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«Il nostro rapporto di amicizia con il popolo francese non è in discussione dice Di Maio in una intervista a Messaggero. Il Presidente Macron si è più volte scagliato contro il governo italiano per motivi politici in vista delle europee, e sui gillet gialli non mi pento".

Lo scontro fra il governo italiano  ed Emmanuel Macron ha raggiunto, ieri, un altro picco. Il richiamo dell’ambasciatore a Roma è stato uno dei segnali più chiari delle crescenti tensioni fra Italia e Francia. Da Parigi non sembra ci siano segnali di distensione. E anche se a Roma qualcuno cerca spiragli, sia in seno alla maggioranza che in sede diplomatica, ora molti attendono che l’Eliseo possa fare una nuova mossa per colpire l’Italia.

Parliamo di una nuova mossa, perché se è vero che il governo italiano ha aumentato il livello dello scontro ed è chiaro che ci siano delle responsabilità anche di una parte del governo, è anche vero che la Francia non ha mai cessato di colpire costantemente gli interessi italiani. Lo ha fatto sul fronte dei migranti, sul rispetto dei confini nazionali, sulla Libia, sui cantieri di Saint-Nazaire andando a danneggiare Fincantieri, e lo ha fatto anche in sede europea, sia per quanto riguarda la battaglia sul deficit sia blindando l’asse franco-tedesco con il Trattato di Aquisgrana.

La vendetta di Emmanuel Macron si consuma il giorno dopo lo strappo diplomatico.Con un dietrofront improvviso e inaspettato, il numero uno dell'Eliseo ha infatti fatto sapere di aver cambiato idea sugli immigrati che si trovavano a bordo della Sea Watch 3. Non li ospiterà in Francia. "Sono immigrati economici", hanno fatto sapere da Parigi rompendo così l'accordo preso a livello europeo per convincere il ministro dell'Interno Matteo Salvini a far attraccare in Sicilia la nave della Ong tedesca.  
Ora lo scontro tra il nostro Paese e Parigi sfiora anche il futuro di Alitalia. Secondo alcune fonti autorevoli citate dal Sole 24 Ore, la compagnia francese avrebbe deciso di ritirarsi dal piano di salvataggio di Alitalia per "motivi politico-istituzionali". La mossa potrebbe a questo punto mettere a rischio la ricerca di un partner alternativo ad Air France-Klm per affiancarsi a Ferrovie dello Stato. Alitalia in questo momento prosegue sulla sua strada attingendo alla cassa del prestito ponte di circa 900 milioni di euro. "Si dissolvono come neve al sole i piani di Di Maio su Alitalia e si avvicina sempre più la nazionalizzazione.

Dopo il botta e risposta tra Parigi e Roma sul caso dell'incontro di Di Maio con i leader dei gilet gialli, adesso la battaglia si sposta sul terreno economico. Già questa mattina il portavoce del governo francese ha puntato il dito contro Di Maio e Salvini affermando che le loro battute di certo "non hanno evitato la recessione".  

E le offese Francesi verso l Italia continuano un "siluro" dalla Francia sull'Italia: "Cacciare la lebbra nazionalista"venti di recessione che soffiano sull'Italia diventano un'arma nelle mani di Macron. E il suo portavoce non perde tempo e mette nel mirino l'Italia attaccando proprio l'esecutivo che deve fare i conti con una frenata della crescita: "Le battute di Luigi Di maio e Matteo Salvini sulla Francia non hanno evitato all’Italia di entrare in recessione", ha affermato Benjamin Griveaux. Poi l'affondo proprio su Di Maio che ha incontrato i gilet gialli: "Cortesia istituzionale vuole che si avverta il governo locale, quando si va in un paese vicino", ha detto.

Quanto a eventuale responsabilità di Parigi, Griveaux ha aggiunto che "dal presidente francese, Emmanuel Macron, non e mai arrivato un attacco frontale". Poi, sempre il portavoce del governo francese torna sul richiamo dell'ambasciatore a Roma e afferma: "Questa situazione di certo non è permanente ma era importante dare un segnale...". Infine il portavoce sferra l'attacco finale al nostro governo affermando che la Francia combatte "la lebbra nazionalista": "Se si vuol fare indietreggiare la lebbra nazionalista, se si vuole fare indietreggiare i populisti, se si vuol fare indietreggiare la sfida all'Europa, il modo migliore è di comportarsi bene con i propri partner". Lo scontro adesso è aperto. E gli esiti sono imprevedibili...

Griveaux ha preso atto della «disponibilità» al dialogo mostrata da Matteo Salvini e Luigi Di Maio, ma ha voluto sottolineare che «c’è un capo del governo in Italia, ed è il signor Conte», che il presidente francese, Emmanuel Macron, ha «incontrato diverse volte». Il richiamo dell’ambasciatore, ha spiegato poi Griveaux nel corso di una intervista a Europe 1, «non è permanente».

E sul fronte degli investimenti, Macron ha una serie di frecce pronte a essere scoccate dal suo arco. Ha già dimostrato di saperlo fare. Il caso più eclatante è quello dell’affare Fincantieri-Stx per i cantieri di Saint-Nazaire. Inutile negarlo: la mossa francese di adire la Commissione europea per presunta lesione della concorrenza è stato uno sgarbo eminentemente politico .Basti pensare che la possibile acquisizione dei cantieri atlantici non supera la soglia di fatturato minima per destare il sospetto dell’Antitrust europeo. Un mossa che non si può non definire subdola, ma che dimostra la possibilità di Parigi di bloccare un affare estremamente importante per la cantieristica italiana.

Altro settore a rischio, quello della telefonia. Come spiegato da Repubblica,  in particolare preoccupa la “controffensiva sferrata dal socio francese Vivendi per il controllo di Tim, che vedrà il momento clou nell’assemblea convocata per il 29 marzo. Vincent Bolloré, patron di Vivendi, che con il 23,9% è il primo azionista del gruppo italiano, pensa che cedere la rete Tim sia sbagliato. Il governo gialloverde, invece, la vorrebbe fuori dalla società telefonica”. Anche in questo caso, in un settore strategico ed estremamente delicato come quello delle reti telefoniche, la Francia ha un cavallo di Troia per colpire gli interessi italiani in caso di guerra diplomatica.

