Login to your account

Username *
Password *
Remember Me

Create an account

Fields marked with an asterisk (*) are required.
Name *
Username *
Password *
Verify password *
Email *
Verify email *
Captcha *
Reload Captcha
Venerdì, 01 Novembre 2024

Un appello all'unità. Ma soprattutto una mano tesa agli ultimi, a quegli americani che l'amministrazione Obama ha dimenticato. Il discorso del nuovo presidente americano, Donald Trump, è un proposito a fare "l'America di nuovo grande", proprio come recita lo slogan che lo ha portato alla Casa Bianca. 

''E' una notte storica. Gli americani hanno parlato, e hanno eletto il loro campione'', ha detto Mike Pence, il candidato alla vice presidenza di Trump, salendo sul palco allestito all'Hilton con la sua famiglia.

Affiancato dall'uomo che sarà il suo vice, il governatore dell'Indiana Mike Pence, che lo presenta parlando di "una notte storica" e ringraziando gli americani per la fiducia accordata, Trump fa presente ai suoi che la Clinton lo ha appena chiamato per ammettere la sconfitta. E dopo settimane e mesi in cui l'ha chiamata "crooked Hillary", la corrotta, e "nasty woman", donna cattiva, cambia completamente registro e usa toni decisamente più concilianti."Vi prometto che non vi deluderò - assicura - faremo un lavoro eccellente". La speranza è che, alla fine dei quattro anni ("e forse anche otto anni"), gli americani possano dire che "veramente valeva la pena lavorare per questo" e che saranno "orgogliosi" di ciò che è stato fatto. "La campagna è terminata - conclude il taycoon - ma il nostro lavoro è appena all'inizio".

Trump ha vinto nettamente, e il Partito Repubblicano, che pure dall’ascesa di Trump era stato sconvolto e umiliato, ha ottenuto la maggioranza al Senato (51 seggi contro 47) e alla Camera dei Rappresentanti (236 seggi contro 191). Dopo otto anni di un potere democratico peraltro poi dimezzato (il Congresso Usa era già a maggioranza repubblicana) si passa a un Presidente che ha rivoltato il partito come un calzino al cui fianco ci sarà un Congresso repubblicano

La clamorosa ma non imprevedibile vittoria elettorale di Donald Trump lascia attoniti i faziosi ma offre infiniti spunti di riflessione ai laici veri, a quelli che non hanno paura della realtà né di farsi interrogare da essa. Uno di questi spunti è questo. Barack Obama lascia la Casa Bianca dopo otto anni molto discutibili ma che non hanno particolarmente scosso il suo prestigio personale. Tutti i sondaggi del 2016, l’anno del suo passo d’addio, gli hanno regalato risultati non malvagi. Il 57% di approvazione (con il 17% di indecisi) secondo Gallupp, il 52% (e 6%) secondo Rasmussen Reports, il 52% (e 5%) secondo Fox News e così via. La candidata del Partito democratico, Hillary Clinton, aveva lavorato con lui al Dipartimento di Stato e si presentava in linea di continuità con la sua politica. Non parliamo, poi, dell’appoggio offerto alla causa democratica dall’alta finanza, dal complesso militar-industriale, dal mondo dello spettacolo, da quasi tutti i media.

Una rivoluzione, insomma. Che nessuno aveva visto o voluto vedere. Da questo si possono trarre conclusioni. Una quanto abbiamo visto succedere con Trump è solo la replica di quanto era già successo con la Brexit. Qualunque sia l’opinione in proposito, è innegabile che l’ipotesi di una vittoria del “Leave” al referendum del giugno scorso è stata a lungo schernita, scartata. E considerata con stupore misto a panico solo nelle ultimissime ore prima del voto.

Chi ha qualche anno in più ricorderà il 1994, l’anno della discesa in campo di Silvio Berlusconi contro la “gioiosa macchina da guerra” della sinistra. Anche allora, risatine e qualche pernacchia. Fino allo scrutinio dei voti.

È un meccanismo che si ripete implacabile 

E due, scontata e poco interessante, è che con la maggior parte dei giornali ci si può ormai al più incartare il pesce. Sono diventati, ormai e quando va bene, gli house organ di questa o quella lobby. Faziosi e pallisti. Inaffidabili.

Cosi flop della Clinton - dunque - che lo chiama e gli concede la vittoria. Trump vince in quasi tutti gli 'swing state', tra gli altri Florida, Ohio, Virginia, Iowa e Nevada.

L'elezione del candidato Repubblicano pesa sui mercati ma il paventato panico non c'è.

Il tycoon, tra l'altro, lancia messaggi rassicuranti. "Sarò il presidente di tutti gli americani", ha promesso Trump.  ''Cercheremo alleanze, non conflitti, nel mondo'', dice ancora Trump, sottolineando che gli Stati Uniti "andranno d'accordo con tutti coloro che vorranno andare d'accordo con noi".

"Che bella e importante serata! Gli uomini e le donne che sono stati dimenticati non lo saranno più. Saremo tutti più uniti che mai". Così Trump sul suo profilo Twitter, 'President-elect of the United States'.

Il presidente americano Barack Obama si è congratulato con Donald Trump per la sua vittoria alle elezioni e lo ha invitato alla Casa Bianca domani. Lo riferisce la stessa Casa Bianca

Agli antipodi l'atmosfera tra i fan di Clinton, che hanno lasciato il Javits Center tra le lacrime. "Andate a casa, non avremo niente da dire stasera", dice John Podesta, il manager della campagna di Hillary Clinton, intervenendo al Javits Center.

DONALD JOHN TRUMP. Nato a New York, nel Queens, il 14 giugno del 1946 (70 anni), viene soprannominato The Donald e ama farsi definire tycoon. Non si è fatto proprio da solo. Suo padre Fred era un facoltoso investitore da cui ha ereditato un'impero immobiliare.

Nel 1959 per problemi comportamentali lascia il liceo ed entra nella New York Military Academy. Dal 1966 comincia a lavorare nell'azienda di famiglia e nel 1968 si laurea alla Wharton School of Finance and Commerce, in Pennsylvania, dove ha studiato economia e real estate.

Nel 1971 è a capo della Trump Organization con sede a Manhattan che possiede quasi 20 mila edifici ed appartamenti in tutta New York. Nel 1977 sposa la prima moglie, Ivana Zerlnickova, da cui ha tre figli: Donald jr., Eric e Ivanka.

