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Venerdì, 01 Novembre 2024

Cosa c'entra Pitagora con il turismo commerciale? L'idea fa parte della nuova strategia di promozione ideata dal comune di Samos, per immaginare e costruire un nuovo versante turistico: spiagge, cultura, relax e diversificazione delle proposte, ma intrecciate con un valore assoluto dell'isola che dista solo un chilometro dalle coste turche.

Lo ha spiegato molto bene qualche sera fa a Il Corriere del Sud il primo cittadino dall'incantevole atollo, Michalis Angelopoulos Sindaco di Samos, a margine di un evento presso l'ambasciata di Grecia in Italia con il sostegno dell'Eot (Ente per il Turismo Ellenico).

Parlando con Il Corriere del Sud il Sindaco di Samos ci ha detto: "Samos, oggi ospita al momento 2.500 rifugiati nell’hotspot rispetto ai 6000 cittadini residenti. Ma è utile sottolineare, a chi ha deciso lo scorso anno di cambiare destinazione, che ha commesso un clamoroso errore. Nessuna isola greca che ospita i migranti ha manifestato defaillances nel turismo, anzi".

"La competitività ellenica è ancora ai primi posti nel mondo continua il Sindaco, proprio perché registra un ottimo rapporto qualità-prezzo, perché offre una natura incontaminata per tutte le tasche e le esigenze, perché accanto ad una storia che non ha pari nei cinque continenti ha dalla sua quella giovialità che solo la tradizione e la cultura del popolo greco riesce ad accompagnare e veicolare"

"Il grande matematico Pitagora, nativo di una delle isole più incantevoli dell'Egeo orientale, ha impresso il suo marchio di cultura e di innovazione anche in quel grande serbatoio di divulgazione sociale che si chiama turismo. Dove accanto alla componente commerciale, di cui è da anacronistici voler fare a meno, ecco fare capolino le massime pitagoriche declinate come un vero e proprio biglietto da visita per un turismo alto e desideroso di apprendere, oltre che di bagnarsi gambe e braccia in un mare cristallino. Festival, musei fruibili a tutte le età, interlocuzioni mediterranee come il filo diretto con la calabrese Crotone, conclude il Sindaco di Samos a Il Corriere del Sud, sono solo alcune delle frecce all'arco dell'isola greca".

Ma vediamo l’Isola di Samos come è stata presentata dal Sindaco di Samo Michalis Angelopoulos e l Ambasciatore Themistoklis Demiris all’Ambasciata Ellenica di Roma davanti ai giornalisti Italiani e tanti invitati del settore turistico Italiano: L’isola di Samos viene definita come un’isola di incomparabile bellezza perché combina il mare e i monti. Oltre alle spiagge uniche con acque cristalline, l’isola presenta montagne verdeggianti, sentieri per trekking, pareti di arrampicata, grotte e gole. Più di 40 percorsi tra le fitte pinete offrono un’opportunità unica di osservare la varietà della fauna e della flora dell’isola. Il monte Kerkis, come il monte Ampelos (le due masse montuose dell’isola) presentano una flora ricca e ospitano più di 1400 specie di piante endemiche e rare.

Passeggiate affascinanti su sentieri pittoreschi e lastricati attraverso boschi, valloni umidi, vigneti e suggestivi paesini arroccati sulla costa dei monti, rivelano la coesistenza armoniosa tra l’uomo e la natura. Questi luoghi vergini di bellezza selvaggia e imponente, costituiscono il luogo ideale per chi ama la natura e l’escursionismo.

Vale inoltre la pena sottolineare che a Samos a causa della composizione geologica del terreno (calcareo) ci sono moltissime grotte e baratri, il che è un fenomeno raro per un’isola. L’attiva Associazione Speleologica di Samos ha registrato ed esplorato circa 80 grotte naturali di diverse dimensioni, con stalattiti e stalagmiti di una bellezza ricca e unica, che purtroppo non sono ancora visitabili

Il biotopo di Alykiè un luogo di sosta importante per molte specie di uccelli migratori. Si trova nella parte orientale dell’isola di Samos a poca distanza dalla costa dell’Asia Minore. La superficie totale del biotopo è di 42 ettari di cui 35 sono la zona della vecchia Alyki e i restanti 7 sono un terreno acquitrinoso. Nel passato, Alyki è stata una salina (alyki in greco significa appunto salina). Nel 1965 ha smesso la sua attività commerciale. Alyki è diventata biotopo e oggigiorno, oltre al suo valore estetico ha una più ampia importanza ecologica perché è un habitat raro a confronto con le altre isole dell’Egeo. La qualità e l’importanza della zona risiede soprattutto nel grande numero di uccelli che visitano o si riproducono ogni anno in questo biotopo. La zona è stata riconosciuta come biotopo nell’elenco rilasciato dal Centro greco per i biotopi e le zone umide (EKBY), è compresa nel progetto CORINE e nella rete NATURA 2000 ed è stata caratterizzata come area protetta nella pianificazione territoriale dell’isola. Mammiferi che vivono nel biotopo: ricci, lepri, ratti neri, sciacalli, martore. Anfibi e rettili: rospi verdi, rane di palude, tartarughe d’acqua dolce, tartarughe greche, camaleonti, serpenti d’acqua, vipere, lucertole ecc. Uccelli: sono state registrate 127 specie di uccelli tra cui garzette, fenicotteri, mignattai, volpoche rosse, volpoche, pernici, bianconi, poiane dalle gambe lunghe, cavalieri d’Italia, mignattini piombati ecc. molte delle quali sono caratterizzate come rare o in via di estinzione.

Un’altra delle piacevoli sorprese dell’isola sono le cascate naturali a Karlovasi. Il sentiero pittoresco e la buona segnaletica stradali garantiscono l’accesso dalla località”Potami” alla prima cascata. Per arrivare alla successiva – e più grande – dovrete salire 60 gradini di legno e arrivate ad una radura con una splendida vista. I più audaci possono salire dal fiume utilizzando corde. La grande cascata di Karlovasi ha circa 5m di altezza e offre la possibilità di nuotare nelle fresche acque del laghetto che si forma alla sua base.

