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Venerdì, 01 Novembre 2024

Nel suo primo atteso discorso al Congresso sullo stato dell'Unione il presidente Donald Trump è andato dritto al sodo: servono soldi. E ai parlamentari ha snocciolato le cifre, chiedendo di approvare un piano di investimenti in infrastrutture da 1.000 miliardi di dollari. "L'America ha speso circa 6.000 miliardi di dollari in Medio Oriente e tutto questo mentre le nostre infrastrutture si sbriciolavano. 

"Alzeremo i salari, aiuteremo i disoccupati, risparmieremo miliardi di dollari, oltre a rendere le nostre comunita' piu' sicure per tutti". Ha lanciato poi l'appello per una riforma delle tasse "epocale" che contempli "enormi tagli" per la classe media e le aziende, e per una nuova riforma sanitaria: "Dobbiamo salvare gli americani da questo disastro dell'Obama care che sta implodendo". Trump ha ribadito quindi la volonta' di incrementare cospicuamente le risorse per la difesa: "Per mantenere l'America sicura dobbiamo fornire agli uomini e alle donne del nostro esercito tutti i mezzi necessari per prevenire le guerre. E, se necessario, per combattere e vincere". "Un nuovo capitolo della grandezza dell'America sta iniziando", ha concluso il presidente americano. Promosso da gran parte degli osservatori alla sua prima vera prova davanti al Congresso.

Era apparso subito chiaro come i toni del presidente americano sarebbero stati meno animosi del solito. Anche se l'imminente inizio della costruzione del muro col Messico è stata ribadita con forza. Il suo disocorso è stato pero' forse il primo davvero rivolto alla nazione intera, e non solo ai suoi fedelissimi sostenitori. Persino l'ostile Washington Post parla di un intervento 'sorprendentemente presidenziale', dove è sparita quella visione cupa che ha caratterizzato la campagna elettorale del tycoon e il suo primo mese alla Casa Bianca.

Lo scenario dell' 'American carnage' evocato nel giorno dell'insediamento è stato sostituito da una visione piu' ottimistica del futuro. Visione in cui addirittura ha trovato spazio uno degli slogan iconici di Barack Obama: 'hope'. "Dobbiamo avere il coraggio di esprimere le nostre speranze. E sperare - ha affermato Trump - che queste speranze e i nostri sogni si trasformino in azioni". "Da ora in poi l'America sara' guidata dalle nostre aspirazioni, non oppressa dalle nostre paure", ha insistito il presidente americano, che ha strappato numerose standing ovation da parte repubblicana, cancellando la freddezza di deputati e senatori democratici che per la gran parte del discorso erano rimasti seduti mettondo in pratica una sorta di sciopero degli appausi.

"Stiamo prendendo misure forti per proteggere il nostro Paese dal terrorismo radicale islamico. Non e' compassione ma incoscienza permettere un ingresso incontrollato da luoghi dove non esistono controlli adeguati". Vedi quanto accduto e acced in Europa. Cosi' Donald Trump, nel suo primo intevento davanti al Congresso, aveva annunciato il nuovo bando. Tendendo pero' la mano al Congresso e lanciando un appello all'unita', anche per realizzare una riforma dell'immigrazione condivisa. 

"Non permetteremo che gli Stati Uniti diventino un santuario per gli estremisti", ha ribadito Trump. Anche se la seconda versione del divieto sugli ingressi - secondo le indiscrezioni - sara' molto piu' limitata rispetto a quella bocciata dai giudici: non dovrebbe riguardare i visti esistenti, i residenti permanenti e le green card. E non dovrebbe piu' coinvolgere l'Iraq, riducendo a sei i Paesi a maggioranza musulmana interessati.

In quasi tutto il suo discorso Trump - come ha riconociuto lo stesso Washington Post, da sempre ostile nei suoi confronti - è stato decisamente presidenziale. Ha dimostrato di sentire la responsabilità dell'incarico che ricopre e ha invitato tutti a superare i rancori della campagna elettorale. Qualcuno si è chiesto: qual è il vero Trump? Questo che invita l'America a riconciliarsi e a marciare unita, verso obiettivi comuni, o quello che fino a ieri sembrava voler andare avanti come un carro armato, infischiandosene delle divisioni?

Un commentatore politico della Cnn, notoriamente anti-Trump, ha commentato in questo modo il discorso di Trump: "Ci sono molte persone che hanno ottimi motivi per avercela con lui e per temerlo. Ma questo è stato uno dei momenti più straordinari nella storia della politica americana, punto. E ha fatto qualcosa di straordinario. Chi spera che Trump diventi pian piano più presidenziale, unificante, dovrebbe essere felice. Chi spera che resti questa specie di macchietta, cosa che trova sempre il modo di fare, dovrebbe essere preoccupato: perché con questa cosa che gli avete visto fare, se trova un modo di farla ancora e ancora, lo vedremo in giro per otto anni. Ci sono molte cose nel suo discorso che sono state false o sbagliate, a cui mi oppongo e mi opporrò. Ma stasera ha fatto anche qualcosa che non può essergli tolto: è diventato il presidente degli Stati Uniti".

Lui sembra voler archiviare, almeno per un tratto, le polemiche, e schiacciando il pedale sul sentimento nazionale, strizza l'occhio a tutti gli americani: "Tutte le nazioni del mondo, amici o nemici, capiranno che l'America è forte, l'America è orgogliosa, l'America è libera". Ed ha inneggiato "all'inizio di un nuovo capitolo della grandezza americana", a "un nuovo orgoglio nazionale che sta conquistando il Paese" e a "un'ondata di ottimismo che sta mettendo alla nostra portata sogni impossibili". "D'ora in avanti - ha aggiunto - l'America sarà guidata dalle nostre aspirazioni, non oppressa dalle nostre paure. Dobbiamo avere il coraggio di esprimere le nostre speranze. E sperare che queste speranze e i nostri sogni si trasformino in azioni". Paradossalmente questo passaggio a molti ha ricordato Obama. Quello della speranza e del cambiamento. Trump ha capito che può essere utile fare leva sulle stesse corde.