Dalla fine degli anni '70 comincia la sua scalata personale, che lo porterà a costruire diversi grattacieli con il suo nome a New York e in giro per gli Usa, oltre ai casinò di Atlantic City e ai resort come quello di Palm Beach in Florida.

Nel 1992 divorzia dalla prima moglie e l'anno dopo sposa Marla Maples (da cui divorzia nel '99) dopo la nascita di Tiffany.

Nel 2004 diventa una star tv con il reality 'The Apprentice', e nel 2005 sposa una modella slovena, Melania Knauss, da cui nasce Barron William.

Nel 2015 annuncia la sua candidatura alla Casa Bianca dopo essersi battuto per dimostrare (invano) che Barack Obama era nato in Africa.

Le reazioni alla vittoria di Donald Trump secondo le agenzie di stampa Italiane oscillano tra la soddisfazione e la preoccupazione.

"I legami tra Ue e Usa sono più profondi di qualsiasi cambiamento politico. Continueremo a lavorare insieme, riscoprendo la forza dell'Europa". Così l'Alto commissario Federica Mogherini su Twitter dopo l'elezione di Donald Trump.

NATO. "La Nato è importante per la sicurezza collettiva in Europa, ma lo è anche per quella degli Stati Uniti" perché "l'unica volta che è stato invocato l'art.5" per la difesa collettiva l'Alleanza "è stato dopo l'attacco agli Usa" del 9/11 con l'intervento in Afghanistan. Lo ha detto il segretario generale Jens Stoltenberg dopo essersi "congratulato con Donald Trump" per l'elezione aggiungendo di "non vedere l'ora" di discutere col nuovo presidente, ricordando che "l'impegno alla difesa collettiva" è "assoluto e garantito". 

RUSSIA. Vladimir Putin. "Abbiamo sentito le dichiarazioni elettorali dell'allora candidato alla Casa Bianca Donald Trump mirate a ripristinare i rapporti fra la Russia e gli Usa. Noi capiamo e ci rendiamo conto che sarà un percorso difficile dato il deterioramento in cui si trovano le nostre relazioni. La Russia è pronta a far la sua parte e desidera ricostruire i rapporti a pieno titolo con gli Usa".  Putin si è "congratulato" con Donald Trump per la vittoria e si augura che i "rapporti russo-americani possano uscire dalla crisi". Il presidente russo - che ha inviato un telegramma al nuovo presidente Usa - si dice "sicuro" che il dialogo fra Mosca e Washington, basati sul rispetto reciproco, rispondano "agli interessi dei due paesi". Lo fa sapere il Cremlino citato dalla Tass.

Tra i primi a parlare i russi con il presidente delle Commissione Affari Esteri del Senato Konstantin Kosachev: si "concretizza una piccola speranza" per migliore i rapporti russo-americani, anche se Trump "sarà frenato dal Congresso a trazione repubblicana".  "Ma - aggiunge - meglio rispetto alla disperante prospettiva di un'America guidata dalla Clinton", ha aggiunto. 

EUROPA. Il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk e quello della Commissione Jean Claude Juncker si sono congratulati con Donald Trump in una lettera congiunta. "Oggi - scrivono - è più importante che mai rafforzare le relazioni transatlantiche. Non dovremmo risparmiare alcuno sforzo per assicurare che i legami tra noi restino forti e duraturi". Nella missiva, Tusk e Juncker hanno anche invitato Trump a visitare l'Europa per un summit Ue-Usa appena possibile.
Poi sempre Tusk: "Questa mattina ci siamo congratulati con il presidente eletto Donald Trump ma, nonostante sia una scelta democratica dei cittadini americani, siamo consapevoli delle nuove sfide che porta", di cui la prima è "l'incertezza delle nostre relazioni transatlantiche". Tusk ha quindi rivolto un "appello", dopo quello all'unità Usa da parte di Trump, "all'unità Ue e transatlantica", ricordando le "origini comuni" dovute agli immigrati europei in Usa e l'aiuto Usa per costruire l'Ue.
Il presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, ha affermato che con Donald Trump presidente Usa "sicuramente la relazione transatlantica diventerà più difficile". Schulz, intervistato dal primo canale pubblico tedesco Ard, ha fatto un parallelo con "le grandi paure" suscitate da Ronald Reagan e ha premesso che "il sistema degli Stati Uniti è forte abbastanza per reggere un presidente Donald Trump e integrarlo". Dopo l'ufficialità nel congratularsi con Donald Trump, il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz ha espresso la "speranza che rispetterà i diritti e le regole fondamentali". Questo è un momento difficile nelle relazioni Usa-Ue - ha ribadito - ma Trump merita pieno rispetto". "Le campagne elettorali sono cosa diversa dalla politica - ha aggiunto - spero che ora ci sia un ritorno alla razionalità e che Trump si attenga alla costituzione americana". "Noi - ha concluso - siamo pronti a collaborare".

MESSICO. "Ovviamente il Messico non pagherà per il suo maledetto muro": molto dura la prima reazione dell'ex presidente messicano Vicente Fox dopo l'elezioni alla Casa Bianca di Donald Trump, che ha fatto della costruzione di un muro sulla frontiera fra gli Usa e il suo vicino meridionale un leitmotiv della sua campagna elettorale. Fox, uno dei leader del Partito di Azione Nazionale (Pan, opposizione di destra), ha detto che Trump è "un uomo d'affari mediocre" che "non capisce la differenza fra condurre un'impresa e governare un paese come gli Stati Uniti". "Se gli venisse veramente in mente di costruire il suo muro, scoprirà che noi messicani siamo come i nostri peperoncini: piccoli, ma piccanti", ha sottolineato l'ex presidente.

FRANCIA. "Dopo il Brexit, dopo l'elezione di Trump, l'Europa non si deve piegare. L'Europa deve essere più solidale e più attiva e più offensiva. Non dobbiamo abbassare la testa, serve un'Europa piu solidale, non dobbiamo chiuderci su noi stessi. In questo mondo di incertezze la Francia e l'Europa hanno oggi il compito di rassicurare": lo ha detto il ministro degli Esteri francese, Jean Marc Ayrault, intervistato in diretta su France 2. "Gli USa - ha aggiunto .- sono i nostri alleati. Vogliamo continuare a lavorare con loro. Se i risultati saranno confermati ci congratuleremo con Donald Trump". "Questa elezione americana apre un periodo di incertezza. Va affrontata con lucidità e chiarezza": lo ha detto il presidente francese, Francois Hollande, commentando la vittoria di Donald Trump alla Casa Bianca. Bisogna essere "vigili e sinceri" con il partner Usa, ha precisato Hollande, congratulandosi "com'è naturale che sia" con il candidato repubblicano.