La montagna è denominata “Ampelos” dai molti vigneti (“ampelia” in greco) coltivati nell’area sin dall’antichità. Negli anni precedenti, questa montagna era conosciuta a Samos con il nome “Karvounis”. Ampelos copre la parte centrale e orientale dell’isola di Samos e occupa un territorio più grande del Monte Kerkis. «È la montagna che rende tutta l’isola montuosa», scrive Strabone. La sua vetta più alta è Profeta Elia ad un’altitudine di 1153 metri e intorno ad essa ci sono altre vette che superano i 1000 metri, come Ghinei e Lazaros.

I terrazzamenti sono la caratteristica della zona e il metodo con cui gli abitanti hanno affrontato e affrontano l’erosione del suolo a causa della pendenza dei terreni. L’altitudine media della montagna è di 900m. La vegetazione di Ampelos è molto ricca. Qui dominano i pini – il pino calabro a bassa quota e il pino nero ad alta quota, un residuo dell’era glaciale che forma vaste pinete – che si alternano a vigneti in terrazze. Ci sono anche cipressi, querce, castagni e di altri tipi di alberi insieme ad arbusti, cespugli e geofite nelle zone più aride e rocciose. In genere, l’area è importante dal punto di vista ecologico perché vi si possono trovare molte piante endemiche e molto rare

Anche chiamata nell’antichità Melamfyllos e Anthemousa, luogo di nascita della dea Era (Hera), terra di filosofi e di eroi.

Samos è l’isola dove regnano la leggenda e la bellezza.

Fu culla di grandi uomini. Del matematico e filosofo Pitagora -fondatore della musica e del pensiero matematico moderno, dell’astronomo Aristarco, il primo che parlò dell’eliocentrismo del nostro sistema planetario, circa 2300 anni fa.

È il mitico luogo di nascita della dea Era. Il tempio a lei dedicato, l’Iraion, è stato descritto da Erodoto come «il più grande tempio della Grecia del suo tempo». L’Unesco ha incluso la chiesa e la zona archeologica di Pythagoreio tra i monumenti del patrimonio culturale mondiale.

È il luogo che ha ospitato il filosofo Epicuro, il fantasioso Esopo, il filosofo e stratega Melisso.

Samos è il capoluogo dell’isola di Samos, conta 32.977 abitanti (censimento del 2011). Si compone di quattro unità comunali, Vathy, Karlovasi, Pythagoreio e Marathokampos e ha in totale 33 villaggi. Rive pittoresche, montagne di eccezionale bellezza e lussureggianti villaggi dell’entroterra, che mantengono inalterato nel tempo il colore locale.

È l’isola più grande per dimensioni della regione, con una superficie di 476 Kmq e una linea costiera della lunghezza di 140 km. Le sue due imponenti montagne, la selvaggia e rocciosa Kerkis dai pendii e dagli anfratti impervi, di altezza 1443 m, e la verdeggiante Ampelos (o Karvounis) di altezza 1160 m, dominano l’isola. Ha poche pianure, la più grande delle quali è quella di Chora, che si trova sul lato sud dell’isola. Di fiumi veri non ne possiede, ma si trovano molti torrenti, ruscelli e sorgenti abbondanti.

Samos è un luogo dalla vegetazione lussureggiante. Nel suo vergine paesaggio naturale tutto è fatto di colori e di luce. E ogni passo è una rivelazione. Che ci si trovi nelle maestose montagne, o nelle grotte, gole e burroni, l’ambiente naturale di Samos ricorda un entroterra greco in miniatura. Oltre 1400 specie di piante rare, molte delle quali sono endemiche e decine di specie di uccelli rapaci, fanno da sfondo alle passeggiate dei visitatori.

Gli uliveti di Samos producono olio extravergine di oliva di eccellente qualità e di bassa acidità. Che si tratti di olio d’oliva dorato dal sapore intenso, prodotto dalle olive mature locali, o di quello prodotto da una combinazione di varietà di olive locali ed altre, come ad esempio l’olio Koroneiko, l’olio di Samos si distingue per la sua consistenza vellutata, il suo aroma e sapore unico.

Il prodotto di Samos più conosciuto, famoso fin dall’antichità, è il vino moscato. Il vino moscato, denominazione di origine controllata di Samos, viene prodotto con l’omonima uva del famoso vitigno «Moscato di Samos bianco a chicco piccolo», che viene coltivato sui pendii del Monte Ampelos su terrazze tradizionali (pezoules) fino ad un’altitudine di 900 m.

Con il suo aroma ricco e unico e il suo sapore dal gusto pieno, occupa una posizione di rilievo nei mercati esteri più esigenti (Francia, Germania ecc.) ed è il primo ambasciatore dei vini greci a livello internazionale. Ha vinto decine di premi d’oro e riconoscimenti internazionali

Un altro meraviglioso prodotto di Samos è il miele che viene prodotto da circa 200 produttori e migliaia di alveari, con una produzione di circa 100 tonnellate all’anno. Il principale centro di produzione è il villaggio di Pyrgos. Le api raccolgono il polline da molte piante selvatiche, ma anche da alberi da frutta e piante della campagna dell’isola come gli arbusti di timo, il tè di montagna, i pini, abeti, castagni, le piante di rosmarino,la lavanda selvatica, e i peschi, ciliegi, meli, limoni, mandorli. Oltre al miele profumato puro e delizioso, gli apicoltori producono anche il polline, materia prima per la cosmetica e la farmaceutica, nonché la pappa reale, ambita per le proprietà miracolose e benefiche.

Il Papa, dopo aver pregato in silenzio, ha tirato le ante e ha chiuso i battenti della porta santa di San Pietro, l'ultima ad essere chiusa per il giubileo della misericordia. Il rito si è svolto nell'atrio della basilica di San Pietro, dove il Papa è entrato in processione, con gli abiti liturgici, mentre veniva intonato l'inno del giubileo, "Misericordes sicut Pater".

Come riferiscono le agenzie di Stampa : "Tanti pellegrini - ha osservato il Papa nella messa conclusiva del giubileo, in piazza San Pietro, davanti a decine di migliaia di persone - hanno varcato le Porte sante e fuori del fragore delle cronache hanno gustato la grande bontà del Signore. Ringraziamo per questo - ha esortato - e ricordiamoci che siamo stati investiti di misericordia per rivestirci di sentimenti di misericordia, per diventare noi pure strumenti di misericordia. E proseguiamo questo nostro cammino, insieme".

