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Venerdì, 01 Novembre 2024

Trentaquattro miliardi di dollari. Una cifra da capogiro. È quanto vale il giro d'affari del traffico di esseri umani che, negli ultimi vent'anni, è costato la vita nel solo Mar Mediterraneo a 20 mila persone.

 

Col risultato che il Canale di Sicilia è sempre più affollato di persone che tentano di fuggire dall’ Africa o dal Medio Oriente per cercare una nuova vita in Europa. Stando alle fonti di intelligence, si muore di più sulla rotta libica che su quella tunisina, ma in ogni modo il mare è sempre più pericoloso e i trafficanti di esseri umani sempre più senza scrupoli.

 

"Bisogna dire a Salvini di smetterla di dire sciocchezze". Nel giorno dell'ennesima tragedia nel Canale di Sicilia, l'arcivescovo emerito di Torino Severino Poletto se la prende con Matteo Salvini.

"Non si può far morire in mare uomini, donne e bambini - tuona ai microfoni di Repubblica Tv - sono persone disperate, hanno bisogno della nostra solidarietà". Al cardinale non sono andate giù le parole del leader leghista che ha accusato il governo di avere le mani sporche di sangue e ha chiesto il blocco navale per fermare una volta per tutte gli sbarchi"Non si può voltarsi dall’altra parte - aggiunge al termine della Messa che ha dato inizio all’Ostensione della Sindone nel Duomo di Torino - le frasi di Salvini non sono compatibili con la cultura umana e cristiana".

L'attacco di Poletti non ha fatto piacere a Salvini, sia per l'acredine con cui è stato assalito sia perché l'arcivescovo di Torino non è intervenuto nel merito della polemica. "Caro il mio monsignor Poletto - replica il leader del Carroccio ai microfoni di Radio Padania - io sono un povero peccatore, ma invece di insultarmi mi indichi la retta via e ci spieghi cosa fare per evitare le stragi in mare e anche gli scontri nelle periferie come avviene nella sua Torino". Quindi, lo incalza: "Io non ho capito quale sia la ricetta di Poletto per risolvere il problema degli esodi di massa e della assistenza, per evitare l’ecatombe di uomini e donne e bambini - aggiunge il segretario federale della Lega - invece di insultarmi mi porti sulla retta via".

Per Salvini le parole del cardinale sono state davvero dure e immotivate: "Mi hanno riempito di tristezza e di sconforto". E lo sfida: "Dica quali piuttosto sono le soluzioni. Ma mi raccomando, che non siano quelle di qualche associazione o cooperativa che sui profughi e sugli immigrati ci campa...""Noi facciamo delle proposte e subiamo insulti e indegne accuse di razzismo - conclude Salvini - ma ci siamo abituati e continueremo la nostra battaglia che è condivisa dai cittadini".

Il segretario generale delle Nazioni unite Ban Ki-moon ha riconosciuto il "pesante impatto" sull'Italia per l'arrivo di tanti migranti ed è grato al governo italiano per tutti i suoi sforzi. Lo ha detto un portavoce Onu. Ban ha fatto appello alla comunita' internazionale perche' dimostri solidarita' e divida il peso di questa crisi. Ban osserva che il Mediterraneo e' diventata "la rotta più letale del mondo" per migranti e per chi cerca asilo. "La risposta della comunità internazionale deve essere globale e collettiva".

Contro gli scafisti è possibile un'operazione condivisa in Europa, ma mirata. Ci sono tutte le condizioni per farlo". Così il premier Matteo Renzi a Rtl. Renzi propone "interventi mirati sugli scafisti, persone che vanno affidate alla giustizia. L'Italia ne ha arrestati 976, possibile lo facciamo solo noi?". "Penso che il Consiglio europeo potrà tenere una posizione unanime e condivisa" sui temi della Libia e dell'immigrazione, ha detto il premier a Rtl raccontando di aver sentito ieri anche Angela Merkel e Alexis Tsipras, tra gli altri leader europei. Intanto :

Sono cominciate nel porto de La Valletta le operazioni di sbarco dalla nave Gregoretti della Guardia Costiera dei 24 cadaveri recuperati in seguito al naufragio avvenuto ieri davanti alle coste libiche. Nell'ospedale Mater Dei saranno eseguiti gli esami autoptici. A bordo dell'unità italiana è salito anche il personale medico per valutare le condizioni dei 27 superstiti, che si trovano sotto coperta. Non appena saranno ultimate le operazioni, che potrebbero richiedere alcune ore, la nave Gregoretti dovrebbe ripartire per il porto di Catania, dove ieri è stato trasferito in elicottero uno dei sopravvissuti in gravi condizioni.

