I cristiani al tempo del coronavirus
Siamo ormai giunti all'emergenza totale in tutta la penisola, finora della questione coronavirus si è sempre posto l'attenzione sulla grave aspetto sanitario e quello economico. Almeno così si sono comportati tutti i Media. Quasi nessuno ha fatto riferimento a Dio, alla religione, alla preghiera, a ciò che riguarda l'aspetto spirituale.
Oggi, effettivamente l'attenzione è rivolta solo al corpo. Ma per noi cattolici può essere così? Se lo chiede suor Rosalina Ravasio, fondatrice della Comunità Shalom-Regina della Pace di Palazzolo Sull'Oglio.
«Cari amici è ora di dare la parola, lo spazio alla Fede, a Cristo, come diceva Don Bosco:“vivete in grazia di Dio, pregate la Madonna, andate pure ad aiutare gli ammalati, e niente vi colpirà…”!!
Certamente sono da rispettare le decisioni dei Vescovi, comprendiamo la preoccupazione per il bene di tutti che ne è all’origine, certo però che non posso non dire che ci manca molto il Sacramento Eucaristico, la privazione della Santa Messa, la Gioia di andare in chiesa, e insieme, all’ascolto della Parola di Dio, il salutarci, abbracciarci e condividere con i fratelli le nostre esperienze!».
(Rosalina Ravasio, “La vera emergenza. La capitolazione della Fede davanti al coronavirus”, 8.3.2020, in LaNuovaBQ.it)
Suor Rosalina come altri fa riferimento alla Storia della Chiesa, ai tanti cristiani, religiosi, monaci, monache, santi che in tutto il mondo nel nome di Gesù e con la forza della loro fede, «hanno guidato, per secoli, comunità per persone affette da ogni specie di malattia sociale, persone affette da disturbi mentali, possessione demoniaca [...], alla quale dedicavano la loro vita, curando e sanando tutti coloro che accorrevano a loro!»
Pertanto secondo la suora la chiusura delle Chiese e quindi la non celebrazione dell'Eucarestia con il popolo «dà la sensazione - per non dire quasi certezza - che la Fede, Dio, non sono più all’altezza di rispondere alle nostre necessità! Praticamente la Fede fatta di preghiere, suppliche, penitenze, con la certezza che Lui ci ascolta, è come se appartenesse a un modo arcaico e vecchio, non più credibile oggi». In questi giorni sono apparsi altri commenti, sempre con riferimento al passato della Chiesa. Spesso viene chiamato in causa Alessandro Manzoni ai suoi racconti sulla peste di Milano al tempo di S. Carlo Borromeo e di Federigo Borromeo. Allora si dice i vescovi risposero alle epidemie con processioni pubbliche, mentre oggi i nostri vescovi mostrano poca fede. Non solo, i vescovi non vengono coinvolti in questa crisi, com'era avvenuto in altre occasioni, dai terremoti alle guerre internazionali.
Sulla stessa linea della religiosa è un editoriale di Marcello Veneziani, anche lui vede una mancanza di “spirituale”. E si chiede se per caso «c'è una dieta spirituale da osservare in questi giorni d’incubo e d’incubazione? Non mi è parso di leggere o di ascoltare da nessuna parte riflessioni, consigli, terapie che avessero a cuore l’anima delle persone e che ponessero la questione virale dal punto di vista “spirituale”[...] Eppure mai come in questo caso necessaria perché laddove tornano in gioco la vita e la morte, la vecchiaia e la malattia, la solitudine e la solidarietà, torna l’urgenza di una preparazione spirituale agli eventi e alla nostra vita». (M. Veneziani, “Manca una risposta spirituale al contagio”, 10.3.2020, La Verità)
Il giornalista in questo contesto evidenzia l'assenza della Chiesa e l'irrilevanza della Religione, forse è la prima volta. Certamente Veneziani non pensa che i sacerdoti debbano sostituire i medici e affidarsi alle preghiere sia meglio che affidarsi alle strutture sanitarie». Però vede una Chiesa «come se si fosse ritirata dal mondo per non contribuire a spargere il virus, come se avesse chiuso i battenti per ragioni di profilassi medica e precauzione sanitaria».