"Quante volte invece, anche tra noi, si sono ricercate le appaganti sicurezze offerte dal mondo. Quante volte siamo stati tentati di scendere dalla croce: la forza di attrazione del potere e del successo è sembrata una via facile e rapida per diffondere il Vangelo, dimenticando in fretta come opera il regno di Dio. Quest'Anno della misericordia ci ha invitato a riscoprire il centro, a ritornare all'essenziale", ha detto il Papa.

"Il 29 ottobre dalle 7 alle 13,30 hanno varcato la porta santa di San Pietro, 29.558 persone, e nel pomeriggio 31.163. Il 30 ottobre al mattino, 30.042 persone e nel pomeriggio 31.687. Queste sono notizie, e al 30 ottobre erano 19.797.653 i pellegrini che hanno attraversato la porta santa di San Pietro. Ho elementi per dover pensare che ad oggi con molta probabilità arriviamo sui venti milioni, e il giubileo non è ancora finito. Su questi numeri vorrei relazionare, abbiamo avuto tanti eventi, avremo altre novità che papa Francesco vorrà fare". Lo ha detto mons. Rino Fisichella illustrando ai giornalisti il giubileo dei carcerati e quello dei senzatetto, in agenda i prossimi due fine settimana.

Durante il periodo del Giubileo le forze di polizia hanno monitorato in tutta Italia 5.300 cittadini stranieri "che ritenevamo avere possibili legami con ambienti radicalizzati". Il dato è stato fornito dal ministro dell'Interno, Angelino Alfano, nel corso della presentazione dei dati relativi alla sicurezza durante il Giubileo. Sempre nell'ambito dell'attività antiterrorismo sono stati controllati 300 esercizi pubblici e 200 veicoli ed effettuate 500 perquisizioni domiciliari.

"Sarebbe auspicabile che le forze dell'ordine che sono arrivate a Roma in occasione del Giubileo, qualche migliaia, rimangano. Perché se è vero che l'Anno Santo si è concluso, i problemi rimangono: c'è un discorso di sicurezza, di emergenza terrorismo, c'è il fatto che Roma è la Capitale di Italia, è esposta come tale e ospita eventi nazionali. La nostra richiesta è che le forze dell'ordine rimangano e a tal fine sono state protocollate anche delle mozioni in questo senso che andranno all'attenzione dell'Aula".Così il capogruppo del M5S in Campidoglio Paolo Ferrara alle agenzie stampa

"Un grazie sincero - aveva detto mons. Fisichella in conferenza stampa - va al Ministro dell'Interno che in quanto responsabile della sicurezza del Paese ha offerto un volto sereno e sicuro di Roma. Un sincero ringraziamento - aveva concluso - va anche alla Regione Lazio per avere approntato un servizio di sanità e pronto soccorso all'altezza dell'evento non solo negli Ospedali ma anche durante ogni evento giubilare".

"Se altri hanno pensato che il Giubileo fosse in prima istanza una fonte di guadagno, soprattutto in un momento di crisi come il presente, hanno equivocato il suo significato più profondo. Ne sono dispiaciuto, ma ogni cosa ha una sua ragion d'essere; comunque, pensare di compromettere un evento come il Giubileo per una strumentalizzazione con fini differenti non merita replica". Lo ha detto ai giornalisti mons. Rino Fisichella, "organizzatore del Giubileo", dopo aver fornito i dati complessivi della partecipazione a Roma e nel mondo. Al giubileo del mondo, ha detto, hanno partecipato tra i 900 e i 950 milioni di persone, compresi i 21 milioni che hanno partecipato agli eventi giubilari svoltisi a Roma.

E adesso, cosa dobbiamo aspettarci? È la domanda che tanti dentro le sacre stanze si son fatti dopo aver letto la lettera apostolica di fine Giubileo, Misericordia et misera, di Papa Francesco, all'interno della quale Bergoglio annuncia grandi novità in arrivo per la Chiesa, dalla possibilità per tutti i sacerdoti di perdonare per l'aborto fino ad oggi possibile solo durante l'Anno Santo, alla validità delle confessioni dei lefebvriani questo fino a nuove disposizioni. 

Secondo le agenzie di stampa la facoltà per i sacerdoti di assolvere il peccato  di aborto, concessa in forma straordinaria dal Papa per il periodo del Giubileo, diventa ora "per sempre" per volontà dello stesso Francesco. Scrive il Papa nella lettera apostolica Misericordia et Misera: "Perché nessun ostacolo si interponga tra la richiesta di riconciliazione e il perdono di Dio, concedo d'ora innanzi a tutti i sacerdoti, in forza del loro ministero, la facoltà di assolvere quanti hanno procurato peccato di aborto. Quanto avevo concesso limitatamente al periodo giubilare viene ora esteso nel tempo, nonostante qualsiasi cosa in contrario".

"Vorrei ribadire con tutte le mie forze - aggiunge il Papa - che l'aborto è un grave peccato, perché pone fine a una vita innocente. Con altrettanta forza, tuttavia, posso e devo affermare che non esiste alcun peccato che la misericordia di Dio non possa raggiungere e distruggere quando trova un cuore pentito che chiede di riconciliarsi con il Padre".

Nel testo che conclude il Giubileo della Misericordia, il Pontefice permette inoltre, "fino a nuove disposizioni", di concedere l'assoluzione ai lefebvriani. E ancora decreta l'istituzione di una Giornata mondiale dei poveri, e di una giornata del perdono, nella IV domenica di quaresima; nuove opere per esprimere la "misericordia come valore sociale"; e dispone che ogni diocesi scelga una domenica da dedicare a Bibbia e lectio divina. 

"Finché Lazzaro giace alla porta della nostra casa, non potrà esserci giustizia né pace sociale", scrive il Papa istituendo la "Giornata mondiale dei poveri", che aiuterà cristiani a riflettere sulla povertà "al cuore del Vangelo", e sarà "una genuina forma di nuova evangelizzazione" con la quale rinnovare il volto della Chiesa".

E ai confessori dice: "Non c'è legge né precetto che possa impedire a Dio di riabbracciare il figlio che torna da Lui riconoscendo di avere sbagliato, ma deciso a ricominciare da capo. Fermarsi soltanto alla legge equivale a vanificare la fede e la misericordia divina". "Anche nei casi più complessi, dove si è tentati di far prevalere una giustizia che deriva solo dalle norme, si deve credere nella forza che scaturisce dalla grazia divina".

