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Alterazioni del ciclo mestruale, inestetismi come peluria e acne, sovrappeso o obesità sono tipici disturbi femminili che non vanno mai sottovalutati. Comparendo in età adolescenziale, spesso le cure e le attenzioni si focalizzano sui problemi più evidenti, come l’acne o la peluria, per poi scoprire più avanti, quando si desidera una gravidanza, che la propria capacità riproduttiva può essere a rischio. Questi sintomi, infatti, rappresentano i principali campanelli d’allarme di un disturbo molto più complesso, la policistosi ovarica, (o Sindrome dell’Ovaio Policistico) che colpisce non solo le ovaie ma l’intero sistema endocrinologico e metabolico femminile.

Gli studi pubblicati sulla rivista Gynecological Endocrinology hanno messo in luce l’effetto positivo dell’inositolo nelle donne affette da policistosi ovarica e la sua capacità di migliorare la qualità ovocitaria nelle donne e quindi, la fertilità.

Se ne è discusso oggi a Firenze, in occasione del World Pediatric and Adolescent Gynecology Congress, durante l’incontro stampa di presentazione su nuovi studi e opportunità terapeutiche per la salute delle donne: “Riflettori puntati sull’inositolo, la molecola della fertilità e non solo”.

La policistosi ovarica è la causa più comune di infertilità femminile, legata ad assenza di ovulazione e colpisce dal 5 al 10 % delle donne in Italia. La sindrome è caratterizzata da un aumento degli ormoni maschili (androgeni), responsabili di segni come l’eccesso di peluria su viso e corpo, l’acne e disturbi mestruali, come mestruazioni irregolari, assenza di mestruazioni per più mesi, cicli scarsi o prolungati. In questo quadro clinico, le ovaie appaiono ingrandite e micropolicistiche e si verifica una resistenza all’insulina, l'ormone che regola il glucosio nel sangue. Le donne affette da sindrome dell’ovaio policistico, inoltre, corrono un rischio maggiore rispetto alle donne sane di soffrire di patologie come diabete, sovrappeso e obesità per iperinsulinismo e insulinoresistenza, ipertensione e patologie cardiovascolari.”

“L’inositolo – ho dichiarato il Prof. Vittorio Unfer, Professore di Ostetricia e Ginecologia alla Swiss University Institute di Chiasso - ha un effetto positivo sulla funzionalità ovarica ed è utile a correggere i disturbi endocrino-metabolici legati alla sindrome dell’ovaio policistico, quali iperandrogenismo, iperglicemia, aumentata resistenza insulinica. L’inositolo è una molecola che si trova in diverse forme, ma solo due di queste hanno dimostrato dagli studi clinici di essere mediatrici dell’insulina e quindi utili per curare la policistosi ovarica, il Myo-inositolo (MI) e il D-chiro-inositolo (DCI), svolgono il ruolo di secondi messaggeri dell’insulina, con funzioni diverse. Gli studi che abbiamo condotto hanno dimostrato che l’integrazione con MI e DCI in un rapporto fisiologico plasmatico di 40 a 1 ripristina i parametri metabolici delle donne con PCOS più rapidamente, diventando quindi la terapia più efficace in donne con PCOS sovrappeso o obese.”

Cosa fare

Se si ha qualche dubbio, il primo passo è recarsi dal proprio medico e descrivere dettagliatamente sintomi e disturbi; in questo modo potrà già sospettare una sindrome da ovaio policistico e indicare gli esami specifici per la diagnosi consigliando una terapia mirata. La scelta della terapia varia molto in base all’età della donna e alle sue specifiche esigenze e necessità. Ancora oggi, per esempio, la pillola anticoncezionale è una opzione molto utilizzata, soprattutto se non si desidera avere figli. In generale, esistono molti farmaci in grado di agire sulle alterazioni provocate dalla sindrome ma, in tutti questi casi, gli effetti collaterali non sono quasi mai trascurabili. Le nuove prospettive terapeutiche che si affacciano all’orizzonte, come appunto l’inositolo, si sono dimostrate particolarmente efficace non solo per migliorare la qualità ovocitaria nelle donne e quindi, la fertilità ma anche per correggere numerosi disturbi endocrino-metabolici. L’integrazione a base di inositolo ha il vantaggio di essere senza effetti collaterali.

