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Venerdì, 01 Novembre 2024

Il leader della Lega Nord da Catania chiede l'intervento delle forze dell'ordine: "Le Ong impegnate nel salvataggio di migranti nel Mediterraneo? Arrestateli. Non bastano le denunce e le segnalazioni. Vorrei che la Guardia di finanza li visitasse, sede per sede, tutte queste associazioni di volontariato. Vorrei anche - aggiunge - che la Marina militare e la Guardia costiera rispondessero agli italiani della coscienza sporca che hanno e che qualcuno pagasse per quella che è una sostituzione etnica senza precedenti". 

E Salvini adesso è pronto a lanciare una grande protesta contro "l'invasione": "Il 2 giugno, giorno della celebrazione della Repubblica, chiederemo a tutti gli italiani di fermarsi dieci minuti, sul posto di lavoro o dovunque siano, contro la retorica della festa e per protestare silenziosamente, ma decisamente, contro quest’inaccettabile invasione, questo esodo sempre precedenti, di migranti in Italia. Stiamo studiando come realizzarla, magari usando un fiocco da indossare".

Intanto il Papa arriverà al Cairo a fine mese e gli attacchi delle bandiere nere contro i cristiani non si fermano.Dal 2003, prima dell'invasione alleata che ha abbattuto Saddam Hussein, i cristiani in Irak erano oltre un milione e mezzo. Adesso sono appena 300mila anime.

Il rischio di estinzione dei cristiani in Medio Oriente in un suo articolo il quotidiano Italiano Il Giornale spiega che il martirio dei i Cristiani è concreto e si tocca con mano anche in Siria dove sono fuggiti dalla guerra in mezzo milione. Paolo si convertì sulla strada di Damasco, ma in città come Aleppo gran parte delle chiese sono state distrutte dai combattimenti. E dei 120mila cristiani prima della sanguinosa «Primavera araba» ne sono rimasti 35mila. Molti fedeli di Gesù sono stati rapiti e uccisi, talvolta con la crocifissione. Padre Paolo Dall'Oglio, il religioso italiano dell'antico monastero di Mar Musa è stato sequestrato nel 2013 e probabilmente ammazzato. Gli ostaggi cristiani vengono utilizzati come scudi umani in prima linea o per scavare trincee. Nella maggior parte dei casi servono per fare cassa. Nel 2015 erano stati rapiti in 230 dallo Stato islamico a Qaryatayn. I tagliagole volevano 30 milioni di dollari per lasciarli andare.

Spiega Fausto Biloslavo sui Il Giornale che i cristiani in Egitto sono il 10% di una popolazione di 94 milioni, in gran parte musulmana e vivono assediati da sempre. Dal 2011 sono 77 gli attacchi contro la minoranza copta solo nella provincia di Minya, dove i cristiani registrano la concentrazione più alta con un terzo degli abitanti. Dopo la caduta del presidente dei Fratelli musulmani, Mohammed Morsi, gli attacchi sono aumentati. I cristiani vengono bollati come alleati del nuovo capo di stato, il generale Abdel Fattah Al Sisi.

Il Califfato ha cacciato 135mila cristiani da Mosul e dalla piana di Ninive fuggiti come profughi nel nord dell'Irak nel 2014. Adesso sono rimasti in 90mila. Gli altri sono scappati all'estero. E hanno paura di tornare nelle loro case, anche se sono state liberate dall'offensiva contro la «capitale» dello Stato islamico. Per rimettere in piedi i villaggi cristiani ci vorranno oltre 200 milioni di dollari. Ed una nuova minaccia si profila all'orizzonte: le milizie sciite, vittoriose a Mosul, vorrebbero occupare le terre cristiane con l'appoggio finanziario dell'Iran.

Anche in Libia i cristiani sono sotto tiro. Le bandiere nere hanno decapitato sia un gruppo di 21 egiziani copti sia di 31 eritrei cristiani, tutti migranti. Le orribili scene delle esecuzioni di massa sono state riprese sulla spiaggia con il sangue dei martiri che si mescolava alla risacca del Mediterraneo.

Secondo la fondazione pontificia, Aiuto alla chiesa che soffre, nel febbraio dello scorso anno erano detenuti in Iran 90 cristiani a causa della loro fede. In Arabia Saudita non si possono costruire chiese. Nello Yemen nel marzo 2016 quattro religiose di santa Madre Teresa di Calcutta sono state uccise assieme ad altre 12 persone per mano jihadista.