Per il Pontefice , "abbiamo una grande sfida da accogliere, soprattutto nella cultura contemporanea che spesso tende a banalizzare la morte fino a farla diventare una semplice finzione, o a nasconderla. La morte invece va affrontata e preparata come passaggio doloroso e ineludibile ma carico di senso: quello dell'estremo atto di amore verso le persone che ci lasciano e verso Dio a cui si va incontro". In tutte le religioni, ricorda, "il momento della morte, come quello della nascita, è accompagnato da una presenza religiosa. Noi viviamo l'esperienza delle esequie come preghiera carica di speranza per l'anima del defunto e per dare consolazione a quanti soffrono il distacco dalla persona amata. Sono convinto - sottolinea - che abbiamo bisogno, nell'azione pastorale animata da fede viva, di far toccare con mano quanto i segni liturgici e le nostre preghiere siano espressione della misericordia del Signore".

Bergoglio si sofferma quindi sulla inclusione delle famiglie, anche ferite, nella comunità cristiana e sottolinea che "non possiamo dimenticare che ognuno porta con sé la ricchezza e il peso della propria storia, che lo contraddistingue da ogni altra persona. La nostra vita, con le sue gioie e i suoi dolori, è qualcosa di unico e irripetibile, che scorre sotto lo sguardo misericordioso di Dio. Ciò richiede, soprattutto da parte del sacerdote, - raccomanda il Papa - un discernimento spirituale attento, profondo e lungimirante perché chiunque, nessuno escluso, qualunque situazione viva, possa sentirsi concretamente accolto da Dio, partecipare attivamente alla vita della comunità ed essere inserito in quel Popolo di Dio che, instancabilmente, cammina verso la pienezza del regno di Dio, regno di giustizia, di amore, di perdono e di misericordia".

Le opere di misericordia sono anche oggi "verifica della grande e positiva incidenza della misericordia come valore sociale", che "spinge a rimboccarsi le maniche per restituire dignità a milioni di persone che sono nostri fratelli e sorelle, chiamati con noi a costruire una 'città affidabile'". "E' il momento di dare spazio alla fantasia" perc"tante e nuove opere". E indica numerosi campi di azione, accominciare da bimbi sfruttati,e milioni privati di "dignità".

L'ultimo vertice di Obama con i principali paesi europei serve per fare il punto su immigrazione, Russia, guerra in Siria, clima e rapporti commerciali. Una sorta di elenco di questioni che i sei hanno affrontato più volte sapendo ognuno dell'altro sin dove intende spingersi o cosa potrebbe cedere. L'incognita Trump fa galleggiare  la discussione dei sei che, dopo una mattina di ipotesi e supposizioni, ritornano in Patria per affrontare chi il referendum, chi la Brexit, chi le elezioni e chi un parlamento dove non ha maggioranza. L'addio di Obama con la Merkel e gli altri leader europei avviene dopo due ore. Sotto la pioggia, naturalmente. Sull'uscio resta la Merkel, unica leader che c'era prima dell'arrivo di Obama alla Casa Bianca e pronta ad annunciare domenica la sua ricandidatura. La quarta, per la Cancelleria.

Tutti intorno ad un tavolo tondo allestito in uno degli immensi corridoi modulari della Cancelleria. Spazi che si aprono e si chiudono a seconda delle esigenze come in un modernissimo centro congressi. Matteo Renzi è seduto alla destra di Barack Obama, mentre la padrona di casa, Angela Merkel, è alla sinistra del presidente americano. 

Tazze, caraffe con caffè e fiori per un meeting a sei che, quando è stato organizzato, doveva rappresentare una sorta di passaggio del testimone tra presidenti democratici. Ed invece ha vinto Donald Trump e la riunione sembra un po' un raduno di reduci. O di "veterani", come ieri lo stesso Obama ha definito Angela Merkel.

Sei leader, compresi lo spagnolo Rajoy, il francese Hollande e la britannica May, tutti diversamente 'acciaccati'. Il più allegro, almeno sino a quando le telecamere sono ammesse in sala, è Matteo Renzi. Sarà perché i sondaggi-bugiardi danno avanti il "no", o perché la riunione di Berlino coincide con i mille giorni di governo. Hollande è scuro in faccia, mentre lo spagnolo Rajoy ha lo guardo sornione di colui che sino a qualche settimana fa non era sicuro di esserci, e che ora se la ride alla faccia di Pedro Sanchez. La May è dalla parte opposta di Obama e lo guarda diritto per diritto negli occhi.

 L'immigrazione è stato uno dei temi al centro del vertice di Berlino e, durante la discussione, il premier Matteo Renzi è tornato a sottolineare le difficoltà e l'impasse europea. Lo si apprende da fonti vicino al vertice.

"Una persona da sola non può risolvere tutto, ma siamo forti solo insieme". Lo ha detto la cancelliera tedesca Angela Merkel in conferenza stampa con il premier spagnolo Mariano Rajoy, rispondendo alla domanda se la stabilità dell'Europa dipende dalla Germania.

I leader europei devono continuare "a cercare soluzioni ai problemi comuni con la prossima amministrazione degli Stati Uniti, sulla base dei valori fondamentali che caratterizzano gli Stati Uniti e l' Europa come democrazie aperte". Il presidente Usa Barack Obama, lo ha chiesto ai leader europei nel corso del vertice di Berlino, secondo una nota della Casa Bianca. Obama ha quindi ringraziato i leader di Germania, Italia, Francia, GB e Spagna 'per la loro stretta collaborazione nel corso della sua amministrazione".

La Russia deve "soddisfare pienamente gli impegni assunti con gli accordi di Minsk", i leader di Stati Uniti, Germania, Francia, Italia, Gran Bretagna e Spagna hanno dunque concordato di "mantenere in vigore le sanzioni contro la Russia fino a quando non li rispetterà". Lo rende noto la Casa Bianca. Obama, Merkel, Renzi, Hollande, Rajoy e May hanno espresso "preoccupazione per la continua assenza di un durevole cessate il fuoco"

"L'Italia sta facendo l'impossibile" nella gestione dei flussi migratori. Lo ha detto il presidente della commissione europea Jean-Claude Juncker a Bolzano. "L'Italia e la Grecia non vanno lasciate sole, solo perché si trovano nel posto sbagliato, anche se soleggiato.
Serve la solidarietà dell'Europa con l'Italia", ha aggiunto. "Le misure decise dall'Europa vanno applicate", ha detto Juncker. "La Siria è praticamente un paese confinante con l'Unione" e i profughi "vanno accolti indipendentemente dalla loro fede", ha aggiunto il presidente della commissione europea

"E' giusto che la Commissione Ue si faccia carico della ricostruzione della bellissima cattedrale di Norcia": lo ha detto il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker a Bolzano.