"Oggi gli Stati Uniti, domani la Francia": lo scrive in un tweet Jean-Marie Le Pen, commentando i primi risultati delle elezioni Usa. In un altro cinguettio il fondatore del Front National parla di "formidabile calcio nel sedere ai sistemi politico-mediatici mondiali e anche francesi". "I popoli hanno bisogno di verità e coraggio. Brava America!", conclude il fondatore dell'estrema destra francese, aggiungendo: "Viva Trump".

GERMANIA. Germania e gli Usa sono legati da "valori" comuni e la Germania offre a Donald Trump una "stretta collaborazione": lo ha detto a Berlino la cancelliera Angela Merkel congratulandosi per la sua elezione.

Il ministro degli Esteri tedesco, Frank-Walter Steinmeier ha detto che sebbene le elezioni americane sono andate "diversamente" da quanto molti avrebbero desiderato "dobbiamo accettare" l'elezione di Donald Trump. Steinmeier, in una dichiarazione fatta a Berlino e trasmessa in diretta dalla tv N24, ha detto inoltre che ora "nulla e' piu' facile, molto diventa piu' difficile".

ISRAELE. Donald Trump "è un amico sincero dello stato di Israele. Agiremo insieme per portare avanti la sicurezza, la stabilità e la pace nella nostra regione". Lo ha detto il premier Benyamin Netanyahu che si è felicitato con il presidente eletto. "Il forte legame tra Usa e Israele - ha aggiunto - si basa su valori, interessi e destino comuni. Sono sicuro che Trump ed io - ha concluso - continueremo a rafforzare l'alleanza speciale tra i due paesi e la eleveremo a nuove vette

 EGITTO. Il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi si è congratulato con Donald Trump per la vittoria alle elezioni presidenziali americane. Lo rende noto la presidenza del Cairo. Sisi ha "augurato a Trump successo nel suo lavoro e ha auspicato una nuova era nei rapporti tra i due Paesi con un rafforzamento delle relazioni di cooperazione a tutti i livelli tra l'Egitto e gli Stati Uniti" ma anche della "pace e della stabilità nella regione mediorientale alla luce delle grandi sfide che sta affrontando".

TURCHIA. "Il popolo americano ha fatto la sua scelta e con questa scelta negli Stati Uniti inizia una nuova stagione. Auguro un futuro felice agli Stati Uniti, interpretando favorevolmente la scelta del popolo americano". Così il presidente turco Recep Tayyip Erdogan sull'elezione di Donald Trump alla presidenza Usa.

COREA DEL SUD. La presidente sudcoreana Park Geun-hye ha sollecitato un rapido avvio della cooperazione con la nuova amministrazione Usa rimarcando la necessità di lavorare a stretto contatto di fronte alla crescente minaccia nucleare e sui missili della Corea del Nord. Nella riunione del Consiglio sulla sicurezza nazionale, Park ha sollecitato tutto il governo a "fare il massimo" per assicurare che sotto l'amministrazione Trump Seul e Washington lavorino insieme in modo "deciso" perché Pyongyang rinunci ai suoi piani attraverso "pesanti sanzioni".

GRAN BRETAGNA. Gran Bretagna e Stati Uniti rimarranno "partner stretti e vicini". Lo ha detto la premier britannica Theresa May congratulandosi con Donald Trump per l'elezione alla presidenza degli Usa. May si augura di parlare della "relazione speciale" fra i due Paesi "nella prima occasione possibile".

IRAN. "Il risultato delle elezioni negli Stati Uniti non ha alcun effetto sulle politiche della Repubblica islamica dell'Iran". Lo ha detto il presidente iraniano, Hassan Rohani, nel corso di una riunione di gabinetto riportata nel sito ufficiale della presidenza. Per Rohani, "il risultato dell'elezione indica instabilità all'interno degli Usa e sarà necessario un lungo tempo per la rimozione di questi problemi e differenze interni".

TURCHIA. "Ci congratuliamo con Trump. Invito apertamente il nuovo presidente all'estradizione urgente di Fethullah Gulen, la mente, l'esecutore e l'autore dello scellerato tentativo di colpo di stato del 15 luglio" in Turchia. Così il premier di Ankara, Binali Yildirim, dopo l'elezione di Donald Trump alla presidenza Usa, sottolineando che la consegna di Gulen alle autorità turche potrebbe rappresentare un "nuovo inizio" nelle relazioni tra i due Paesi, già segnate da una "partnership strategica".

SERBIA. "Che magnifica notizia. La democrazia e' ancora viva". Cosi' il premier conservatore ungherese Viktor Orban ha commentato la vittoria di Donald Trump nelle presidenziali Usa, con un messaggio su Facebook riferito dai media serbi.

CINA. Il presidente cinese Xi Jinping ha inviato un messaggio di congratulazioni al neo presidente Usa Donald Trump affermando di voler lavorare con lui nel rispetto del "win-win principle", vale a dire di una collaborazione vantaggiosa per entrambe le parti. E' quanto riportano i media ufficiali, in merito alla prima reazione della massima leadership di Pechino alla vittoria di Trump alle presidenziali americane.

Non accenna a placarsi il livello della polemica sul filo Roma-Bruxelles dopo l'acceso scambio di vedute di ieri fra il premier Renzi ed il presidente della Commissione europea Juncker. Ancora oggi il capo del governo italiano è tornato a criticare l'Ue sottolineando che "il tempo dei diktat è finito" e rilanciando l'idea di un'Italia "forte, che non va in Europa a farsi spiegare quello che deve fare, ma porta in Europa le sue idee e i suoi valori". 

"Smettiamo di dirci 'ce lo chiede l'Europa' e cominciamo noi a dire cosa vogliamo - ha detto rivolto ad un gruppo di sindaci dell'Astigiano incontrati questa mattina - Non possiamo essere il salvadanaio di Paesi che reclamano solidarietà solo quando c'è da prendere e non da dare". 