L'ultimo è avvenuto martedì a un posto di blocco della polizia che difende il monastero di Santa Caterina nel Sud del Sinai. Un agente è stato ucciso e altri quattro feriti, ma gli assalitori hanno dovuto ripiegare.

«L'attacco condotto nel Sud del Sinai è stato eseguito dai combattenti dello Stato islamico» ha rivendicato l'agenzia di stampa Amaq legata al Califfato. La ventina di monaci greco-ortodossi stanno bene e l'antico luogo di culto non è stato colpito. Il monastero sorge alle pendici del monte dove Mosè avrebbe parlato con Dio ricevendo i dieci comandamenti. L'attacco segue la strage con di Pasqua nelle chiese di Tanta e Alessandria, che ha provocato la morte di una cinquantina di fedeli per mano di due terroristi suicidi.

Purtroppo non è l'unico martirio dei cristiani in Medio Oriente. Dalla Siria all'Irak, dalla Libia allo Yemen, chi crede in Gesù è perseguitato.

Non si spegne la tensione tra la Corea del Nord e gli Stati Uniti. Ma nel quadro dello scontro tra i due Paesi cominciano a prendere posizione anche gli Stati che si affacciano sul Pacifico.

Trump è rientrato a Washington dal resort di Mar-a-Lago in Florida dove ha trascorso il weekend di Pasqua e da dove il commander in chief non ha direttamente commentato il fallito lancio del missile nordcoreano, se non sottolineando in un tweet che la Cina sta lavorando con gli Usa per risolvere "il problema nordcoreano". Fonti della Casa Bianca hanno in queste ore indicato l'intenzionale reazione di 'basso profilo' da parte dell'amministrazione Usa rispetto al fallito lancio di Pyongyang, secondo la strategia di non riservare eccessiva attenzione a questo specifico episodio. Resta tuttavia alta l'attenzione - in consultazioni confermate tra dipartimento di Stato, Pentagono e Consiglio per la Sicurezza nazionale - rispetto a quello che viene definito uno "schema di provocazione" da parte della Corea del Nord verso il quale vengono valutate "una serie di opzioni".

E risale al 50% l'indice di gradimento per Donald Trump, dopo le ultime esibizioni di muscoli in Siria e in Afghanistan. Secondo l'ultimo sondaggio quotidiano Rasmussen, ripostato dallo stesso Trump su Twitter, il 50% del campione approva l'operato del presidente. Il rating aveva raggiunto il suo punto più alto (59%) dopo l'Inauguration day, ma poi era scivolato al 42%. Questo e' il primo recupero in circa un mese.

Riguardo alla crisi nordcoreana, Trump ha detto di sperare 'in una soluzione pacifica". La Corea del Nord, ha aggiunto, "deve comportarsi bene".

Sul fonte di Pyonyang, invece, arrivano dichiarazioni affatto distensive: "Una guerra nucleare potrebbe scoppiare da un momento all'altro nella penisola coreana": lo ha detto l'ambasciatore di Pyongyang all'Onu, Kim In Ryong, parlando con i giornalisti al Palazzo di Vetro. "Gli Stati Uniti stanno disturbando la pace e la stabilita' globale, insistendo in una logica da gangster", ha precisato il delegato nordcoreano. L'ambasciatore ha anche detto che Pyongyang "prenderà contromisure più pesanti" e gli Usa saranno ritenuti responsabili per le loro azioni", sottolineando anche che i test sui missili "fanno parte del normale percorso per sviluppare capacità di autodifesa". 

Su Twitter, il presidente ha anche delineato un primo bilancio del suo mandato: "I primi 90 giorni della mia presidenza hanno mostrato il totale fallimento degli ultimi otto anni di politica estera! Com'è vero"

Intanto da Seul, il vicepresidente americano, Mike Pence, ha affermato oggi che "l'era della pazienza strategica è finita" con la Corea del Nord, aggiungendo che gli Usa e i loro alleati utilizzeranno "mezzi pacifici o in ultima analisi qualsiasi mezzo necessario" per proteggere la Corea del Sud e stabilizzare la regione.

