Walesa, l'uomo della speranza
Dopo mesi di annunci, ritardi e smentite finalmente è arrivato anche in Italia l'ultimo – attesissimo – lavoro del regista polacco, autentica leggenda vivente in Patria, Andrzej Wajda (già universalmente noto, oltre che per L'uomo di ferro (1981) e Danton (1983), soprattutto per Katyn (2007), nomination all'Oscar come miglior film straniero nel 2007) su Lech Walesa, il fondatore del sindacato Solidarność – il primo indipendente oltre-Cortina – nonché Presidente della Repubblica (1990-1995) della Polonia libera all'indomani della caduta del comunismo. La pellicola, tradotta in italiano come Walesa, l'uomo della speranza (Walesa. Czlowiek z nadziei) e girata nel 2013, della durata di 127 minuti e distribuita dalla Nomad Film, è pure entrata già nel guinness dei primati perchè è uno dei pochi film mai realizzati che parlano di uomini politici di primo piano della storia recente mentre i soggetti di cui si tratta sono ancora vivi e in piena attività (oggi Walesa, che peraltro ha visto e apprezzato il film, ha 71 anni). La produzione è interamente polacca e anche gli attori (a parte la nostra Maria Rosaria Omaggio, qui nelle vesti della giornalista Oriana Fallaci (1929-2006)) sono stati scelti da Wajda tutti in loco. Il risultato è un film decisamente 'europeo', dai ritmi lenti e, a tratti, tipicamente slavo, che rifugge dagli spettacolarismi gratuiti di Hollywood come dai kolossal, a cui comunque era stato accostato sulle prime da alcuni critici, trattandosi della narrazione delle gesta e di una vicenda eroica di popolo che forse non ha eguali nel periodo recente (in quale altro Paese comunista un sindacato di opposizione al governo poteva contare su 10.000.000 [dicesi milioni] di iscritti?).
La trama, in breve, è presto detta: Oriana Fallaci (allora inviata speciale del settimanale L'Europeo) nel 1982 si reca a Varsavia per intervistare il capo carismatico di quel sindacato che sta inaspettatamente dando del filo da torcere al regime, Lech Walesa (interpretato da Robert Wieckiewicz), un 'semplice' elettricista di appena ventinove anni ma già con la stoffa, e l'oratoria, di un navigato leader politico (il testo dell'intervista è oggi integralmente riprodotto in O. Fallaci, Intervista con il Potere, Rizzoli, Milano 2009, Pp. 630). L'incontro avviene nel periodo più drammatico della lotta di liberazione polacca, tra la diffusione a macchia d'olio degli scioperi in tutto il Paese e l'introduzione della legge marziale decretata dall'allora segretario del Partito Operaio Unificato Polacco (come si chiamava ufficialmente il partito comunista) Wojciech Jaruzelski (1923-2014). I vivaci dialoghi tra i due (se la Fallaci era già nota per aver affrontato a viso aperto l'ayatollah Ruhollah Khomeini (1902-1989) rifiutandosi di portare il velo, il giovane Walesa non era certo uno che calcolava abitualmente le parole) vengono così inframezzati dalle crude immagini (di repertorio e cinematografiche) di quanto accadeva in quei mesi nelle strade di Danzica, Lodz, Poznan e la stessa Varsavia. Si vede così - e anche solo per questo il film meriterebbe la visione - come la versione polacca del socialismo reale non fu affatto 'dolce', più 'soft' o tendenzialmente 'moderata' come ancora ultimamente taluni storici hanno invece sostenuto quasi a voler dire che quello non era poi davvero un Paese comunista. Nelle manifestazioni di piazza di allora non furono pochi i semplici operai, studenti o padri di famiglia che vennero inseguiti, torturati e massacrati dalla milizia del regime. Anche il martirio efferato di padre Jerzy Popieluszko (1947-1984), il cappellano di Solidarność, riscopritore delle “Messe per la Patria” che - attraverso il rilancio clandestino di Radio Free Europe - divennero celebri poi a Occidente per l'ingente risveglio di fede popolare che riuscirono a generare, non fu che uno dei tanti in un periodo obiettivamente terrificante nell'Europa Orientale della seconda metà del Novecento.
In un contesto del genere, poi, non potevano mancare ovviamente i riferimenti ai viaggi di Papa Giovanni Paolo II, a partire dal primo - 'storico' - svoltosi dal 2 al 10 giugno 1979, che determinò un entusiasmo di massa oltre ogni aspettativa. Come osservò qualche giornalista: “Bastava vedere la marea umana che seguì, contro le disposizioni esplicite delle autorità, passo dopo passo il pellegrinaggio di Wojtyla nel suo Paese per capire che il regime avrebbe avuto i giorni contati”. E tuttavia non fu affatto così facile proprio perchè la presa di Mosca - e dei servizi di spionaggio sovietici - era quantomai forte e il braccio di ferro, sfiorando la guerra civile, durò ancora a lungo: addirittura dieci anni, fino al 1989 appunto, quando fu la stessa Polonia a inaugurare la stagione della primavera della libertà oltre-Cortina. Il film, peraltro, racconta tutta la vicenda a partire dalla prospettiva personale di Walesa e dalla sua famiglia, privilegiando un punto di vista quindi privato e non pubblico. La maggior parte delle scene (a parte il confronto con la Fallaci) sono in effetti girate proprio a casa-Walesa e ritraggono con semplicità fotografica la difficile vita quotidiana della moglie e dei numerosi figli del capo di Solidarność. Si badi, non si tratta però qui di un tocco d'intimismo poetico del regista, ma di un altro tassello 'dimenticato' della storia del Paese: a ritirare il premio Nobel per la pace nel 1983 dovette andare infatti proprio la moglie di Walesa, Danuta, perchè il marito si trovava agli arresti domiciliari e si temevano rappresaglie durissime, come l'espulsione immediata dalla Polonia (già imposta peraltro al resto del direttivo di Solidarność, spedito a Bruxelles). D'altra parte, la lente d'ingrandimento sul Walesa-privato permette anche di cogliere degli aspetti di dettaglio, e di ambiente, legati alla tradizione spirituale e religiosa polacca che altrimenti difficilmente verrebbero fuori in una rivisitazione meramente politica. Il film termina con la rimessa in libertà di Walesa, la legalizzazione di Solidarność e quindi l'alba dei fatti del 1989, fino al successivo viaggio a Washington, negli USA, dove venne ricevuto dalle Camere riunite del Congresso che gli tributarono minuti di applausi ininterrotti (presidente in carica per la cronaca era George Bush Sr., che gli conferì la “Medaglia della Libertà”, la più alta onoreficenza civile). Il resto, come si suol dire, è cronaca politica di questi giorni e, soprattutto a Varsavia – dove l'eredità morale di Walesa è ancora molto contesa – piuttosto sentita. Per quel che qui più interessa, però, cioè la coltivazione della buona memoria storica e dell'identità dell'Europa, il film di Wajda ci pare che passi ottimamente l'esame e, con i recenti Katyn e Le vite degli altri, vada a scrivere un'altra pagina importante su quello che è stato per davvero il costo umano, civile, morale e religioso del comunismo realizzato (anche e soprattutto quello meno denunciato come tale ex post) non venti secoli fa ma appena venti o trent'anni fa.