"Trump con fatica di certo capirà che la politica commerciale oggi è internazionale e globale e non si ferma ai confini nazionali". Lo ha detto il presidente della commissione europea Jean-Claude Juncker, ribadendo che l'accordo siglato dalla Ue con il Canada "creerà 200.000 posti di lavoro".

Intanto come riferisce il quotidiano il Giornale un intervista a un’operatrice nei campi d’accoglienza tedeschi rischia di trasformarsi in un caso internazionale e di azzoppare, definitivamente, l’immagine della Bundeskanzlerin Angela Merkel e della sua politica delle porte aperte.

Una donna di origini eritree, che ha 39 anni, ha spiegato la sua esperienza di interprete con i migranti giunti in Germania negli ultimi anni. L’intervista, pubblicata dal sito Kath.net è rimbalzata subito sui giornali e sui siti di tutta Europa.

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Il racconto della traduttrice è inquietante: “Sognano di islamizzare la Germania, disprezzano questo Paese e i suoi valori. Aiutare i cristiani è un peccato, per loro. I genitori impediscono ai loro figli persino di giocare con i figli dei cristiani – spiega la donna – ma questo è ancora niente, viene predicato odio e ancora odio contro gli infedeli”. Ha raccontato che le donne immigrate hanno ben chiaro quale sia il loro “dovere” di madri islamiste: “Ci moltiplicheremo in fretta. Dobbiamo fare più figli dei cristiani perché questa è l’unica possibilità che abbiamo per batterli”.

L’intervista casca in un momento campale per la Merkel. La Germania ha dovuto fronteggiare il pericolo della minaccia islamista e solo qualche giorno fa, le forze di polizia hanno sgominato un’organizzazione chiamata “La vera religione” accusata di far proselitismo all’Islam radicale e di arruolare miliziani per combattere nelle schiere del Califfo.

La Merkel paga adesso lo scotto della politica di accoglienza - di cui divenne virale con lo slogan "Welcome refugees" - che le stanno costando moltissimo, in termini di consenso. E proprio nel momento peggiore quando ormai incombono le nuove elezioni per il rinnovo del governo. Obama, in visita a Berlino, s’è prodotto in un endorsement per la cancelliera, fatto che a parecchi osservatori è parsa la prova provata a dimostrazione di come le credenziali della Merkel per la quarta elezioni di fila siano in ribasso.

   

 

 

 

L’incoronazione imperiale di Carlo Magno (742-814), a San Pietro a Roma, la notte di Natale dell’800, ad opera di Papa Leone III (750-816), può essere considerata, simbolicamente, la data di nascita della civiltà cristiana; parimenti, l’episodio del cosiddetto “schiaffo di Anagni”, accaduto nella notte fra il 6 e 7 settembre 1303, ad opera di Sciarra Colonna (1270-1329), ai danni di Papa Bonifacio VIII (1294-1303) ‒ di là  del fatto se sia materialmente avvenuto o meno ‒,  ne rappresenta l’esatto capovolgimento, segnando l’inizio della crisi dell’età medievale, vero nomine, ed avviando quel periodo, che lo storico Johan Huizinga (1872-1945) ha felicemente battezzato come “Autunno del medioevo”. In estrema sintesi, Bonifacio VIII ‒ grande giurista ‒, può essere considerato l’ultimo pontefice propriamente medievale. Nel cercare di restituire libertà alla Chiesa e pacificazione tra tutti i popoli cristiani, si scontrò con il nascente nazionalismo francese, incarnato nella persona del re Filippo IV (1268-1314) detto il Bello. Lo scontro verteva sulla presunta ingerenza di Papa Bonifacio negli interessi temporali del regno francese e sulla risposta di Filippo, che ‒ fuori dalle sue prerogative ‒ imponendo una tassa al clero francese, di fatto, si autoproclamò Vicario di Cristo in terra di Francia. Il papa reagì con la proclamazione della Bolla Unam Sanctam – 18 novembre 1302 ‒, nella quale riaffermava la dottrina di sempre, cioè dell’esistenza di due poteri, temporale e spirituale, ribadendo, che per salvarsi, anche i re dovevano sottomettersi al papa, in campo spirituale. A quel punto, Guglielmo di Nogaret (1260-1314) ‒ insigne giurista e cancelliere del re ‒ tenne una requisitoria davanti al consiglio regale, chiedendo a Filippo IV di convocare un concilio ad hoc, per deporre il papa regnante, accusato di eresia, simonia ed indebita ingerenza negli affari temporali del regno francese. Bonifacio VIII annunciò una scomunica, sciogliendo i fedeli del re dai doveri verso di lui, ma prima che potesse promulgarla, fu raggiunto da un drappello di uomini, nel suo castello ad Anagni, dove si fece trovare rivestito dai paramenti sacri. Qui fu fatto prigioniero e, forse, schiaffeggiato; tuttavia, gli abitanti del paese insorsero, richiamati da uno dei due cardinali che erano con lui e lo liberarono. L’affronto e l’umiliazione, in ogni caso, furono grandi e il papa, affranto, morirà poco più di un mese dopo. Con l’uscita di scena di Bonifacio VIII, si chiuse un’era basilare nella storia della Chiesa, che fino a quel momento, raggiungendo il culmine con papa Innocenzo III (1198-1216), era riconosciuta da tutti ‒ seppur con alti e bassi ‒ come guida spirituale e culturale dell’intera Europa. Questo il commento, sulla vicenda, da parte di uno fra i più conosciuti ed importanti storici della Chiesa, Joseph Lortz (1887-1975): «Era un fatto inaudito, che ci dimostra fin troppo chiaramente quanto fosse già cresciuta l’arroganza dello Stato “nazionale -moderno”, e quanto fosse decaduto il prestigio universale e soprattutto la potenza politica del Papato, e quanto fosse diminuita in una gran parte della cristianità la venerazione religiosa del comune Padre della Chiesa. Il papato fu duramente umiliato, la Chiesa gravemente danneggiata». Lo “schiaffo” di Sciarra Colonna, dunque, racchiude e riassume in sé tutto il successivo percorso storico-filosofico, che porterà, progressivamente, al distacco e al tentato assorbimento da parte del potere politico e della sfera spirituale e di quella morale, tentando di annullare totalmente l’influenza della cultura cristiana, nello sviluppo della civiltà europea.