 

Non c'è fine all'orrore nel canale di Sicilia. Non c'è fine alla cattiveria dell'uomo. La strage di Lampedusa doveva segnare il punto di non ritorno; il "mai più" che papa Francesco, proprio da quell'isola bella e dannata, lanciò al mondo. E invece è arrivata la strage definitiva: perché è come se in mezzo al Mediterraneo fossero caduti, tutti insieme e nello stesso punto, almeno 6 aerei. Perché di fronte a 700-900 morti, che si vanno ad aggiungere ai 950 dall'inizio dell'anno, qualsiasi parola che non sia 'basta' suona vuota e inutile. E allora bisognerebbe ascoltarle davvero le parole di chi sopravvive all'orrore :

"Eravamo in 950. C'erano anche duecento donne e 50 bambini con noi. In molti erano chiusi nella stiva". Sono morti come topi in gabbia. Sono andati giù, in fondo al mare, senza neanche poter provare a salvarsi, ad aggrapparsi ad un pezzo di legno, al braccio di qualcuno. Sono morti senza poter lanciare un ultimo, disperato, urlo.

Almeno secondo il racconto alle agenzie di stampa del comandante del mercantile portoghese King Jacob che per primo è stato dirottato nella zona. "Stavamo navigando nella loro direzione - ha detto l'uomo ai nostri soccorritori - Appena ci hanno visto si sono agitati e il barcone si è capovolto. La nave non lo ha urtato, si è rovesciato prima che potessimo avvicinarci e calare le scialuppe".

In quei momenti era già tutto compiuto. Chi ha potuto, chi era sul ponte, ha gridato, ha tentato di aggrapparsi a qualcosa.
qualsiasi cosa. Ma in molti non hanno neanche capito quel che stava accadendo. Chi era nella stiva ha sentito solo il rumore sinistro del legno marcio che si frantuma e ha visto l'acqua entrare tutto assieme, fredda e assassina. E poi il silenzio della morte. "C'è soltanto nafta e detriti, pezzi di legno che vanno alla deriva e qualche salvagente. Non troviamo più nulla dalle 10 di questa mattina" racconta uno di quelli che da 20 ore sta disperatamente cercando di salvare qualcuno.

In zona sono stati dirottati anche diversi pescherecci. In uno di questi c'era il comandante Giuseppe Margiotta. "Ci hanno chiamato dalla centrale operativa e ci hanno chiesto di mollare la pesca e di andare a salvare delle persone. E noi come sempre, non ci siamo tirati indietro. Ma di vivi non ne abbiamo visti.
Abbiamo trovato quattro cadaveri e abbiamo atteso le autorità che arrivassero per prenderli". Ma forse qualcun altro vivo c'è ancora. "Non se ne trovano più vivi - dice il comandante alle agenzie di stampa- sono andati tutti sotto. Magari c'è ancora qualcuno aggrappato a qualcosa, ma quanto vuoi che resista".
Quando arriva il buio ti devi fermare per forza, non puoi più cercare. "Ogni volta speri. Speri di salvarne almeno uno - ti dice uno di quelli che nel canale di Sicilia a salvare migranti ci sta da dieci anni - E quando dopo venti ore che guardi il mare hai gli occhi che ti bruciano e non sei riuscito a vederne neanche uno, puoi soltanto piangere. Lo sai che sono tutti in fondo al mare, anche se non ci vuoi credere". E' vero, non ti ci abitui mai. A metà mattina hanno recuperato un ragazzino, avrà avuto tra i 10 e i 15 anni al massimo. Era a faccia in giù, in mezzo ad una chiazza di nafta. Lo hanno preso con quanta più delicatezza fosse possibile. Per concedergli almeno un ultimo istante di dignità.

Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), nel 2014 sono stati 219 mila i rifugiati e i clandestini che hanno solcato il Mediterraneo per raggiungere le coste del Vecchio Continente. Più o meno nello stesso periodo (da ottobre 2013 al novembre 2014), durante l’operazione Mare Nostrum, ci sono state circa 3.500 vittime. Dall’inizio del 2015, sempre dati Unhcr, sono già circa 31.500 le persone che hanno intrapreso traversate marittime per raggiungere Italia e Grecia, rispettivamente il primo e il secondo principale paese di arrivo, e i numeri stanno crescendo ulteriormente. Sulle coste italiane, secondo dati del Ministero dell’Interno, da gennaio 2015 sono sbarcati 23.556 immigrati. Erano stati 20.800 nello stesso periodo del 2014. Una crescita del 30%, che a fine anno potrebbe tradursi in un aumento di circa 200 mila persone sbarcate sulle coste italiane. Aumenta anche il numero di chi non ce la fa: con il tragico naufragio avvenuto oggi in acque libiche, che avrebbe provocato la morte di circa 700 persone, sale a oltre 1.600 il bilancio dei morti stimati dall’inizio dell’anno. Due giorni fa, infatti, l’Unhcr stimava in 950 i morti da gennaio, ai quali vanno aggiunti gli oltre 700 che sabato notte sarebbero finiti in mare dopo che il loro barcone si è capovolto. Ma per fortuna c’è anche chi sopravvive a questi viaggi pericolosi: secondo la Guardia Costiera italiana, solo dal 10 aprile sono state salvate più di 8.500 persone.