Ma Matteo Salvini scrive al Ministro Francese : "Caro Collega, i nostri Paesi da sempre condividono solidi rapporti bilaterali, con particolare riferimento ai campi della sicurezza, del terrorismo e dell'immigrazione - scrive Salvini a Castaner -. Rapporti che, nel confermare una concreta volontà di collaborazione, possono e devono essere ulteriormente sviluppati nell'interesse strategico reciproco. In questo quadro, sarei particolarmente lieto di invitarLa a Roma, per un confronto ed un proficuo scambio sui dossier aperti. Le anticipo, tra i vari temi, che confermo un vivo interesse per la collaborazione da Voi offerta a proposito dei rimpatri dei migranti economici. In attesa di incontrarLa personalmente in una data che i nostri Uffici potranno concordare, voglia gradire i sensi della mia stima, unitamente ai saluti più cordiali".Tra i punti sul tavolo, c'è quello legato al terrorismo. E il ministro dell'Interno ha affermato che chiederà al ministro che vengano rimandati in Italia i 15 terroristi che oggi sono in Francia.

Intanto il tempismo della decisione sorprende. Solo ieri, infatti, la Francia aveva richiamato l'ambasciatore a Roma, Christian Masset, "per consultazioni" dopo che "per vari mesi la Francia è stata soggetta ad attacchi infondati e senza precedenza, dichiarazioni oltraggiose" dei leader italiani. Una mossa senza precedenti che arriva al culmine di una tensione diplomatica sull'asse Roma-Parigi. E, nonostante Salvini si sia detto disposto a incontrare Macron per provare a "voltare pagina", oggi da Parigi è arrivato l'ennesimo sgambetto che, di fatto, obbliga il Viminale a dover gestire anche gli immigrati di cui i francesi avevano promesso di farsi carico.

Una ritorsione, insomma, che suona ancor più amara se si leggono le promesse dei francesi ad aiutare il nostro governo a chiedere rimpatri più efficaci in alcuni Paesi africani, a partire dal Senegal. Al Viminale non resta che prendere atto di questa ritorsione: "Anche i francesi non vogliono clandestini. Ora - fanno sapere - ci si aspetta che Parigi dimostri con i fatti la sua buona volontà, collaborando per rimpatriare al più presto decine di senegalesi irregolari che si trovano in territorio italiano". Ma, da qui alle elezioni europee del prossimo maggio, non ci si può aspettare più niente di più da Macron, se non altri colpi bassi.

Dei 47 migranti della Sea Watch in Italia ne resteranno uno o due". Dopo oltre dieici giorni di un estenuante braccio di ferro con l'Unione europea, Salvini era riuscito a portare a casa un importate risultato facendo sì che il peso dello sbarco non gravasse soltanto sull'Italia. Alla fine l'accoglienza degli stranieri avrebbe dovuto essere ripartita tra otto Paesi: Germania, Lussemburgo, Francia, Romania, Spagna, Portogallo, Lituania e Malta. 

Ad ogni Paese sarebbe, appunto, toccato un certo numero di immigrati. All'Italia ne sarebbero dovuti rimanere, appunto, soltanto un paio. E non più tutti come accadeva quando al governo c'era il Partito democratico. Ora, però, si viene a sapere che questo accordo è carta straccia. Non per tutti. Lo è per i francesi che, secondo quanto fanno sapere dal Viminale, hanno "cambiato idea" decidendo che non accoglieranno più i migranti della Sea Watch3. Parigi ha, infatti, fatto sapere al ministero dell'Interno italiano che "prenderà solo persone che hanno bisogno di protezione e non migranti economici".

Dopo gli sconfinamenti dei gendarmi transalpini nel nostro territorio nazionale, dopo gli insulti del presidente Macron, che ha bollato gli italiani definendoli “vomitevoli”, nel Pd c’è chi difende i francesi a spada tratta pur di andare contro il proprio Stato, dato che non siede più nella “stanza dei bottoni”. “Il nostro è un territorio che dal punto vista delle affinità culturali ed economiche ha radici comuni con la Francia. E sono radici profonde”, si giustifica Borgna. “Cuneo e Nizza sono gemellate da mezzo secolo. Il 14 luglio 2016 non c’era famiglia cuneese che non avesse conoscenti o parenti lungo la Promenade des Anglais. Il senso di appartenenza all’Unione europea va oltre le identità nazionale e locale”.

“Un gesto di amicizia con i cugini francesi”, aveva annunciato il primo cittadino di Cuneo, come riportato da “La Stampa”. “I valori più profondi dell’Unione europea e della convivenza pacifica tra Stati non possono essere strumentalizzati per fini elettorali

La leader di Fratelli d’Italia utilizza Twitter per esprimere tutto il suo sdegno nei confronti dell’atto da parte di Federico Borgna di esporre il vessillo francese accanto a quello di Italia ed Europa sul balcone del municipio. “A Cuneo il Sindaco Pd espone dal balcone del Comune la bandiera francese in “segno di amicizia” dopo la decisione della Francia di convocare l’ambasciatore francese a Roma. Quanto piace agli esponenti della sinistra comportarsi da servi”.

 

La Francia ha richiamato a Parigi per consultazioni l'ambasciatore a Roma Christian Masset. Lo annuncia una nota durissima del Quai d'Orsay che parla di "attacchi senza precedenti dalla fine della guerra e senza fondamento" e "dichiarazioni oltraggiose" da parte del governo italiano. "Essere in disaccordo è una cosa, strumentalizzare la relazioni a fini elettorali è un'altra", aggiunge il ministero degli Esteri francese.

Una scelta dovuta "agli attacchi senza precedenti del governo italiano", dicono dal ministero degli Esteri di Parigi, "La campagna per le elezioni europee non può giustificare la mancanza di rispetto per ogni popolo o la sua democrazia. Tutti questi atti creano una situazione seria che mette in discussione le intenzioni del governo italiano nei confronti della sua relazione con la Francia. La Francia invita l'Italia ad agire per ripristinare il rapporto di amicizia e rispetto reciproco, in linea con la nostra storia e del nostro destino comune".