Visitando la Zona demilitarizzata coreana (Dmz), Pence ha definito "corazzata" l'alleanza tra Washington e Seul e ha ribadito che "tutte le opzioni sono sul tavolo" per fare pressione su Pyongyang affinché si sbarazzi delle sue armi nucleari e del programma missilistico. Il vicepresidente Usa è poi tornato a definire una "provocazione" l'ultimo fallito test missilistico della Corea del Nord, dicendo di augurarsi che il chiaro messaggio dell'amministrazione Trump venga recepito da Pyongyang.

Pence ha detto poi che Trump spera che la Cina userà le sue "leve straordinarie" per fare in modo che Pyongyang abbandoni il suo programma missilistico e nucleare. 

Intanto Tokyo starebbe pensando all'invio di truppe sulla penisola coreana. Il motivo per il momento è il recupero dei connazionali presenti in Corea. Il governo di Tokyo infatti vorrebbe tutelare i giapponesi presenti sul suolo coreano. E ad annunciarlo è stato il ministro della Difesa, Tomomi Inada, nelle ore in cui cresce la tensione scatenata dai test missilistici del regime di Pyongyang. Le parole del ministro portano tensione anche in Corea del Sud dove è ancora viva la memoria dell'occupazione coloniale da parte di Tokyo dal 1910 al 1945. In Parlamento ha spiegato che il Paese è pronto a mobilitare le sue truppe se i giapponesi in loco avessero bisogno di essere portati via ma avessero "difficoltà nel partire con mezzi privati di trasporto". Inada ha aggiunto che l’invio delle truppe è consentito dalla legge giapponese, che richiede però il consenso del Paese interessato. Inoltre su questa crisi peserebbe la mossa del Giappone che secondo la stampa locale potrebbe riconoscere la caduta di un razzo nordcoreano nelle sua acque come "minaccia evidente di azione militare". Insomma adesso anche Tokyo è pronta a giocarsi la sua partita nel Pacifico.

Una curiosità. Durante la campagna elettorale per la Casa Bianca aveva dichiarato ripetutamente che "l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno e' un altro Bush", riferendosi alla discesa in campo di un altro esponente della dinastia che ha dato all'America due presidenti, ma ora Donald Trump sta riempiendo la sua amministrazione di ex consiglieri della presidenza Bush. Lo evidenzia Politico, ricordando le ultime quattro nomine della Casa Bianca, di cui tre sono ex dello staff Bush. Si tratta di John J. Sullivan (ora vice segretario di stato), Marshall Billingslea (vice segretario al dipartimento del Tesoro, competente per la lotta ai finanziamenti del terrorismo) e Gilbert B. Kaplan (sottosegretario per il commercio internazionale). Si tratta dell'ultima serie di nomine pescate dall'ex amministrazione di un presidente preso di mira nel corso della campagna elettorale.

Il Consiglio per la Sicurezza Nazionale, secondo prassi obbligatoria, ha presentato al Presidente degli Stati Uniti il ventaglio di tutte le opzioni disponibili (blue sky options) per rispondere al programma nucleare della Corea del Nord. Si guarda con apprensione a sabato prossimo 15 aprile, compleanno di Kim Il-sung, fondatore dello Stato. Il Nord ha condotto test nucleari nel 2006, 2009 e nel 2013. Il quarto test nucleare si è svolto nel gennaio dello scorso anno, due giorni prima il compleanno di Kim. Il quinto test è avvenuto lo scorso settembre, a margine delle manifestazioni per il 68° anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Democratica di Corea e pochi giorni dopo il vertice economico del G-20 in Cina. I satelliti confermano che i lavori preparatori sul sito di Punggye-ri, si sono conclusi da settimane. Nello specifico, sono stati ultimati gli interventi nel terzo tunnel, North Portal, della struttura di prova, ad oggi non ancora utilizzato. Il North Portal dovrebbe trovarsi ad una profondità di 550 metri. Il sito di Punggye-ri è distante 116 chilometri dal vulcano sul Monte Baekdu. Una maggiore profondità potrebbe comportare un aumento dell’apporto di uranio o diverse detonazioni. Questa che leggete qui e un analisi alle opzioni militari contro la Corea del Nord fatta dagli esperti e riportata dal quotidiano Italiano "il Giornale" che non garantirebbero la vittoria assoluta, per questo la pista diplomatica resta l' opzione migliore....ma vediamo l analisi :