In tour perenne per portare in giro per l'Italia le ragioni del Sì al referendum, Renzi fa spot a Hillary Clinton e si mostra tutto interessato al risultato delle presidenziali americane. In realtà, in cima ai suoi pensieri c'è soltanto la consultazione del 4 dicembre che darà il disco verde o rosso alle riforme costituzionali varate dalla "sua" maggioranza. Sul referendum, però, grava anche un inaudito scontro con l'Unione europea che in questi giorni sta vagliando il contenuto della legge di Bilancio. "C'è un Paese che ha bisogno di una forte spinta nella stessa direzione da parte di tutti - spiega Renzi - il mondo istituzionale va difeso un po' di più. Gli altri Paesi fanno squadra quando c'è da fare l'interesse nazionale. Noi invece siamo abituati a portare avanti le polemiche, i distinguo - continua - lavoriamo perché l'Italia sia più forte in Europa e nel mondo". Il punto, per Bruxelles, è che l'Italia starebbe barando stiracchiando i conti pubblici e abusando della flessibilità concessa dall'Unione europea.

Juncker, che ieri se l'era già presa con il Governo di Roma colpevole di accusare a "a torto" la Commissione di reiterare l'austerità del passato, dicendo di "fregarsene" delle posizioni di Renzi, anche oggi è tornato sull'argomento rimarcando che "non siamo una banda di tecnocrati e di burocrati", rivendicando la dimensione "politica" della Commissione europea da lui presieduta e sottolineando l'importanza di "guardare la realtà degli Stati membri" nell'interpretazione e applicazione del Patto di stabilità con la necessaria flessibilità, anche se non bisogna "tradire i principi del Patto, che comunque funziona".

Sulla sostanza del dibattito, ovvero la manovra, Renzi però aveva tenuto il punto: "Juncker dice che faccio polemica. Noi non facciamo polemica, non guardiamo in faccia nessuno. Perché una cosa è il rispetto delle regole, altro è che queste regole possano andare contro la stabilità delle scuole dei nostri figli. Si può discutere di investimenti per il futuro ma sull'edilizia scolastica non c'è possibilità di bloccarci: noi quei soldi li mettiamo fuori dal Patto di stabilità, vogliano o meno i funzionari di Bruxelles". Il premier è restato quindi fermo sui numeri inseriti nella bozza di legge di stabilità presentata a Bruxelles: 0,2% di spese per prevenzione e messa in sicurezza del territorio (tra cui il progetto 'Casa Italia') e 0,2% per l'accoglienza migranti. In totale uno 0,4% che, se venisse scontato dal deficit strutturale, lo porterebbe a 1,2%, soglia che non richiede alcuno sforzo. In precedenza lo stesso Juncker aveva accennato ad uno sforzo pari allo 0,1%, per poi precisare, tramite la sua portavoce, che quella cifra era "improvvisata" ed è stata "successivamente corretta".

Nel mezzo, il commissario Moscovici e il ministro dell'economia Padoan ieri hanno tentato, in un ennesimo bilaterale dopo l'Eurogruppo, di avvicinare le posizioni prima del giudizio europeo sulla stabilità 2017 in arrivo la prossima settimana. Moscovici ha cercato a fine giornata di sminare il terreno su cui si muove il confronto tra Roma e Bruxelles, spiegando che  non c'era alcun intento aggressivo di Juncker, solo una risposta diretta a commenti altrettanto diretti giunti dall'Italia.

Moscovici ha spiegato che la Commissione tiene in conto "la situazione particolare di un Paese in prima linea per conto dell'Ue nell'accoglienza dei migranti, e anche i fenomeni naturali, le catastrofi come il terremoto". Ma "prendendo tutto questo in considerazione, resta ancora del lavoro da fare", ha sottolineato, spiegando che "anche se prendiamo in considerazione tutta la flessibilità, anche se il Patto è
intelligente, ci sono delle regole che vanno rispettate da tutti. La Commissione è estremamente comprensiva, ma le regole vanno rispettate".

Nella discussione si è introdotto anche il ministro dello sviluppo Calenda da parte sua commenta: "Ho sentito il gabinetto Juncker e loro la battuta la riferiscono all'accusa di essere a favore dell'austerita' e quindi non verso l'Italia, ma resta infelice, anzi infelicissima. Quello che mi ha colpito di piu' rispetto al 'me ne frego' e' che Juncker abbia citato una serie di numeri sul deficit italiano assolutamente sbagliati e un portavoce dice che ha improvvisato, il che lascia qualche preoccupazione".

Per l'Italia, sottolineavano  ambienti del Mef, le spese per migranti e terremoto sono spazio di bilancio sottratto alla politica economica per cause di forza maggiore o, usando il linguaggio del Patto, per circostanze eccezionali. E' per questo che l'Italia insiste con Bruxelles per riaverlo indietro. Moscovici ha segnalato però che c'è ancora del lavoro da fare per avvicinare le posizioni, ed ha ricordato che, anche prendendo in considerazione tutta la flessibilità possibile, "ci sono delle regole che vanno rispettate da tutti".

Con l'Italia "resta ancora del lavoro da fare per avvicinare completamente punti di vista, cifre e misure", e per questo il commissario agli affari economici Pierre Moscovici vedrà oggi in bilaterale il ministro dell'economia Pier Carlo Padoan per la "quindicesima o sedicesima volta nel 2016": lo ha detto il commissario entrando all'Eurogruppo.
"E' da tempo che lavoriamo con il Governo italiano in modo costruttivo, la Commissione è pronta a prendere in considerazione una certa quantità di flessibilità, prevista nella comunicazione", ha detto il commissario.

    

 

Uno dei pochi leader a chiamare Matteo Renzi per esprimergli la propria solidarietà e offrirli aiuti concreti è proprio il «nemico» Vladimir Putin. 

Nella telefonata, arrivata ieri mattina, come riferisce il qutidiano Italiano il Giornale  il presidente russo ribadisce la disponibilità ed estendere anche alle aree colpite dalle nuove scosse l'assistenza che la Russia ha già offerto ad agosto alle zone di Amatrice, Arquata ed Accumuli. 

