In Sud Sudan, il 15 aprile, a pochi giorni dal massacro di oltre 60 civili avvenuto nel campo sfollati di Bor, un altro attacco a Bentiu, città dello stato dello Unity, un’area ricchissima di petrolio, ha provocato oltre 200 vittime civili: la violenza, incitata da folli messaggi di odio trasmessi dalle radio locali, non ha risparmiato neppure ospedali e luoghi di culto dove la gente aveva cercato rifugio.
Il 27 aprile, un convoglio umanitario partito il giorno prima da Bangui, in Repubblica Centrafricana, è stato ripetutamente attaccato.
INTERSOS esprime grande preoccupazione per la situazione attuale in Sud Sudan e in Repubblica Centrafricana: è ormai chiaro che i bisogni umanitari non cesseranno di crescere e le condizioni di vita sia degli sfollati all’interno dei campi sia di quelli che sono fuggiti lontano dai loro villaggi sono destinate a peggiorare.
Diventa sempre più difficile operare perché l’assistenza e la protezione umanitaria fornite a persone rifugiate in luoghi controllati da una o dall’altra parte delle forze belligeranti, rischia di far associare l’attività umanitaria come schierata e di parte.
“Le organizzazioni umanitarie cercano in tutti i modi di non aver nessun ruolo nelle dinamiche belliche in atto. Si trovano in mezzo ai conflitti per salvare vite e alleviare le sofferenze dei civili, ma quando questo diventa impossibile, quando agli operatori non resta che seppellire le salme delle vittime come a Bor nei giorni scorsi, quando non basta portare aiuto urgente perché le persone che si prova a mettere in salvo vengono strappate alle loro famiglie e uccise, la presenza degli operatori umanitari diventa inutile per la popolazione in pericolo.Noi chiediamo che tutti i gruppi armati e il governo di transizione si assumano le loro responsabilità per proteggere la popolazione. Oggi INTERSOS e altre organizzazioni riescono a operare nel mezzo dei conflitti perché agiscono con il solo obiettivo di portare aiuti sulla base del bisogno, a coloro che non sono parte attiva del conflitto; ai civili, parte inerme, sempre più spesso e più tragicamente trascinata nelle violenze o obiettivo delle stesse per scopi militari, etnici, religiosi, politici” commenta, Marcelo Garcia dalla Costa, Coordinatore Unità Programmi INTERSOS.
Quando gli stati falliscono nel mandato di protezione dei propri civili, la comunità internazionale deve assumersi le responsabilità e scegliere quale azione portare avanti, ma non è possibile lasciare alle organizzazioni umanitarie un continuo ruolo di appello perché testimoni di quel che accade. La situazione è da tempo sotto gli occhi di tutti e ora le organizzazioni umanitarie possono certamente dare dei punti di vista, esprimere opinioni sulla base di presenza e esperienza, ma non devono e non possono assumersi un ruolo non loro. Minerebbero nel profondo e con conseguenze serie la loro capacità di intervenire portando aiuto a supporto dei civili. Verrebbero associate a una o più delle parti in conflitto e verrebbero giudicate come guidate da un interesse politico e non umanitario.”
Le popolazioni di Sud Sudan e Repubblica Centroafricana vivevano condizioni umanitarie già devastanti prima delle attuali implosioni nella violenza e l’ulteriore carico di morte e sofferenza rischia di indebolirle oltre i limiti di una possibile ripresa. La comunità internazionale oggi deve dare priorità all’immediata cessazione delle ostilità, intercettare l’approvvigionamento d’armamenti, concentrare verso la protezione dei civili il mandato delle missioni di peacekeeping. Per quanto riguarda il Sud Sudan, l’imminente Summit di Oslo previsto per il 20 maggio, sarà un’occasione fondamentale.