Al Presidente degli Stati Uniti è concessa la facoltà di tramutare un conflitto convenzionale in nucleare. Le opzioni nucleari contro la Corea del Nord esistono da tempo. Sarebbero necessari meno della metà dei missili Trident II della linea leggera da attacco, testate W76/Mk4A da 100 Kt trasportati da un solo sottomarino Ohio, per cambiare per sempre il destino della Corea del Nord e del mondo. Nessuno sa quello che accadrà una volta avviati i lanci, mentre ancora più pericolose potrebbero essere le implicazioni sulla stabilità strategica mondiale. Escludendo l’opzione nucleare ed una inimmaginabile invasione terrestre il fanatismo dei militari del Nord andrebbe considerato alla stregua delle forze giapponesi in patria durante la seconda guerra mondiale, ogni tipo di azione militare fisica o virtuale innescherebbe una violenta rappresaglia su Seul, con granate probabilmente chimiche da artiglieria utilizzate nel targeting indiscriminato della capitale e dei suoi sobborghi.

La Casa Bianca potrebbe ordinare una guerra informatica ed elettronica totale, ma senza alcun tipo di garanzia. La tecnologia left of launch è efficace se indirizzata contro obiettivi identificati, come il worm Stuxnet in Iran. Gli obiettivi della Corea del Nord sono molteplici e schierati su lanciatori mobili. In un approccio dove il tempismo è fondamentale, gli hacker del Pentagono e dell’unita Spartan 3000 della Corea del Sud, dovrebbero disabilitare in remoto i sistemi missilistici, provocando il fallimento del test. Tuttavia, in un contesto operativo, anche se tutti gli attacchi informatici riuscissero a disabilitare i missili schierati in posizione di lancio, sarebbe impossibile hackerare i sistemi nascosti nei bunker sotterranei del paese. Ecco perché la Corea continua a sviluppare un Icbm mobile che, potenzialmente, sarebbe in grado di minacciare gli obiettivi in tutto il mondo.

La forza stimata per un attacco preventivo contro Pyongyang sarebbe di dieci bombardieri strategici B-2 equipaggiati con asset GBU-31 e GBU-57 e 24 F-22 che decollerebbero dagli aeroporti in Giappone e Corea del Sud. Non meno di 500 Tomahawk verrebbero lanciati a ondate da diverse piattaforme, compresi almeno due sottomarini classe Ohio riconvertiti in ruolo SSGN. Tale forza è ritenuta in grado di danneggiare gravemente tutte le infrastrutture connesse con il programma nucleare della Corea del Nord, così come tutte le armi stoccate nei siti corazzati e le principali strutture comando dell’esercito. La distruzione delle infrastrutture nucleari della Corea del Nord, potrebbe non essere sufficiente per annullare la ritorsione. Pertanto, anche se gli Stati Uniti possono essere ragionevolmente certi di arrestare un duro colpo all'infrastruttura nucleare nella prima ondata, sarebbe necessario un grado di cognizione assoluta per annullare ogni tipo di ritorsione.

Le opzioni militari contro la Corea del Nord non garantirebbero la vittoria assoluta. La pista diplomatica resta l’opzione migliore. Ed il ruolo della Cina sarà determinante. L'88% di tutte le importazioni della Corea del Nord provengono dalla Cina. Le esportazioni sono all’86%. Pechino ha un ruolo fondamentale nel garantire il rispetto delle sanzioni delle Nazioni Unite come, ad esempio, per la fornitura di carbone. I tentativi di instaurare rapporti economici e politici con la Russia non hanno avuto esito positivo.

La famiglia Kim chiede il rispetto internazionale e cerca, soprattutto, di sopravvivere. Il rispetto internazionale si basa sul riconoscimento a potenza nucleare così da reimpostare le relazioni con i diretti antagonisti come la Corea del Sud e gli Stati Uniti. Il graduale aumento della pressione militare sul regime nordcoreano per ottenere un risultato politico, nella speranza che non precipiti in un conflitto reale, è un elemento debole e pericoloso per la politica degli Stati Uniti. In assenza di una nuova iniziativa diplomatica, la situazione di per se instabile nella penisola coreana, continuerà a peggiorare.

