che il clima politico, pur nella necessaria dialettica, sia improntato a serenità e rispetto reciproco". "L'alta affluenza al voto, registratasi nel referendum di ieri, è la testimonianza di una democrazia solida, di un Paese appassionato, capace di partecipazione attiva".
Intanto tempi strettissimi per l'ok della manovra in Senato. Il governo chiederà la fiducia sulla legge di bilancio e punta ad arrivare al voto in Aula entro domani sera. Le dichiarazioni di voto cominceranno alle 12 e la prima chiama è prevista per le 14.30. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha accettato di 'congelare' le proprie dimissioni in attesa dell'ok alla manovra convinto anche dai tempi strettissimi di approvazione che saranno, dunque, tali.
Già in mattinata il Pd aveva fatto sapere di voler accelerare. Sulla legge di bilancio - aveva detto il capogruppo Pd in commissione Bilancio Giulio Santini - "chiederemo di fare il più presto possibile" ed è quindi "presumibile" che vada in Aula domani sera.
Ma la Lega va all'attacco: "Non ci sono le basi - scrivono in una nota i capigruppo a Camera a Senato Massimiliano Fedriga e Marco Centinaio - per l'approvazione rapida della legge di bilancio al Senato a meno che il governo non elimini immediatamente tutte le marchette pre-elettorali inserite prima del voto di domenica. Non vogliamo prolungare l'agonia per ripagare gli endorsement ricevuti da Renzi in campagna elettorale".