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Primo sì del Senato al premierato e l'Autonomia differenziata è legge

Il primo ministro, eletto dal popolo per cinque anni e rieleggibile solo per due mandati, l'abolizione dei senatori a vita, l'introduzione costituzionale del premio di maggioranza - senza un limite fissato, in quanto sarà regolato dalla legge elettorale - e la modifica del 'semestre bianco', sono alcune delle caratteristiche principali della proposta di legge, fortemente voluta dalla maggioranza e contestata dalle opposizioni, che sono scese in piazza per protestare immediatamente dopo il voto del Senato.

Con l'approvazione del Senato, la riforma costituzionale che prevede l'elezione diretta del presidente del Consiglio inizia il suo iter che la vedrà passare almeno quattro volte - in un processo di 'navetta' - tra le due camere del Parlamento per l'approvazione definitiva richiesta dalle leggi costituzionali.

L'elezione del presidente del Consiglio

Il disegno di legge prevede che il presidente del Consiglio sia eletto a suffragio universale e diretto per un mandato di cinque anni, con la possibilità di essere rieletto per un massimo di due mandati consecutivi, o tre se ha ricoperto l'incarico per meno di sette anni e sei mesi nei primi due mandati. Il premier forma il governo su incarico del Presidente della Repubblica.

Elezione delle camere e premio di maggioranza

Il presidente del Consiglio e i membri delle due Camere saranno eletti contemporaneamente. La riforma richiede che la legge elettorale assegni un premio di maggioranza a livello nazionale, garantendo una maggioranza di seggi nelle Camere alle liste e ai candidati collegati al premier eletto.

Norma antiribaltone

In caso di revoca della fiducia attraverso una mozione motivata, il presidente del Consiglio è obbligato a dimettersi, e il Presidente della Repubblica deve sciogliere le Camere. In altri casi di dimissioni, il premier ha sette giorni per chiedere lo scioglimento delle Camere, che può essere concesso dal Presidente della Repubblica.

Elezione del Capo dello Stato

La riforma modifica il processo di elezione del Presidente della Repubblica, stabilendo che, a partire dal sesto scrutinio, l'elezione avviene a maggioranza assoluta anziché dei due terzi.

Poteri di controfirma

Gli atti del Presidente della Repubblica richiedono la controfirma dei ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità. Tuttavia, non necessitano di controfirma la nomina del presidente del Consiglio, dei giudici della Corte Costituzionale, la concessione della grazia e la commutazione delle pene, l'indizione delle elezioni e dei referendum, i messaggi alle Camere e il rinvio delle leggi.

Modifica del "semestre bianco

Il Presidente della Repubblica può sciogliere le Camere, sentiti i loro presidenti, eccetto negli ultimi sei mesi del suo mandato, a meno che non si tratti di un atto dovuto, come lo scioglimento per scadenza naturale della legislatura o in caso di sfiducia o dimissioni del premier eletto.

Abolizione dei senatori a vita

Il disegno di legge prevede l'abolizione dei senatori a vita, mantenendo in carica solo quelli nominati prima dell'entrata in vigore della legge.

Questi cambiamenti segnano un'importante evoluzione del quadro politico italiano, con l'obiettivo di rendere il sistema più diretto e responsabile, ma suscitano anche forti dibattiti e resistenze tra le varie forze politiche.

Il Senato ha dato il primo sì al premierato, seguito 14 ore dopo dall'approvazione definitiva della Camera sull'autonomia differenziata. La Lega celebra il successo del suo 'vessillo', mentre le opposizioni si sollevano. "Vergogna, una grave forzatura, uno scambio scellerato consumato nel favore delle tenebre", ripetono i deputati della minoranza. Il centrosinistra si oppone alla decisione della maggioranza di accelerare il processo del provvedimento con una seduta prolungata, non avendo trovato un accordo sui tempi nella capigruppo, per evitare - secondo quanto si pensa in ambienti della maggioranza - possibili intoppi parlamentari causati da altri decreti in scadenza. 

