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Si infiamma la polemica sulla mossa degli Stati Uniti di "riconoscere" Gerusalemme come capitale di Israele anche se per ora la sede diplomatica dovrebbe restare a Tel Aviv.

I primi a reagire, stizziti, sono stati i palestinesi di Hamas, che hanno promesso una escalation della "intifada di Gerusalemme", se l'amministrazione Usa riconoscerà la città come capitale. Sarebbe, per Hamas, "una flagrante aggressione alla legge internazionale che considera Gerusalemme territorio occupato" e un modo di legittimare "i crimini della giudaizzazione della città e l'espulsione dei palestinesi". Anche l'Autorità nazionale palestinese ha messo in guardia gli Usa: "Questo passo metterà fine ad ogni possibilità di accordo di pace". E parla di un "riconoscimento inaccettabile". Abu Mazen ha rincarato la dose, ribadendo la "necessità di uno Stato palestinese con capitale Gerusalemme Est".

Tutto questo nervosismo ha indotto Donald Trump a rinviare a lunedì prossimo la decisione sul possibile spostamento dell'ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme. Una decisione che, come accennato prima, potrebbe portare a una nuova escalation di tensioni in Medio Oriente.

Al Cairo si riunisce il summit di emergenza convocato dalla Lega araba, su richiesta dell'Anp, per discutere la delicata questione. Intanto il ministero degli Esteri egiziano ha fatto appello a Washington ad agire "con saggezza" rispetto a qualsiasi decisione che riguardi la Città Santa e che potrebbe "far divampare la tensione nella regione". L’università al-Azhar del Cairo, uno dei principali centri d’insegnamento religioso dell’Islam sunnita, ha messo in guardia le autorità di Washington. In una nota afferma che questa eventuale mossa da parte degli Stati Uniti "alimenterebbe sentimenti di rabbia tra i musulmani, minaccerebbe la pace mondiale e approfondire la tensione, la divisione e l’odio nel mondo".

Il negoziato su Gerusalemme dovrà essere portato avanti nell’ambito di negoziati che «puntino in particolare alla creazione di due stati, Israele e Palestina, che vivano fianco a fianco e in sicurezza, con Gerusalemme come capitale». Macron ha parlato a Trump anche dell’Iraq, riferendo i risultati della visita a Parigi, sabato scorso, del primo ministro del governo regionale del Kurdistan, Nechirvan Barzani, accompagnato dal vicepremier Qubad Talabani. Nella nota dell’Eliseo si legge che «la Francia e gli Stati Uniti proseguiranno i loro sforzi congiunti per preservare la stabilità e l’unità dell’Iraq e favorire il dialogo nazionale fra le autorità federali e i dirigenti curdi iracheni».

Il presidente francese, Emmanuel Macron, ha espresso ieri sera la sua "preoccupazione" al capo della Casa Bianca, Donald Trump, "sulla possibilità che gli Stati Uniti riconoscano unilateralmente Gerusalemme come capitale dello stato d'Israele". Lo ha reso noto un comunicato dell'Eliseo, precisando che Macron ha ricordato che la questione dello "status di Gerusalemme dovrà essere risolto nel quadro dei negoziati di pace fra israeliani e palestinesi".

Non c’era bisogno di Jared Kushner, il genero-consigliere, per convincere Trump che la neutralità d’Obama in Medio Oriente si doveva orientare verso una «netanyahulità», fino a ricalcarne ogni scelta. Il suo ambasciatore David Friedman, contrario alla soluzione dei Due Stati e favorevole all’espansione dei coloni, dopo 68 anni di bunker sul lungomare di Tel Aviv ha già pronti gli scatoloni del trasloco: sarebbe stato individuato il terreno in una zona non occupata dal ’67, almeno quello, e garantito ai dipendenti arabi dei due attuali consolati la maggioranza che non saranno licenziati.

I posti di lavoro saranno l'unica cosa a salvarsi: per i palestinesi, col ritorno dei profughi e lo smantellamento delle colonie, la condivisione di Gerusalemme è uno dei punti irrinunciabili del negoziato di pace. «Il mondo pagherà un prezzo per tutto questo», dice un consigliere del presidente Abu Mazen. Avanti con la terza intifada, preannunzia Hamas. «Sostengo il diritto palestinese ad avere Gerusalemme per capitale», ha avvertito mercoledì Putin. E giù a cascata la Lega araba, il Marocco che minaccia una mobilitazione mondiale il 23 dicembre, la Giordania-sempre-amica che non dà a Israele il permesso di riaprire l'ambasciata ad Amman, ufficialmente con la scusa di problemi d'ordine pubblico. Tacciono egiziani e sauditi, ma perfino parte della destra israeliana è preoccupata non del se, perché è un regalo quasi insperato, ma del quando: con l’Iran alle soglie, il Libano instabile, i palestinesi riunificati, il Sinai sotto scacco Isis, proprio adesso bisognava mantenere la promessa elettorale?