Perché quello che ha parlato al Congresso, nel suo primo discorso sullo stato dell'Unione, è un presidente molto più pacato e moderato del solito, che rivolge appelli all’unità, a perseguire uno scopo comune, a "trasformare la speranza in azione", rinnovando lo spirito dell’America. Toni nuovi, dunque, tracciando un’agenda ambiziosa all’insegna dell’ottimismo.

"Il tempo delle battaglie futili è alle nostre spalle - osserva -. Il tempo del pensare in piccolo è finito. Da questo momento in poi l’America sarà spinta dalle nostre aspirazioni e non bloccata dalle nostre paure. Sono qui per un messaggio di forza e unità che arriva dal profondo del mio cuore", ha detto Trump, iniziando con il condannare le minacce e gli atti di vandalismo contro i centri ebraici. Ha dunque promesso una riforma fiscale "storica", chiedendo investimenti per 1.000 miliardi di dollari per le infrastrutture e garantendo la costruzione "di un grande grande muro" al confine con il Messico. Ha assicurato infine che "l’esercito avrà tutti i mezzi per prevenire nuove guerre" e che saranno costruite nuove alleanze internazionali, fermo restando il sostegno "forte" alla Nato.

Con 6.000 miliardi di dollari avremmo potuto ricostruire il Paese". Il presidente ha chiesto sia ai repubblicani che ai democratici di sostenere la sua proposta. Una mossa, questa, che dimostra come Trump abbia capito che per incidere profondamente è necessario il più ampio consenso possibile da parte del Congresso. E per farlo si rivolge quindi a entrambi gli schieramenti.

"Credo che una riforma dell'immigrazione vera e positiva sia possibile se ci concentriamo sui seguenti obiettivi: aumentare i posti di lavoro e i salari degli americani, rafforzare la nostra sicurezza nazionale e ripristinare il rispetto delle nostre leggi". Trump ha proposto una riforma basata sul merito, puntando quindi sulle qualifiche professionali degli immigrati: "Se adottiamo un sistema basato sul merito - ha insistito - ne trarremo molto beneficio, saremo in grado di risparmiare tantissimi soldi, di aumentare le retribuzioni e di aiutare le famiglie in difficoltà, comprese quelle degli immigrati". Ttrump ha poi ribadito che sarà presto costruito "un grande grande muro" al confine con il Messico, che contribuirà a fermare il traffico di "droga e il crimine".

Il presidente ha negato di essere un protezionista : "Sono un forte sostenitore del libero scambio", ma l'accordo commerciale Nafta con Messico e Canada ci ha fatto perdere "il 25% dell'occupazione nell'industria". Trump ha così ribadito la necessità di rivedere gli accordi commerciali per non danneggiare ulteriormente le aziende americane.

C'era molta attesa su quanto avrebbe detto sulla riforma sanitaria. Trump ha spedito la palla ai parlamentari, indicando la strada: "Chiedo al Congresso di cancellare e rimpiazzare l'Obama care con riforme che incrementino le scelte, abbassino i costi e al contempo forniscano una migliore sanità migliore". E ancora una volta ha invitato "repubblicani e democratici a lavorare insieme per salvare gli americani dalla disastrosa Obama care che sta implodendo".

In un passaggio del proprio intervento Trump ha assicurato il massimo sforzo per risolvere una volta per tutte il problema Isis: "Come promesso ho chiesto al dipartimento della Difesa di definire un piano che distrugga l'Isis, una rete di selvaggi senza legge che ha assassinato musulmani e cristiani, uomini, donne e bambini di ogni fede e credo". Il presidente ha assicurato che gli Usa lavoreranno con i propri alleati, "compresi gli amici e gli alleati del mondo musulmano, per eliminare questo vile nemico dal nostro pianeta".

Trump ribadisce la volontà di aumentare in modo cospicuo le risorse per la Difesa: "Per mantenere l’America sicura dobbiamo fornire agli uomini e alle donne del nostro esercito tutti i mezzi necessari per prevenire le guerre. E, se necessario, per combattere e vincere". Poi un passaggio sulla Nato. "La sosteniamo con forza", ma "i nostri partner devono rispettare i loro obblighi finanziari". Con una punta d'orgoglio Trump sottolinea come "dopo una discussione franca molti alleati abbiano cominciato a pagare: "I soldi stanno cominciando ad arrivare", ha detto riferendosi all'impegno pari al 2% del Pil richiesto dagli Usa.

Dopo un lungo periodo di silenzio, dentro e fuori gli schieramenti, impegnati in una guerra di proposte per fronteggiare l'indigenza e creare una rete di sostegno per coloro che sono stati esclusi dal mondo del lavoro. Un tema che si fa ancora più caldo nella settimana che vedrà approdare in Aula a palazzo Madama la legge delega sul contrasto alla povertà.

Dal “piano Marshall per le famiglie” al “lavoro di cittadinanza” ecco le proposte in campo e i costi per la loro realizzazione.

Il principio di fondo è che “Nessuno deve rimanere indietro”. Il che per i grillini si traduce nell’introduzione del reddito di cittadinanza per tutti quelli che vivono al di sotto della soglia di rischio povertà. La proposta presentata nel 2013, prevede aiuti “per un valore pari ai 6/10 del reddito medio equivalente familiare (15mila euro nel 2013), quantificato per la persona singola nell'anno 2014 in euro 9.360 annui e euro 780 mensili”, sostiene il Movimento 5 Stelle.