Un attacco preventivo convenzionale contro la Corea del Nord ridurrebbe certamente le capacità militare del paese, ma non escluderebbe la ritorsione contro Seul. Tuttavia, qualsiasi decisione sarà affidata all’infallibilità e capacità di discernimento concessa al Presidente degli Stati Uniti.

Il pattugliamento del Gruppo da Battaglia della portaerei Carl Vinson davanti le coste della penisola coreana è senza dubbio una prova di forza e dimostrazione politica nei confronti di Pyongyang, certamente non un asset in grado di decapitare la forza militare del regime. Da premettere che l’opzione migliore per fermare il programma missilistico e nucleare della Corea del Nord, è quella diplomatica per i motivi che andremo a spiegare.

La possibilità di reintrodurre armi nucleari tattiche in Corea del Sud, ritirate più di 25 anni fa, sarebbe altamente provocatoria. Se Trump decidesse in tal senso, la base aerea di Osan, a meno di 50 miglia a sud della capitale Seoul, sarebbe la prima struttura estera ad ospitare asset nucleari dalla fine della guerra fredda. Altamente provocatoria, potrebbe soltanto esacerbare i già precari rapporti con Pyongyang, considerando altamente remota la possibilità di un attacco nucleare preventivo ed esporre la Corea del Sud nel quadro regionale. Nelle ore scorse, è stata avanzata l’ipotesi di schierare bombardieri strategici B-2/B-52 permanentemente a Guam con regolari pattugliamenti in Corea del Sud.

Eliminare Kim Jong-un, l’intera linea decisionale e le figure connesse con il programma missilistico e nucleare della Corea del Nord. E’ una delle peggiori opzioni poiché si tratta di decapitare un regime. A gestire tali operazioni sarebbe la CIA. Teoricamente parlando e qui ci basiamo solo sulle definizioni, la decapitazione è una strategia allettante quando vi sono figure imprevedibili e pericolose come quella di Kim Jong-un. Tuttavia decapitare la linea politica di un regime comporta delle soluzioni politiche immediate. La Cina avrebbe già espresso parere contrario a tali operazioni di assassinio. Pechino teme una crisi umanitaria a ridosso dei suoi confini qualora cadesse il regime.

Reparti speciali Usa e della Corea del Sud dietro supervisione CIA, si infiltrerebbero nel Nord per sabotare le strutture chiave e la rete viaria primaria per bloccare il movimento dei lanciatori. Tuttavia, quando si considerano azione del genere, è importante riconoscere le variabili e le lacune di intelligence che complicano inevitabilmente il processo decisionale politico e militare. Gli Stati Uniti ignorano l’esatta ubicazione degli oltre duecento lanciatori, molti dei quali nascosti in bunker corazzati a profondità ignote e la reale ramificazione del programma nucleare della Corea del Nord. La distruzione delle infrastrutture nucleari note della Corea del Nord, non sarebbero sufficienti per annullare la ritorsione. Senza considerare, infine, che la cattura di uno o più operatore dei reparti speciali Usa provocherebbe inimmaginabili conseguenze psicologiche in patria. Quello avvenuto con l’Iran dovrebbe far riflettere.

 

 

 

 

 

 

 

Oggi a conclusione del G7, i riflettori si sposteranno su Mosca, dove Tillerson incontrerà il collega Serghiei Lavrov ma non il presidente Putin. Il colloquio si annuncia complicato. Gli americani sono molto critici verso i russi per l'accanimento con cui difendono Assad. Allo stesso tempo, l'attacco americano ad una base militare siriana come rappresaglia alla strage di Idlib, ha irrigidito i russi. Per il Cremlino, ripetere "come un mantra" Assad se ne deve andare non aiuta il processo di pace e "non c'è alternativa" ai negoziati di Ginevra, anche se sarà un "percorso lungo", ha spiegato il portavoce di Putin Dmitri Peskov. La pressione sul rais, comunque, non sembra sortire particolari effetti. Secondo fonti concordanti sul terreno, il regime avrebbe dato il via a nuovi intensi bombardamenti in zone controllate dai ribelli a Damasco, Daraa, Hama, Idlib. Anche con armi non convenzionali, come le bombe a grappolo e bombe incendiarie al napalm