Sulla questione dello spostamento dell'ambasciata Usa a Gerusalemme, il presidente Donald Trump "è stato chiaro sin dall'inizio, non è questione di se, ma di quando". Lo ha detto il vice portavoce della Casa Bianca, Hogan Gidley, aggiungendo che "una decisione" verrà resa nota "nei prossimi giorni".  Quest'ultima potrebbe rappresentare un atto di riconoscimento di Gerusalemme come capitale dello Stato ebraico.

E il sistema di difesa israeliano si sta preparando per una "possibile violenta" rivolta palestinese in Israele, principalmente a Gerusalemme, a seguito dell'annunciata intenzione di Donald Trump. La polizia israeliana, lo Shin Bet e il comando centrale dell'esercito - riferiscono i media d'Israele - hanno tenuto in questi giorni numerose riunioni in tal senso.

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha avvertito il capo della Casa Bianca, Donald Trump, che l'eventuale riconoscimento di Gerusalemme capitale di Israele rappresenta "una linea rossa per i musulmani" e che potrebbe portare alla rottura delle relazioni

Il Silenzio del presidente americano dopo l'ennesimo lancio di un missile balistico che Seul valuta un nuovo modello dell'Hwasong-15 da parte del regime nordcoreano è durato dunque poche ore. E ancora una volta le sue parole rischiano di alimentare una guerra di offese e di insulti che va avanti da mesi e che non favorisce di certo la realizzazione di quel canale diplomatico che con enorme fatica Rex Tillerson e i vertici del Dipartimento di stato stanno tentando di aprire.

Il ministero della Difesa cinese esprime "profonda preoccupazione" per l'ultimo lancio di missile balistico intercontinentale fatto dalla Corea del Nord, ma ribadisce che "l'opzione militare non è un'opzione", ha detto il portavoce Wu Qian, per il quale la soluzione non può che maturare "attraverso il dialogo e le consultazioni". La Cina vuole "la pace e la stabilità nella penisola coreana".

"Ora la guerra è più vicina". Parole pesanti quelle pronunciate dall'ambasciatrice americana all'Onu Nikki Haley, durante il consiglio di sicurezza sulla Corea del Nord. Mentre pochi minuti prima, durante un comizio in Missouri, Donald Trump era tornato ad attaccare sul piano personale il dittatore di Pyongyang, Kim Jong-un, deridendolo e descrivendolo come un "cagnolino malato". "The little rocket man", il piccolo uomo-missile, ha ripetuto davanti ai suoi calorosi sostenitori.

 L'ultimo esperimento missilistico di Pyongyang, che ha dimostrato di avere un 'supermissile' in grado di colpire ovunque gli Stati Uniti, "e' un'azione che avvicina il mondo alla guerra, non lo allontana", ha tuonato Haley. "Anche se è un conflitto che gli Usa non cercano - ha aggiunto l'ambasciatrice Usa - e se ci sarà una guerra, il regime nordcoreano sarà completamente distrutto".

Intanto, mentre al Tesoro americano si studiano nuove sanzioni finanziarie e al Pentagono si valuta l'ipotesi di un blocco navale, le Nazioni Unite rinviano la decisione di nuove misure punitive verso Pyongyang, con i Quindici del Consiglio di sicurezza che per il momento insistono sulla piena e rigorosa attuazione delle sanzioni già prese negli ultimi mesi. Soprattutto da parte della Cina che resta il più stretto alleato della Corea del Nord.

Quindi l'ennesimo appello alla comunità internazionale (rivolto ancora una volta soprattutto a Pechino) per "tagliare tutti i rapporti con Pyongyang", per isolare ulteriormente il regime di Kim: dai rapporti diplomatici, alla cooperazione militare, scientifica e commerciale, passando per lo stop a tutte le importazioni ed esportazioni. "Invece - ha denunciato - alcuni paesi continuano ancora a finanziare il programma nucleare nordcoreano". Intanto l'ambasciatore italiano Sebastiano Cardi, presidente di turno dei Quindici e del comitato sanzioni del Consiglio di sicurezza, ha spiegato come le misure restrittive decise contro la Corea del Nord stiano funzionando: "Ma si può fare di più per farle applicare", ha sottolineato.