Il beneficio medio “è pari a 12.175 euro l'anno per le famiglie molto povere con meno del 20 per cento della linea di povertà e decresce all'aumentare del reddito fino a circa 2.500 euro per le famiglie con redditi compresi fra il 60 e l'80 per cento della linea di povertà”

Il ‘nuovo welfare' di Forza Italia punta alle fasce più deboli, ma Silvio Berlusconi parla di un aiuto ai nuclei familiari anziché alle singole persone. Da qui la definizione “Piano Marshall per le famiglie”. Attraverso lo strumento dell'Isee, ovvero l'indicatore della situazione economica, si punta - spiegano fonti parlamentari di FI - a individuare una soglia di povertà sotto la quale non è possibile andare e ad integrare il reddito di chi lavora all'interno del nucleo familiare con un assegno di 'sopravvivenza'. Per quelle famiglie che non hanno alcuna fonte di reddito è previsto un assegno e un intervento con un percorso guidato per arrivare a una occupazione. Le risorse arrivano da:

  • una riduzione delle tasse
  • una crescita dei consumi e del lavoro

·         Allo studio anche "la Negative Income Tax - o imposta negativa sul reddito - ideata dall'economista liberista Milton Friedman, che consiste in un sistema progressivo di tassazione nel quale ha redditi sotto una ceta soglia riceve una somma supplementare dallo Stato invece di pagare", si legge su il Giornale. 

Il piano, che sarà messo a punto nelle prossime settimane, costerebbe circa 10 miliardi. 

Negli ultimi mesi il capogruppo di Forza Italia alla Camera Renato Brunetta ha illustrato una proposta di legge che garantisca lavoro per tre mesi a tutti coloro che lo richiedano. E un’indennità di disoccupazione per altri tre mesi.

Il costo preventivato si aggirera sui 10 miliardi di euro annui.

Cosi dal cilindro della sua campagna elettorale l ex Premier Renzi permanente ha tirato fuori tre proposte il cui costo complessivo potrebbe aggirarsi tra i 20 e i 25 miliardi di euro. Si tratta del «lavoro di cittadinanza», della «protezione sociale» e del vecchio piano di taglio dell'Irpef.

Uno stipendio fisso senza un lavoro? Una negazione del primo articolo della Costituzione e un attacco alla dignità. Ne è convinto l’ex premier Matteo Renzi secondo cui “garantire uno stipendio a tutti non risponde all'articolo 1 della nostra Costituzione che parla di lavoro non di stipendio. Il lavoro non è solo stipendio, ma anche dignità. Il reddito di cittadinanza nega il primo articolo della nostra Costituzione”, ha dichiarato al Messaggero al ritorno dal suo viaggio in California. La controproposta di Renzi - che sembra ricalcare quella di Brunetta - è il “lavoro di cittadinanza” per governare l’innovazione:  “fermare la tecnologia è assurdo, ma è tempo di affrontare i costi della perdita di impiego. Dobbiamo rivoluzionare il nostro welfare e la risposta non è una rendita universale ma il lavoro di cittadinanza”. L’ex premier dovrebbe svelare i dettagli del suo piano all'incontro sul programma dem previsto per il 10 marzo a Torino. 

 

Il primo progetto è stato definito una «rivoluzione del welfare». In pratica, è una controproposta al reddito di cittadinanza dei grillini con una differenza. L'obiettivo M5S è erogare una sorta di indennità di sussistenza di 780 euro mensili a coloro che sono sotto la soglia di povertà e viene revocato dopo il rifiuto di tre proposte di lavoro. Il costo stimato è di 15 miliardi. Il «lavoro di cittadinanza», invece, non si sa ancora cosa sia ma l'ha sperimentato Nichi Vendola nella sua ultima fase di governo della Puglia: cercare di ricollocare all'interno delle pubbliche amministrazioni o del terzo settore che svolge servizi per conto della pa coloro che percepiscono sussidi di disoccupazione così da garantire un reddito minimo di 500 euro mensili a coloro che svolgono queste mansioni. In Italia a fine dicembre i disoccupati, secondo l'Istat, erano 3,1 milioni. Garantire loro almeno 6mila euro l'anno tramite un'occupazione pubblica o parapubblica costerebbe come minimo 18,6 miliardi.

 

Il secondo punto è la «protezione sociale», un omologo della protezione civile che dovrebbe occuparsi dell'assistenza degli esclusi dal mondo del lavoro. Un decreto attuativo del ddl povertà (varato sotto il governo Renzi e concluso da Gentiloni) prevedrà la distribuzione di una card da 400 euro mensili a 1,7 milioni di famiglie a basso reddito di giovani con figli minori e di ultra 55ennni che hanno erso il lavoro. Costo stimato circa 2 miliardi da recuperare tramite la webtax sul fatturato dei colossi digitali. Quando la propose Enrico Letta, Renzi la bocciò. Oggi torna utile. Il catalogo si arricchisce, poi, con una vecchia promessa ribadita ieri sera a Che tempo che fa. «Stiamo lavorando al piano del taglio dell'Irpef per i prossimi cinque anni», ha dichiarato. Tanto per ricordare: una lieve smussatura dell'imposta vale già 3,5 miliardi.

Di tutte queste ipotesi, per ora campate per aria, il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, non ha tempo per occuparsi. La sua insofferenza, denunciata dal quotidiano il Giornale, qualche giorno fa comincia a ingigantirsi visto che le proposte di manovra correttiva fondate su incremento delle accise tabacchi e/o benzina sono state fermate dallo stesso Renzi. Mentre lo split payment, cioè l'inversione dei versamenti Iva, sebbene efficace potrebbe non avere l'ok dell'Europa che non si accontenterebbe nemmeno di una generica lotta all'evasione. Certo, il titolare del dicastero di Via XX Settembre smentisce seccamente l'intenzione di gettare la spugna, ma l'irritazione è molto forte. «In tre anni mai avute procedure di infrazione europea. Sono convinto che non ci sarà una infrazione, è giusto che Padoan abbia tutte le rassicurazioni ma l'Europa dovrebbe avere un'anima», ha detto ieri sera Renzi per svelenire il clima dando la colpa, ancora una volta, all'Europa.