Zone in cui secondo il Cremlino i servizi di soccorso italiani e russi continuano a lavorare «a stretto contatto». Il riferimento è agli aiuti nel settore soccorsi inviati a settembre. Anche allora il presidente russo era stato fra primi ad inviare le condoglianze per le vittime e ad assicurare «la necessaria assistenza per affrontare l'emergenza successiva al terremoto». Subito dopo il ministro per le Situazioni di Emergenza, Vladmir Puchkov, aveva contattato il capo della Protezione Civile Matteo Curcio per concordare «assistenza pratica all'Italia». Il governo Renzi, preso in contropiede ed evidentemente preoccupato di non offendere Barack Obama, gli «amici» di Bruxelles e gli alleati della Nato, aveva atteso cinque giorni prima di sciogliere le riserve e ad accettare la mano tesa di Mosca

Dalla «nemica» Russia, come sottolinea il Giornale ai cui confini siamo pronti a schierare i nostri soldati su ordine della Nato, la solidarietà e la promessa di aiuti da parte del presidente Vladimir Putin. Sembra la cronaca dell'assurdo, ma purtroppo è tutto vero, tutto reale. 

Nonostante la diffidenza del governo Renzi il Ministero delle Situazioni di Emergenza russo aveva fatto arrivare nelle prime settimane di settembre quattro complessi mobili Struna, con sensori ad alta capacità capaci di registrare le oscillazioni di un edificio in qualsiasi stato. «La sensibilità dell'apparecchio è così alta che può anche registrare il battito cardiaco di una persona appoggiata contro la parete di un edificio» - avevano spiegato in quell'occasione i portavoce del Ministero di Mosca. I complessi di diagnostica mobile Struna lavorano su una vastissima gamma di frequenze, da 0,1 a 150 Hz, e sono in grado di verificare le fluttuazioni di edifici di qualsiasi qualità e qualsiasi grado di usura. 

Grazie alle informazioni elaborate dagli Struna gli specialisti che lavorano con le squadre di soccorso russe sono in grado di determinare il danno subito dagli edifici e verificare se le strutture sono ancora in grado di reggere. Le squadre d'emergenza attrezzate con gli Struna erano già arrivate Italia nel 2009, dopo il terremoto che aveva devastato la città dell'Aquila. In quel caso le apparecchiature erano state utilizzate per controllare la stabilità di 21 condomini.

Gia dal 24 agosto era arrivata la prima comunicazione dal vertice del Cremlino. Vladmir Putin ha porto le proprie condoglianze al presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi. “La Russia – si legge nel telegramma inviato dallo “zar” al nostro premier – condivide il dolore della popolazione italiana, ed è pronta ad assicurare la necessaria assistenza per affrontare l’emergenza successiva al terremoto”.

La seconda comunicazione arriva dalla task-force russa leader nelle operazioni in caso di calamità naturale. Il ministro delle Situazioni di Emergenza russo Vladimir Puchkov – secondo quando riporta l’agenzia russa Interfax – ha inviato un telegramma al capo della Protezione civile Fabrizio Curcio offrendo “assistenza pratica” all’Italia nelle operazioni di rimozione delle macerie e di ricerca dei dispersi.

La Federazione Russa sarebbe disposta ad inviare gli uomini dell’unità “Tsentrospas” e il complesso diagnostico mobile “Struna” – dotato di attrezzature all’avanguardia e tecnologia avanzata – per effettuare la stima della profondità dei danni riportati da edifici ed infrastrutture.

Già nel 2006, l’allora capo del Ministero delle Emergenze russo Sergey Shoygu – oggi ministro della Difesa – ha visitato le località colpite dal sisma dell’Aquila. 

Cosi dagli «amici» dell'Unione Europea continua il Giornale una tignosa indifferenza e la raccomandazione a badare non alle macerie e alla ricostruzione, ma ai decimali del deficit.

A Bruxelles, a Berlino e in molte altre capitali europee il dramma delle regioni italiane martoriate dal sisma è vissuto non solo con indifferenza, ma con il sarcastico cinismo di chi pensa che, in fondo, anche il terremoto sia l'ennesima scusa, l'ennesimo, finto mal di pancia esibito da uno scolaretto abituato a trascurare i compiti affidatigli dai maestrini europei. 

Per capirlo basta il caustico distinguo con cui Stefan Seibert, portavoce di Angela Merkel, fa capire che Berlino non spenderà manco mezza parola per convincere la Ue a accettare le richieste di spesa italiane destinate alla prevenzione anti terremoti. «Tali questioni saranno da risolvere a livello europeo perché - spiega il portavoce - il patto di stabilità non è un impegno che uno Stato membro ha assunto nei confronti di un altro Stato, ad esempio l'Italia nei confronti della Germania, ma di fronte a tutti gli altri Stati membri».

 

 

Tutti i sondaggi del weekend che precede l'Election Day vedono la candidata democratica accelerare verso il traguardo e in vantaggio nello sprint finale. Con l'impetuosa rimonta di Donald Trump che sembra aver esaurito la sua spinta. Ma la vera bomba alla vigilia del voto e' la nuova lettera del numero uno dell'Fbi, James Comey, al Congresso. Una lettera in cui certifica, senza giri di parole, che l'indagine sulle email di Hillary Clinton e' chiusa. Tutte sono state esaminate, senza che sia stata trovata traccia di illeciti. Per questo - scrive Comey - non ci sara' nessuna richiesta di incriminazione dell'ex segretario di stato.

Intanto sull'Election Day, oltre all'allarme terrorismo, si agita sempre piu' lo spettro di una vera e propria cyberguerra tra Washington e Mosca. Con gli americani che avrebbero penetrato addirittura le difese del sistema informatico del Cremlino, oltre alle reti elettrica e delle Tlc. Pronti a una rappresaglia se hacker russi dovessero entrare in azione per destabilizzare le operazioni di voto e tentare di influenzare il risultato delle urne. Il governo russo denuncia "cyberterrorismo di stato" e promette conseguenze. Ma per l'amministrazione Obama Putin si appresta a destabilizzare con l'azione degli hacker anche le prossime elezioni in Europa, dalla Francia alla Germania, il prossimo anno e nel 2018.