Le potenze occidentali sono alla ricerca di una posizione comune sulla Siria dopo l'attacco chimico a Idlib, su cui c'è l'ombra del presidente Bashar al Assad. Che nel frattempo, però, ha ripreso i raid sui ribelli, secondo gli attivisti anche con bombe a grappolo e napalm. Nell'ultima settimana, la crisi ha avuto un'escalation dopo la strage di civili, tra cui tanti bambini, avvelenati dal sarin e dal cloro nella provincia di Idlib, in una zona controllata dai ribelli, a cui gli Stati Uniti hanno risposto con un attacco missilistico su postazioni governative. 

La palla, adesso, è tornata alla diplomazia, con ministri degli Esteri del G7 riuniti a Lucca. La posizione più dura è apparsa quella del britannico Boris Johnson, che ha evocato la possibilità di nuove sanzioni contro militari siriani e russi ed ha chiesto a Mosca, principale sponsor del regime, di "scegliere se continuare a stare al fianco di Assad oppure con il resto del mondo". Il segretario di Stato americano Rex Tillerson ha avvertito che il suo Paese "risponde a quanti creano danni agli innocenti in qualunque parte del mondo": una dichiarazione fatta a Sant'Anna di Stazzema per ricordare un eccidio nazifascista della seconda guerra mondiale, ma che oggi sembra avere come destinatario proprio l'uomo forte di Damasco. 

Sul cambio di regime, la posizione degli Stati Uniti è meno netta rispetto a quella dei britannici, e lo stesso Tillerson ha ricordato che la priorità resta quella di sconfiggere l'Isis. L'Italia condivide questa linea più prudente e orientata alla ripresa del dialogo tra le parti. Angelino Alfano, in qualità di presidente del G7 Esteri, ha convocato una riunione straordinaria sulla Siria, domani a Lucca, per tentare di riannodare i fili del negoziato e scongiurare un'escalation militare. Meeting allargato ai partner regionali (Turchia, Emirati, Giordania, Arabia Saudita, Qatar). Lo stesso Alfano oggi ha parlato al telefono con il collega iraniano Zarif, auspicando che Teheran convinca ad Assad a risparmiare i civili.

Questa e la scheda compilata dal ansa aggiornata con il dossier Siria : 

Centinaia di migliaia di morti, meta' della popolazione sfollata o rifugiata all'estero, oltre 13 milioni di persone in stato di necessita', speranza di vita ridotta di 15 anni per gli uomini e 10 anni per le donne. Sono queste alcune delle cifre che rendono le dimensioni della tragedia della guerra civile in Siria, iniziata nel marzo di sei anni fa.
Da anni ormai l'Onu ha smesso di fornire bilanci ufficiali. Le stime, a seconda delle fonti, variano da 300.000 fino a oltre 400.000.

Su una popolazione che prima della guerra era di 22 milioni, gli sfollati all'interno del Paese sono oggi 6,5 milioni. Quasi 5 milioni sono rifugiati all'estero, per la maggior parte in Turchia, Libano e Giordania e, in misura minore, in Iraq ed Egitto.

Secondo l'Onu oltre la meta' degli ospedali e dei centri sanitari sono stati chiusi o funzionano solo parzialmente e i due terzi del personale sanitario ha lasciato il Paese. Circa 11,5 milioni di persone (il 40 per cento bambini) non hanno accesso a cure adeguate. Tra di loro vi sono 300.000 donne incinte.
Un milione di persone vivono in citta' e aree assediate dalle varie parti in conflitto e non possono ricevere regolarmente aiuti umanitari.

Secondo dati Unicef, 2,8 milioni di minori vivono in aree difficili da raggiungere, di cui 280.000 in aree assediate. Molti continuano ad essere reclutati per azioni di combattimento. Sei milioni dipendono dall'assistenza umanitaria.
Oltre 2,3 milioni sono rifugiati in altri Paesi. Molti di loro non possono frequentare la scuola, cosi' come 1,7 milioni in Siria. Molti sono costretti a lavorare per contribuire al sostentamento delle famiglie e le bambine e adolescenti sono spesso obbligate a contrarre matrimoni precoci.