 

Il Veneto è pieno. Noi, di clandestini, non ne vogliamo più. E sono certo che questa non sia solo l'opinione della Lega ma della grandissima maggioranza dei Veneti. Considerato però che il governo dell'invasione Renzi- Alfano se ne frega dei cittadini perbene e continua impunemente con l'assurda politica dell'accoglienza a tutti i costi lancio una provocazione: il criterio di ripartizione dei clandestini avvenga in proporzione agli elettori del Pd nelle varie regioni. E' una mera e semplice questione democratica, i votanti del Pd e del Ncd saranno sicuramente più disponibili ad accoglierli. In Veneto invece, con il governatore Luca Zaia e la Lega Nord  gli ostacoli all'invasione saranno tanti e molto duri". dichiara il senatore della Lega Nord Paolo Tosato.

Oltre 8.500 migranti soccorsi nel fine settimana, quasi tremila sono sbarcati questa mattina tra la Sicilia, la Calabria e Lampedusa, dove il centro di accoglienza è al collasso con 1.400 migranti ma per 300 di loro è già previsto un trasferimento con un ponte aereo a fronte di una capienza di 250 posti.

E con i sopravvissuti arrivano i racconti dell'orrore.Secondo le agenzie di stampa : "Nei pressi di Tripoli abbiamo vissuto per quattro mesi in una fabbrica di sardine - ha raccontato un diciassettenne - Eravamo più di mille persone. Mangiavamo una sola volta al giorno e non potevamo fare nulla. Se qualcuno parlava con un amico o un vicino, veniva picchiato. Tutto questo per estorcere altri soldi. Ti facevano chiamare a casa, dicendo che stavi per morire e nel frattempo ti picchiavano, così i tuoi familiari sentivano le tue urla".

Secondo altri sopravvissuti sbarcati a Reggio Calabria, degli oltre 20 barconi partiti in questo fine settimana, uno avrebbe fatto naufragio. A bordo ci sarebbero state 400 persone, tra cui molti giovani. Ma secondo la Guardia Costiera, le ricerche condotte incessantemente "in un vasto tratto di mare non ha portato all'individuazione e al recupero di altri superstiti".

Solo due mesi fa era la motovedetta della Guardia Costiera, ieri un rimorchiatore privato e una nave di Frontex, l'agenzia europea per il controllo delle frontiere: per la seconda volta dall'inizio dell'anno le imbarcazioni impegnate nei soccorsi alle migliaia di disperati che ogni giorno tentano di raggiungere l'Europa, sono state attaccate a colpi d'arma da fuoco. L'ennesimo segnale che conferma come la situazione sulla sponda sud del Mediterraneo sia ormai degenerata e che va ad aggiungersi ad un altro inequivocabile, la ripresa delle partenze di massa: oltre 8.500 in meno di 72 ore.

"La Commissione Ue è pronta a fare la sua parte per sostenere ed assistere l'Italia e gli altri Stati membri più colpiti, che hanno necessità urgenti", così il commissario Ue all'Immigrazione Dimitris Avramopoulos, dopo gli arrivi di migliaia di migranti negli ultimi giorni. "Di recente abbiamo offerto supporto finanziario d'emergenza ad alcuni Stati membri - evidenzia il commissario - e siamo pronti a farlo ancora, in futuro, se sarà necessario". Arrivate dunque 8.500 persone in 72 ore. Senza contare quelli che sono morti e che vanno a ingrossare le file dei senza nome finiti in fondo al mare: 400 secondo il racconto dei testimoni sbarcati in Calabria. L'attacco ai soccorritori è avvenuto ieri a circa 60 miglia dalle coste libiche, durante il trasbordo dei migranti tra la nave della marina islandese Tyr, inserita nel dispositivo Frontex, e il rimorchiatore italiano Asso 21. Da un "barchino veloce" - che secondo altre testimonianze, e alcune foto, sarebbe invece una motovedetta libica - sono partiti "vari colpi di arma da fuoco" in aria, per recuperare il barcone su cui avevano viaggiato.

"Questo è un segnale che i trafficanti in Libia stanno finendo le barche", afferma ai giornalisti il direttore esecutivo di Frontex Fabrice Leggeri. Il "natante" si è poi diretto verso terra ed è stato monitorato per un tratto da nave Bergamini della Marina militare italiana che ha ripristinato "la cornice di sicurezza". Il Bergamini, sottolinea la Difesa, ha poi proseguito nell'attività di pattugliamento "non riscontrando le condizioni per dare seguito ad ulteriori azioni, mentre il barchino veloce entrava nelle vicine acque territoriali libiche. Sulla vicenda sono in corso ulteriori accertamenti per chiarire tutte le dinamiche".

E un altro racconto dell'orrore arriva da Pozzallo, dove oggi sono sbarcati 110 migranti soccorsi ieri e arrestato uno scafista. Secondo l agenzie di stampa : Sul barcone con loro c'era un migrante che è morto durante la traversata dopo aver respirato i vapori del gasolio: alcuni avrebbero proposto di gettarlo in mare per far allontanare gli squali che giravano attorno al barcone. "L'abbiamo visto accasciarsi - hanno detto agli agenti i migranti - ha vomitato e poi è caduto giù al centro della barca; credevamo si riprendesse ma così non è stato. Qualcuno lo voleva gettare ma i nigeriani non hanno voluto hanno detto che lui viaggiava con noi". Ma "ad un certo punto - conclude il testimone - ho visto che lo gettavano in acqua credo per il poco spazio o perché stava arrivando la barca che ci ha soccorsi".