Apre per la prima volta al pubblico l’area archeologica del più grande edificio per lo spettacolo dell’antichità. Da giovedì 17 novembre l’importante area archeologica sarà aperta con ingresso da Piazza di Porta Capena. Viene dunque restituito alla città uno dei suoi luoghi simbolo, collegato dalla leggenda alle origini stesse di Roma. Dopo 2800 anni di avvenimenti e attraverso i suoi tesori oggi finalmente svelati,  il Circo Massimo avvolgerà cittadini e turisti in una  suggestione senza tempo.

Fino all’11 dicembre dal martedì alla domenica dalle ore 10 alle 16 (ultimo ingresso ore 15); dal 12 dicembre il sabato e la domenica dalle 10 alle 16  (ultimo ingresso ore 15) e dal martedì al venerdì su prenotazione allo 060608.

Con i 600 metri di lunghezza e 140 di larghezza, nel corso dei secoli ha vissuto innumerevoli trasformazioni. Qui fin dall’età regia si sono svolte manifestazioni pubbliche di ogni genere: competizioni ippiche, cacce con animali esotici, rappresentazioni teatrali, esecuzioni pubbliche, ma anche processioni religiose e trionfali. In seguito l’area è divenuta luogo di passaggio dell'acqua Mariana, ha ospitato coltivazioni agricole e mulini, è divenuta proprietà privata della famiglia Frangipane, cimitero degli Ebrei per poi ospitare, a partire dal XIX secolo, gli impianti del Gazometro, magazzini, manifatture, imprese artigianali e abitazioni.

I lavori di riqualificazione ambientale e di musealizzazione dell’area, miranti al recupero del monumento nei suoi valori archeologici, storici e paesaggistici e all’ottimizzazione della sua accessibilità e fruibilità, sono stati condotti da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale - Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali in collaborazione con l’Ufficio Città Storica, con il contributo tecnico di Zetema Progetto Cultura e realizzati dall’Impresa Celletti Costruzioni Generali.

Gli interventi hanno restituito una nuova leggibilità al monumento, ridefinendo la zona dell’emiciclo attraverso operazioni di restauro delle strutture, contenimento del terreno e la realizzazione di nuovi percorsi di visita con relativi impianti di illuminazione.

E’ stata realizzata una terrazza panoramica sul margine meridionale dell’area e  per restituire visibilità alle strutture archeologiche e ripristinare il continuum spaziale tra le diverse quote, raccordandole, è  stato realizzato un piano inclinato che permette di superare gradualmente il dislivello oggi presente tra il livello dell’area verde, di libera fruizione, e quella del recinto archeologico. Anche gli spazi pubblici adiacenti sono stati sistemati e  riqualificati.

I margini dell’area archeologica sono stati provvisti di idonea recinzione di forma semicircolare in corrispondenza dell’emiciclo, seguendo il perimetro della costruzione romana fino all’ideale inizio della spina, la lunga piattaforma posizionata al centro della pista che era decorata con statue, tempietti, vasche, con due grandi obelischi egizi – che dal ‘500 sono stati ricollocati  in piazza S. Giovanni in Laterano ed in Piazza del Popolo – e dotata di metae, i grandi segnacoli intorno ai quali giravano i carri.

I resti della spina sono stati localizzati in profondità (la pista romana si trova a oltre 5 metri di profondità rispetto all’attuale piano dell’area archeologica) attraverso indagini geofisiche condotte in collaborazione con l'ISPRA, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale.

I visitatori potranno accedere alle gallerie che un tempo conducevano alle gradinate della cavea (i senatori al piano terra e la plebe al piano superiore). Nelle gallerie, che si potranno percorrere per un tratto di circa 100 metri ciascuna, si potranno osservare anche i resti delle latrine antiche. Si proseguirà sulla strada basolata esterna ritrovata durante gli scavi, in cui spicca una grande vasca-abbeveratoio in lastre di travertino. Qui è possibile visitare anche alcune stanze che venivano utilizzate come botteghe (tabernae) per soddisfare le necessità del numeroso pubblico dei giochi: locande, negozi per la vendita di generi alimentari, magazzini, lupanari, lavanderie, ma anche uffici di cambiavalute  necessari per  assecondare il giro di scommesse sulle corse dei cavalli.

Nella zona centrale dell’emiciclo sono visibili le basi dell’Arco di Tito, uno dei più grandi archi trionfali di Roma, a lui dedicato in occasione della vittoria giudaica. Le indagini hanno consentito di rimettere in luce le basi delle colonne frontali e alcuni importanti frammenti architettonici che hanno permesso agli archeologi di stabilire le sue dimensioni originarie (le colonne erano alte almeno 10 metri) grazie anche all’anastilosi virtuale del monumento realizzata in collaborazione con l’Università Roma Tre - Dipartimento di Architettura. Nel corso degli scavi sono state rinvenute anche parti della grande iscrizione, rimarcata con lettere bronzee, su cui era incisa la dedica da parte del Senato e Popolo Romano all’imperatore.

L’intervento di riqualificazione dell’area ha interessato anche la medievale Torre della Moletta (realizzata nel XII secolo) su cui si è intervenuti con  il  restauro delle murature antiche ed un impegnativo progetto di  consolidamento statico. Una scala interna consente di arrivare fino al piano superiore, uno splendido punto panoramico sull’area archeologica, che permette di apprezzare in pieno le dimensioni del Circo.

I numerosi frammenti lapidei presenti nell’area sono stati in parte anche sistemati ad arredo dello spazio aperto. In particolare ai piedi dell’emiciclo palatino sono stati collocati, da un lato, alcuni elementi provenienti dall’edificio antico (gradini, cornici, capitelli, le soglie delle botteghe, etc.), mentre sull’altro versante sono state collocate una serie di colonne in marmi colorati rinvenute negli scavi archeologici. Infine, nello spazio antistante la torre sono stati posizionati i frammenti architettonici di marmo lunense provenienti dallo scavo dell’arco di Tito.