Di tenore diverso sono le riflessioni che ogni mattina propone padre Livio Fanzaga, ai radioascoltatori di Radio Maria. Ieri ha pubblicato sul sito della Radio questa precisazione: “Cari amici, i cuori di milioni di credenti sono sconcertati e amareggiati per la decisione del Decreto governativo di rendere inaccessibili in tutta Italia le Sante Messe ai fedeli. Al riguardo ecco alcuni riflessioni del prof Andrea Riccardi sul Corriere della Sera on line del 9 Marzo 20: “Dopo un braccio di ferro, la Cei ha ceduto: funerali e messe sospesi in Italia. Chi conosce i toni cortesi della Cei coglie subito un forte disappunto nel comunicato, pur essendo sempre pronta a collaborare, tanto da dire che il decreto è stato accolto solo per «contribuire alla tutela della salute pubblica» e che si tratta di «un passaggio fortemente restrittivo»…. Non si capisce perché siano interdetti culto e preghiere, se celebrati in sicurezza…Mai nella storia della Penisola sono state sospese le Messe. Un segnale pesante. Nelle crisi, la Chiesa è sempre stata un riferimento. Lo furono le Chiese nel 1943- 45 di fronte alla violenza tedesca. Oggi c’è sbandamento e incertezza. In un tessuto di fragili relazioni, coltivare la fede e le motivazioni non è secondario anche per resistere e sviluppare solidarietà e autodisciplina, ora decisive. Proprio perché siamo tutti d’accordo che il momento è grave e c’è bisogno di tutte le risorse umane”.
Tuttavia non mi sembra che la Chiesa non stia facendo niente, Papa Francesco ha affidato l'Italia e il Mondo a Maria. Una preghiera alla Madonna in un video messaggio prima della Messa di mercoledì 11 marzo nella Chiesa del Divino Amore a Roma. A presiedere la celebrazione a porte chiuse il cardinale vicario di Roma Angelo De Donatis. Un messaggio forte quello del Santo Padre. Ecco il testo del Papa:
"Maria, siamo certi che provvederai perché come a Cana di Galilea possa tornare la gioia e la festa dopo questo momento di prova. Aiutaci Madre del Divino Amore, a conformarci al volere del padre e a fare ciò che ci dirà Gesù che ha preso su di sé le nostre sofferenze e si è caricato dei nostri dolori per portarci attraverso la croce la gioia della Resurrezione. Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio Santa Madre di Dio, non disprezzare le suppliche di noi, che siamo nella prova e liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e Benedetta".
Concludo con una significativa intervista a monsignor Antonio Suetta, arcivescovo di Ventimiglia-San Remo, pubblicata sul sito di Alleanzacattolica.org. (La buona battaglia contro il coronavirus).
Per l'arcivescovo è tempo dell'unità e della preghiera per combattere il virus che si diffonde. E' il tempo della speranza che nasce dalla preghiera ma anche dall'esempio di chi sta impegnando il suo ministero per aiutare il popolo a superare questa prova.
Il presule affronta subito l'interpretazione che «include rigorosamente le Sante Messe così disponendo la cessazione delle celebrazioni con la presenza dei fedeli. Questo fatto - ha detto Suetta - ha colpito e addolorato sacerdoti e laici, ha sollevato le solite polemiche da parte di chi vuole trovare un nuovo pretesto per criticare pubblicamente i vescovi, ma ha suscitato in molti anche la domanda se non poteva essere trovata una soluzione diversa, che salvaguardasse il bene della Messa, almeno nei giorni feriali, come ha sottolineato il Patriarca di Venezia, quando le chiese sono frequentate da un numero ridotto di fedeli ed è certamente possibile che si dispongano a un metro l’uno dall’altro, come prevede l’ordinanza governativa».