Il 2017 ha registrato finora 22 lanci, e oltre i 21 record del 2016 e in base al Center for Strategic & International Studies, l arsenale della Nord Corea a suo possesso e questo :

Migliaia i missili a disposizione: tipo Cruise (Kh-35, Kn-01) di gittata pari a 150-260 km, balistici a breve raggio (varianti di Scud, Kn-17, Kn-02) da 150-1.000 km potenziali e di medio raggio (Hwasong-7, No-Dong) da 1-1.500 km. Ci sono i Kn-11/Kn-15 (da 900-2.000 km), i Bm-25 Musudan (da 4.500 km), gli Hwasong-12 (4.500 km), i Taepodong-1 da 2-5.000 km, i Hwasong-14 da potenziali 7.000-8.000 km e i Taepodong-2/Unha-3 da 4-15.000 km e usati come razzi nel 2009 per la messa in orbita del "primo satellite", probabilmente una semplice scatola di ferro. Altro capitolo sono i missili balistici a lancio sottomarino: '38 North', think tank Usa, ha ipotizzato una versione avanzata del Pukguksong-1: un vettore provato dal 2016 che, se affidabile, potrebbe essere l'opzione più subdola per l'attacco nucleare.

Le forze armate nordcoreane contano su oltre 1,2 milioni di effettivi: è il quarto esercito più grande al mondo, fatto da 19 corpi d'armata più uno di forze speciali. Ci sono 3,5 milioni di uomini e donne della Milizia, con un numero pari di riservisti. L'esercito dispone di 7.000 tra carri armati (3.000 vecchi T54/55 ex sovietici e type 59 cinesi, 1000 versioni locali del T62 e 500 del T72) e blindati/corazzati (2.000 vecchi BMP1, BTR60 ex sovietici e Type 63 cinesi), oltre 25mila pezzi di artiglieria e 20mila lanciarazzi. Il 50-60% è schierato nei 100 km dal confine del 38/mo parallelo  e il Nord sarebbe in grado di sparare su Seul 2.700 colpi d'artiglieria al minuto. 

La Marina nordcoreana ha una flotta nel Mar Giallo e una nel Mar del Giappone: 4 vecchie corvette lanciamissili e 30-50 motocannoniere. Incerto il numero di sottomarini ex Urss, mentre sono numerosi i sommergibili costieri. I 200.000 soldati delle Forze Speciali hanno una Marina tutta loro, oltre all'unità di missili balistici, il fiore all'occhiello. Debole l'aviazione ferma ai tempi dell'Urss, con pochi aerei moderni come MIG 29 e SU 25. Pyongyang ha inoltre un arsenale chimico e batteriologico: 5.000 tonnellate lanciabili con artiglieria, razzi e bombe aeree, prodotti da otto siti. Ci sarebbero antrace, salmonella, febbre gialla, emorragica, tifo e colera.

Ma la minaccia nordcoreana si materializza principalmente con l'incubo di 20 ordigni nucleari. I numeri dell'intelligence sudcoreana sono prudenziali dato che l'Institute for Science and International Security ha ipotizzato che a fine 2016 il Nord avesse 33 kg di plutonio, 175-645 kg di uranio arricchito e 13-30 testate nucleari pronte. I test fatti finora sono 6, a partire dal 1996.  

Settantaquattro giorni senza nessun lancio avevano fatto sperare che la Corea del nord fosse interessata a un disgelo e a un ritorno al tavolo dei negoziati. Quella speranza è andata in frantumi ieri pomeriggio, quando il regime di Kim Jong-un ha interrotto il periodo di inattività e ha sparato un missile balistico.

