G 7: Taormina è una città chiusa e irreale
A 48 ore dall'arrivo di Donald Trump e degli altri grandi della terra, Taormina è una città chiusa e irreale: c'è un uomo armato ogni 10 metri, metal detector e scanner di ultima generazione, un laboratorio della Polizia scientifica in caso accadesse il peggio. Ma liberata dalle orde di turisti che ogni giorno in questa stagione sciamano nei vicoli tra negozietti e bouganville in fiore, la città è forse ancora più bella. Silenziosa e umana. Non si arriva, a Taormina, se non si ha il badge. Ci sono quelli per residenti, quelli per i tecnici e per militari, forze di polizia e 007, quelli per i giornalisti e i delegati. Ognuno con un colore diverso.
La macchina della sicurezza è scattata lunedì e da allora nessuno entra e nessuno esce senza passare i controlli. Che sono strutturati a cerchi concentrici. Il primo è a Giardini Naxos e all'uscita dell'autostrada Messina-Catania, check point con le autoblindo dell'esercito. Ma è solo un assaggio. Lungo i tornanti che dal mare si arrampicano fino alla città ci sono solo mezzi delle forze di polizia: sono gli unici che possono arrivare a porta Catania e porta Messina, le due porte da cui si accede alla zona di massima sicurezza. All'ingresso sono stati installati gli stessi metal detector e scanner che ci sono negli aeroporti, con un'aggiunta: un apparecchio che verifica che il badge al collo non sia falso. Le telecamere riprendono tutto e rilanciano ogni volto nel cuore del sistema, la sala operativa interforze allestita all'interno di Palazzo Duchi di Santo Stefano.
E dopo quello che e successo a Manchester e con circa 100 potenziali terroristi che risultano schedati e monitorati, a situazione diventa molto seria,anche perche il bacino di potenziali jihadisti è ben più ampio fra i 1000 e 2000 radicali islamici.
«Il profilo di chi potrebbe farsi saltare in aria è la giovane età, poco più che ventenne, non integrato e contiguo alla criminalità con piccoli reati dallo spaccio ai furti», spiega uno degli uomini in prima linea nell'arginare il terrorismo a casa nostra. A differenza del kamikaze libico di Manchester in Italia sono altri i paesi di origine delle potenziali minacce. «La maggioranza dei segnalati sono magrebini della Tunisia o del Marocco, ma non mancano i balcanici estremisti», spiega al Giornale una fonte dell'antiterrorismo. La cosiddetta «spirale balcanica» trova radici soprattutto nel Nord Est. Gran parte dei magrebini espulsi per «sicurezza nazionale» erano nascosti, al contrario, in Piemonte e Lombardia.
Secondo il quotidiano il giornale la minaccia più pericolosa è rappresentata dal «ritorno» dei veterani della guerra santa. Per la Siria e l'Iraq sono partiti dall'Italia in 113 ed almeno 20 sono stati uccisi. In gennaio erano rientrati in Europa appena 17, sei due quali presenti sul territorio nazionale. I servizi segnalano che «oltre a rappresentare un potenziale target di attacchi diretti, l'Italia potrebbe costituire un approdo o una via di fuga verso l'Europa per militanti del Califfato presenti in Libia o altre aree di crisi, una base per attività occulte di propaganda, proselitismo e approvvigionamento logistico, nonché una retrovia o un riparo anche temporaneo per soggetti coinvolti in azioni terroristiche in altri Paesi». E proprio sulla Libia è tornato ieri il ministro degli Interni Marco Minniti: «nell'attentato di Manchester è emerso un link diretto con la Libia: sono due questioni su cui abbiamo riflettuto e dobbiamo continuare a riflettere».
I numeri e la tipologia dell'islamico estremista, potenzialmente pericoloso, si possono dedurre dalle espulsioni che negli ultimi due anni sono arrivate a 176. Da gennaio sono 44, oltre due potenziali jihadisti a settimana. Uno degli ultimi, il 13 maggio è Sayed Yacoubi sodale del killer di Berlino Anis Amri. La parte del leone la fanno i marocchini che sono circa un terzo seguiti da una cinquantina di tunisini e poi algerini ed egiziani. I balcanici sono poco più di una ventina fra kossovari, albanesi e macedoni. Fra gli espulsi dal ministero dell'Interno figurano anche 13 imam. Cattivi maestri annidati in moschee fai da te ricavate in garage o appartamenti, che sarebbero un migliaio in tutta Italia. Solo in Lombardia sono 160 e altri 120 in Veneto. L'intelligence sottolinea che non bisogna «sottovalutare l'influenza negativa esercitata in alcuni centri di aggregazione da predicatori radicali () soprattutto nei confronti di giovani privi di adeguata formazione religiosa che potrebbero essere indotti a una visione conflittuale nei confronti dell'Occidente, foriera di derive violente».
Dietro le sbarre risultano 375 i radicalizzati o sospetti tali sotto osservazione. «Ma il problema è costituito dai 400-500 che sono stati scarcerati. Impossibile sorvegliarli tutti perché ci vogliono almeno quattro uomini al giorno ciascuno», spiega Marco Lombardi esperto di terrorismo jihadista dell'Università cattolica. «Un attentato come a Manchester può accadere in qualunque momento anche da noi - osserva il docente - ma la probabilità è bassa rispetto agli altri paesi. Noi non abbiamo ancora la terza generazione di possibili radicali».
Il rapporto dei servizi segreti per il parlamento relativo al 2016 conferma che «i principali profili di criticità appaiono riconducibili alla possibile attivazione di elementi radicalizzati in casa, dediti ad attività di auto-indottrinamento e addestramento su manuali on-line () e dichiaratamente intenzionati a raggiungere i territori del Califfato». L'intelligence lancia un allarme preciso: «Sempre più concreto si configura il rischio che alcuni di questi soggetti decidano di non partire a causa delle crescenti difficoltà a raggiungere il teatro siro-iracheno ovvero spinti in tal senso da motivatori con i quali sono in contatto sul web o tramite altri canali di comunicazione determinandosi in alternativa a compiere il jihad direttamente in territorio italiano». Il profilo di un Salman Abedi di casa nostra come avrebbe potuto diventare Abderrahim Moutaharrik, l'operaio-kickboxer arrestato lo scorso anno nell'operazione Terre vaste.