A irritare la Francia sono state le polemiche sollevate oggi dal Viminale per le continue incursioni da parte dei gendarmi francesi sui treni a Ventimiglia. Controlli che spesso causano ritardi significativi alla circolazione ferroviaria o accuse ai capotreno italiani di non rispettare le forze dell'ordine francesi. Ma anche l'incontro avvenuto nei giorni scorsi da i leader del Movimento 5 Stelle, Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista, con i gilet gialli. Una "provocazione inaccettabile", l'aveva bollata ieri Parigi.

Quello di oggi è solo il culmine di uno scontro che va avanti da mesi. Dai blitz a Ventimiglia e Bardonecchia al franco imposto alle ex colonie in Africa, dalle accuse sull'accoglienza, fino agli scontri per i conti in Europa.

Perché la Francia continua a sconfinare per controllare chi c'è a bordo e nel caso respingere nel nostro Paese gli immigrati irregolari. Nelle ultime ore è, infatti, tornato centrale nell'agenda dei due Paesi il mantenimento dell'ordine al confine. Ad alzare la voce è ancora una volta il ministero dell'Interno denunciando i soprusi e gli sconfinamentidegli agenti francesi. Una nuova occasione di frizione che non farà che incrinare ulteriormente i già difficili rappoprti tra Matteo Salvini e Emmanuel Macron.

"Questa volta - fanno sapere dal Viminale - si tratta del comportamento della polizia doganale di Parigi". Sempre più spesso, infatti, gli agenti d'Oltralpe salgono a bordo dei treni italiani, alla stazione di Modane, per effettuare operazioni di controllo su passeggeri e merci e tengono fermi i convogli a lungo. Il risultato? Una vera e propria concorrenza sleale. I fortissimi ritardi danneggiano, infatti, sia i viaggiatori sia le imprese. Ma non solo. 

Si registrano anche svariati problemi per i responsabili dei treni italiani: in alcuni casi i convogli sono partiti con i doganieri ancora a bordo scatenando così reazioni particolarmente stizzite da parte di Parigi. Il capotreno italiano, che ha dato il via libera alla partenza, rischia ora una misura detentiva doganale per "opposizione allo svolgimento delle proprie funzioni". Un reato punibile con un anno di reclusione e una multa da almeno 15mila euro. Il Viminale ha già contattato le autorità francesi pretendendo "rispetto e ragionevolezza". "L'auspicio - fanno sapere dal ministero dell'Interno - è individuare immediatamente un punto di equilibrio, uniformando le operazioni di controllo".

È da tempo che al Viminale tengono d'occhio i francesi per questo comportamento. I fari erano già accesi lo scorso ottobre quando la gendarmerie ha obbligato un africano, probabilmente del Mali, che viaggia senza biglietto e, soprattutto, senza documenti, a rientrare nel nostro Paese. "Lo straniero ha superato il confine dall'Italia - avevano tuonato i militari francesi in quell'occasione - e in Italia deve ritornare". Al suo rientro a Torino, l'immigrato era stato immediatamente consegnato alla Polfer e portato nel commissariato locale, ma Salvini aveva comunque tenuto il punto con Parigi portando all'attenzione dell'Eliseo "l'ennesimo episodio di arroganza". "Aggiungiamo un altro capitolo al lungo elenco di lamentele. L'Italia pretende rispetto", aveva commentato il vicepremier leghista ringraziando pubblicamente le nostre forze dell'ordine e i ferrovieri per "non aver abbassato la testa" davanti ai francesi.

Ora il faldone degli sconfinamente inizia ad essere davvero corposo. Da Ventimiglia a Bardonecchia, gli episodi continuano a sommarsi e i rapporti con Macron si fanno sempre più tesi. Anche perché dopo l'accordo firmato con Angela Merkel, il presidente francese è definitivamente uscito allo scoperto. Non che ce e fosse bisogno, ma adesso è chiaro a tutto che sta giocando una partita contro l'Italia.

Intanto il governo italiano è a caccia di alleanze internazionali. E nel tempo è sempre più chiaro che c’è solo un leader pronto a sostenere Roma e la linea politica della maggioranza di governo: Donald Trump. Non è un mistero che il presidente degli Stati Uniti consideri l’Italia un perfetto alleato per rompere gli schemi europei. Sia Roma che Washington, sotto le rispettive amministrazioni, hanno come obiettivo quello di colpire l’asse franco-tedesco. A entrambi i governi interessa concentrare gli sforzi sul Mediterraneo e il Medio Oriente in un’ottica di stabilizzazione. Ed entrambi i governi (per gli Stati Uniti non lo Stato profondo) apprezzano un maggiore dialogo con la Russia.

A fronte di queste convergenze, è chiaro che Italia e Stati Uniti siano due Paesi completamente diversi. Gli Usa sono la superpotenza: l’Italia è un alleato e, in ultima analisi, un partner che serve a Washington per migliorare i propri interessi. Interessi che però convergono per un intricato gioco di incastri con quelli italiani. Ed è per questo che da Roma è partita la corsa per prendere il posto di miglior alleato di Trump in Europa.

Un’alleanza che non è solo strategica e fra due Stati, ma anche fra due governi e fra partiti politici. Ed è proprio per questo che Lega e Movimento 5 Stelle hanno ingaggiato, nel tempo, una sfida per ottenere maggiore peso nel cuore della Casa Bianca e dello Stato profondo americano. Entrambi i partiti sanno di non essere apprezzati dall’establishment europeo. Ed è per questo che possono giocare la carta Trump, che in questa Europa ha interesse a costruire la sua rete politica di alleanze rappresentata da The Movement di Steve Bannon.