In un primo momento anche Suetta conveniva su questa possibilità.
Poi ha capito di trovarsi di fronte ad un problema molto serio soprattutto per la “novità” di questo virus. Pertanto serve limitare il contagio «e il modo migliore è sicuramente quello di evitare il più possibile contatti e prossimità. Una siffatta linea di condotta ha portato inevitabilmente a considerare anche le situazioni di concentrazione di persone nelle chiese per la celebrazione della liturgia e per la preghiera [...]».
Pertanto ci si adegua alle norme del governo. L'arcivescovo ha «ribadito ai sacerdoti l’opportunità e il dovere di celebrare ogni giorno la Santa Messa, facendolo sapere ai fedeli, non perché vi partecipino, ma affinché si uniscano spiritualmente con la preghiera, aiutati anche dalla trasmissione in TV, in radio o sui social di Sante Messe o altre preghiere».
L'arcivescovo ha elencato alcune misure chieste ai sacerdoti, chiarendo che trova «eccessive le polemiche in quanto la Chiesa non rinuncia alla Santa Messa, che incessantemente viene celebrata per la sua edificazione e per la salvezza di tutti; la mancata partecipazione fisica dei fedeli dovuta alla necessità contingente può e deve essere colmata dalla loro preghiera, dal ricorso alla Comunione spirituale, dalla disponibilità dei sacerdoti all’incontro personale e soprattutto dalla convinzione che il valore del Sacrificio di Cristo offerto sull’altare ha efficacia e dona frutti anche nella impossibilità, eccezionale e involontaria, di prendervi parte».
Monsignor Suetta spiega, facendo riferimento ai testi conciliari, (Sacrosanctum Concilium, 7, 4 dicembre 1963) il vero significato della Messa, «che ha valore infinito, universale, pieno ed efficace in se stessa, per quello che custodisce e celebra, e non in dipendenza dalle circostanze, anche preziose e significative come la presenza e la partecipazione materiale del popolo cristiano».
Tuttavia per Suetta, «Si può dunque discutere sull’opportunità pedagogica di non privare i fedeli della partecipazione fisica alla Santa Messa, ma non si può dire che la Chiesa rimanga senza Eucaristia e neppure che i fedeli siano impediti ad una «fruttuosa e attiva partecipazione» in quanto, in questa circostanza grave ed eccezionale, possono e devono unirsi mediante la fede e la preghiera».
A questo punto l'arcivescovo presenta le disposizioni che ha dato nella sua diocesi.
«sinceramente non condivido le posizioni che da una parte leggono le norme come un’ingerenza indebita con eventuali secondi fini oppure che, dall’altra parte, considerano la risposta dell’episcopato come un segno di scarsa fede nella preghiera e nella Messa e come un inquinamento da secolarismo presuntuoso da attitudine scientista e tecnologica».
E' fondamentale per l'arcivescovo che in questo grave momento, i pastori e i fedeli devono recuperare quelle riflessioni di fede, «che consideri alcune tematiche oggi spesso dimenticate come il mistero del male, la assurda presunzione dell’autosufficienza umana, la provvidenza di Dio, la forza e il valore della preghiera, la gioia di formare un solo corpo nella Chiesa di Gesù e, non ultima, una riflessione sulla organizzazione della vita politica e sociale esaminando con rinnovata e coraggiosa attenzione i criteri che vengono posti a fondamento di essa». Infine l'arcivescovo chiarisce la questione sul divieto di celebrazione della Messa e di accesso ai sacramenti. Ribadisce che le chiese non sono chiuse e i fedeli non sono affatto privati del conforto della fede e dei sacramenti. Ribadisco - ha detto Suetta - che la celebrazione quotidiana della Santa Messa, garantita dai vescovi e dai sacerdoti per il popolo e “con” il popolo anche se senza il popolo, è la nostra grande risorsa spirituale, il baluardo contro il male, la speranza più sicura che il male sarà sempre sconfitto».