La prevenzione e la dieta corretta

L’adozione di uno stile di vita corretto, una dieta equilibrata, un’attività fisica regolare e la perdita di peso sono consigliabili a tutti, ma diventano necessari per chi soffre di policistosi ovarica. Considerato che alla base della sindrome dell'ovaio policistico c'è insulinoresistenza, la dieta giusta deve cercare di stabilizzare la glicemia, con pasti equilibrati dal punto di vista del carico glicemico complessivo, accompagnati da attività fisica moderata e continuativa.  Molto utile è l’assunzione di integratori a base di agenti sensibilizzanti l’insulina, come l’inositolo, che risultano essere il miglior trattamento terapeutico per i pazienti con policistosi ovarica.

L’inositolo è rintracciabile anche in diversi alimenti, tra cui la frutta, i cereali, i legumi e la carne. Un alimento particolarmente ricco di inositolo è la lecitina di soia, che si trova nei fagioli di soia e nei tuorli d’ uovo. Inoltre, è presente anche nei fagioli, nei legumi e nei cereali. Tra i cereali, soprattutto il riso integrale, le germe di grano, l’orzo, l’avena e il grano saraceno. Altre fonti molto ben utilizzabili sono le lenticchie e anche la carne è una fonte insostituibile di inositolo. Tra le verdure, i piselli e il cavolfiore; tra i frutti ci sono le arance, i pompelmi e le fragole.

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Questa la sentenza degli esperti dell'International agency for research on cancer (Iarc), l'agenzia dell'OMS per la ricerca sul cancro, che ha assolto dall'accusa caffè, mate e altre bevande calde di provocare tumori. La monografia è stata appena pubblicata su Lancet Oncology. L'Agenzia ha esaminato circa 500 studi fatti negli anni scorsi, trovando che non risulta nulla che giustifichi il fatto che negli anni '90 il caffè venne messo nella categoria 2b (cioè potenzialmente cancerogeno) per il cancro alla vescica. Dunque secondo la classificazione decisa da un comitato di 23 esperti il caffè e il mate, la bevanda tipica del Sud America, sono nel gruppo 3, quello delle sostanze per cui non c'è una adeguata documentazione scientifica che attesti la cancerogenicità. Per il caffè si tratta di un 'declassamento', visto che nella precedente monografia sulla bevanda era stato messo invece nel gruppo 2B, quello dei 'possibly carcinogenic', dei 'possibili cancerogeni'. Se le bevande in sé non sono sotto accusa, sottolinea dunque la monografia, il bere bevande molto calde è finito nel gruppo 2A, quello dei 'probably carcinogenic' (probabilmente cancerogeni), per il rischio aumentato di tumore dell'esofago, documentato anche da diversi studi sull'uomo. Un dietrofront completo, quindi,spiega Giovanni D'Agata, fondatore dello “Sportello dei Diritti”, per la bevanda fra le più amate in Italia, che nel 1991 era invece stata inserita in un elenco di sostanze che potevano essere cancerogene. Dopo l'allarme sulle carni rossi, era infatti arrivato l'annuncio che anche caffè e bisfenoli sarebbero finiti sotto osservazione del valutarne il rischio cancro. Nel Nord America e in buona parte dei paesi europei il fenomeno è meno diffuso. Lo stress indotto sui tessuti, nello bere bevande molto calde, oltre i 65 gradi, può aumentare, nelle persone predisposte e insieme ad altri fattori, il rischio di sviluppare un tumore.

In occasione della XII edizione della Giornata Mondiale dell’Emofilia, Fondazione Paracelso Onlus in collaborazione con FedEmo (Federazione delle Associazioni Emofilici) Onlus e con il contributo non condizionato di Sobi Italia, presenta il progetto “Barriera Zero” per aiutare i giovani emofilici a convivere serenamente con la propria malattia.

“Barriera Zero” è dedicato agli adolescenti, ma è aperto anche ai giovani fino ai 24 anni di età - per un totale di sedici partecipanti - che vorranno confrontarsi, seguiti da tre esperte, non solo sulla malattia, ma sulla propria vita a tutto tondo. In concreto, il progetto prevede due incontri l’anno, di tre giornate ciascuno, in  un contesto informale in cui i ragazzi si sentano a proprio agio. Il primo dei due appuntamenti è previsto dal 23 al 26 giugno, mentre il secondo si svolgerà a dicembre.