La questione della richiesta a procedere per il ministro del interno intanto va avanti : in un documento allegato alla memoria difensiva del totolare del Viminale consegnato alla Giunta per l'Immunità del Senato, il premier spiega la sua posizione: "Sulla Diciotti c'è stata "attuazione di un indirizzo politico-istituzionale che il governo ha condiviso". Ma proprio sul docmuento presentato da Conte si apre un dibattito spinoso all'interno della Giunta. Come riporta l'Adnkronos la stessa Giunta delle Immunità del Senato è stata aggiornata al termine dei lavori dell'Aula. Dovrà valutare la ricevibilita' delle memorie presentate dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, dal suo vice, Luigi Di Maio, e dal ministro delle Infrastrutture, Danilo Toninelli.

In un documento allegato alla memoria difensiva del totolare del Viminale consegnato alla Giunta per l'Immunità del Senato, il premier spiega la sua posizione: "Sulla Diciotti c'è stata "attuazione di un indirizzo politico-istituzionale che il governo ha condiviso". Ma proprio sul docmuento presentato da Conte si apre un dibattito spinoso all'interno della Giunta. Come riporta l'Adnkronos la stessa Giunta delle Immunità del Senato è stata aggiornata al termine dei lavori dell'Aula. Dovrà valutare la ricevibilita' delle memorie presentate dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, dal suo vice, Luigi Di Maio, e dal ministro delle Infrastrutture, Danilo Toninelli.

I documenti, secondo l'ex presidente del Senato, Pietro Grasso, sarebbero irricevibili e dunque dovrebbero essere trasmesse al Tribunale dei ministri. Sulla vicenda è anche intervenuto il vicepremier, Luigi Di Maio: "Noi siamo sempre stati contro qualsiasi tipo di immunità, ma questo è un caso specifico che coinvolge la decisione di tutto il governo. Non stiamo isolando il ministro, è una decisione presa insieme. Il Movimento sta leggendo le note e prenderà una decisione con grande serenità. Ovviamente, la decisione sarà corale e la prenderemo dopo il percorso dell’istruttoria", ha affermato ai microfoni di UnoMattina. Dopo una mattinata agitata il presidente Maurizio Gasparri ha dichiarato ammissibili i documenti che rigurdano Conte, Di Maio e Toninelli.

 

 

Il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, ha iniziato a scrivere l'altro ieri la memoria difensiva che porterà alla Giunta per le immunità del Senato, che dovrà pronunciarsi entro il 23 febbraio, ovvero entro un mese da quando ha ricevuto le carte, per stabilire se il vicepremier dovrà essere giudicato o meno per il caso Diciotti.

il leader della Lega punterà su una linea difensiva ben chiara, ovvero far capire che le sue azioni sono state concordate d'accordo con il resto del governo.  

Lo ha detto lui stesso: «Andrò in Senato a testa alta, perché ho difeso l'interesse del mio Paese, i confini e la sicurezza. Combattere gli scafisti e gli amici degli scafisti, i trafficanti di droga, armi e uomini era e rimane una mia priorità».
Lo si è capito anche dalle dichiarazioni del collega pentastellato Di Maio, che ha chiarito che insieme al premier Giuseppe Conte porterà in Giunta una seconda memoria difensiva «per spiegare che le decisioni sulla Diciotti sono state prese insieme dal governo e non solo dal ministro dell'Interno». Insomma, se si decidesse di procedere con il negare l'immunità il tribunale dei Ministri potrebbe trovarsi davanti alla decisione di dover giudicare l'intero governo.

Un punto fondamentale, su cui probabilmente sarà focalizzata l'attenzione. Le leggi internazionali consentono, infatti, al governo di un Paese, di poter respingere immigrati qualora essi costituiscano un pericolo per la sicurezza nazionale. Questo principio è sancito dall'articolo 33 della Convenzione di Ginevra, che cita testualmente che a un rifugiato può persino essere negato lo sbarco «se per motivi seri egli debba essere considerato un pericolo per la sicurezza del Paese in cui risiede oppure costituisca, a causa di una condanna definitiva per un crimine o un delitto particolarmente grave, una minaccia per la collettività di detto Paese». Ebbene, all'epoca in cui Salvini e il governo impedirono ai migranti di scendere dalla Diciotti, a bordo c'erano 4 presunti scafisti, individuati grazie alle indagini della Polizia di Stato dopo alcuni giorni. E questo, da solo, può essere un motivo sufficiente a giustificare l'azione del ministro.   

Per il 55% degli italiani non va assolutamente processato Salvini per il noto caso “Diciotti”, dice si alla magistratura solo il 29%. Tra i contrari all’autorizzazione a procedere anche il 54% degli elettori Cinque Stelle con buona pace di Fico e Di Battista. L’altra divisiva questione, tra “durismo grillino” e salviniana visione, la Tav. Essendo un valico per il collegamento tra il Nord del Paese e le città della Francia sarebbe scontato il favorevole parere dei settentrionali. Qui è la sorpresa: oltre ad un 61% complessivo di connazionali che dicono si al valico Torino-Lione; si schierano con la Tav il 65% del Nord, il 61 del centro ed un impensabile 55% del meridione e delle isole. Per il no all’infrastruttura accolta da Salvini ed osteggiata da Di Maio/Di Battista un residuale 25% di italiani.

la Lega permane il maggior partito d’Italia con il 32.1% seguito dall’alleato , i Cinque Stelle, con un tondo 25 e che, in totale, conferisce al Governo Conte un 57.1%. Segue il Pd al 17.3, Forza Italia in ascesa all’11.7, Fratelli d’Italia al 4.1 ed altri per una complessiva percentuale pari al 9.8%. Il centrodestra unito si attesta al 47.9 contro un centro sinistra che, se andasse ad assimilare anche il totale del restante dato degli “altri” pari al 9.8 registrerebbe un 27.1. Così come in un’ipotetico accordo, grillini e democratici, la percentuale supererebbe di poco il 42 (42.3 per l’esattezza).


