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Gerusalemme capitale d'Israele, la mossa Usa infiamma le diplomazie

Si infiamma la polemica sulla mossa degli Stati Uniti di "riconoscere" Gerusalemme come capitale di Israele anche se per ora la sede diplomatica dovrebbe restare a Tel Aviv.

I primi a reagire, stizziti, sono stati i palestinesi di Hamas, che hanno promesso una escalation della "intifada di Gerusalemme", se l'amministrazione Usa riconoscerà la città come capitale. Sarebbe, per Hamas, "una flagrante aggressione alla legge internazionale che considera Gerusalemme territorio occupato" e un modo di legittimare "i crimini della giudaizzazione della città e l'espulsione dei palestinesi". Anche l'Autorità nazionale palestinese ha messo in guardia gli Usa: "Questo passo metterà fine ad ogni possibilità di accordo di pace". E parla di un "riconoscimento inaccettabile". Abu Mazen ha rincarato la dose, ribadendo la "necessità di uno Stato palestinese con capitale Gerusalemme Est".

Tutto questo nervosismo ha indotto Donald Trump a rinviare a lunedì prossimo la decisione sul possibile spostamento dell'ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme. Una decisione che, come accennato prima, potrebbe portare a una nuova escalation di tensioni in Medio Oriente.

Al Cairo si riunisce il summit di emergenza convocato dalla Lega araba, su richiesta dell'Anp, per discutere la delicata questione. Intanto il ministero degli Esteri egiziano ha fatto appello a Washington ad agire "con saggezza" rispetto a qualsiasi decisione che riguardi la Città Santa e che potrebbe "far divampare la tensione nella regione". L’università al-Azhar del Cairo, uno dei principali centri d’insegnamento religioso dell’Islam sunnita, ha messo in guardia le autorità di Washington. In una nota afferma che questa eventuale mossa da parte degli Stati Uniti "alimenterebbe sentimenti di rabbia tra i musulmani, minaccerebbe la pace mondiale e approfondire la tensione, la divisione e l’odio nel mondo".

Il negoziato su Gerusalemme dovrà essere portato avanti nell’ambito di negoziati che «puntino in particolare alla creazione di due stati, Israele e Palestina, che vivano fianco a fianco e in sicurezza, con Gerusalemme come capitale». Macron ha parlato a Trump anche dell’Iraq, riferendo i risultati della visita a Parigi, sabato scorso, del primo ministro del governo regionale del Kurdistan, Nechirvan Barzani, accompagnato dal vicepremier Qubad Talabani. Nella nota dell’Eliseo si legge che «la Francia e gli Stati Uniti proseguiranno i loro sforzi congiunti per preservare la stabilità e l’unità dell’Iraq e favorire il dialogo nazionale fra le autorità federali e i dirigenti curdi iracheni».

Il presidente francese, Emmanuel Macron, ha espresso ieri sera la sua "preoccupazione" al capo della Casa Bianca, Donald Trump, "sulla possibilità che gli Stati Uniti riconoscano unilateralmente Gerusalemme come capitale dello stato d'Israele". Lo ha reso noto un comunicato dell'Eliseo, precisando che Macron ha ricordato che la questione dello "status di Gerusalemme dovrà essere risolto nel quadro dei negoziati di pace fra israeliani e palestinesi".

Non c’era bisogno di Jared Kushner, il genero-consigliere, per convincere Trump che la neutralità d’Obama in Medio Oriente si doveva orientare verso una «netanyahulità», fino a ricalcarne ogni scelta. Il suo ambasciatore David Friedman, contrario alla soluzione dei Due Stati e favorevole all’espansione dei coloni, dopo 68 anni di bunker sul lungomare di Tel Aviv ha già pronti gli scatoloni del trasloco: sarebbe stato individuato il terreno in una zona non occupata dal ’67, almeno quello, e garantito ai dipendenti arabi dei due attuali consolati la maggioranza che non saranno licenziati.

I posti di lavoro saranno l'unica cosa a salvarsi: per i palestinesi, col ritorno dei profughi e lo smantellamento delle colonie, la condivisione di Gerusalemme è uno dei punti irrinunciabili del negoziato di pace. «Il mondo pagherà un prezzo per tutto questo», dice un consigliere del presidente Abu Mazen. Avanti con la terza intifada, preannunzia Hamas. «Sostengo il diritto palestinese ad avere Gerusalemme per capitale», ha avvertito mercoledì Putin. E giù a cascata la Lega araba, il Marocco che minaccia una mobilitazione mondiale il 23 dicembre, la Giordania-sempre-amica che non dà a Israele il permesso di riaprire l'ambasciata ad Amman, ufficialmente con la scusa di problemi d'ordine pubblico. Tacciono egiziani e sauditi, ma perfino parte della destra israeliana è preoccupata non del se, perché è un regalo quasi insperato, ma del quando: con l’Iran alle soglie, il Libano instabile, i palestinesi riunificati, il Sinai sotto scacco Isis, proprio adesso bisognava mantenere la promessa elettorale?

Sulla questione dello spostamento dell'ambasciata Usa a Gerusalemme, il presidente Donald Trump "è stato chiaro sin dall'inizio, non è questione di se, ma di quando". Lo ha detto il vice portavoce della Casa Bianca, Hogan Gidley, aggiungendo che "una decisione" verrà resa nota "nei prossimi giorni".  Quest'ultima potrebbe rappresentare un atto di riconoscimento di Gerusalemme come capitale dello Stato ebraico.

E il sistema di difesa israeliano si sta preparando per una "possibile violenta" rivolta palestinese in Israele, principalmente a Gerusalemme, a seguito dell'annunciata intenzione di Donald Trump. La polizia israeliana, lo Shin Bet e il comando centrale dell'esercito - riferiscono i media d'Israele - hanno tenuto in questi giorni numerose riunioni in tal senso.

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha avvertito il capo della Casa Bianca, Donald Trump, che l'eventuale riconoscimento di Gerusalemme capitale di Israele rappresenta "una linea rossa per i musulmani" e che potrebbe portare alla rottura delle relazioni

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