Siamo pronti a tutto. La circolare di Alfano è un crimine e noi faremo qualunque cosa - occupazioni comprese - per opporci all'ennesimo atto di razzismo nei confronti dei cittadini italiani ”. Lo dichiara Gian Marco Centinaio presidente dei senatori leghisti. 
Lo faremo sapere a tutti, denunceremo ai cittadini questo scempio e li coinvolgeremo. Questa è una battaglia trasversale, la gente perbene è al limite. Il governo Renzi- Alfano lascia pensionati, disoccupati e lavoratori italiani alla fame e continua a mantenere impunemente clandestini e a foraggiare la lobby che campa sul business dell'immigrazione. E' una vergogna, stanno sovvertendo l'ordine e lo stato sociale a discapito di chi ha costruito mattone su mattone questo paese ma - conclude Centinaio - noi li fermeremo ".

Una strage: tre morti, due feriti e una quarta persona uccisa, sembra, da un malore. Una pistola che ha inspiegabilmente varcato i metal detector - tutti funzionanti secondo le ultime indiscrezioni ...

Terrore a Palazzo di Giustizia di Milano dove l'imputato di un processo per bancarotta fraudolenta, l'immobiliarista Claudio Giardiello, 57 anni, ha ucciso a colpi di pistola il giudice Ferdinando Ciampi, Giorgio Erba suo coimputato nel processo sul fallimento dell' Immobiliare Magenta di cui Giardiello era socio di maggioranza e il suo ex avvocato, Lorenzo Alberto Claris Appiani. Il 57enne ha sparato dentro un'aula del terzo piano, nel corso del processo in cui si discuteva del fallimento. Poi è sceso di un piano, ha cercato l'ufficio del giudice Ciampi anche lui doveva testimoniare nel processo, e lo ha ammazzato sul colpo.

Al bilancio delle vittime si aggiungerebbe anche una quarta persona che è stata trovata morta sulle scale del tribunale, ma senza segni di violenza: è probabile - questa è la prima ricostruzione - che sia morta per malore.

Nel 'mirino' del killer ci sarebbe stato anche il pubblico ministero Luigi Orsi che si trovava nell'aula della strage a rappresentare l'accusa. Secondo alcuni testimoni, infatti Giardiello avrebbe rivolto l'arma anche contro di lui senza però riuscire a colpirlo. Il magistrato è rimasto illeso.

Nato 57 anni fa a Benevento esattamente il 6 marzo Claudio Giardiello,  è residente in Brianza, dove lavora nel settore dell'edilizia. L'uomo - che soci ed ex soci chiamavano il conte Tacchia  - aveva avuto diverse società e vari guai finanziari. Negli ultimi tempi poi si trovava in gravissime difficoltà finanziarie, sfociate in diverse cause giudiziarie.

''Ci siamo asserragliati nell'aula, appena sentiti gli spari'', racconta l'avvocato Roberto Faletti, che era in udienza in un'aula accanto a quella dove l'omicida ha sparato. ''I carabinieri ci hanno detto di restare chiusi nell'aula e di non muoverci - ha aggiunto - eravamo in sette, compresi il giudice e il pm''

"Non so nulla ma certo dovrebbe essere impossibile entrare in un Tribunale e sparare. Ho saputo dell'uccisione di un collega, una cosa che mi sconvolge". Così il presidente Anac Raffaele Cantone commenta quanto successo a Milano alle agenzie stampa, uscendo da una riunione a Palazzo Chigi.

Gli inquirenti stanno cercando di capire come l'uomo sia riuscito a entrare in tribunale armato senza essere bloccato dai controlli con i metal detector. In un primo momento un dipendente del tribunale aveva detto che il metal detector dell'ingresso di via Freguglia era rotto, ma poi fonti del palazzo hanno smentito la notizia, affermando che l'apparecchio era stato revisionato pochi giorni fa.

Un'alta delle spiegazioni possibili è che l'uomo possa essere passato insieme al suo legale dalla parte d'ingresso riservata agli avvocati e a cui si accede semplicemente mostrando il tesserino dell'ordine forense. Sulla questione sicurezza è intervenuto anche il Ministro della Giustizia A.Orlando : "Verificheremo se ci sono state falle".

Secondo una prima ricostruzione, Giardiello era seduto tra i banchi del pubblico. Era in corso il contro esame di un testimone da parte del pm quando è scoppiato un litigio in aula. A quel punto ha estratto la pistola e ha sparato uccidendo Lorenzo Alberto Claris Appiani, suo ex avvocato, ora testimone nel processo per il fallimento Magenta. Sempre in aula ha ferito altre due persone in maniera gravissima: Davide Limongelli socio di Giardiello nella società e Stefano Verna, commercialista e altro testimone del processo. Dopo aver sparato, almeno quattro o cinque colpi, è sceso di un piano, ha raggiunto l'ufficio di Fernando Ciampi, giudice fallimentare e ha di nuovo sparato, uccidendo il magistrato sul colpo.