Pyongyang ha annunciato che il missile lanciato è nuovo: uno Hwasong-15 con «testata pesante extra-large capace di colpire la totalità del continente americano». Bisogna cercare di interpretare le parole dei nordcoreani. Due i comunicati di Pyongyang. Uno «coreografico» e ad uso interno letto dalla presentatrice tv che si veste di rosa per gli eventi più importanti: «Kim Jong-un ha dichiarato con orgoglio che abbiamo finalmente realizzato la nostra grande causa storica, siamo uno Stato dotato di forze nucleare e abbiamo messo a punto una potenza balistica». Con questa frase Kim potrebbe voler segnalare al suo popolo e all’esterno di aver centrato lo scopo e che potrebbe sospendere la corsa alle armi, in cambio di concessioni: soprattutto sul fronte delle sanzioni, ma anche di riconoscimento internazionale. Bisogna attendere la reazione articolata di Washington

Il nuovo missile balistico intercontinentale capace di "colpire tutto il territorio" americano, dalle Hawaii a New York, montando una "testata nucleare ultra larga": la sfida agli Usa è pronta grazie all'innovativo vettore Hwasong-15 lanciato nella notte e in grado di coprire "950 km e l'altitudine di 4.475 km", con risultati considerati tra i più importanti mai raggiunti. L'annuncio del "successo storico", al termine di un'operazione presenziata dal leader Kim Jong-un, è stato fatto dai media del Nord oggi alle 12.00 di Pyongyang 4.30 in Italia con tanto di "scheda tecnica" e di ufficializzazione della posizione di "Stato nucleare". Rompendo la tregua di 75 giorni, il vettore è partito dalle vicinanze di Pyongsong, provincia di Pyongsong del Sud, intorno alle 3.17 ed è caduto dopo 53 minuti a circa 250 km dalle coste nipponiche, nella zona economica esclusiva.

Il presidente Usa Donald Trump ha assicurato che "ce ne occuperemo", mentre Corea del Sud e Giappone hanno ribadito il carattere "inaccettabile" dell'ultima intemperanza del Nord. Trump, con l'omologo sudcoreano Moon Jae-in e il premier nipponico Shinzo Abe, ha ribadito il proposito di stare accanto agli alleati e di aumentare la pressione sullo Stato eremita, a poche ore alla riunione di emergenza del Consiglio di Sicurezza dell'Onu e in programma a New York.

Il Giappone, gli Stati Uniti e la Corea del Sud hanno chiesto una riunione di emergenza del Consiglio di Sicurezza Onu. E la Francia chiede un rafforzamento delle sanzioni. Gli Usa ritengono che «le opzioni diplomatiche» per risolvere la crisi nordcoreana restino «sul tavolo, per ora», ha detto il segretario di stato Rex Tillerson. E ha poi chiesto alla comunità internazionale di «prendere ulteriori misure» al di là delle sanzioni, «compreso il diritto di proibire il traffico marittimo che trasporta beni verso e dalla Corea del nord». Trump intanto tace ma starebbe meditando di dare una dura lezione a Kim. L'intero staff della Casa Bianca e i vertici della sicurezza nazionale stanno studiando la risposta da dare. «Ce ne occuperemo ... gestiremo la situazione», si è limitato a dire scuro in volto Trump.

"Il leader nordcoreano Kim Jong-un ha annunciato che il Paese ha realizzato la grande e storica causa di divenire uno Stato nucleare", ha scandito col solito tono drammatico e partecipato Ri Chun-hee, volto popolarissimo della Kctv, in campo sempre per le grandi occasioni. La risposta al ritorno di Pyongyang dopo 9 anni nella lista nera degli Stati sponsor del terrorismo, deciso dagli Usa una settimana fa, pare essere quindi che tra potenze nucleari un possibile negoziato, se ne matureranno le condizioni, non potrà che essere alla pari. A parte la retorica, l'ipotesi dell'intelligence di Seul e il naufragio delle aspettative sul lavoro diplomatico della Cina verso l'imprevedibile vicino, i giudizi del segretario alla Difesa Jim Mattis sono quelli che aprono gli scenari più incerti. Il missile "è andato più in alto, francamente, più di ogni antro lancio finora da loro fatto", ha detto il capo del Pentagono alla Casa Bianca. "E' uno sforzo di ricerca e sviluppo da parte loro per continuare a costruire missili balistici che possono minacciare qualsiasi parte nel mondo".   

Dopo l’annuncio tv, un dispaccio più tecnico-politico della KCNA, l’agenzia di notizie del regime. Riporta dettagli sul test che sono numericamente identici a quelli rilevati da sudcoreani e americani (copiati?): 4.475 km di altezza massima raggiunta, durata del volo 53 minuti, distanza percorsa 950 km. Le ultime righe sono significative: «Non minacceremo alcun Paese e alcuna regione fintanto che gli interessi della Repubblica Democratica Popolare di Corea non saranno violati: questa è la nostra solenne dichiarazione». Due scuole di pensiero opposte su questa conclusione. Secondo gli ottimisti, Pyongyang offre un negoziato agli americani. Ma la frase si può leggere anche in modo minaccioso, perché la Nord Corea ha ripetuto più volte che le sanzioni internazionali sono una violazione del loro interesse nazionale e rappresentano una dichiarazione di guerra. 