«Durante questi “ritiri”, Alessandra Stella, Sonja Riva e Clarissa Bruno, rispettivamente formatrice, mediatrice familiare e fisioterapista, si alterneranno alla conduzione del gruppo - spiega Andrea Buzzi, Presidente di Fondazione Paracelso -. I ragazzi saranno coinvolti in attività orientate a stimolare la riflessione su se stessi e la discussione sulla malattia, ma non mancheranno i momenti ludico-ricreativi». Entrambi gli incontri prevedono anche una serie di attività fisiche sotto la guida della dottoressa Bruno. «La condivisione di un tempo e di uno spazio rappresenta, secondo noi, la situazione migliore per favorire l’ascolto e lo scambio reciproco. L’emofilia non dovrà avere un ruolo predominante, come dovrebbe essere nella vita di tutti i giorni» spiega ancora Buzzi.

«Siamo lieti di promuovere, insieme a Fondazione Paracelso, un progetto che mette al centro le emozioni e i bisogni dei giovani che, naturalmente, si trovano a vivere situazioni e problemi tipici dell’adolescenza ben diversi da quelli dei pazienti adulti - afferma Stefania Farace, Segretario generale di FedEmo Onlus -. In tal senso, è fondamentale che superino le difficoltà e convivano con la malattia nel miglior modo possibile. FedEmo promuove e sostiene tutte quelle attività che abbiano come scopo il miglioramento della qualità della vita delle persone colpite da emofilia, perciò ci spendiamo in attività di informazione e formazione ai pazienti come “Barriera Zero”».

L’iniziativa è nata grazie alla collaborazione con otto ragazzi, con cui le dottoresse Alessandra Stella e Sonja Riva hanno organizzato alcuni incontri lo scorso anno. Da queste “chiacchierate” è nata la consapevolezza che il passaggio dall’adolescenza all’età adulta, fase critica della vita di ciascuno, può assumere dei connotati ancora più complessi per chi si trova a convivere con l’emofilia.

«Il nostro contributo a questo splendido progetto si inserisce in una serie di attività di Responsabilità Sociale che Sobi Italia porta avanti a supporto delle persone che convivono con l’emofilia - afferma Nicola Zancan, Responsabile della Divisione Emofilia per Italia e Grecia di Sobi -. “Barriera zero” ha lo scopo di permettere a piccoli gruppi di adolescenti e giovani con emofilia di condividere le loro emozioni e difficoltà, così da affrontare insieme questa importante fase della vita. La nostra realtà, operando nel campo delle malattie rare, ha da sempre a cuore il benessere non solo fisico, ma anche psicologico dei pazienti; perciò, oltre a offrire soluzioni terapeutiche innovative, crediamo fortemente in progetti come questo».

Non è escluso che, durante le cosiddette “crisi adolescenziali”, si abbia un improvviso rifiuto della malattia, fonte di problemi anche sotto il profilo relazionale. «Questo potrebbe portare ad una scarsa aderenza terapeutica o ad un isolamento dai coetanei per le difficoltà a parlare apertamente della propria condizione - spiega ancora Farace -. Sono ragazzi curati sin da piccoli con la terapia sostitutiva, che, tendenzialmente, non hanno subito gravi danni muscolari o articolari».

Adolescenti, quindi, che potrebbero non comprendere quanto la terapia sia fondamentale per loro. In tal senso, la condivisione delle proprie esperienze e paure è, secondo Fondazione Paracelso e FedEmo Onlus, il modo migliore per favorire l’ascolto e lo scambio reciproco su un problema così delicato e giungere insieme a una soluzione propositiva per affrontarlo. «L’emofilia ha e avrà sempre un ruolo nella loro vita, ma non necessariamente predominante. Per arrivare a questa consapevolezza, però, è necessario intraprendere un percorso. A chi aderirà alla nostra iniziativa, chiediamo di prendere parte sia all’incontro estivo che a quello invernale perché i due moduli, legati da un significativo filo conduttore, sono parte di un unico percorso» - conclude il Presidente Buzzi.

Nel 2015 la speranza di vita per gli uomini è stata 80,1 anni, 84,7 anni per le donne, spiega ai giornalisti Walter Ricciardi, direttore dell’osservatorio sulla Salute delle Regioni. Nel 2014, la speranza di vita alla nascita era maggiore e pari a 80,3 anni per gli uomini e 85,0 anni per le donne. L'andamento ha riguardato tutte le regioni.

Se si considera il solo contingente femminile, negli stessi anni si è passati da 1,6 a 5,1 ultracentenarie ogni 10.000 residenti. Gli ultracentenari uomini sono passati da 0,3 a 1,1 ogni 10.000 residenti. Il Rapporto sottolinea inoltre che nell’ultimo anno di calendario, considerando sia gli uomini sia le donne, si è registrato un incremento di ben 1.211 unità, con un incremento annuo pari a 6,8%.