E secondo quanto emerge dalla ricerca condotta in collaborazione con Swg rileva, il 77% degli italiani il 64% degli europei ritiene che l'appartenenza all'Ue non abbia portato alcun vantaggio particolare. Una bocciatura su tutta la linea. Certo, nel rapporto si legge anche che per il 57% degli italiani e per il 53% degli europei fuori dall'Ue si starebbe peggio, ma non sono certo percentuali di cui andare fieri. Il 57% è la maggioranza, certo. Ma non è sinonimo di amore tra cittadini e istituzioni Ue.

I cittadini europei, e in particolare gli italiani, sono infatti largamente insoddisfatti dell'Unione europea e chiedono che Bruxelles cambi passo su temi chiave come la gestione dell'immigrazione, lo sviluppo dell'occupazione e la lotta al terrorismo. Lo rileva l'indagine demoscopica illustrata alla Camera in occasione del quarto "Strategy council Deloitte", dedicato al tema "Unione europea oggi: ancora un'opportunità?"

 

 

 

 

La sua candidatura era nell'aria da giorni e verrà formalizzata oggi alle 18 in un circolo romano. La decisone di Orlando di candidarsi a segretario del partito va in questa direzione. Renderà il confronto congressuale più vero e articolato. Una necessità per tutti, compreso Renzi. Orlando, pur giovane, ha una lunga esperienza di lavoro nei territori, di direzione politica nazionale, amministrativa e di governo. E' colto, sobrio ma deciso e coraggioso. Sembra a me la persona più adatta per guidare il Pd".

Andrea Orlando che si candida alle primarie del Pd, non certo per fare da terzo incomodo tra Renzi e Emiliano. «Punto a riassorbire la scissione», il suo obiettivo che è quasi un programma. «Si annunciano primarie tra due grillismi, quello di Matteo e quello di Michele, e Orlando tenterà di giocare la carta della razionalità e della politica», spiegano i suoi. E' tutto il vecchio mondo ex diessino, quello che interessa al Guardasigilli  ...Ho deciso di candidarmi perché credo e non mi rassegno al fatto che la politica debba diventare solo prepotenza»   ha detto il ministro della Giustizia Andrea Orlando a margine di una iniziativa a Ostia, confermando così che correrà per la segreteria al prossimo congresso del Pd.                 

Tra le fila del nuovo soggetto che mira a "riaggregare il centrosinistra non-renziano" con un'ispirazione ulivista da sinistra di governo, ci sarà Vasco Errani. L'ex presidente dell'Emilia Romagna, da sempre vicino a Bersani, non smentisce le voci che lo danno in avvicinamento al nuovo soggetto ma rinvia alla sede politica: l'appuntamento in programma sabato a Ravenna nel suo circolo Pd. Sui territori, spiegano gli ex Dem, sono più complicate le scelte: il percorso si annuncia più lungo e laborioso. In Toscana, fanno notare i renziani, seguiranno Enrico Rossi solo uno o due consiglieri regionali. Mentre in Emilia Romagna esce dal Pd Silvia Prodi, nipote del Professore.

Quanto a Errani, da Palazzo Chigi già fanno sapere che non verrà meno perciò alla stima e alla collaborazione quotidiana sul tema della ricostruzione post-terremoto, di cui l'ex presidente regionale è commissario. Così come, affermano da entrambe le parti, continuerà la collaborazione in Parlamento e anche sui territori per le amministrative. Ma da subito, soprattutto al Senato, la dialettica tra Pd e sinistra minaccia di farsi accesa: su temi come scuola e voucher i bersaniani, che con la loro pattuglia compatta di 12 senatori saranno determinanti per la maggioranza, annunciano battaglia. E, liberi dal vincolo di appartenenza al Pd, saranno con la Cgil nella campagna referendaria.

la prossima settimana un'assemblea potrebbe nominare il coordinamento del nuovo soggetto politico della sinistra. Poi a marzo si dovrebbe svolgere un evento pubblico nazionale. Il 'cantiere' dei bersaniani lavora infatti a pieno ritmo per dare da subito un segnale e indicare il percorso sia a quanti sui territori sono tentati dall'uscita dal Pd, sia al pezzo di sinistra, da Pisapia a Vendola, che dall'esterno osserva dove porterà la scissione. Ma la scelta non è facile, tanto che all'indomani dello strappo dal Pd, tra i deputati si registrano dubbi e ripensamenti: Andrea Giorgis, che era accreditato come possibile capogruppo, decide per ora di restare nel Pd. Alla fine, sussurrano i Dem, non saranno più di 15 ad andare via. Solo propaganda, ostentano tranquillità i bersaniani: "Adesioni oltre le aspettative", dice Nico Stumpo.

"Ho deciso di candidarmi perché credo e non mi rassegno al fatto che la politica debba diventare solo prepotenza". Lo ha detto il ministro della Giustizia Andrea Orlando a margine di una iniziativa a Ostia.

"Ho deciso di candidarmi - ha evidenziato - perché credo che ci voglia responsabilità e credo che il Pd debba cambiare profondamente per poter essere utile davvero all'Italia e ai problemi degli italiani, che in questo momento stanno vivendo momenti difficili".

"Dobbiamo avere cinquanta sfumature di Pd, non di rosso. Dentro il Pd ci deve essere anche il rosso, ma noi dobbiamo rifare il Pd che abbiamo sognato dieci anni fa e dobbiamo lavorare per evitare che la politica diventi soltanto risse, conflitti e scontri tra personalità. Ma torni a essere grande e bella occasione di vivere insieme e lavorare per la trasformazione dell’Italia", ha risposto il ministro della Giustizia, pochi minuti dopo l’annuncio della sua candidatura alla segreteria del Pd, a chi gli chiede se nel partito democratico ci siano cinquanta sfumature di rosso.