Intanto oggi si aggiunge una notizia della quale da almeno una settimana sono a conoscenza sia il ministro Salvini che il ministro Bonafede e cioè che per il loro comportamento, a seguito di una denuncia, è stato aperto un fascicolo presso la Procura di Roma, che ha deciso di fare domanda di archiviazione depositandola presso il Tribunale dei ministri, che potrebbe come sappiamo, anche respingerla. Come ben si ricorderà anche il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro aveva formulato sul caso della nave Diciotti «una richiesta motivata di archiviazione» ma il Tribunale dei ministri ha poi seguito un'altra strada.

L'esposto della Camera Penale di Roma era stato presentato contro il video pubblicato sul profilo Facebook del ministro Bonafede, in cui si riprendevano le fasi legate all'arrivo in Italia di Cesare Battisti tra cui anche il fotosegnalamento e l'acquisizione delle impronte digitali. In particolare, nel testo si citava fra l'altro l'articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo sul «divieto di trattamenti disumani e degradanti» e l'articolo 114 del codice di procedura penale che vieta «la pubblicazione dell'immagine di persona privata della libertà personale ripresa mentre la stessa si trova sottoposta all'uso di manette ai polsi ovvero ad altro mezzo di coercizione fisica» e quella prevista dall'articolo 42 bis della legge sull'ordinamento penitenziario che prevede che «nelle traduzioni sono adottate le opportune cautele per proteggere i soggetti tradotti dalla curiosità del pubblico e da ogni specie di pubblicità».

Secondo la Procura di Roma Bonafede e in concorso con lui Salvini, avrebbe violato la legge per la mancata adozione delle opportune cautele dirette a proteggere le persone in arresto dalla curiosità del pubblico e da ogni specie di pubblicità. A mettere nei guai il ministro della Giustizia sarebbe stato proprio questo video - realizzato con toni trionfalistici e propagandistici - in cui Battisti veniva esibito come un trofeo nel passaggio e nella consegna tra le varie forze dell'ordine. Tuttavia per i magistrati romani il fatto non costituisce reato perché mancherebbe il dolo e il vantaggio patrimoniale.

Archiviare, per mancanza di dolo, le posizioni del ministro dell'Interno Matteo Salvini e del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, indagati per la vicenda legata all'arrivo a Ciampino dell'ex terrorista Cesare Battisti. È la richiesta della Procura di Roma fatta al tribunale dei ministri. Salvini e Bonafede erano stati indagati dopo un esposto della Camera penale di Roma che denunciava la mancata tutela della dignità della persona arrestata.

Ora la palla passa al Tribunale dei ministri. Ci si chiede, intanto, come mai né il ministro Bonafede né Salvini abbiano sentito il dovere di rendere nota questa vicenda giudiziaria che li riguarda. E soprattutto il premier Conte ne era a conoscenza? E Di Maio? «La trasparenza è un dovere» diceva Beppe Grillo quando venne sospeso il sindaco ancora pentastellato Federico Pizzarotti per un avviso di garanzia per alcune nomine al teatro Regio di Parma e di cui non diede notizia tempestivamente ai vertici del M5s. Ma era molto tempo fa, c'era il «codice etico», le valutazioni seguivano ben altri costi-benefici da quelli della quadratura del cerchio del governo.

 

 

 

Il 14 febbraio 2019, San Valentino, dunque rischia di essere ricordato come il giorno della fine del tormentone Tav oppure come quello di una possibile crisi del governo M5S-Lega, visto che il tunnel è la punta dell'icebeerg di tensioni fortissime.  

l'Italia rischia di perdere o di dover restituire 1,2 miliardi di fondi europei se dovesse rinunciare al tunnel ferroviario fra Italia e Francia noto come Tav. Seconda novità: informalmente ieri Bruxelles ha fatto sapere a Roma che attende una risposta definitiva, che sia un si oppure un no, entro la prima metà di febbraio.

La cifra di 1,2 miliardi fra restituzioni e perdite si riferisce solo ai fondi europei ai quali bisognerebbe aggiungere le penalità da pagare alla Francia per i lavori già partiti su quel versante e le spese per la chiusura degli scavi già effettuati in territorio italiano. Secondo l'Osservatorio sulla Tav il no all'opera determinerebbe un costo di oltre 2 miliardi.  

Sul fronte politico anche ieri Salvini ha ribadito che si potrebbe trovare una soluzione «di buon senso» a patto che non piovano «insulti altrimenti le cose si complicano». Parole, quelle del leader della Lega, dirette innanzitutto ad Alessandro Di Battista le cui espressioni pesanti dell'altro ieri (Salvini non rompa i c....) però non sono apparse a nessuno come casuali.

Del resto la nuova versione dell'analisi è pronta. Sarebbe addirittura già stata tradotta in inglese e francese e, in settimana, sarà recapitata a Bruxelles. «Io sono con la valigia in mano», ha spiegato Fabrizio Ramella, tra i membri della commissione. Il suo contenuto è chiaro. In mattinata il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli un tv ha asfaltato così la Tav: «Chi se ne frega di andare a Lione». Parole sulle quali il Comité Transalpine Lyon-Turin ironizza: «Argomentazioni potenti».

Agli 1,2 miliardi di fondi Ue a rischio si arriva in questo modo: 500 milioni già stanziati da Bruxelles andrebbero restituiti sull'unghia mentre altri 700 milioni, previsti come contributo per la tratta italiana della Tav nei bilanci dell'Unione fino al 2020, verrebbero cancellati o riconvertiti. Com'è noto l'Ue è la principale finanziatrice del tunnel con il 40% delle quote mentre all'Italia spetterebbe il 35% e alla Francia il 25%. Recentemente Bruxelles si era detta disponibile a salire al 50% dell'intero investimento che per il tratto transfrontaliero, praticamente il tunnel (che sarebbe il più lungo del mondo), viene calcolato in circa 8,5 miliardi complessivi

Intanto in caso di rimpasto di governo o caduta dell’esecutivo Conte, il capo dello Stato non potrà solo interpretare la Costituzione rispetto alla fiducia che gli italiani gli riconoscono

Secondo Scenari Politici-Winpoll gli italiani alla domanda: "Mi può cortesemente dire quanta fiducia ha in una scala da 1 (per nulla fiducia) a 10 (massima fiducia) nei seguenti esponenti?" La massima risposta, con un 7.2, la ottiene proprio il presidente della Repubblica. Subito dopo, con un 5.9, e Matteo Salvini. Questo "testa a testa" non potrà essere non considerato se la Lega dovesse, appunto, quasi raddoppiare il risultato del marzo scorso in occasione del rinnovo del Parlamento Europeo.