Strage in Egitto in una moschea nel nord del Sinai. L'attacco è stato condotto piazzando una bomba all'interno del luogo di culto e sparando sui fedeli che fuggivano dopo l'esplosione. 

L'ultimo bilancio è di 115 morti e 120 feriti, scrive l'agenzia egiziana Mena. Numeri confermati anche dalla tv di Stato egiziana di all news, Nile News, che indica col termine religioso islamico di "martiri" le vittime. 

Gli attentatori sarebbero giunti sul posto su fuoristrada 4x4. La presidenza della Repubblica ha annunciato un lutto nazionale di tre giorni per le vittime.   

Un bilancio che al momento, con aggiornamenti che arrivano di minuto in minuto, colloca a 184 i morti in uno degli attacchi più sanguinosi che il Paese abbia conosciuto negli ultimi anni.

Gli ospedali del nord del Sinai hanno dichiarato lo Stato d’emergenza, in particolare quelli della zona di Bir Abed. Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa Reuters, che cita due testimoni oculari e una fonte delle forze di sicurezza, alcuni uomini armati non identificati, sospettati dalle autorità di far parte di gruppi islamisti, hanno lanciato gli ordigni per poi aprire il fuoco contro i fedeli, modus operandi tipico dei gruppi jihadisti. Una forte esplosione sarebbe anche avvenuta fuori dalla moschea al momento dell’uscita dei fedeli alla preghiera del venerdì islamico.

Sono i media statali a confermare le cifre, mentre l'agenzia ufficiale Mena aggiunge che 120 sono le persone che sono rimaste ferite in un attacco iniziato quando un commando ha piazzato degli ordigni, per poi iniziare a sparare raffiche all'impazzata sui fedeli, riunitisi alla moschea per la preghiera centrale del venerdì, la più importante della settimana per i musulmani.

Secondo quanto riferito al canale Extra News dal responsabile dei soccorsi, Ahmad al-Ansari, i terroristi hanno aperto il fuoco anche sulle ambulanze arrivate sul luogo dell'attacco, ostacolando così il lavoro dei soccorritori che, tuttavia, sono riusciti a raggiungere la moschea. Al momento l'attentato non è stato rivendicato da nessun gruppo.

Da anni nella penisola del Sinai è in corso un'operazione anti-terrorismo lanciata dalle forze governative, per respingere un'insurrezione di stampo islamico che dal 2013 in poi, dopo che i militari hanno rovesciato il governo eletto e guidato dai Fratelli musulmani, ha iniziato a colpito più duramente e di frequente.

La regione vive da tempo in stato d'emergenza e le vittime tra civili, militari e uomini della polizia si contano a centinaia. Militanti affiliati all'Isis hanno uccisi a settembre almeno 18 poliziotti, attaccando un convoglio nella zona di Al-Arish, città sulla strada che porta al valico con la Striscia di Gaza, che avrebbe dovuto essere riaperto domani per tre giorni, nell'ambito di negoziati in corso al Cairo tra le diverse fazioni politiche palestinesi.

Il segretario generale della Lega Araba, Ahmed Aboul-Gheit, «ha condannato nei termini più duri l'attentato Il capo dell'organizzazione dei paesi arabi esprime in particolare «le proprie più sincere condoglianze all'Egitto, e alla sua dirigenza, governo e popolo». Fra le condanne dell'attentato sono arrivate all'Egitto, sotto varie forme segnalate da media, anche quelle di Francia, Gran Bretagna, Iraq e Oman.

Nell’area del Sinai sono attivi gruppi jihadisti, tra cui l’Isis che ha colpito diversi luoghi di culto cristiani. Il 9 aprile di quest’anno sono state colpite le chiese copte di Tanta e Alessandria d’Egitto, dove sono morte 47 persone. In luglio almeno 23 soldati sono stati uccisi in un agguato. Questo resta comunque l'agguato più sanguinoso. A novembre 2014, Ansar Bait al-Maqdis, organizzazione jihadista egiziana, ha dichiarato la sua affiliazione al califfato islamico, trasformando la penisola del Sinai in una provincia dell’Isis. 