Intanto gia' 33 milioni di americani hanno espresso la loro preferenza grazie all'early voting, il voto anticipato, a cui di solito ricorrono le minoranze (dagli afroamericani agli ispanici) e che tradizionalmente favorisce i democratici. Con un colpo di scena, la Corte Suprema Usa ha reintrodotto in Ariziona la legge che considera il voto anticipato un reato: un brutto colpo per i democratici che sperano di strappare lo stato tradizionalmente repubblicano a Trump. Intanto, mentre Clinton gioca le ultime chance mettendo in campo lo 'star power' (da Beyonce' a Jay-Z, passando per Pharrell Williams e Stevie Wonder) e le personalita' democratiche piu' illustri (da Barack Obama a Joe Biden, da Bernie Sanders ad Elizabeth Warren), Trump appare isolato come non mai, circondato solo dai suoi fedelissimi e da gruppi di fan in adorazione. Vola di tappa in tappa con il suo 'Trump Force One', accompagnato solo dalla moglie e di fatto abbandonato dalle personalità del partito repubblicano. Ma forte di una rimonta che fa tremare l'avversaria.

Il countdown e' partito. Manca ormai un giorno all'elezione del nuovo presidente degli Stati Uniti. E come da tradizione nell'ultimo weekend prima del voto infuria la battaglia finale negli stati ancora in bilico, con Hillary Clinton in leggero vantaggio che spera nell'alta affluenza delle ultime ore degli ispanici, soprattutto in Florida e in Nevada. Ma che sente il fiato sul collo di Donald Trump, capace di una straordinaria rimonta negli ultimi giorni. Sono 48 ore in cui tutto puo' succedere, e ogni minimo dettaglio puo' spostare voti e determinare il risultato di una gara ancora incerta. Come la nuova grana per Trump, con l'Associated Press che ha svelato le carte che smascherano la moglie Melania, rea - lei di origini slovene - di aver lavorato come modella negli Usa senza regolare permesso di soggiorno. Almeno dieci volte prima di ricevere la 'green card' nel 2001 e di diventare cittadina americana nel 2006, per un totale di oltre 20 mila dollari. Uno smacco per il marito, che della linea dura contro gli immigrati irregolari ha fatto il cavallo di battaglia del suo programma elettorale.

"Valgono le stesse conclusioni del luglio scorso", afferma, quando l'Fbi bacchetto' Clinton per la disinvolta e imprudente gestione del suo account privato di posta elettronica ma non riscontro' reati. Un colpo durissimo per Trump, forse quello del ko. Mentre la candidata democratica, dopo la 'sorpresa d'ottobre' che l'aveva fatta precipitare nei sondaggi, tira un enorme sospiro di sollievo. Si dice soddisfatta e ora guarda con grande ottimismo a martedi' 8 novembre. Anche perche' nelle ultime ore a spingere la candidata democratica ci sono soprattutto gli elettori ispanici, che hanno approfittato del fine settimana per recarsi in massa alle urne per il voto anticipato. Con i dati sull'affluenza in stati chiave come la Florida o il Nevada che fanno sorridere la campagna della Clinton. Anche se finora non si e' registrato il boom del 2008 quando in gara c'era Barack Obama.

Ma cio' che ai democratici importa e' che all'ultimo miglio della sua corsa Trump rischia di pagare cara la linea del pugno duro contro l'immigrazione, quella del muro con il Messico e della stretta sugli ingressi. Col Washington Post che definisce la candidatura del miliardario newyorchese "un assoluto disastro demografico" per il partito repubblicano, che negli ultimi anni aveva tentato come non mai di corteggiare il blocco degli elettori latinos. Blocco divenuto sempre più decisivo negli Usa in chiave elettorale e che già era costato la sconfitta a Mitt Romney nel 2012. Ma sono ancora una decina gli stati che i sondaggi danno in bilico, dove tra i due candidati ci sono meno di 5 punti di differenza, e in alcuni c'è ancora un testa a testa. E' qui che in queste ore si svolge una vera e propria caccia all'ultimo voto, dalla Florida all'Ohio, dalla Pennsylvania alla North Carolina. Vincere uno di questi stati vuol dire acquisire una dote di grandi elettori che può rivelarsi determinante per raggiungere il 'magic number' dei 270 necessari per la conquista della presidenza. I dati delle ultime rilevazioni sono comunque una boccata d'ossigeno per Hillary Clinton: avanti di 5 punti per Abc/Washington Post (48% a 43%), di 4 punti per Nbc/Wall Street Journal (44% a 40%) e di 3 punti per Politico/Morning (45% a 42%).

Gli ultimi sondaggi sugli elettori latinos, poi, mostrano come di fatto oltre il 67% ha votato o voterà per Clinton, solo il 19% per Trump: sarebbe il minimo storico per un candidato repubblicano. George W.Bush nel 2004 vinse il 44% dei voti dei latinos, John McCain nel 2008 il 31%, Mitt Romney nel 2012 il 27%. Ancora una volta, questa può essere davvero la chiave della eventuale vittoria della ex first lady. Intanto sui media si comincia a immaginare chi siederà nello Studio Ovale con Hillary Clinton. E ci si interroga su chi del suo staff personale debba o non debba entrare nelle segrete stanze. John Podesta, attualmente responsabile di Hillary for America, sembra avviato verso un posto di governo. Per Jake Sullivan, direttore politico della campagna, si pensa a un ruolo di consigliere per la sicurezza nazionale o di chief of the staff. E poi Michele Flournoy, in pole il Pentagono, e William Burns per il Dipartimento di stato. Mentre dubbi ci sono sul ruolo della fedelissima Huma Abedin, che insieme all'ex marito e' all'origine della bufera Fbi 

L'intelligence americana ha lanciato un'allerta terrorismo per oggi 7 novembre, il giorno prima del voto. Il timore e' che Al Qaida, secondo quanto riporta la Cbs, possa pianificare attacchi in tre stati americani. Nel mirino ci sarebbero New York, Texas e Virginia, individuati come possibili obiettivi.

Il governo americano - inoltre - secondo l agenzia ansa teme un massiccio attacco hacker dalla Russia o da altri Paesi con l'obiettivo di creare il caos nel giorno delle elezioni presidenziali, martedì 8 novembre. Per contrastare questo pericolo sta producendo uno sforzo senza precedenti coordinato dalla stessa Casa Bianca e dal Dipartimento per la sicurezza nazionale, col supporto del Pentagono e delle principali agenzie di intelligence, dalla Cia alla Nsa. Lo riporta la Nbc citando alti funzionari dell'amministrazione Obama.A Washington - raccontano fonti dell'amministrazione alla Nbc - ci si prepara al peggio, compreso il cosiddetto 'worst case scenario': quello di un massiccio cyber-attacco che mandi totalmente o parzialmente in tilt la rete elettrica o internet del Paese. Ma si lavora anche per contrastare azioni di manipolazione e disinformazione attraverso i social media, a partire da Twitter e Facebook. Col timore della pubblicazione di documenti falsi che coinvolgano uno dei candidati in esplosivi scandali senza che i media possano fare in tempo a verificare ed accertare la verità prima del voto.