"Ci saranno tanti con me e vedremo come organizzarci". Il ministro delle Giustizia ha poi spiegato le ragioni della sua candidatura: "Non mi rassegno al fatto che la politica debba diventare solo prepotenza. Sono deciso a vincere, mi candido per vincere. Ho deciso di candidarmi perché credo che ci voglia responsabilità, ho deciso di candidarmi perché credo che il partito democratico debba cambiare profondamente per poter essere utile davvero all’Italia e ai problemi degli italiani, che in questo momento stanno vivendo momenti molto difficili".

Intanto Renzi sta in California studiando il rapporto tra popoli e populisti? Se, da entrambi i lati dell'Oceano, una quota crescente di cittadini ha la sensazione di aver perso il controllo della propria vita e della comunità nella quale vive, la risposta non può essere un'alzata di spalle. I nuovi nazionalisti, loro, una soluzione ce l'hanno: chiudere le frontiere, interrompere gli scambi, rigettare il diverso. Insomma tornare indietro. Mostrare che l'alternativa è la società aperta, inclusiva, tollerante dove non si rinuncia all'identità, alla cultura, alla tradizione ma forti dei propri valori ci si apre al dialogo e al confronto". Cosi' Matteo Renzi sul suo blog raccontando la seconda giornata in California tra un incontro con Tim Cook e una visita a Stanfort. 

"Su questi temi - sostiene Renzi - dovrebbe confrontarsi una forza che vuole ambire a cambiare l'Italia e l'Europa, non certo sulla data di un congresso o sulla simpatia del leader di turno. E di questo parleremo nelle prossime settimane".

Ancora allarme terrorismo in Italia e in Europa. A sottolinearlo sono stati gli stessi Servizi in una Relazione al Parlamento: "L’esposizione dell’Europa alla minaccia terroristica è testimoniata non solo dalla serie di attentati messi a segno nell’ultimo anno, ma anche dalle numerose pianificazioni sventate o fallite, con arresti anche di donne e adolescenti, dall’aumento delle segnalazioni concernenti progettualità offensive da perpetrare in territorio europeo, nonchè da valutazioni di intelligence che fanno ipotizzare ulteriori, cruente campagne terroristiche in corrispondenza con gli arretramenti militari del Califfato".

E' "sempre più concreto" il rischio che alcuni soggetti "radicalizzati in casa" decidano di non partire verso Siria ed Iraq determinandosi "a compiere il jihad direttamente in territorio italiano". Lo segnala la relazione annuale dell'intelligence inviata oggi in Parlamento, che parla di "pronunciata esposizione dell'Italia alle sfide rappresentate dal terrorismo jihadista".

"L'Italia deve difendersi e difendere la propria sovranità. Non è nessuna concessione a strane idee di voler riportare in Ue dinamiche conflittuali nei singoli paesi, noi crediamo nell'Europa ma difendiamo tuttavia i nostri interessi tecnologici e strategici", ha detto ancora il premier alla presentazione, a Palazzo Chigi, della Relazione annuale sulla politica dell'informazione per la sicurezza, a cura del Dis.

Alle minacce alla sicurezza "non si risponde chiudendosi ma accettando la sfida. Più sicurezza non vuol dire meno libertà", dice il premier Paolo Gentiloni, presentando con il direttore del Dis Pansa la relazione annuale sull'intelligence. "I cittadini italiani possono essere certi, non della mancanza di minacce perché sarebbe un'illusione ma della la qualità molto alta di chi lavora per contrastarle".

La relazione annuale sulla politica dell'informazione per la sicurezza "racconta pur tra mille contraddizioni la capacità che c'è stata di conoscere, prevenire e contrastare sfide e minacce di vario tipo anche relativamente nuove per noi. E' motivo di soddisfazione", ha detto Gentiloni.

Intanto "ha continuato a destare attenzione il fenomeno della radicalizzazione all’interno degli istituti carcerari italiani, testimoniato anche dall’esultanza manifestata da diversi detenuti dopo gli attentati di Bruxelles e Nizza, indice di un risentimento potenzialmente in grado di tradursi in propositi ostili alla fine del periodo di reclusione. Nel contempo, è parsa da non sottovalutare l’influenza negativa esercitata in alcuni centri di aggregazione da predicatori radicali o da altri personaggi dotati di una certa autorevolezza all’interno della comunità, soprattutto nei confronti di giovani privi di adeguata formazione religiosa che potrebbero essere indotti a una visione conflittuale nei confronti dell’Occidente, foriera di derive violente". 

Tra gli aspetti emergenti della pubblicistica jihadista si evidenzia "una certa evoluzione nelle strategie mediatiche. La fase espansiva dell’organizzazione di al Baghdadi si era accompagnata alla moltiplicazione e alla diversificazione di canali, prodotti e strumenti mediatici, anche con il decentramento verso strutture locali, sia realizzando pubblicazioni in più lingue, sia dedicando intere linee di produzione ad un modulo linguistico specifico, con insistiti riferimenti al Califfato quale terra ideale per vivere e costruire il proprio nucleo familiare. Alle prime, importanti sconfitte sul campo siro-iracheno è parso corrispondere un ridimensionamento quali-quantitativo dell’apparato mediatico". 

Poi il mirino si sposta sul nostro Paese e sul Vaticano: "Nei confronti dell’Italia, è proseguita nel corso dell’anno la pressante campagna intimidatoria della pubblicistica jihadista caratterizzata da immagini allusive che ritraggono importanti monumenti nazionali e figure di grande rilievo, tra cui il Pontefice". Per gli analisti, "i principali profili di criticità appaiono ancora riconducibili alla possibile attivazione di elementi ’radicalizzati in casa, dediti ad attività di auto-indottrinamento e addestramento su manuali on-line, impegnati in attività di proselitismo a favore di Daesh e dichiaratamente intenzionati a raggiungere i territori del Califfato". Al riguardo, "sempre più concreto si configura il rischio che alcuni di questi soggetti decidano di non partire - a causa delle crescenti difficoltà a raggiungere il teatro siro-iracheno ovvero spinti in tal senso da ’motivatorì con i quali sono in contatto sul web o tramite altri canali di comunicazione - determinandosi in alternativa a compiere il jihad direttamente in territorio italiano".