"Ero in una stanza vicino a quella del giudice - ha raccontato un testimone, un avvocato che si trovava vicino all'ufficio di Ciampi - ho sentito gli spari e poi ho sentito una persona correre. Sono entrato nella stanza del giudice, c'erano le cancelliere che piangevano e l'ho visto sdraiato dietro la sua scrivania. Non c'erano tracce di sangue ma gli ho sentito il polso ed era già morto".

'E' una persona sopra le righe, ingestibile come cliente perché non ascoltava mai i consigli. Era uno che pensava che tutti lo volessero fregare, era paranoide''. E' la descrizione al agenzie di stampa dall'avvocato Valerio Maraniello di Claudio Giardiello, il killer che era era imputato per bancarotta. L'avvocato Maraniello ha spiegato di avere difeso Giardiello fino ad un paio di anni fa e poi di avere lasciato il mandato proprio perché era un cliente 'difficile'.

Dopo essere rimasto nascosto nel tribunale per più di un'ora, Giardiello è riuscito a uscire e a fuggire in moto. La fuga è durata per circa trenta minuti, poi il fuggiasco è stato arrestato a Vimercate, paese dell'hinterland che si trova circa a 30 chilometri dal luogo della strage. Era in un centro commerciale. Dopo essere stato portato nella sede della compagnia dei carabinieri del paese per essere sentito dove è arrivato anche il comandante generale dell'Arma, Tullio Del Sette, Giardiello ha avuto un malore ed è stato portato via da un'ambulanza scortata da due pattuglie dei carabinieri.

Papa Francesco

Papa Francesco ha celebrato nella basilica vaticana la messa per il centenario del "martirio" (Metz Yeghern) armeno, durante la quale proclama "Dottore della Chiesa" San Gregorio di Narek. La Messa è concelebrata da Nerses Bedros XIX Tarmouni, patriarca di Cilicia degli Armeni Cattolici, alla presenza di Karekin II, Supremo Patriarca e Catholicos di Tutti gli Armeni, e di Aram I, Catholicos della Grande Casa di Cilicia. E' presente alla messa il presidente della Repubblica di Armenia, Serzj Sargsyan.

"La nostra umanità ha vissuto nel secolo scorso tre grandi tragedie inaudite: la prima, che generalmente viene considerata come il primo genocidio del XX secolo , ha colpito il vostro popolo armeno, prima nazione cristiana". Papa Francesco cita la dichiarazione comune fatta da Papa Giovanni Paolo II e Karekin II , Catholicos della Chiesa armena,il 27 settembre 2001, a proposito del massacro di un milione e mezzo di cristiani armeni, di cui ricorre quest'anno il centesimo anniversario.

Una posizione, quella della Santa Sede, che il governo di Ankara giudica "lontana dalla realtà storica" definendo "inaccettabili" le parole del Pontefice.

Quella tragedia, ha detto papa Francesco all'inizio della messa in San Pietro a 100 anni dal "martirio", ha colpito il popolo armeno "insieme ai siri cattolici e ortodossi, agli assiri, ai caldei e ai greci". "Furono uccisi vescovi, sacerdoti, religiosi, donne, uomini, anziani e persino bambini e malati indifesi", ha ricordato. "Le altre due" del secolo scorso "furono quelle perpetrate dal nazismo e dallo stalinismo - ha aggiunto - E più recentemente altri stermini di massa, come quelli in Cambogia, in Ruanda, in Burundi, in Bosnia. Eppure sembra che l'umanità non riesca a cessare di versare sangue innocente".

Bergoglio ha insistito sulla necessità di ricordare le vittime: "Ricordarle è necessario, anzi, doveroso - ha aggiunto - perché laddove non sussiste la memoria significa che il male tiene ancora aperta la ferita; nascondere o negare il male è come lasciare che una ferita continui a sanguinare senza medicarla!".

Ma il Papa non ha dimenticato, anche oggi, di citare le persecuzioni subìte dai cristiani: "Purtroppo ancora oggi sentiamo il grido soffocato e trascurato di tanti nostri fratelli e sorelle inermi, che a causa della loro fede in Cristo o della loro appartenenza etnica vengono pubblicamente e atrocemente uccisi - decapitati, crocifissi, bruciati vivi - oppure costretti ad abbandonare la loro terra.

Anche oggi stiamo vivendo una sorta di genocidio causato dall'indifferenza generale e collettiva, dal silenzio complice di Caino che esclama: 'A me che importa?'; 'Sono forse io il custode di mio fratello?'"

La Turchia è indegna di entrare in Europa, altro che ritirare ambasciatori! Ora scrivo a Renzi e ai presidenti di Commissione e Parlamento europeo per chiedere di chiudere il negoziato per l'entrata della Turchia in Europa": lo ha detto Matteo Salvini. "Grazie a Papa Francesco - ha aggiunto - che ha avuto coraggio di dire la verità sul genocidio armeno".