Ritornando al calcolo da prassi costituzionale, Mattarella potrebbe affidare in prima battuta ancora a Giuseppe Conte, e poi proprio allo stesso ministro all’Interno, il tentativo di trovare una maggioranza, per un nuovo governo nazionale, prima di valutare una terza personalità o sciogliere il Parlamento. Il buon risultato che gli italiani riconoscono al capo dello Stato, stando ancora alla fiducia che i connazionali riconoscono a questo Governo, potrebbe passare anche dalla firma apposta al decreto che contiene le due riforme "dei giamaicani", per cui gli si riconosca quell’imparzialità pur provenendo da una formazione politica avversa.  

Su eventuali nuovi scenari, a margine delle elezioni europee, Sergio Mattarella terrà conto dei sondaggi per non tradire la credibilità riconosciutagli? Primo, come per prassi, in caso di crisi politica non potrà certamente sciogliere le Camere. Perché ipotizzare ciò? Semplice: le troppe fibrillazioni tra i due alleati e poi un'eventuale conferma dei numeri previsti dai vari Istituti nazionali rispetto ai dati ufficiali che scaturiranno a maggio.

Se i primi due sono i già citati, al terzo posto con un 5.3 c’è proprio l'attuale premier che potrebbe esser la maggior spina nel fianco al capo della Lega. Segue Luigi Di Maio, con un 4.4, che come minaccia ha il compagno Di Battista, fuori dalla politica istituzionale, ma già con un 4.2 e poi, sempre per la fiducia goduta dagli italiani, colui che sarà il capo del Pd, Nicola Zingaretti con un 3.8 e subito dopo, malgrado il venticinquennale della sua ascesa, Silvio Berlusconi con un 3.4.

In caso di crisi di Governo non sarà certamente facile gestire il tutto specie se gli italiani dovessero confermare questi ultimi dati, sempre dell'Istituto Scenari Politici-Winpoll, relativi alle intenzioni di voto: Lega Nord 31,5%, Movimento 5 Stelle 24,8%, Partito Democratico 13,1%, Forza Italia 9,2%, Partito di Renzi 8,2%, Fratelli d'Italia 4,2%, altri di centrosinistra 2,6%, Più Europa 2,2%, Potere al Popolo 1,7%, altri di centrodestra 1.4% e Liberi e Uguali 1.1%.

Da qui, in caso di somme, Lega più Cinque Stelle sempre solidi con un 56.3% ma ad "idillio/litigioso" rotto, se i grillini dovessero flirtare con Pd e Partito di Renzi (che non ci sarà e quindi il dato complessivo non sarebbe simile alla scomposizione prevista dal sondaggio come storicamente risaputo: ad unità il risultato sempre minore rispetto ad una corsa scomposta) andrebbero, sommando i tre numeri, al 46.1% contro un'alleanza di centrodestra che raggiungerebbe il 46.3%.

Intanto mentre il Governo Italiano ha un idilio litigioso tra i due componenti del Governo  i problemi continuano piu importanti di prima e come sottolinea il quotidiano il Giornale  : la Nato continua ad espandersi. Ma per l'Europa è diventato un problema La Nato continua ad espandersi. Ma per l'Europa è diventato un problema

L’Europa si trova in mezzo a questa guerra fredda giocata su sanzioni e espansionismo. E dal momento che la maggior parte dei Paesi membri della Nato mantengono solidi rapporti con la Russia, l’Alleanza atlantica, con la sua politica decisamente ostile nei confronti di Mosca, rischia di rappresentare un ostacolo alla stessa Europa. Sia come Unione europea sia come singoli Stati membri.

La Nato secondo "occhi alla guerra"continua la sua espansione nei Balcani. Il 6 febbraio, inizierà l’iter per l’ingresso della Macedonia del Nord dopo l’accordo sul nome con la Grecia. E per l’Alleanza atlantica si tratta di un nuovo tassello da inserire nel suo mosaico.

Una scelta che è perfettamente in linea con quanto avvenuto in questi decenni successivi alla caduta dell’Unione sovietica. Da sempre il comando atlantico ha la volontà politica, e prima ancora strategica, di inglobare i Paesi che facevano parte dell’orbita di Mosca per costruire un ‘Europa orientale legata a doppio filo alla volontà di Bruxelles (sponda Nato) e Washington. E la fine del veto greco su Fyrom ha di fatto dato il via libera all’ingresso di Skopje nell’Alleanza

L’Italia, in questo senso, è emblematica. Le sanzioni che hanno colpito la Federazione russa dopo l’annessione della Crimea hanno rappresentato una scure molto pesante sulle aziende italiane che vivevano di esportazioni in territorio russo. Una ferita ancora aperta per molte imprese italiane del settore agricolo ma anche manifatturiero che il governo italiano ha deciso di ricucire anche grazie ai buoni rapporti che intercorrono fra Palazzo Chigi e il Cremlino. Ma che deve comunque fare i conti con l’appartenenza di Roma nell’Alleanza atlantica e i rapporti fin qui solidissimi fra il governo giallo-verde e gli Stati Uniti di Donald Trump.

Ma questa linea di espansione verso Est, con un ritorno della conflittualità fra Occidente e Oriente, rischia di avere conseguenze particolarmente importanti sul presente e sul futuro dell’Europa. Ed è per questo che molti si interrogano sul peso che la Nato debba avere all’interno del Vecchio Continente in un momento in cui i rapporti fra Stati Uniti e Russia sono tornati di nuovo decisamente ostili, con la sospensione reciproca del Trattato Inf a essere il simbolo recente di questa sfida fra potenze.

