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Decreto "salta coda": l'abbattimento delle liste d'attesa è una chimera

 

La sanità pubblica non va bene. Mancano i medici, gli ospedali fanno acqua, le liste di attesa continuano, la gente per non fare le fila paga, alcuni reparti vengono soppressi, ospedali accorpati, maternità chiuse, sprechi che continuano, medicina territoriale in crisi, sussidiarietà allo sbando.

Il cosiddetto decreto “salta coda" vuole assicurare ai cittadini le prestazioni nei tempi previsti dalle priorità indicate in ricetta. Ma nel testo non c’è nulla che non sia già previsto dalle norme in vigore, sebbene siano sempre state disattese. 

 Il decreto introduce il meccanismo "salta coda", che permette di ricorrere a visite private pagando solo il ticket se la prestazione non può essere garantita nei tempi previsti. Se al momento della prenotazione non c'è posto per la visita o l'esame in ospedale, l'Asl deve assicurare la prestazione nei tempi previsti, dietro pagamento del ticket, in una struttura privata accreditata o all'interno dell'ospedale tramite la libera professione dei medici.

Per i cittadini, cambia poco o nulla se non vengono messe a disposizione risorse aggiuntive, che non possono essere stanziate tramite decreto-legge ma solo con una legge parlamentare. Questa possibilità è già prevista dalle norme vigenti, ma spesso non viene applicata perché le Asl, che decidono se concedere la visita in regime privatistico al costo del ticket, hanno limiti di risorse economiche.

 Il decreto stabilisce "la presa in carico del paziente cronico da parte dello specialista o della struttura sanitaria di riferimento, garantendo quanto previsto nei vari percorsi assistenziali attraverso agende dedicate, nell'ottica di garantire ai pazienti cronici i necessari controlli nei tempi previsti". Cosa cambia per i cittadini: nulla. Che i pazienti cronici debbano essere presi in carico dalle strutture sanitarie e dai loro specialisti è già previsto dall'ultimo Piano di Governo delle liste d'attesa. 

 I pazienti cronici non prenotano i controlli previsti, ma la struttura che li prende in carico li dovrebbe fissare direttamente di volta in volta. Il decreto istituisce un organismo di verifica e controllo dell'assistenza sanitaria presso il Ministero della salute, per verificare presso le aziende sanitarie locali ed ospedaliere e presso gli erogatori privati accreditati l'efficienza e l'appropriatezza dell'erogazione delle prestazioni sanitarie e la corretta gestione delle liste di attesa. Anche questo organismo andrà costituito.

 La legge impone un limite di 60 giorni di attesa per un accertamento. Ma spesso i tempi di attesa vanno oltre. Ecco come far valere i propri diritti.
Impegnativa e tessera sanitaria in mano, coda allo sportello, ticket pagato. Ma poi si scopre che i tempi di attesa per un esame diagnostico sono troppo lunghi. Quali sono i diritti del paziente?

 Può pretendere dallo stesso ospedale una visita privata senza costi aggiuntivi per scavalcare le liste d’attesa? Certo che può. Vediamo, quindi, che cosa fare per evitare tempi di attesa biblici per un esame diagnostico e, soprattutto, per evitare di cadere nell’errore commesso da 11 milioni di persone lo scorso anno: rinunciare alla prestazione sanitaria perché i tempi di attesa erano troppo lunghi.

Intanto a conferenza Stato-Regioni ha bocciato il decreto liste d'attesa, facendo presente che il contenimento dei tempi di attesa non può prescindere dalla disponibilità di risorse economiche aggiuntive... con tutto quel che ne consegue: l'acquisto di prestazioni sanitarie da soggetti privati accreditati, l'assunzione di personale, lo svolgimento di attività sanitarie in orario notturno, prefestivo e festivo, gli indispensabili adeguamenti tecnologici e gli aggiornamenti informatici.

 Dato che il Fondo Sanitario Nazionale già adesso non ha fondi necessari per coprire i costi dei bilanci sanitari delle regioni italiane, è evidente che sia impossibile sostenere il costo di misure aggiuntive.
Come spot elettorale lanciato a 5 giorni dalle Europee per raccattare, qualche voto in più e non solo.

Infatti, il governo Meloni mentre da un lato impone al Paese l'Autonomia differenziata, dall'altro approva un Decreto il cui obiettivo sarebbe l'abbattimento delle liste di attesa togliendo alle Regioni il controllo su quanto ospedali e aziende sanitarie fanno per rispettare i tempi previsti per esami e visite specialistiche.

La sanità pubblica sta perdendo per strada i principi base che l’hanno ispirata: assistenza gratuita, universale, uguale per tutti! Il malato in difficoltà cerca di arrangiarsi, risolve i problemi di tasca propria e si rivolge al privato dove le assicurazioni propongono vantaggiose polizze sanitarie. Si vuole andare verso un rafforzamento del privato o si crede ancora nel pubblico? Si vuole risparmiare negli investimenti per il servizio sanitario pubblico perché tanto ci penserà il privato? Si vogliono lasciar andare le cose così come stanno?

Chi difende il pubblico dovrebbe alzare la testa, predicare i benefici raggiunti dall'impostazione universalistica e ribadire che è lo Stato che deve pensarci in tutto e per tutto. Là dove le risorse scarseggiano, visto che quelle per la sanità sono al “lumicino”, attinga ad altri capitoli di spesa e blocchi il degrado restando orgogliosamente titolare del bene salute.

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