La componente femminile è più numerosa: nel 2015, infatti, le donne rappresentano l’83,8% del totale degli ultracentenari. Aumentano anche i "giovani anziani" (ossia i 65-74enni): sono oltre 6,5 milioni, pari al 10,7% della popolazione residente (nello scorso rapporto figuravano oltre 6 milioni, pari al 10,6% della popolazione residente). Per la prima volta nella storia d’Italia l’aspettativa di vita degli italiani è in calo. Lo afferma il rapporto Osservasalute, presentato oggi, secondo cui il fenomeno è legato ad una riduzione della prevenzione.

Per la prima volta nella storia d'Italia l'aspettativa di vita degli italiani è in calo. Lo afferma il rapporto Osservasalute, presentato oggi, secondo cui il fenomeno è legato ad una riduzione della prevenzione.

Nella PA di Trento si riscontra, sia per gli uomini sia per le donne, la maggiore longevità (rispettivamente, 81,3 anni e 86,1 anni). La Campania, invece, è la regione dove la speranza di vita alla nascita è più bassa, 78,5 anni per gli uomini e 83,3 anni per le donne.

Per quanto riguarda le cause di morte, dai dati del 2012, quelle più frequenti sono le malattie ischemiche del cuore, responsabili da sole di 75.098 morti (poco più del 12% del totale dei decessi). Seguono le malattie cerebrovascolari (61.255 morti, pari a quasi il 10% del totale) e le altre malattie del cuore non di origine ischemica (48.384 morti, pari a circa l'8% del totale).

"Il calo è generalizzato per tutte le regioni - ha spiegato Ricciardi -. Normalmente un anno ogni quattro anni, è un segnale d'allarme, anche se dovremo aspettare l'anno prossimo per vedere se è un trend. Siamo il fanalino di coda nella prevenzione nel mondo, e questo ha un peso".

Il rapporto boccia l'Italia in prevenzione, con una spesa per la salute in fondo alla classifica europea.

"Anche quest'anno - avverte Walter Ricciardi, presidente dell'Iss e direttore dell'Osservatorio - le analisi contenute nel Rapporto Osservasalute segnalano numerosi elementi di criticità, in quanto confermano il trend in diminuzione delle risorse pubbliche a disposizione per la sanità, le esigue risorse destinate alla prevenzione e le persistenti iniquità". La spesa sanitaria pubblica è passata dai 112,5 miliardi di euro del 2010 ai 110,5 del 2014, si legge, e la contrazione ha coinciso con una lenta ma costante riduzione dei deficit regionali, conseguita però in gran parte tramite il blocco o la riduzione del personale sanitario e il contenimento dei consumi, misure che, sottolineao gli esperti, difficilmente potranno funzionare ancora nel futuro.

Nel 2014 la dotazione di posti letto negli ospedali è risultata 3,04 per 1.000 abitanti per la componente acuti e allo 0,58 per 1.000 per la componente post-acuzie, lungodegenza e riabilitazione, tutti valori inferiori agli standard normativi. Nel contempo, la spesa per il personale, in rapporto alla popolazione, è diminuita del 4,4% tra il 2010-2013.

L'investimento in prevenzione è molto scarso, solo il 4,1% della spesa sanitaria totale. Nel 2014, la spesa sanitaria pubblica pro capite in Italia è di 1.817&euro, del tutto in linea con il valore dell'anno precedente che pone l'Italia tra i Paesi che spendono meno. Nell'ultimo anno, ad esempio, il Canada ha speso oltre il 100% in più per ogni cittadino rispetto all'Italia, la Germania il 68%. La spesa pro capite più alta si registra in Molise (2.226&euro) e la più bassa in Campania (1.689&euro)

Ortodonzia 4D, scanner intraorali, stampanti 3D: sono solo alcune delle innovazioni tecnologiche che stanno trasformando il mondo della odontoiatria, con prospettive interessanti per i pazienti, in termini di riduzione di costi, dei tempi e maggiore affidabilità.  A discuterne è il Collegio dei Docenti Universitari di Discipline Odontostomatologiche della Sapienza Università (CDUO), in un’intera giornata oggi dedicata all’odontoiatria digitale nell’ambito del 23° Congresso Nazionale in corso fino a sabato 16 aprile a Roma, in collaborazione con la società scientifica Digital Dentistry Society.