Esattamente un secolo fa, nel 1915, cominciavano nell'impero ottomano i massacri e le deportazioni della popolazione armena, che in tre anni avrebbero provocato 1,3 milioni di vittime, secondo gli armeni, ma anche secondo la generalità degli storici, tra 250.000 e 500.000 secondo le autorità turche. Il Papa lo ha definito oggi il primo genocidio moderno.

Nella capitale dell'Armenia, Erevan, e in altri Paesi il genocidio viene ricordato ogni anno il 24 aprile, anniversario dell'arresto di migliaia di leader della comunità sospettati di sentimenti ostili nei confronti del governo di Costantinopoli, dominato dal partito ultra nazionalista dei Giovani Turchi, che volevano creare uno stato nazionale turco.

Indeboliti dalla sconfitta nella guerra dei Balcani, nel febbraio 1914 gli ottomani, su pressione dei paesi occidentali, si impegnarono ad avviare riforme per tutelare le minoranze etniche e religiose. Ma, nell'ottobre dello stesso anno, entrarono nella prima guerra mondiale, a fianco della Germania e dell'impero austro-ungarico. Poche settimane dopo gli arresti di massa dei leader armeni, nel maggio 1915 una legge speciale autorizzo' le deportazioni ''per motivi di sicurezza interna'' di tutti i ''gruppi sospetti''.

La popolazione armena di Anatolia e di Cilicia, additata come ''il nemico interno'', fu deportata verso i deserti della Mesopotamia. Durante l'esodo forzato molti morirono di stenti e malattie o furono uccisi da guerrieri curdi al servizio degli ottomani. Altri morirono nei campi dove furono confinati. Altri riuscirono a fuggire in Occidente. L'operazione di 'pulizia etnica' aveva un doppio obiettivo: occupare le terre appartenenti agli armeni, situate tra la Turchia e il Caucaso, e togliere alla minoranza cristiana qualsiasi illusione su eventuali riforme. Nel 1920, dopo la dura sconfitta nella prima guerra mondiale, l'impero ottomano fu smantellato. Nel maggio 1918 era stato istituito uno Stato armeno, inglobato nell'Unione sovietica.

La Turchia non riconosce il termine di ''genocidio'', ma ammette che furono commessi massacri e che molti armeni persero la vita durante le deportazioni. Secondo Ankara si tratto' di repressione contro una popolazione che collaborava con la Russia zarista durante la prima guerra mondiale.

Il genocidio armeno fu riconosciuto, nel 1985, dalla sottocommissione dei diritti umani dell'Onu, e nel 1987 dal Parlamento europeo. I Paesi che riconoscono il genocidio sono 20, tra cui l'Italia, dopo una risoluzione votata dalla Camera nel novembre 2000. Il medesimo passo è stato fatto nel 2001 dalla Francia, dove vive la comunita' armena piu' numerosa (350.000 persone). E poi anche, oltre all'Armenia, Russia, Svizzera, Finlandia, Svezia, Slovacchia, Grecia, Paesi Bassi, Polonia, Lituania, Cipro, Canada, Venezuela, Argentina, Cile, Uruguay, Vaticano, Libano. Oggi nel mondo vivono 8 milioni e mezzo di armeni, soprattutto in Russia, Stati Uniti, Canada, Medio Oriente e Francia. L'anno scorso, alla vigilia del 99mo anniversario del genocidio, il presidente turco (allora premier) Recep Tayyip Erdogan aveva fatto le condoglianze ai nipoti di coloro erano stati sterminati. Una mossa interpretata da alcuni analisti come un tentativo di evitare la forte condanna della comunità internazionale per la linea negazionista di Ankara. Condoglianze tuttavia accolte con freddezza dalla comunità armena, tanto che il presidente Serzh Sarksyan, nel messaggio commemorativo del genocidio, non aveva fatto nemmeno un accenno alle parole di Erdogan. Charles Aznavour, artista simbolo della diaspora armena, aveva parlato di un gesto insufficiente...intanto

Dopo le parole di Papa Francesco sul genocidio armeno. L'ambasciata di Turchia presso la Santa Sede sostiene in una nota che parlare di genocidio degli armeni è "una calunnia". "Il genocidio - prosegue - è un concetto giuridico le rivendicazioni non soddisfano i requisiti di legge, anche se si cerca di spiegarle sulla base di una diffusa convinzione, restano calunnie". 

Papa Francesco, prosegue la nota dell'ambasciata, "nella sua dichiarazione si riferisce ai tragici eventi che hanno avuto luogo in Bosnia e in Ruanda come 'omicidi di massa', che sono riconosciuti come genocidi dai tribunali internazionali competenti. Egli, tuttavia, chiama gli eventi del 1915 un 'genocidio' nonostante l'assenza di tale sentenza del tribunale competente. Questo è significativo. Non è possibile spiegare questa contraddizione con i concetti di giustizia e di coscienza". Durante la messa per gli armeni celebrata ieri da papa Francesco "la storia è stata strumentalizzata per fini politici".