Le fonti antiche narrano che nel Circo Massimo esisteva già in età repubblicana un arco fatto costruire da Lucio Stertinio nel 196 a.C.; un altro arco venne fatto distruggere nel 68 d.C. da Nerone. Nell’81 d.C. nella parte curvilinea del Circo venne edificato un nuovo arco dedicato all’imperatore Tito, nell'anno della sua morte, dal Senato e dal Popolo Romano per la celebrazione della vittoria sui Giudei e la distruzione di Gerusalemme del 70 d.C., come ricorda la lunga iscrizione che era incisa con lettere bronzee sull’attico e il cui testo è giunto fino a noi.

L’arco si trovava lungo il percorso del corteo trionfale organizzato dai generali e dagli imperatori vittoriosi al ritorno dalle campagne belliche; la processione prendeva avvio dal Campo Marzio ed entrava nel Circo Massimo sfilando nella pista e, passando sotto l’arco, si dirigeva fino al tempio di Giove Capitolino sul Campidoglio. Il monumento è raffigurato sulla Forma Urbis e su rilievi, mosaici e su varie monete.

L’arco a tre fornici intercomunicanti, alto oltre 20 metri e largo circa 17 metri, era realizzato in marmo lunense e si presentava animato sulle fronti da quattro colonne scanalate alte circa 10 metri e da quattro lesene aderenti ai piloni. I capitelli corinzi erano alti m 1,15 circa. La fronte dell’arco era decorata con rilievi figurati e probabilmente anche con pannelli nel fornice centrale. Un fregio di minori dimensioni correva sulla trabeazione tra l'architrave e la cornice. L’attico era sormontato da una quadriga bronzea.

Nell’area restano visibili i tre piedistalli delle colonne dei fornici laterali con due basi delle colonne e i piedistalli retrostanti di due lesene. Sono anche conservati i blocchi in travertino di due piloni e frammenti dei fusti delle colonne scanalate.

In età tardoantica la zona fu interessata da un riutilizzo sistematico dei materiali dell’arco. Nel IX-X secolo avvenne un primo crollo degli elementi strutturali appartenenti alle parti alte del monumento; rimasero tuttavia in piedi ancora le colonne e qualche frammento della muratura, che poi vennero definitivamente distrutti al più tardi nel XII secolo quando anche le colonne furono fatte a pezzi e riutilizzate in nuove costruzioni.

Sulla terrazza della torre sono stati allestiti grandi frammenti architettonici pertinenti alla decorazione dell’Arco di Tito, rinvenuti per la maggior parte nelle indagini archeologiche degli anni 2014-2015.I frammenti, tutti intagliati nel marmo lunense estratto dalle cave di Carrara, appartengono alla decorazione della zona dell’attico e della trabeazione del monumento.

Il Circo Massimo, il più grande edificio per lo spettacolo e lo sport di tutti i tempi, era un monumento grandioso in grado di ospitare alcune centinaia di migliaia di spettatori. Occupava gran parte dell’ampia valle che si allungava per oltre 600 metri tra i colli Palatino e Aventino, una zona in cui sin dall’età arcaica si svolgevano varie manifestazioni collegate ad antiche feste religiose. La tradizione attribuisce a Romolo l’istituzione delle prime competizioni ippiche in onore del dio Conso (Consualia) mentre risalgono ai Tarquini, gli ultimi re di Roma, i primi lavori di allestimento con la creazione di file di sedili lignei.

Durante il periodo repubblicano, la valle viene progressivamente sistemata con costruzioni ed attrezzature in parte stabili, configurandosi come il più grande spazio pubblico urbano dove poter svolgere competizioni ippiche ma anche processioni religiose e trionfali, cacce con animali esotici, rappresentazioni teatrali, pubbliche esecuzioni. Nel 329 a.C. furono costruiti in legno gli stalli da cui partivano i carri (carceres). Nel 170 a.C. sulla striscia centrale della pista i censori restaurarono le Mete (metae), cioè i segnacoli intorno ai quali giravano i carri ed installarono il meccanismo di conteggio dei giri (le ova), oltre a varie attrezzature connesse con i giochi. Questa zona centrale, spina o euripus, nel tempo si definisce come un lungo basamento rettilineo occupato da altari, statue, vasche, su cui Augusto ed in seguito Costanzo II faranno erigere due grandiosi obelischi fatti portare dall’Egitto. Il primo edificio in muratura viene fatto costruire da Cesare; di questo rimangono ancora visibili alcuni tratti di murature in opera reticolata incorporati nelle successive ricostruzioni. Nel corso della prima età imperiale il Circo subisce importanti trasformazioni ma anche danneggiamenti dovuti ad incendi fino a quando, alla fine del I secolo, l’edificio viene ricostruito ed inaugurato da Traiano con grandiosi giochi nel 103 d.C.

Il Circo di età imperiale aveva dimensioni notevolissime: era lungo circa m 600 e largo circa m 140, con i due lati lunghi raccordati al centro da un emiciclo su cui svettava il grande arco trionfale dedicato a Tito. Poteva contenere un numero molto alto di spettatori, le fonti antiche ci tramandano una capienza di circa 250.000 persone. In facciata il piano inferiore era su arcate ed i due superiori si presentavano chiusi da una parete piena con finestre. La struttura risultava seminterrata, con il piano della pista e di parte delle gradinate più bassi rispetto alla quota della strada esterna.

Nel II e III secolo d.C. il circo venne rinforzato con ulteriori murature costruite a supporto della facciata ma continuò ancora ad ingrandirsi e ad abbellirsi. Gli ultimi giochi nel Circo risalgono ai primi decenni del VI secolo. In seguito il grande ippodromo antico venne in gran parte demolito e depredato e l’enorme invaso sfruttato soprattutto per usi agricoli.

Nell’edificio di età imperiale si ritrovano, monumentalizzati, tutti quegli elementi religiosi e simbolici collegati alle origini circo ed alle antiche manifestazioni che si tenevano nella valle Murcia, una zona in cui si celebravano culti e cerimonie collegati alle principali fasi dei cicli agricoli.

Le parti costituenti il monumento erano le gradinate (cavea), con la parte alta costruita in legno, gli stalli di partenza dei carri (carceres) e la lunga e larga piattaforma rettangolare posta al centro della pista (spina o euripus), con due grandi segnacoli alle estremità (metae) la cui funzione principale era quella di delimitare internamente lo spazio delle corse. In questa striscia centrale erano collocati i più importanti sacelli ed altari dedicati alle divinità che fin dall’età arcaica sovrintendevano alle attività della valle, il più antico dei quali era l’altare sotterraneo dedicato a Conso. Tra il II ed il I sec. a.C. vengono predisposti i meccanismi per contare i giri di pista, le Ova ed i Delfini. Due grandi obelischi in granito rosso provenienti dall’Egitto furono posti da Augusto nel 10 a C. e nel 357 da Costanzo II. L’antico altare di Murcia, la divinità tutelare della valle, era ancora presente in età imperiale sulla pista, a ridosso del lato lungo sud occidentale.