Donald Trump, il futuro presidente degli Stati Uniti, "farà l'America di nuovo grande" e sicura. Lo ha detto a Filadelfia Melania Trump, secondo le agenzie di stampa la moglie del magnate newyorchese, nel suo primo e unico intervento nella campagna per il marito, dopo le critiche per aver copiato da Michelle Obama il discorso alla Convention repubblicana.

Melania ha aggiunto che "questa non è una campagna normale ma un movimento nel quale la gente si sente coinvolta e dal quale si sente ispirata, come ho toccato con mano anch'io". La signora Trump ha raccontato in particolare la propria storia di modella di origini slovene riuscita a realizzare il suo sogno emigrando legalmente in America, Paese "simbolo di libertà e opportunità" che l'ha ispirata in particolare sin dai tempi della presidenza Reagan. Poi ha elogiato il marito, le sue doti di imprenditore di successo, di padre amorevole, marito esemplare. 
   
"Sarò una sostenitrice delle donne e dei bambini": questo uno dei principali obiettivi di Melania Trump, che lo ha detto oggi nel suo unico comizio oggi a Filadelfia, se diventerà first lady. Uno dei temi prioritari su cui si impegnerà, ha aggiunto, sarà il cyberbullismo. 

''Donald Trump è una scelta pericolosa e distruttiva per il paese''. Lo affermano 370 economisti, inclusi otto vincitori del premio Nobel, in una lettera riportato dalle agenzie di stampa Italiane. ''Se eletto Trump pone un rischio unico al funzionamento delle istituzioni democratiche ed economiche. Per questo la nostra raccomandazione e' di non votare per Trump. Nella missiva gli economisti elencano i motivi per cui Trump non va eletto. Rinegoziare il Nafta, uno dei punti della sua campagna politica, non si tradurrà in un aumento dei posti di lavoro nell'industria manifatturiera, che è in calo dagli anni '70. Una flessione, spiegano, legata all'automazione e non agli scambi commerciali. Gli economisti mettono in dubbio la "matematica" di Trump su come eliminare il deficit riducendo allo stesso tempo le entrate. "Ripete false e ingannevoli statistiche economiche''.

Insomma, si e' di fronte a un finale in linea con quella che e' stata una delle campagne elettorali americane piu' tese che si ricordino in epoca moderna. "Vinceremo e vinceremo alla grande", continua a ripetere il tycoon in queste ultime ore, di comizio in comizio, dal North Carolina al Nevada, passando per il Colorado. Ma secondo gli ultimi pronostici - vedi quello del New York Times - Hillary Clinton ha ancora l'85% di probabilita' di vittoria, contro il 15% dell'avversario. Mentre i democratici avrebbero il 55% di chance di riconquistare il controllo del Senato. Per la media dei sondaggi realizzata dal sito specializzato RealClearPolitics Clinton - che nelle ultime ore batte a tappeto Florida e Pennsylvania - ha incrementato leggermente il suo vantaggio, portandolo a 1,8 punti: 46,6% a 44,8%. Ma quel che conta e' il dato sui grandi elettori. Sempre in base ai dati di RCP Clinton e' a quota 216, Trump a quota 164, con 158 elettori in ballo negli stati in bilico. Ne servono almeno 270. Dunque, se e' vero che l'ex first lady non ha ancora raggiunto il 'magic number', e' anche vero che per essere superata da Trump questi dovrebbe praticamente sbancare in quasi tutti gli stati incerti.

A pochi giorni dal voto negli Stati Uniti, la gara tra Hillary Clinton e Donald Trump sembra più che mai aperta. Il tycoon repubblicano che aspira alla Casa Bianca, avrebbe recuperato consensi in Florida, Stato cruciale e indispensabile per vincere le elezioni. E proprio dal 'sunshine Statè'  Hillary ha ribadito a gran voce che no, non è il momento di distrarsi, che l'importante è rialzarsi, ogni volta. Ma i responsabili della sua campagna elettorale spingono per avere chiarimenti sulla bufera scatenata dalle email spedite dalla posta privata.

Eppure stando ai primi sondaggi condotti dopo la 'sorpresa di ottobre’ piombata sulla corsa di Hillary Clinton, il 63% dell'elettorato ritiene che le nuove indagini non cambieranno la loro decisione sul voto. 

È però il monitoraggio sulla Florida targato New York Times che balza in particolare agli occhi: il tycoon sarebbe in vantaggio con il 46% delle preferenze su Clinton, che si attesta al 42%. Dato cruciale: un'eventuale elezione di Trump alla presidenza non può prescindere dalla vittoria in Florida. 

Pochi pero sanno che giorni fa Kissinger è stato nominato membro del Accademia Russa delle scienze, un riconoscimento che viene attribuito ad eccellenze nel proprio campo, russe o straniere, assumendo parte attiva nelle discussioni dell’Accademia, con diritto di voto non vincolante. Kissinger si è rivelato un importante peso sulla bilancia delle relazioni tra USA e URSS, fu infatti insignito del Premio Nobel per la Pace proprio per le sue strategie di distensione nei confronti del regime comunista sovietico, sebbene si sia macchiato di altre azioni decisamente meno pacifiste nel corso del suo mandato di consigliere per la sicurezza di Nixon e successivamente come Segretario di Stato

Dunque si potrebbe ipotizzare che l’anziano diplomatico americano stia lavorando alle relazioni tra Washington e Mosca ancora una volta. Provando a proiettare tali schemi sulla real politik, la spada di Damocle potrebbe pendere sulla testa del tycoon americano candidato tra le fila dei repubblicani. Donald Trump ha, a più riprese, sostenuto la necessità di distendere i rapporti con la Russia, in un’ottica di allontanamento degli Stati Uniti dall’Europa nelle spoglie logore dell’Alleanza Atlantica. Riducendo la presenza americana sul Vecchio Continente di certo le tensioni con il Cremlino calerebbero sensibilmente, vista l’attuale spinta verso i confini orientali della NATO volti ad arginare una sedicente minaccia russa.