La Turchia continua a negare che quello del 1915-16 sia stato un genocidio e combatte una guerra diplomatica permanente per cercare di impedire che venga riconosciuto all'estero da un numero crescente di stati. Dopo il richiamo dell'ambasciatore presso la Santa Sede, la Turchia non esclude nuove misure contro il Vaticano dopo che Papa Francesco ha parlato di "genocidio armeno" ha detto il ministro degli esteri Mevlut Cavusoglu.

Una risposta indiretta è arrivata stamattina dallo stesso Papa, durante la messa a Santa Marta:  "Il cammino della Chiesa è quello della franchezza: dire le cose, con libertà". Francesco ha spiegato che per i cristiani, come sperimentarono gli Apostoli dopo la Risurrezione di Gesù, non ci sono alternative a dire anche le verità scomode: "lo Spirito Santo - ha detto - è capace di cambiare il nostro atteggiamento, la storia della nostra vita e darci coraggio".

Ma la Turchia è piccata. "Le misure che verranno prese saranno rese pubbliche dopo una nostra consultazione" ha detto Cavusoglu dalla Mongolia, dove si trova in visita ufficiale, secondo quanto riferisce il sito del quotidiano Hurriyet. "Sfortunatamente la storia è stata fatta strumento della politica. Prima di qualunque altra cosa una uomo religioso avrebbe dovuto dare un messaggio di fratellanza, pace e tolleranza di fronte alla recente avanzata di razzismo, discriminazione, xenofobia e intolleranza" ha detto il ministro, secondo il quale quello di "genocidio" è un concetto legale. Per Cavusoglu "le dichiarazioni religiose non devono alimentare il risentimento e l'odio con asserzioni prive di fondamento".

"Avendo sottolineato il suo desiderio di promuovere la pace e l'amicizia tra i diversi gruppi nel mondo dal giorno in cui è stato eletto al pontificato, papa Francesco ha fatto oggi una discriminazione tra le sofferenze sottolineando solo quelle dei cristiani e in particolare degli armeni. Con un punto di vista selettivo, ha ignorato le tragedie che hanno toccato i turchi e i musulmani che hanno perso le loro vite nella prima guerra mondiale", si legge nella nota pubblicata dal ministero guidato da Cavusoglu. "Nel corso della santa messa, la storia è stata strumentalizzata per fini politici, è inaccettabile".

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, non è intervenuto personalmente, né si prevedono ulteriori interventi della santa sede: "Nello storico messaggio del 23 aprile 2014, ha sottolineato che 'nel mondo odierno, trarre inimicizia dalla storia e creare nuovo antagonismo non è né accettabile né utile per la costruzione di un futuro comune'. Il premier turco, Ahmet Davutoglu, ha definito le parole di Francesco "inappropriate" e "faziose": "Leggere quelle vicende dolorose in modo fazioso è inappropriato per il Papa e per l'autorità che rappresenta", ha detto.

Gli Stati Uniti e le maggiori potenze mondiali hanno raggiunto l'accordo con l'Iran: "Un'intesa storica", che "se pienamente applicata" impedirà a Teheran di ottenere l'arma nucleare, ha esultato Barack Obama.

"Israele chiede che ogni accordo finale con l'Iran includa un chiaro e non ambiguo riconoscimento del diritto di Israele di esistere". Lo ha detto il premier Benyamin Netanyahu riportato dal suo portavoce Mark Regev in un twee

Il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu ha convocato per oggi, secondo i media, il gabinetto di sicurezza per discutere l'accordo tra Iran e le potenze del 5+1.

Netanyahu ha espresso al presidente americano Barack Obama la sua "forte opposizione" all'accordo quadro sul nucleare iraniano. In una conversazione telefonica con Obama, Netanyahu ha detto che un accordo finale sulla base di questo accordo "potrebbe minacciare la sopravvivenza di Israele". Secondo il premier israeliano, l'accordo legittimerebbe il programma nucleare iraniano e aumenterebbe "aggressione e terrore" iraniani.

Ha esultato Barack Obama. che però ha anche avvertito: "Il lavoro non è finito", l'accordo finale "non è ancora stato firmato". Per quello, si dovrà aspettare fino al 30 giugno. Ieri però è stata comunque raggiunta una fondamentale intesa quadro, che stabilisce la tabella di marcia verso il documento finale. Sono state stabilite le "soluzioni chiave per un accordo a 360 gradi, che garantirà la natura esclusivamente pacifica del programma nucleare iraniano", come ha sottolineato l'Alto rappresentante per la politica estera dell'Unione Europea, Federica Mogherini, annunciando al mondo l'intesa raggiunta nella maratona negoziale di Losanna: "Un passo storico - ha affermato - verso un mondo migliore". Anche il presidente iraniano Hassan Rohani ha espresso soddisfazione. Sono stati fissati "i parametri chiave" per il programma nucleare iraniano. La stesura del documento che deve sancire l'accordo definitivo "entro il 30 giugno" inizierà "immediatamente", ha 'cinguettato' su twitter. "I parametri chiave", secondo il comunicato congiunto, prevedono la revoca di tutte le sanzioni all'Iran in cambio del rispetto degli impegni assunti da Teheran. Il documento stabilisce che non ci siano altre strutture di arricchimento dell'uranio oltre a Natanz (si parla di 5.000 centrifughe) e una joint venture internazionale per le strutture di reattori di acqua pesante. L'impianto-bunker di Fordow sarà convertito in un sito per la ricerca scientifica e non ci sarà all'interno più materiale fissile. Il reattore ad acqua pesante di Arak sarà modificato e il plutonio prodotto sarà trasferito all'estero. L'Iran non arricchirà uranio con le sue moderne centrifughe per almeno i prossimi dieci anni, ha poi puntualizzato Obama, aggiungendo che in base all'accordo Teheran ha accettato di non accumulare materiale necessario per la costruzione della bomba atomica e di ridurre di due terzi le centrifughe di cui dispone.