L'attacco chimico che si è verificato lo scorso 4 aprile nella provincia di Idlib, con oltre 80 morti, è soltanto l'ultimo di una serie che hanno reso ancora più atroce il conflitto. Il più grave si è verificato il 21 agosto 2013 in alcuni sobborghi di Damasco controllati dai ribelli, con missili che portavano gas sarin. Si stima che siano morti a centinaia.Il regime di Assad ha sempre smentito l'utilizzo di tali armi 

Gli Usa ritengono che la Russia sapesse in anticipo del raid con armi chimiche in Siria la scorsa settimana, stando ad una fonte ufficiale americana - citata dall'Associated Press - che attribuisce la circostanza ad un drone che si sospetta fosse operato da Mosca e che sorvolo' un ospedale dove venivano trasportate le vittime dell'attacco. Qualche ora dopo un jet di costruzione russa bombardo' lo stesso ospedale. Una circostanza questa che fa dedurre che la Russia sapesse, stando alla stessa fonte.

Intanto la Corea del Nord attacca gli Usa e promette dure contromisure alle ''azioni offensive'': l'invio della portaerei Usa Carl Vinson, ha detto un portavoce del ministero degli Esteri ripreso dalla Kcna, conferma che le ''spericolate mosse americane per invadere la Corea del Nord hanno toccato una fase seria dei suoi scenari. Se gli Usa osano optare per una azione militare, come un 'attacco preventivo' e la 'rimozione del quartier generale', la Corea del Nord e' pronta a reagire a ogni tipo di guerra desiderato dagli Usa''.

Una forte esplosione è avvenuta stamattina fa a Diyarbakir, 'capitale' curda nel sud-est della Turchia. Lo riferiscono media locali. Sul posto sono giunti diversi mezzi di polizia e ambulanze. Al momento le cause dell'esplosione, udita in diverse zone della città, non sono chiare. Dal luogo dello scoppio si è alzata una fitta colonna di fumo.

Secondo le prime ricostruzioni, la forte esplosione a Diyarbakir è avvenuta nei pressi di una stazione di polizia che ospita le unità antisommossa, nel quartiere di Baglar, intorno alle 10.45 locali (le 9.45 in Italia). Lo scoppio avrebbe causato danni a diversi edifici e veicoli parcheggiati nella zona.

L'esplosione ha provocato almeno 4 feriti, di cui uno sarebbe in gravi condizioni. Lo riporta la tv privata Ntv.

Gli Stati Uniti hanno lanciato nella notte un attacco, con 59 missili Tomahawk  partiti da navi Usa nel Mediterraneo, contro la base militare siriana di Shayrat, nella provincia di Homs, da dove sarebbero partiti i raid con armi chimiche del 4 aprile scorso sulla zona di Idlib, che hanno causato la morte di almeno 86 persone tra cui 30 bambini. Durissima la reazione della Russia. Mentre il presidente siriano Bashar al Assad va all'attacco bollando il comportamento degli Usa come "spericolato e irresponsabile". 

A sostegno dell'azione americana, si schierano anche i nemici storici del regime di Assad. Da Israele all'Arabia Saudita, alla Turchia. Ankara auspica che il lavoro venga "completato" e invoca la rimozione di Assad "il prima possibile". Il ministro degli Esteri, Mevlut Cavusoglu, prevede "nuove ondate di migranti" in fuga dalla Siria e chiede una "safe zone". Intanto è salito a 15 il numero dei morti nell'attacco: 6 soldati della base e 9 civili, tra cui quattro bambini, secondo un bilancio fornito dall'agenzia ufficiale siriana Sana. I missili avrebbero colpito anche case attorno alla base. Mosca non registra invece vittime russe. Sempre secondo la Russia infine, i miliziani antigovernativi hanno lanciato un vasto attacco contro le truppe siriane dopo il raid missilistico degli Usa

Ieri in serata il portavoce della Casa Bianca Sean Spicer ha riferito che al presidente Trump sono state presentate "molte opzioni" sulla Siria. Spicer non è entrato nel dettaglio delle opzioni. Poi il segretario di Stato americano Rex Tillerson ha rincarato: "Non ci sono dubbi" sul fatto che il regime di Assad e' responsabile per l'attacco chimico di Idlib. Tillerson ha sottolineato come l'attacco richiede una "risposta seria". "Sono in corso sforzi da parte della coalizione internazionale per rimuovere dal potere Bashar al Assad". "Ritengo importante che Mosca consideri attentamente il suo sostegno al regime", ha aggiunto il capo della diplomazia Usa.