Dopo una maratona notturna, il voto dell'assemblea di Montecitorio è arrivato poco prima delle otto di questa mattina. Un turno ininterrotto dal tramonto all'alba che ha visto l'Aula piena la scorsa notte e quasi vuota all'ora della colazione, così come la buvette, presa d'assalto dai parlamentari durante le brevi pause notturne.

L'accelerazione sull'autonomia ha preso il via già nel pomeriggio di ieri, con l'inizio dei lavori a Montecitorio e la proposta della Lega di invertire l'ordine del giorno per trattare immediatamente il disegno di legge. Nonostante una pausa di alcune ore per consentire ai parlamentari dell'opposizione di partecipare alla protesta in piazza Santi Apostoli contro le riforme, il processo verso l'autonomia non ha subito rallentamenti. Con la ripresa dei lavori, il centrodestra ha dato un'impennata: poco prima delle 23, su sollecitazione di Tommaso Foti (FdI), è stata indetta una riunione dei capigruppo, segnando un momento di forte contrasto tra le parti.

L'autonomia differenziata rappresenta un significativo riconoscimento da parte dello Stato, consentendo a una Regione di esercitare un'autonomia legislativa su materie di competenza concorrente e, in alcuni casi, su materie di competenza esclusiva dello Stato. Questo processo implica che le Regioni possano trattenere il gettito fiscale locale, invece di distribuirlo su base nazionale in base alle necessità collettive. La legge recentemente approvata dalla Camera, intitolata 'Disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione', firmata dal ministro Roberto Calderoli, permette il riconoscimento di livelli di autonomia per le Regioni italiane a statuto ordinario e speciale, oltre che per la Provincia Autonoma di Trento e Bolzano. Questa legge attua la riforma del Titolo V della Costituzione approvata nel 2001.

Articolata in 11 punti, la nuova normativa definisce le procedure legislative e amministrative necessarie per l'applicazione dell'autonomia differenziata, regolando gli accordi tra lo Stato e le Regioni che richiedono tale autonomia in 23 materie. Prima di avanzare la richiesta, ogni Regione deve ottenere i pareri di Comuni, Province ed enti regionali nel proprio territorio. Le materie per le quali è possibile richiedere autonomia includono salute, istruzione, sport, ambiente, energia, trasporti, cultura e commercio con l'estero. Per 14 di queste materie devono essere stabiliti i Livelli Essenziali di Prestazione (Lep).

Dalla presentazione della richiesta, lo Stato e la Regione avranno 5 mesi per raggiungere un accordo. Questi accordi potranno durare fino a 10 anni, con possibilità di rinnovo, e possono essere interrotti con un preavviso di almeno 12 mesi. Il cuore della riforma sono i Lep, che rappresentano il servizio minimo da garantire in modo uniforme su tutto il territorio nazionale. I costi e i fabbisogni standard saranno determinati sulla base di una ricognizione della spesa storica dello Stato in ogni Regione negli ultimi tre anni.

Entro 24 mesi dall'entrata in vigore della legge, l'esecutivo dovrà emanare uno o più decreti legislativi per definire livelli e importi dei Lep. Il trasferimento di funzioni dallo Stato alle Regioni sarà possibile solo dopo la determinazione dei Lep e nei limiti delle risorse stabilite dalla legge di bilancio. Una cabina di regia del governo nazionale avrà il compito di effettuare periodiche verifiche del quadro normativo in relazione a ciascuna funzione amministrativa statale e delle Regioni ordinarie, individuando materie o ambiti riferibili ai Lep che devono essere garantiti in modo uniforme su tutto il territorio nazionale.

Questa cabina di regia includerà tutti i ministri competenti, supportati da una segreteria tecnica presso il Dipartimento Affari Regionali e Autonomie della Presidenza del Consiglio. Il governo ha la facoltà di sostituirsi agli organi delle Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni in caso di inadempienze riguardanti trattati internazionali, normative comunitarie, o in presenza di un grave pericolo per la sicurezza pubblica, inclusa la garanzia dei diritti civili e sociali, o per tutelare l'unità giuridica ed economica del Paese.

 

 

 

 

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