La digitalizzazione in odontoiatria è un tema di grande attualità e interesse per la professione, soprattutto guardando alle nuove generazioni. Le novità digitali consentono una sempre maggiore rapidità d’intervento, alta precisione e personalizzazione delle cure, con una consistente riduzione dei costi che rivoluzioneranno il modo di lavorare delle specialità  che ruotano intorno alla salute della bocca” - ha dichiarato la Prof.ssa Antonella Polimeni, Presidente del Congresso e Direttore del Dipartimento Testa Collo del Policlinico Umberto I, Sapienza Università di Roma.

Quali sono le novità tecnologiche principali che stanno rivoluzionando il mondo dell’odontoiatria e quali le ripercussioni sui pazienti?

Ecco alcuni punti emersi durante il Simposio “Full Digital Dentistry” nell’ambito del 23° Congresso Nazionale del CDUO: 

SONO ADATTE AI BAMBINI

La minore invasività delle tecniche a disposizione, basti pensare allo scanner intraorale che assomiglia ad un semplice spazzolino da denti, trasformeranno la visita dal dentista in qualcosa di simile a un gioco, con la possibilità da parte del piccolo paziente di monitorare le immagini dei propri denti direttamente sullo schermo del computer. “La sicurezza – aggiunge la Prof.ssa Antonella Polimeni - è un altro aspetto fondamentale, ad esempio la nuova tomografia computerizzata cone beam (CBCT) che sta sostituendo la vecchia TAC, espone il paziente ad una quantità di radiazioni novelmente più basse e la rende particolarmente adatta ai bambini.”

Le nuove tecnologie puntano sulla realizzazione di apparecchi ai denti sempre più invisibili, realizzati con materiali innovativi, che apportano evidenti miglioramenti alla qualità della vita e alle relazioni sociali, così importanti in età adolescenziale. Grazie all'uso della tecnologia di imaging digitale 3D, i nuovi apparecchi consentiranno di vedere i risultati virtuali e il piano di trattamento ancora prima di iniziare, in modo da sapere in anticipo che aspetto avranno i denti al termine del trattamento.

MENO INVASIVITA’ E MENO COSTI

Le impronte dentali di precisione di una volta, effettuate manualmente, stanno per essere sostituite dalle impronte digitali, realizzate con lo scanner. A darci acluni esempi di digitalizzazione in odontoiatria è il Dott. Giuseppe Luongo, Presidente della Digital Dentistry Society, Società Scientifica dedicata all’Odotoiatria Digitale, nata con lo scopo di valutare con rigore scientifico i vantaggi per i clinici e per i pazienti. Prima, un composto siliconico veniva steso sull'arcata dentale del paziente, provocando fastidio e in alcuni casi vomito;  il risultato finale era affidato alle abilità del singolo professionista, con margine di errore.  Adesso, l’ odontoiatra effettua una scansione intraorale tramite una telecamera in modalità 3D che cattura le immagini in maniera assolutamente precisa ed affidabile, realizzando interventi dentali e restauri di  qualità. I risultati, in formato digitale, vengono elaborati da un software e inviati ad un fresatore (presente in studio) che realizza la protesi reale.  E' così possibile realizzare una protesi dentale in tempi più brevi: in un'unica seduta, il paziente potrà avere una protesi ricostruttiva completa, sottoponendosi quindi anche ad un’unica anestesia e senza ulteriori appuntamenti, per esempio per sistemare lavori poco precisi ed approssimativi, con notevole risparmio di tempo e denaro.

CURE A DISTANZA

La digitalizzazione delle tecniche e dei flussi di lavoro permette di ottenere un database di dati dei pazienti ricercabile e facilmente condivisibile,  così come una programmazione e pianificazione del percorso di cura, che prima non erano possibili. Ciò apre interessanti prospettive nel rapporto medico – paziente,  relazione che può diventare sempre più a distanza grazie alle comunicazioni via email, alla possibilità di visualizzazione dei risultati sul proprio smartphone. Diventa possibile curare pazienti che vivono a molti chilometri di distanza o all’estero grazie alla pianificazione delle visite e ai risultati archiviati sul pc, monitorabili da remoto. In prospettiva, si potrebbero realizzare cure a distanza dedicate alle persone che hanno difficoltà a muoversi, come anziani e disabili atraverso  telecamere intraorali, connesse a un computer, che consentono di essere visitati e di ricevere la diagnosi a domicilio.

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