Il Carroccio vorrebbe concludere la Torino-Lione, i grillini no, e sul piatto finisce anche l'autorizzazione a procedere per il ministro Salvini. Di Maio e il leghista assicurano che non ci sarà "nessuno scambio" e il governo "va avanti per le cose su cui siamo d'accordo". Ma le tensioni crescono. 

Ieri Salvini aveva fatto sapere al collega vicepremier di non trovarsi "al mercato", dunque il M5S non potrà scambiare lo stop alla Tav con il blocco al processo sulla Diciotti. Poi dall'Abruzzo aveva ribadito di preferire la conclusione di "un buco che è stato iniziato" anziché spendere soldi "per fermarsi". Ma Di Maio "tira dritto", chiede al titolare del Viminale di "non spingere su questi temi", mentre Fico ribadisce il suo "no" e Di Battista insulta l'alleato ("Non rompa o torni dal Cav"). Le distanze sono evidenti. 

«Se fossi in Conte chiamerei i due vicepremier e direi loro di togliere 2 miliardi l’uno e due l’altro. Se nessuno dei due volesse arretrare mi dimetterei e denuncerei all’opinione pubblica chi non vuole arretrare». Così il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, conclude a Torino l’incontro delle categorie produttive a sostegno della Tav. E ai vicepremier, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, invia una «promessa» e un «consiglio». «La promessa per Di Maio è che se ci convoca tutti e 12 non lo contaminiamo, il consiglio a Salvini, che ha preso molti voti al nord, di preoccuparsi dello spread perché le imprese se ne preoccupano e il contributo al premier è che questa manovra vale 41 miliardi di cui 18 per pensioni e reddito di cittadinanza. Per quattro miliardi appena evitiamo la procedura di infrazione», conclude.

«Se siamo qui significa che siamo a un punto quasi limite di pazienza». Così il presidente della Confindustria, Vincenzo Boccia, a margine della manifestazione ’Infrastrutture per lo sviluppo, Tav, l’Italia in Europà che vede riuniti alle Ogr di Torino 12 associazioni in rappresentanza di industriali, artigiani, commercianti, cooperative per un totale di circa 3000 persone. «Se siamo qui qualcuno si dovrebbe chiedere perché - ha aggiunto Boccia - la politica è una cosa troppo importante per lasciarla solo ai politici. Noi stiamo facendo proposte di politica economica per evitare danni al Paese. Lo stiamo facendo con una logica di rispetto delle istituzioni, certo che se qualche ministro quando gli facciamo una proposta ci chiede una mail, ci costringe a fare operazioni come questa di Torino. Il problema evidentemente - ha concluso il leader degli industriali - non siamo noi». E Confindustria ha avuto parole di fuoco anche per la manovra economica in via di approvazione. «Noi siamo contro questa manovra - ha detto il presidente Boccia - Non ha nulla di crescita, non ha un impatto sull’economia reale. Occorre un equilibrio tra le ragioni del consenso e quelle dello sviluppo».

Non possiamo escludere, se ci sono ritardi prolungati, di dover chiedere all'Italia i contributi già versati" per la Tav, oltre al "rischio che, se i fondi non sono impiegati, possano essere allocati ad altri progetti" europei. Lo ha ricordato un portavoce della Commissione Ue, ribadendo la posizione sulle incertezze che gravano sulla realizzazione della Torino-Lione. "La attuale analisi costi-benefici" su cui lavora il governo italiano "non è stata richiesta dalla Commissione", ha detto il portavoce, ricordando che già era stata presentata nel 2015.

"Dobbiamo stare attenti ai ritardi che già ci sono a causa della sospensione degli appalti", ha detto il portavoce, ricordando che sono 813,8 milioni di euro i fondi Ue approvati e stanziati per la Tav. Finora Bruxelles non ha ricevuto alcuna comunicazione ufficiale da parte di Roma.

Negli ultimi giorni il governo è andato avanti sui binari dello scontro proprio sulla fattibilità dell'opera. Dal un lato la Lega che chiede a gran voce con Salvini di andare avanti e il Movimento Cinque Stelle che invece chiede uno stop ai lavori. Ma adesso ad accendere ulteriormente lo scontro è l'Unione Europea che minaccia il blocco dei fondi in caso di ritardi sul proseguimento dell'opera e chiede anche la restituzione di quanto già versato: "Non possiamo escludere che, in caso di ritardi prolungati dei lavori della Tav Torino-Lione dovremo chiedere all'Italia di restituire i contributi già versati". Ad affermarlo, come sottolinea l'Adnkronos, è il portavoce alla Commissione Europea. Di fatto per la Tav sono già stati approvati i cofinanaziamenti per 813,8 mln di euro. Con ulteriori ritardi sul proseguimento dei lavori, i fondi che non si riesce ad impiegare in Italia vengano riallocati ad altri progetti della rete Ten-T, fuori dal nostro Paese.

"Il Grant Agreement, l'accordo di finanziamento, può anche essere rivisto, ma occorre che il governo prenda una decisione: a giugno ci sarà una valutazione di tutti i progetti Cef (Connecting Europe Facility) e, se l'Italia non vuole perdere i fondi, è bene che una decisione venga presa per tempo, prima di quella scadenza", sottolineano sempre fonti di Bruxelles. Infine l'Ue fa sapere che il progetto si potrebbe anche cambiare, ma di certo un piano di modifiche potrebbe essere piuttosto "laborioso".

Scontro aperto da alcuni giorni sul tema della Tav. In campo nuovamente oggi Matteo alvini e Luigi Di Maio. «Voglio risolvere i problemi e finire le opere lasciate a metà. Se costa di più fermare un'opera e tornare indietro, che finirla e andare avanti togliendo tir dalle strade, inquinamento dall'aria e aiutando imprenditori e pendolari non capisco perché bisogna fermarsi. Di Maio dice che finché è al governo non si farà? Mi spieghi perché. Non ci sono tifosi del sì e del no. Mi spieghi perché, numeri alla mano, è sconveniente usare treni veloci che ci collegano al resto del mondo risparmiando inquinamento e risparmiando quattrini». Così Matteo Salvini al Gr1 Rai Radio1 sul no M5S alla Tav.