Maria Giulia 'Fatima' Sergio, la prima foreign fighter italiana andata in Siria nel 2014, era "fortemente determinata a dare il proprio contributo all' attuazione delle azioni terroristiche, ed anzi era desiderosa di compierle in prima persona" e il suo "scopo" era "contribuire alla crescita ed al rafforzamento" dell'Isis "anche attraverso l' arruolamento" dei familiari che, se non fossero riusciti a raggiungerla, avrebbero dovuto fare "il jihad in Italia". Lo si legge nelle motivazioni della condanna a 9 anni.

Lo scopo di Maria Giulia Sergio era quello di contribuire alla crescita dello Stato islamico", dice il tribunale, secondo cui la ragazza era disposta a raggiungere il suo obiettivo anche attraverso "l'arruolamento dei propri conoscenti" e "il coinvolgimento dei propri familiari nell'organizzazione del viaggio" per raggiungere il Califfato o in alternativa a "fare il jihad in Italia".

Dal quadro descritto nelle motivazione della sentenza, emergono la determinazione di Maria Giulia Sergio, "figura chiave della vicenda processuale" per aver "svolto una funzione di collegamento tra tutti gli altri", nel convincere i parenti con "insistenza spesso connotata da toni aggressivi e perentori". I giudici sottolineano anche il suo fastidio per il fatto "che i genitori e la sorella fossero distratti da questioni terrene", mentre la loro preoccupazione doveva essere solo "quella di sostenere la crescita dello Stato islamico come lei stava facendo". Al padre di Fatima, Sergio Sergio, la Corte d'Assise di Milano ha concesso quindi le attenuanti generiche perché "la decisione di organizzare il viaggio per raggiungere la Siria con la propria famiglia" sarebbe maturata "in un contesto di continue pressioni poste in essere dalle figlie".

Decisivo sarebbe invece l'influsso del marito di Fatima, Aldo Kobuzi, che "ha rivestito un ruolo essenziale per la vita e l'espansione dell'organizzazione terroristica" ed è, secondo i giudici, "l'imputato che maggiormente ha tradotto in concretezza la sua 'vocazionè al jihad".

Cosi avevano cominciato con la Grecia e abbiamo visto come e andato a finire : L'Italia è di fatto a rischio apertura di tre procedure da parte di Bruxelles: non solo per il debito sui conti del 2017, ma anche su quelli del 2016 e, guardando alle riforme, per gli squilibri macroeconomici eccessivi. E' quanto emerge dai rapporti della Commissione Ue e dalle dichiarazioni dei commissari. Il primo e più evidente rischio è quello di una procedura per debito, che potrebbe scattare a maggio, in base ai conti del 2017. Unico modo per evitarla, misure per lo 0,2% del Pil entro aprile.

Il secondo, come si evince dal rapporto sul debito, è sui conti del 2016, su cui potrebbe essere aperta una procedura ex post se per esempio le cifre provenienti dagli investimenti pubblici si rivelassero inferiori al previsto. Terza possibile procedura, quella per squilibri macroeconomici eccessivi, come ha avvertito il vicepresidente Valdis Dombrovskis, se il Piano nazionale di riforme, che sarà valutato a maggio, non sarà convincente.

Tutte le opzioni sono aperte" riguardo al caso dell'Italia, "inclusa l'apertura nel braccio preventivo di una procedura per squilibri macroeconomici eccessivi", ha affermato il vicepresidente della Commissione sottolineando che l'Italia ha fatto solo "alcuni progressi" rispetto alle raccomandazioni Paese per Paese fattele l'anno scorso

Se il governo non attuerà "in modo credibile" le misure per la correzione dei conti pubblici "di almeno lo 0,2% del pil" entro il mese di aprile, la Commissione considererà non rispettata la regola del debito, ma la decisione di aprire una "procedura per disavanzi eccessivi" sarà presa "in base alle previsioni di primavera 2017" che di solito vengono pubblicate a maggio. E' scritto in una nota della Commissione sull'adozione del 'Rapporto sul debito' adottato dall'esecutivo in base all'art.126.3 del Trattato. E il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan commenta: ' Il rapporto debito/Pil si è "finalmente stabilizzato ma è interesse nazionale ridurlo con un aggiustamento contenuto del percorso di consolidamento".

La Commissione Ue ha preso "nota positiva" delle lettere inviate dal "governo italiano l'1 ed il 7 febbraio" che contengono "una serie di impegni da adottare al più tardi nell'aprile 2017 allo scopo di raggiungere uno sforzo strutturale aggiuntivo di almeno lo 0,2% del Pil nel 2017".Nel rapporto si osserva che al momento l'Italia "è a rischio di non conformità con gli aggiustamenti richiesti dal braccio preventivo" delle regole europee sulla sorveglianza dei bilanci "sia per il 2016 che per il 2017". La Commissione sottolinea poi che "la prima lettera" inviata da Padoan "non forniva i sufficienti dettagli sulle misure effettive che il governo intende adottare da permettere la loro incorporazione nelle previsioni economiche 2017 della Commissione" e che quindi saranno "tenuti in conto non appena gli impegni presi nelle summenzionate lettere saranno messi in atto".

Dalla situazione economica dell'Italia, inoltre, possono crearsi "rischi" anche per gli altri Paesi. "L'alto livello di debito del governo e una dinamica protratta di debole produttività implicano rischi con rilevanza transfrontaliera in prospettiva, in un contesto di alti non-perfomrng loans e disoccupazione".