In una nota il Pentagono ha definito la risposta americana "proporzionata" rispetto all’odiosa azione di Assad contro la propria gente. Il raid è scattato quando in Siria erano le 4.40 del mattino. "Dalle prime indicazioni - si legge nella nota - emerge che è stato severamente danneggiato o distrutto un aereo nonché infrastrutture ed equipaggiamenti di supporto". Secondo i media siriani le vittime del raid sono 15, di cui nove civili.

Donald Trump, dunque, ha voluto lanciare un avvertimento : "Questa notte chiedo a tutte le nazioni civilizzate di unirsi a noi per far cessare questo bagno di sangue e questi massacri in Siria e per porre fine al terrorismo di ogni tipo". Parlando ai giornalisti dal suo resort di Mar-a-Lago, in Florida, dove stava ricevendo il presidente cinese Xi Jinping, Trump ha detto che il governo siriano "ha ignorato le sollecitazioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite". "È di vitale interesse per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti prevenire e scoraggiare la diffusione e l'uso di armi chimiche letali".

"La Siria e i suoi alleati risponderanno in maniera appropriata a quest'aggressione",  ha detto oggi Buthayna Shaaban, consigliere politico del presidente siriano Bashar al Assad, commentando l'attacco americano compiuto nella notte contro una base militare governativa nella Siria centrale. Intervistata dalla tv panaraba al Mayadin, vicina all'Iran, Shaaban ha assicurato che "il coordinamento tra Damasco e suoi alleati (la Russia e l'Iran) continua".

Il presidente Vladimir Putin ha accusato Washington di aver compiuto "un'aggressione contro uno Stato sovrano", che comprometterà le relazioni tra Usa e Russia. Mosca ha annunciato che rafforzerà le difese aeree di Damasco per proteggere le infrastrutture e ha sospeso l'intesa con gli Stati Uniti che garantisce la sicurezza dei voli durante le operazioni in Siria. Secondo il ministero della Difesa tuttavia, "solo 23" dei 59 missili hanno raggiunto la base di Shayrat, mentre gli altri 36 sarebbero caduti in un luogo "sconosciuto".

La Russia, che conferma di essere stata avvisata prima del raid, ritiene inoltre che l'attacco chimico sia stato solo "un pretesto" per l'operazione americana decisa in precedenza, e chiede una riunione urgente del Consiglio di Sicurezza dell'Onu.

"L'azione di questa notte come noto si è sviluppata nella base aerea da cui erano partiti gli attacchi con uso di armi chimiche nei giorni scorsi. Contro un crimine di guerra il cui responsabile è il regime di Assad". Lo dichiara il premier Paolo Gentiloni a Palazzo Chigi. Il premier ha puntualizzato che "gli Stati Uniti hanno definito la loro azione come puntuale e limitata e non come una tappa di una escalation militare".

Chi fa uso di armi chimiche non può contare su attenuanti e mistificazioni", ha detto ancora Gentiloni. "Credo che le immagini di sofferenza che abbiamo dovuto vedere nei giorni scorsi in seguito all'uso delle armi chimiche non possiamo pensare di rivederle".

"L'Italia è sempre stata convinta che una soluzione duratura per la Siria vada cercata nel negoziato. Era e resta la nostra posizione. Il negoziato deve comprendere tanto le forze di opposizione quanto il regime, sotto l'egida delle nazioni unite con ruolo decisivo e costruttivo della Russia". "C'è l'impegno comune perché l'Europa contribuisca alla ripresa dei negoziati in Siria". "Sono convinto che l'azione di questa notte non ostacoli ma acceleri la chance per il negoziato politico". "Con il presidente francese Hollande e la cancelliera Merkel abbiamo preso il comune impegno perché l'Europa contribuisca alla ripresa dei negoziati in Siria".

Intanto momenti di terrore in Svezia: a Stoccolma un camion è finito contro la folla in pieno centro. Ci sarebbero alcuni feriti. L'episodio è avvenuto in una delle principali strade commerciali di Stoccolma, secondo quanto riferisce la polizia citata dai media locali.

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