Parte il reddito di inclusione, la prima misura nazionale di contrasto alla povertà: dal primo dicembre - si legge in una circolare Inps appena pubblicata - sarà possibile fare la domanda per la misura che oltre a un beneficio economico prevede un progetto personalizzato per la persona in situazione di bisogno.

Il beneficio che in prima battuta riguarderà le famiglie con minori, disabili, donne in gravidanza a quattro mesi dal parto e over 55 disoccupati avrà un tetto di 485 euro al mese (5.824,80 l'anno).

La pressione fiscale in Italia cala al 42,9% del Pil nel 2016, rispetto al 43,3% del 2015. Ma il Belpaese resta nella parte alta della classifica annuale dell'Ocse, confermandosi alla sesta posizione fra i paesi dell'area. E' quanto emerge dal rapporto 'Revenue Statistics' dell'organizzazione parigina, in cui la Danimarca si conferma il paese più 'vessato' con una pressione al 45,94%, davanti alla Francia (45,27%) e Belgio (44,18%).

La Commissione Ue invierà una nuova lettera all'Italia con richiesta di chiarimenti e impegni in merito alla manovra e prenderà una decisione definitiva sulla legge di bilancio a maggio del 2018. E' quanto si apprende al termine della riunione del collegio dei commissari, che ha discusso anche dell'opinione sulla legge di bilancio italiana comunque attesa per il prossimo 22 novembre.

Sulle leggi di stabilità l'opinione della Ue arriverà "la prossima settimana e non voglio anticiparla, ma il fatto è che tutti possono vedere dai numeri che la situazione in Italia non migliora", dice il vicepresidente della Commissione Jyrki Katainen. "L'unica cosa che posso dire a nome mio è che tutti gli italiani dovrebbero sapere qual è la vera situazione economica in Italia", ovvero "una deviazione dagli obiettivi di medio termine per quanto riguarda il saldo strutturale".

Replica secca del ministro dekll'Economia Pier Carlo Padoan che da Londra dice: ""La legge di Bilancio è una legge solida, utile al Paese e conforme alle regole". "Non rispondo a Katainen - aggiunge Padoan - ma rispondo con quanto ho già detto molte volte in passato: con la commissione c'è un rapporto di collaborazione continua, se ci saranno osservazioni sulla legge di Bilancio, ne terremo conto. Ma comunque ripeto che è una buona legge''

Sulle pensioni oggi dovrebbero arrivare sia il decreto che formalizza l’aumento dell’età a 67 anni nel 2019 sia l’emendamento alla manovra che salva dallo scatto le 15 categorie di lavori gravosi. Non ci sarà la parte che allarga i requisiti per l’Ape social, che arriverà quando il testo approderà alla Camera. Prima bisogna fare i conti sui soldi ancora disponibili.

Dovrebbe salire dai 2.840 di oggi a 3.500 euro il tetto massimo di reddito dei figli per considerarli a carico dei genitori. Si amplierebbe così il numero delle mamme e dei papà che hanno diritto allo sconto sulle tasse già previsto, una detrazione di 950 euro. Non cambierebbe invece il limite massimo d’età dei figli, che resterebbe a 25 anni. È una delle novità che potrebbe arrivare con il disegno di legge di Bilancio, la vecchia Finanziaria, all’esame del Senato

Intanto un emendamento presentato dal Pd, non ancora votato, ma sul quale c’è già un accordo di massima. Non è solo di un aiuto alle famiglie con figli, che affiancherebbe la conferma nel 2018 del bonus bebè, 80 euro al mese, e alla riduzione del superticket, i 10 euro aggiuntivi che in alcune regioni si pagano per le visite mediche specialistiche. Ma anche di una misura per far emergere il lavoro nero, un modo per arginare la tentazione di rimanere sotto la soglia di reddito pur di non far perdere la detrazione fiscale ai genitori

Sulla web tax, l’imposta del 6% sulle transazioni per le grandi aziende che operano sulla rete, è stato trovato un meccanismo per evitare di colpire le aziende italiane, che già pagano le tasse nel nostro Paese: avranno diritto ad un credito d’imposta di pari importo.

Fa discutere, invece, un emendamento del gruppo Ala che allarga il condono edilizio del 1994, stabilendo che la sanatoria vale anche per gli immobili a uso non residenziale e facendo saltare anche il limite di massimo del 30% per la cubatura condonabile. Non dovrebbe passare.

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