Gli impianti iraniani sanno sottoposti al più alto numero di ispezioni di qualsiasi altro Paese al mondo. Secondo quanto riferisce il New York Times, alcune importanti questioni rimangono ancora sul tappeto, ma comunque la dichiarazione congiunta è sorprendentemente dettagliata e rappresenta un robusto strumento per andare avanti. Ed è anche uno strumento necessario per Obama, che ora deve affrontare l'opposizione di numerosi parlamentari del Congresso, sia repubblicani che democratici, oltre che quella di diversi Paesi alleati, a cominciare da Israele e Arabia Saudita. E anche se si tratta di un risultato ancora provvisorio, rappresenta comunque già una notevole vittoria diplomatica per Obama, che nei suoi anni alla Casa Bianca ha anche ottenuto il ripristino delle relazioni con la Birmania e con Cuba e ha a investito molto sull'apertura a Teheran, come aveva annunciato sin dai tempi della campagna elettorale, nel 2008. Per arrivare al risultato, la strada è stata piena di ostacoli, e il negoziato si è giocato sin dall'inizio sul filo del rasoio dai sette Paesi coinvolti (Usa, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna, Germania e Iran). Lunedì sera, alla vigilia della scadenza dei termini previsti per trovare l'accordo quadro, il presidente ha dato personalmente indicazioni al segretario di Stato John Kerry di "ignorare la scadenza", secondo quanto ha riferito il New York Times, per portare la tattica di Teheran allo scoperto. In pratica, aveva spiegato Kerry al presidente, gli iraniani stavano "utilizzando la scadenza contro di noi per vedere se cediamo terreno", secondo quanto ha detto al giornale una fonte vicina ai negoziati. Secondo fonti del Wall Street Journal, la decisione di non puntare i piedi sulla scadenza è stata però presa anche per mettere in chiaro che la responsabilità di un eventuale fallimento sarebbe stata da attribuire all'Iran. E questo, hanno spiegato le fonti, perché se gli Usa fossero stati accusati di aver causato il naufragio del negoziato, sarebbe stato poi difficile "conservare l'unità internazionale attorno all'applicazione delle sanzioni" a Teheran. Gli ostacoli maggiori verso l'intesa finale sono però ora stati rimossi, ed è per questo che Obama può parlare di "storica intesa".

ntervistato da Europe 1, il capo della diplomazia di Parigi ha ammesso che il calendario delle sanzioni "resta un punto complicato". "Gli iraniani - spiega Fabius - vogliono l'immediata cessazione delle sanzioni. Noi abbiamo risposto: le sanzioni saranno rimosse con il vostro rispetto degli accordi e in caso di violazioni si ritornerà alla situazione precedente. E su questo, le posizioni sono rimaste le stesse, non c'è accordo. E non sarà facile raggiungerlo". Il russo Riabkov, citato dall'agenzia Interfax, ha premesso che "per quanto si possa essere fieri di quanto è stato fatto, resta ancora molto da chiarire". E subito dopo ha fatto appello per una "immediata" cessazione delle "sanzioni occidentali" contro l'Iran.

D'altronde, sul nucleare la Russia ha ben altro rapporto con gli ayatollah. Nello scorso novembre, Mosca e Teheran si sono accordate per la costruzione di due nuovi reattori nucleari alla centrale di Bushehr (sulla costa del Golfo Persico, consegnata ufficialmente dai russi agli iraniani nel settembre 2013), oltre ad aver firmato un protocollo di accordo per la realizzazione di quattro reattori in un altro sito non ancora indicato da Teheran. E ieri, subito dopo l'annuncio di Mogherini e Zarif, il ministero degli Esteri del Cremlino aveva salutato in una nota "il riconoscimento del diritto dell'Iran a un nucleare ad uso civile", un principio, sottolineava il documento, "elaborato dal presidente Putin".

"Israele chiede che ogni accordo finale con l'Iran includa un chiaro e non ambiguo riconoscimento del diritto di Israele di esistere". Lo ha detto il premier Benyamin Netanyahu riportato dal suo portavoce Mark Regev in un tweet. ''L'accordo non ferma un singolo impianto nucleare in Iran, non distrugge una sola centrifuga e non fermera' lo sviluppo e la ricerca sulle centrifughe avanzate'': cosi' il premier Benyamin Netanyahu ha motivato il rifiuto dell'accordo tra 5+1 e Iran. ''Al contrario - ha aggiunto - legittima l'illegale programma nucleare''.

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