"L'Italia presenta eccessivi squilibri", si legge a pagina 25 della Comunicazione della Commissione sul progresso delle riforme strutturali nell'Eurozona approvata oggi. Per il nostro Paese sono indicati l'alto debito, la "protratta debolezza nella dinamica della produttività" in un "contesto di alti Npl e disoccupazione". Nel testo sono riconosciute una serie di "riforme positive" ma si osserva che "l'impulso delle riforme è rallentato dalla metà del 2016".

"L'alto debito del governo e la protratta debolezza nelle dinamiche della produttività implicano in prospettiva rischi di rilevanza transfrontaliera, in un contesto di alti non-performing loans e disoccupazione - è scritto nella relazione - Il tasso di debito pubblico è pronto a stabilizzarsi ma non ha ancora un percorso di discesa a causa del peggioramento del deficit primario strutturale ed una sommessa crescita nominale. La competitività resta debole mentre le dinamiche della produttività cono rimaste sommesse, anche a causa della lenta ripresa degli investimenti".

"Lo stock degli Npl ha solo cominciato a stabilizzarsi ed ancora pesa sui profitti delle banche e sulla politiche di prestito, con conseguenze negative sulla crescita futura". "Dopo positive riforme nei processi di bilancio, nel mercato del lavoro, nel settore bancario, nelle procedure per insolvenza, nel sistema giudiziario e nella pubblica amministrazione, lo slancio delle riforme si è indebolito da metà del 2016 e restano lacune in politiche importanti, in particolare per quanto riguarda la concorrenza, la tassazione, la lotta alla corruzione ed il quadro della contrattazione collettiva".

"Già a partire da oggi ci sarebbe da aprire una procedura per debito eccessivo, ma torneremo sulla questione ad aprile, dopo aver verificato il rispetto degli impegni presi" ovvero "misure per lo 0,2", e sulla base delle previsioni economiche di primavera". Così il vicepresidente della Commissione Ue Valdis Dombrovskis, che ha precisato che dai conti dell'Italia la Commissione ha già "pienamente scontato la crisi dei rifugiati e il terremoto". "C'è un dialogo costruttivo con le autorità italiane", ha aggiunto.

Se si bloccano le riforme in Italia, il Pil dell' eurozona rischia una contrazione. Nel capitolo dedicato alla 'Ricadute sulla zona euro' del "Rapporto paese" della Commissione è indicato che "l'elevato debito pubblico" italiano "rimane una fonte di possibili ricadute negative sul resto della zona euro". Ed è specificato che "le simulazioni di modello" le mostrano come "potenzialmente ampie". Nel testo è specificato che "in una simulazione è stato ipotizzato che un temporaneo shock di fiducia colpisca gli investimenti produttivi in Italia riducendo il Pil reale dell'1% nel primo anno e di un ulteriore 0,6% nel secondo anno".

"La causa di questo ipotetico shock della fiducia potrebbe essere un improvviso arresto nell'attuale processo di riforme strutturali, che potrebbe determinare un aumento del premio di rischio pagato dalle imprese italiane sul loro fabbisogno di finanziamento" è scritto, specificando che in quello scenario le ripercussioni negativa sull'insieme dell'Eurozona "dovrebbero essere di circa lo 0,4% nel primo anno e di un ulteriore 0,2% nel secondo anno".

"Serve più lavoro in quest'area" del settore bancario da parte dell'Italia, perché se alcuni progressi sono stati fatti con il fondo per le securitizzazione e Atlante, "è necessario fare di più", ha spiegato Dombrovskis, aggiungendo che sul fronte dei Npl il cui problema "sta venendo affrontato", questo sarà comunque "parte del semestre europeo non solo per l'Italia ma a livello Ue con un approccio coordinato" che verrà affrontato "dall'Ecofin ad aprile".

 "Ho incontrato Padoan lunedì e credo che l'Italia possa rispettare le regole". Così il commissario europeo agli affari economici Moscovici in conferenza stampa. "Il governo italiano si è impegnato per una correzione dello 0,2% per conformarsi al Patto, questo sarà un elemento chiave nella nostra valutazione complessiva. Il dialogo con le autorità italiane continua, non siamo dei fanatici". "Non amiamo la tempesta - ha chiarito Moscovici - il nostro obiettivo è condurre la nave in porto".

Per Moscovici inoltre dall'Italia arrivano anche "segnali incoraggianti" come "l'occupazione in crescita, la dualità del mercato del lavoro in calo, importanti riforme nel settore pubblico, la crescita che è tornata e speriamo possa incrementare". A suo dire non ci si può aspettare che tutto cambi "da un giorno all'altro" ma "non ci devono essere rallentamenti" nello sforzo delle riforme.

 "Nella sua analisi annuale la Commissione Ue apprezza l'ampiezza delle riforme avviate e realizzate dai governi italiani in questi anni". Lo scrive su Twitter il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan, sottolineando che "gli effetti delle riforme si vedono: la crescita è tornata, l'occupazione aumenta, il credito funziona meglio. Ma dobbiamo fare di più".

Secondo quanto viene spiegato da fonti europee ai Giornalisti, nel dibattito interno alla Commissione si è tenuto conto delle "valutazioni politiche" sull'opportunità o meno di insistere affinché l'Italia dia subito seguito alle promesse fatte dal ministro Padoan il 2 febbraio in risposta alla richiesta di correzione dello 0,2% del Pil inviata dal vicepresidente Dombrovskis e dal Commissario Moscovici il 17 gennaio. Nel collegio dei Commissari sarebbero infatti emerse valutazioni anche di segno opposto a quello desiderato dall'Italia, sul fatto che dare ulteriore tempo, quando la violazione è considerata "conclamata", potrebbe essere controproducente in altri paesi. In ogni caso a Bruxelles si fa notare che l'Italia ha preso precisi impegni per aprile e quindi finora prevarrebbe la linea di dare fiducia e attendere i provvedimenti che dovranno essere adottati da Roma.