Trump ha inoltre ribadito una certa tolleranza nei confronti di due regimi che attualmente dialogano con Mosca: la Turchia di Erdogan e la Repubblica Araba siriana di Bashar al Assad. Nel primo caso, osserviamo come le dichiarazioni del candidato repubblicano abbiano sottolineato la comprensione per le azioni da portare avanti dal Sultano in seguito al coup d’etat perpetrato ai suoi danni lo scorso luglio, apprezzando per giunta la qualità della sua risposta, sostenendo che il tutto non fosse stato organizzato ad hoc per poter completare le operazioni di pulizia della dissidenza. Altresì ha espresso un parere assai controcorrente rispetto alla linea della politica estera americana sulla Siria. Nella logica del male minore, ha sostenuto che Assad deve restare al suo posto, in quanto il vero nemico è il terrorismo internazionale e la lotta di Assad, affiancato da Russia e Iran, è da sostenere nell’ottica dell’eliminazione di un nemico comune.

Il canovaccio della politica estere trumpiana dunque sembra distaccarsi notevolmente dal piano statunitense per il Medio Oriente inaugurato dai presidenti Bush e Obama, e sarebbe in netta antitesi rispetto al suo avversario democratico. Ci sarebbe dunque da aspettarsi un meccanismo anti-mainstream che si è attivato per portare contrastare l’establishment americano di cui la Clinton sarebbe la naturale continuazione. E questo movimento potrebbe avere un nome più che autorevole.

Ed e noto ai più che l’ex Segretario di Stato americano, Henry Kissinger, abbia un ottimo rapporto di amicizia con il Presidente russo Vladimir Putin. I due, dallo scoppio della crisi in Ucraina si sono visti o sentiti telefonicamente almeno cinque volte, in via ufficiale. Negli ultimi incontri l’ex guru della diplomazia americana si era espresso proprio in merito alle vicende diplomatiche che contornano l’affaire ucraino, nonché sul terreno di attrito del conflitto siriano, suggerendo a Putin e ad Obama un possibile indirizzo da intraprendere per la risoluzione della tensione.

Ma Il profilo Twitter dell'Fbi ha annunciato la pubblicazione delle 129 pagine sulle indagini sulla grazia concessa nell'ultimo giorno di Clinton alla Casa Bianca. Nel mirino la decisione dell'allora presidente americano di graziare l'imprenditore Marc Rich....Rich, morto nel 2013, era fuggito dagli Stati Uniti nel 1983 dopo essere stato accusato di legami con il crimine organizzato e di aver evaso oltre 48 milioni di dollari di tasse, così come di aver comprato illegalmente petrolio dall'Iran durante la crisi degli ostaggi del 1979. La grazia concessa da Clinton scatenò grandi polemiche, anche perché la moglie di Rich era donatrice del partito democratico.

Intanto sta di fatto che questi ultimi dati non tengono conto degli sviluppi dell'email gate, tanto più che cominciano solo adesso ad emergere le prime indicazioni utili a ricomporre il quadro.

Un sondaggio Abc/Washington Post, condotto tra venerdì 28 ottobre (il giorno dell'annuncio di Comey) e sabato 29 con focus sulla reazione al 'nuovo emailgatè sottolinea comunque che il 34% dei potenziali elettori si ritiene meno incline a votare per Clinton dopo gli ultimi sviluppi, mentre il 2% si dice più favorevole a votare per la candidata democratica. Non si specifica tuttavia quali fossero le intenzioni di voto prima dell'annuncio di venerdì del direttore dell'Fbi. Stando poi all'aggiornamento sulle preferenze a livello nazionale effettuato dagli stessi sondaggisti tra giovedì 27 e venerdì 28, Clinton e Trump sono rispettivamente al 46% e al 45%, confermando la tendenza rilevata nello stesso precedente studio realizzato tra il 24 e il 27 ottobre (47% a 45%).

Comey resta al centro della bufera e adesso sembra emergere che forse si sarebbe potuta evitare una tempistica potenzialmente così deleteria: secondo il Washington Post, che cita fonti informate, gli agenti dell'Fbi impegnati nell'inchiesta sull'uso di mail e server privati da parte di Hillary Clinton erano a conoscenza già all'inizio di ottobre che il nuovo materiale emerso da indagini separate poteva essere attinente all' inchiesta sull'emailgate.

Secondo John Podesta, presidente del Comitato della Clinton, il direttore dell'Fbi James Comey dovrebbe spiegare quella decisione «senza precedenti» con cui di fatto ha annunciato la riapertura dell'inchiesta sulle mail a soli 11 giorni dal voto, consegnando una nuova speranza a Trump. A complicare la situazione è il gran numero di messaggi di posta elettronica da analizzare: sono 650mila la mail da leggere, un'impresa, per la quale l'Fbi ha ricevuto il via libera, e che probabilmente durerà settimane se non di più, ben oltre la chiusura delle urne l'8 novembre.

Intanto il lavoro degli inquirenti procede e si prospetta gigantesco, visto che sono circa 650mila le mail contenute nel laptop di Anthony Weiner, marito della più stretta collaboratrice di Hillary Huma Abedin, che gli agenti federali si apprestano a esaminare per determinare quante siano legate all'inchiesta sull'uso di mail e server privati da parte di Hillary Clinton quando era segretario di Stato, come scrive il Wall Street Journal. Da parte sua Huma ha detto di non sapere come le nuove mail trovate dall'Fbi siano finite sul computer del marito (sequestrato per via del 'sexting'), sostiene di non averlo utilizzato regolarmente e per questo non era stato preso in considerazione quando aveva consegnato al dipartimento di Stato il materiale richiesto per l'inchiesta dell'Fbi su Hillary Clinton chiusa lo scorso luglio. Sul fronte democratico poi si serrano i ranghi e si prepara la graticola per Comey: il leader al Senato Harry Reid scrive al capo del bureau per dirgli che la sua è stata «un'azione di parte» e quindi potenzialmente in violazione della legge federale (Hatch Act) che vieta a funzionari governativi di utilizzare la propria posizione per influenzare un'elezione.

Pubblicità laterale

  1. Più visti
  2. Rilevanti
  3. Commenti

Per favorire una maggiore navigabilità del sito si fa uso di cookie, anche di terze parti. Scrollando, cliccando e navigando il sito si accettano tali cookie. LEGGI