«Il mio tono è quello del pragmatismo in una intervista al messaggero . Si può risparmiare un miliardo tramite alcune modifiche e si può rivedere in questo senso il progetto, come dice il Contratto di governo, e non vedo grandi problemi. Non solo si va avanti con la Tav. Ma in una fase di rallentamento generale dell’economia, dalla Cina alla Germania, dobbiamo rilanciare con un grande piano di opere pubbliche, in cui rientra la Tav insieme all’apertura e allo sviluppo di 400 progetti, da Nord a Sud. In queste ore è bloccato il Brennero, e se già ci fosse la terza corsia dell’autostrada, che noi faremo, non lo sarebbe. Accelerare e rilanciare sulle infrastrutture è fondamentale. E per farlo, vanno dimezzati i tempi burocratici che servono per le realizzazioni

«Ma figuriamoci. Nessuno stop. Un conto sono le parole, un conto sono i fatti. L’intesa si trova sempre. Così è stato in questi otto mesi. E sarà così anche stavolta. Siamo abituati a trattare e a portare a casa il risultato, e infatti la maggioranza degli italiani è dalla nostra parte. Se le faccio vedere il mio telefonino, lo troverà intasato di messaggi dei cittadini che ci fanno i complimenti per Quota 100, e sono passati appena cinque giorni dal decreto».

Luigi Di Maio risponde a Salvini sulla tenuta del governo e sulla Tav. «Secondo me in questo momento è intelligente andare avanti. C' è tanto da fare, lavoriamo sulle cose su cui siamo d' accordo e mettiamo un attimo da parte quelle su cui non siamo d' accordo», ha detto a Pomigliano (Napoli) ai cronisti.

«Ci sono tante opere da fare - ha spiegato Di Maio - come l' Asti - Cuneo, la Tav Roma- Pescara, ci sono opere da fare in provincia di Verona, Mantova, c'è da fare una Tav Catania- Palermo, la Roma-Matera che ci colleghi con la capitale della cultura 2019. Oggi presento la prima card nella storia della Repubblica per il reddito di cittadinanza, ci saranno tanti cittadini che aderiranno a quota 100, quest' anno dobbiamo tagliare 345 parlamentari e dobbiamo abbassare le tasse ancora di più alle Imprese». «Io credo molto - ha concluso il vicepremier - nel fatto che poi alla fine si riesca sempre ad andare avanti perchè siamo persone ragionevoli e perchè sappiamo che se fallisce questo governo tornano quelli di prima, quelli della Fornero e del Job' s Act». Danilo Toninelli, intervenendo a 'Coffee break' su La7. Toninelli ha anche aggiunto che se l'opera non si dovesse fare «i soldi non si perderanno», ma non ha risposto sul tema delle eventuali penali.

Anche la questione giustizia porta consensi al ministro all'Interno un po’ come quando, solo dal 1994, la magistratura si interessa a Silvio Berlusconi perché in politica e gli italiani lo votavano a prescindere. Lo votavano perché incarnava il nuovo e scettici dell'azione giudiziaria contro il Cavaliere per niente attenzionato dal 1992 (anno di inizio della “politica giudiziaria”) al giorno in cui decise, 25 anni fa, di scendere in campo.

Salvini ha capito anche questo forte dei numeri dei sondaggi e delle piazze. Il sondaggio di Demos & Pi e Demetra certifica l’ascesa leghista. Se i Cinque Stelle undici mesi fa sono sopra il 32, oggi sono sotto il 25 (24.9%) mentre la Lega è a pochi decimi dal raddoppio registrando il 33.7%. I Democratici al 18.2, Forza Italia al 9.4%, Fratelli d’Italia al 3.3, Più Europa al 3, Liberi ed Uguali al 2.8, altri al 4.7%.

Ma non sono solo i numeri per il partito a far fare il "Fico" a Salvini, dalla sua anche la consapevolezza di esser visto come il vero uomo forte d’Italia. È il più gradito agli italiani anche se a pari merito con il premier Giuseppe Conte, ma questo non ha un partito alle spalle, staccando Luigi Di Maio ed ancor di più il possibile futuro leader grillino, Di Battista. Infatti il 60% degli italiani gradiscono il leader leghista contro solo un 38% di connazionali che guardano con piacere all'ex viaggiatore grillino. Così come alla domanda di chi sia il leader dell’attuale esecutivo per il 56% lo è Matteo, per il 22 Conte e solo il 9% pensa a Gigino.

Su Rai Radio 1, di buon mattino, è Salvini a riaccendere la miccia delle polemiche interne alla maggioranza. "Voglio risolvere i problemi e finire le opere lasciate a metà - dice il leghista - Se costa più fermare un'opera e tornare indietro che finirla e andare avanti togliendo Tir dalle strade, inquinamento dall'aria e aiutando imprenditori e pendolari, non capisco perché bisogna fermarsi". Poi si rivolge a Di Maio e gli chiede di spiegare le motivazioni "numeri alla mano" che lo spingono a promettere a elettori e italiani il blocco dell'alta velocità. "Non ci sono tifosi del sì e del no - punge Salvini - Mi spieghi perché è sconveniente usare treni veloci che ci collegano al resto del mondo risparmiando inquinamento e risparmiando quattrini".

Sullo sfondo resta quella relazione costi-benefici che il ministero di Toninelli dovrebbe pubblicare (prima o poi). Dal Mit nei giorni hanno fatto trapelare le conclusioni "negative", guarda caso proprio quando dalla Lega erano partiti gli assalti in favore dell'opera. Solo quando sarà resa interamente pubblica, allora esploderà il vero scontro Lega-M5S: Salvini s'impunterà per concludere il progetto con piccole "modifiche"; i grillini invece faranno di tutto per imporre uno stop totale. "Questo Governo deve andare avanti per realizzare le cose su cui siamo d'accordo e non pensare a quelle su cui non lo siamo", getta acqua sul fuoco Di Maio. Finché la relazione rimarrà nel cassetto i litigi resteranno circoscritti. Poi saranno guai.

 

 

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