Il rapporto sul debito del 22 febbraio non rischia di essere un passo ulteriore verso la procedura d'infrazione lo ha detto il ministro dell'economia Pier Carlo Padoan al termine dell'Ecofin. Non è un nuovo passo verso la procedura perché "come è già stato detto pubblicamente l'Italia si è impegnata a fare la correzione di cui abbiamo parlato anche ieri, confermo che si farà e quindi questa è una cosa che toglierà ogni dubbio sulla coerenza dell'Italia con le regole", ha detto Padoan.

Non ci sono, sui mercati, dubbi sulla sostenibilità del debito italiano, ha precisato Padoan rispondendo alle domande dei giornalisti. "Questi dubbi sui mercati non li vedo, sui mercati ci sono dei prezzi, quello dello spread si è alzato da circa un mese anche a seguito dell'effetto Trump che ha numerose implicazioni", ma poi "si è stabilizzato, non sta andando su quindi questo mi dice che sui mercati che funzionano non ci sono dubbi in tal senso", ha concluso il ministro.

Le istituzioni (Bce, Ue, Fmi, Esm) torneranno ad Atene a breve per lavorare ad un pacchetto di riforme addizionale assieme al Governo greco. Lo ha annunciato il presidente dell'Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem al termine della riunione dell'Eurogruppo e salutandolo come un "passo positivo". Sebbene non ci sia ancora un "accordo politico" sulla fine del seconda revisione del programma, il ritorno delle istituzioni segnala una "sufficiente fiducia", necessaria "per aiutare l'economia greca", ha detto il presidente. Dijsselbloem ha anche spiegato che i tempi non sono stretti: "Non c'è un problema di liquidità nel breve termine, ma tutti sentiamo l'urgenza (di concludere la seconda revisione, ndr) per una questione di fiducia, se vogliamo che eco torni a svilupparsi serve fiducia, per questo la revisione va conclusa il prima possibile".

Per il capo dell'Esm, Klaus Regling, Atene potrebbe aver bisogno di meno risorse di quante ne preveda il terzo pacchetto di aiuti. "La metà del programma di salvataggio è alle spalle. Abbiamo pagato 32 miliardi. Per la fine del piano nel 2018 pagheremo meno degli 86 miliardi concordati".

Scrive il direttore del Mondo Greco Francesco De Palo sul suo Giornale : Nuove tasse e misure draconiane per il biennio 2018-2019. In sostanza l'Eurogruppo di ieri porta in dote altri interventi difficili per la Grecia zavorrata già da tre memorandum in sei anni. Il governo Syriza avrebbe accettato di legiferare in anticipo le misure supplementari in aggiunta a quelle previste per la seconda valutazione.

Atene e Bruxelles hanno scelto di parlare di "riforme" anziché di "misure di austerità": ma la sostanza non cambia di una virgola.

Il premier Tsipras, trapela, dirà ai suoi elettori che per ogni nuova tassa di 1 euro ci sarà 1 euro sollievo, ma non parla apertamente di pensioni e altri tagli alla voce sanità e welfare, anche se nei fatti è lì che la mannaia si abbatterà. Come confermato dallo stesso Presidente dell'Eurogruppo, Ntaijselmploum, il nuovo accordo relativo alle riforme includerà anche una fetta di esentati da imposte, alcune fasce di pensioni, e il riequilibrio con il partner Fmi.

Non è dato sapere se la soglia esentasse scenderà al di sotto degli attuali 8.636 euro, ma è chiaro che Berlino punta a raschiare ulteriormente il fondo del barile e al momento nessuno da Atene sembra sia in grado di impedirglielo. Sul piatto da offrire ai commensali della troika anche la riduzione della no tax zone, eliminando alcune agevolazioni fiscali come, ad esempio, spese mediche, indennità.

Senza dimenticare l'abolizione delle contestazione personali nelle principali pensioni, su cui si dibatte molto nel paese, con un altro 20% di tagli agli assegni entro il 2019. In cambio il governo porterà avanti la riduzione dell'ENFIA (l'Imu greca) con un mini sollievo fiscale delle imprese e la riduzione dell'Iva.

C'è da restituire la tranche da 7 miliardi il prossimo luglio, per cui le modalità andate in scena negli ultimi anni si ripetono: altre misure per tamponare obiettivi irraggiungibili, instabilità sociale e quindi politica, e promesse elettorali disattese. La riforma sulle frequenze tv è stata bocciata, la questione relativa alla tassazione di armatori e oligarchi è uscita dall'agenda, di lista Lagarde non si parla più.

Gennaio 2017 ha fatto segnare la peggiore performance degli ultimi 16 anni per quanto riguarda il numero di posti di lavoro.

Gennaio, vero e proprio mese nero per l'occupazione ellenica. Quasi 30mila sono i posti di lavoro persi nei settori della vendita al dettaglio, nella ristorazione, nel comparto alberghiero, con aumento di 17.000 disoccupati, di cui il 53.87% sono disoccupati di lunga durata.

In particolare, il saldo assunzioni-licenziamenti è stato negativo per 29.817 posti di lavoro, secondo i dati ufficiali. Il Dipartimento del Lavoro si difende: da sempre il mese di gennaio presenta un saldo negativo a partire dal 2001 fino ad oggi. Ma ciò non aiuta a ingoiare la pillola, anche per il peculiare meccanismo che aggancia i senza lavoro alla sfera dei diritti sociali.

I disoccupati in Grecia sono automaticamente esclusi dalla previdenza sociale, ad oggi se ne contano un quarto della popolazione complessiva, con punta drammatiche fra gli under 30 dove i numeri dei senza lavoro sono strutturalmente preoccupanti.

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