Le gradinate erano suddivise in genere in quattro settori (dal basso in alto: ima, media, summa cavea e porticus in summa cavea) una suddivisione che corrisponde ad un razionale gestione del flusso degli spettatori, poiché i posti erano suddivisi in base alla posizione sociale.

Nel circo di età imperiale si ritrova un tempio dedicato al Sole sul versante del lato Aventino, sulle cui scalinate si posiziona il Tribunal dei giudici di gara, mentre di fronte, sul versante del colle Palatino, acquista forme monumentali il Pulvinar, una struttura a forma di tempio destinato ad ospitare le statue delle divinità che assistevano ai giochi portate in processione prima delle manifestazioni e adibito anche ad ospitare i membri della famiglia imperiale.

I cancelli da cui partivano i carri, carceres, erano disposti secondo una linea leggermente obliqua per dare a tutti i concorrenti le stesse opportunità e costituivano il limite del Circo verso il Tevere, mentre sul lato opposto, al centro dell’emiciclo, il grande arco di Tito, a tre fornici, valorizzava il passaggio delle processioni trionfali.

Le parti del Circo erano cariche di significati simbolici: le porte dei carceres erano 12 come i segni zodiacali e i mesi dell’anno, i quattro colori delle squadre erano in relazione alle stagioni, le Mete rappresentavano i confini dell’oriente e dell’occidente, i giri della corsa erano sette come i pianeti ed i giorni della settimana ed al sole, l’auriga celeste, erano dedicati anche i due grandi obelischi egizi.

Il Circo è dedicato in principal modo al sole; in mezzo infatti vi è un tempietto a quello dedicato e nella parte più alta di esso se ne vede l'immagine.. svariati sono gli ornamenti, diversi i tempietti quasi con i singoli attributi divini…in onore di Castore e di Polluce si riferiscono le Uova…. là si trovano dei delfini consacrati a Nettuno…Un obelisco di straordinaria grandezza è dedicato al Sole Conso se ne sta nascosto, sotto terra, presso le mète Murcie.

Tertulliano, De spectaculis, VIII

L’emiciclo orientale del Circo Massimo è un settore che risulta documentato anche nella antica pianta marmorea di Roma (Forma Urbis) e che si è parzialmente conservato fino al secolo scorso grazie all’utilizzo continuo nel tempo di alcune delle sue strutture. Gli scavi eseguiti nei primi decenni del ‘900 hanno messo in luce gli ambienti più esterni del circo: i sottili pilastri in peperino della facciata, le murature in mattoni a sostegno delle gradinate e la strada basolata che correva esternamente con una grande fontana pubblica. Nel 2011 è stato parzialmente scoperto l’edificio che si trovava oltre la strada, forse un magazzino (horreum) con alcuni locali, probabilmente botteghe (tabernae), che affacciavano sulla via.

Gli ambienti esterni attualmente visibili si ripetono in successione e sono disposti in funzione dei percorsi: alcuni sono dotati di scale diretti ai piani superiori, altri di passaggi diretti dal piano terra verso la parte più bassa delle gradinate (ima cavea) ed infine ci sono stanze aperte solo verso la strada utilizzate come botteghe (tabernae) che potevano essere suddivise al loro interno con tramezzi o piani rialzati in legno. Questi locali erano normalmente utilizzati per varie attività proprio per venire incontro alle necessità del numeroso pubblico che affluiva in occasione dei giochi: locande, negozi per la vendita di generi alimentari, magazzini, lupanari, ma anche uffici di cambiavalute necessari per assecondare il giro di scommesse sulle corse dei cavalli. Le due gallerie interne superstiti, al piano terra ed al primo piano, distribuivano il flusso del pubblico diretto verso le gradinate (ima e media cavea). La parte superiore dell’edificio non è nota, ma a causa della fragilità di alcune strutture portanti possiamo ipotizzare un largo impiego di costruzioni in legno in molte sue parti.

E’ proprio questo il settore del circo da cui la notte del 18 luglio del 64, durante il principato di Nerone, si sviluppò il disastroso incendio che distrusse gran parte di Roma, come ci racconta lo storico Tacito: ebbe inizio dapprima in quella parte del Circo che è contigua ai colli Palatino e Celio, dove a causa delle botteghe piene di merci infiammabili, le fiamme divamparono violente e alimentate dal vento, in un baleno avvolsero il circo per tutta la sua lunghezza. Il Circo Massimo venne ricostruito da Traiano, a cui si attribuiscono le strutture attualmente visibili.

Nel corso del II e III secolo vengono addossaste ulteriori murature di supporto ancora visibili nei pilastri in mattoni, su cui si impostavano arcate di sostegno che invadevano anche la strada esterna. A partire dall’epoca tardo imperiale alcuni ambienti interni vennero trasformati, come testimoniano le murature in mattoni e tufelli (opus vittatum) che delimitano anche la fronte delle botteghe mentre successivamente la galleria esterna, ormai priva della pavimentazione originale, fu nuovamente pavimentata con basoli. Nella zona furono costruiti altri manufatti tra i quali due strutture idrauliche (condotti con pozzo) su cui si impostano successivamente, nuove imponenti murature realizzate con materiale di recupero.

Oggi il circo contiene tutta Roma e dal fragore che mi percuote la testa presumo che vinceranno i verdi. Se perdessero vedresti tutta la città mesta e smarrita … ma allo spettacolo vadano i giovani, a loro si addice far baccano, scommettere senza paura ed assediare le fanciulle.

Giovenale, XI, 197-202:

Perché cerchi invano di allontanarti? La linea che separa i posti ci costringe a stare uniti. Il circo con la sua legge offre questi vantaggi. Tu, però, chiunque tu sia che siedi alla sua destra, abbi riguardo per lei: ella è infastidita dal contatto con il tuo fianco; anche tu che occupi il posto alle nostre spalle, ritrai le gambe, se hai un po’ di rispetto e non fare pressioni sulla sua schiena con le tue dura ginocchia ...

Ovidio, Amores, III

 

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