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Sabato, 01 Giugno 2024

Diciotti, soltanto il 29% vuole processare Salvini

Il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, ha iniziato a scrivere l'altro ieri la memoria difensiva che porterà alla Giunta per le immunità del Senato, che dovrà pronunciarsi entro il 23 febbraio, ovvero entro un mese da quando ha ricevuto le carte, per stabilire se il vicepremier dovrà essere giudicato o meno per il caso Diciotti.

il leader della Lega punterà su una linea difensiva ben chiara, ovvero far capire che le sue azioni sono state concordate d'accordo con il resto del governo.  

Lo ha detto lui stesso: «Andrò in Senato a testa alta, perché ho difeso l'interesse del mio Paese, i confini e la sicurezza. Combattere gli scafisti e gli amici degli scafisti, i trafficanti di droga, armi e uomini era e rimane una mia priorità».
Lo si è capito anche dalle dichiarazioni del collega pentastellato Di Maio, che ha chiarito che insieme al premier Giuseppe Conte porterà in Giunta una seconda memoria difensiva «per spiegare che le decisioni sulla Diciotti sono state prese insieme dal governo e non solo dal ministro dell'Interno». Insomma, se si decidesse di procedere con il negare l'immunità il tribunale dei Ministri potrebbe trovarsi davanti alla decisione di dover giudicare l'intero governo.

Un punto fondamentale, su cui probabilmente sarà focalizzata l'attenzione. Le leggi internazionali consentono, infatti, al governo di un Paese, di poter respingere immigrati qualora essi costituiscano un pericolo per la sicurezza nazionale. Questo principio è sancito dall'articolo 33 della Convenzione di Ginevra, che cita testualmente che a un rifugiato può persino essere negato lo sbarco «se per motivi seri egli debba essere considerato un pericolo per la sicurezza del Paese in cui risiede oppure costituisca, a causa di una condanna definitiva per un crimine o un delitto particolarmente grave, una minaccia per la collettività di detto Paese». Ebbene, all'epoca in cui Salvini e il governo impedirono ai migranti di scendere dalla Diciotti, a bordo c'erano 4 presunti scafisti, individuati grazie alle indagini della Polizia di Stato dopo alcuni giorni. E questo, da solo, può essere un motivo sufficiente a giustificare l'azione del ministro.   

Per il 55% degli italiani non va assolutamente processato Salvini per il noto caso “Diciotti”, dice si alla magistratura solo il 29%. Tra i contrari all’autorizzazione a procedere anche il 54% degli elettori Cinque Stelle con buona pace di Fico e Di Battista. L’altra divisiva questione, tra “durismo grillino” e salviniana visione, la Tav. Essendo un valico per il collegamento tra il Nord del Paese e le città della Francia sarebbe scontato il favorevole parere dei settentrionali. Qui è la sorpresa: oltre ad un 61% complessivo di connazionali che dicono si al valico Torino-Lione; si schierano con la Tav il 65% del Nord, il 61 del centro ed un impensabile 55% del meridione e delle isole. Per il no all’infrastruttura accolta da Salvini ed osteggiata da Di Maio/Di Battista un residuale 25% di italiani.

la Lega permane il maggior partito d’Italia con il 32.1% seguito dall’alleato , i Cinque Stelle, con un tondo 25 e che, in totale, conferisce al Governo Conte un 57.1%. Segue il Pd al 17.3, Forza Italia in ascesa all’11.7, Fratelli d’Italia al 4.1 ed altri per una complessiva percentuale pari al 9.8%. Il centrodestra unito si attesta al 47.9 contro un centro sinistra che, se andasse ad assimilare anche il totale del restante dato degli “altri” pari al 9.8 registrerebbe un 27.1. Così come in un’ipotetico accordo, grillini e democratici, la percentuale supererebbe di poco il 42 (42.3 per l’esattezza).


Intanto oggi si aggiunge una notizia della quale da almeno una settimana sono a conoscenza sia il ministro Salvini che il ministro Bonafede e cioè che per il loro comportamento, a seguito di una denuncia, è stato aperto un fascicolo presso la Procura di Roma, che ha deciso di fare domanda di archiviazione depositandola presso il Tribunale dei ministri, che potrebbe come sappiamo, anche respingerla. Come ben si ricorderà anche il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro aveva formulato sul caso della nave Diciotti «una richiesta motivata di archiviazione» ma il Tribunale dei ministri ha poi seguito un'altra strada.

L'esposto della Camera Penale di Roma era stato presentato contro il video pubblicato sul profilo Facebook del ministro Bonafede, in cui si riprendevano le fasi legate all'arrivo in Italia di Cesare Battisti tra cui anche il fotosegnalamento e l'acquisizione delle impronte digitali. In particolare, nel testo si citava fra l'altro l'articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo sul «divieto di trattamenti disumani e degradanti» e l'articolo 114 del codice di procedura penale che vieta «la pubblicazione dell'immagine di persona privata della libertà personale ripresa mentre la stessa si trova sottoposta all'uso di manette ai polsi ovvero ad altro mezzo di coercizione fisica» e quella prevista dall'articolo 42 bis della legge sull'ordinamento penitenziario che prevede che «nelle traduzioni sono adottate le opportune cautele per proteggere i soggetti tradotti dalla curiosità del pubblico e da ogni specie di pubblicità».

Secondo la Procura di Roma Bonafede e in concorso con lui Salvini, avrebbe violato la legge per la mancata adozione delle opportune cautele dirette a proteggere le persone in arresto dalla curiosità del pubblico e da ogni specie di pubblicità. A mettere nei guai il ministro della Giustizia sarebbe stato proprio questo video - realizzato con toni trionfalistici e propagandistici - in cui Battisti veniva esibito come un trofeo nel passaggio e nella consegna tra le varie forze dell'ordine. Tuttavia per i magistrati romani il fatto non costituisce reato perché mancherebbe il dolo e il vantaggio patrimoniale.

Archiviare, per mancanza di dolo, le posizioni del ministro dell'Interno Matteo Salvini e del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, indagati per la vicenda legata all'arrivo a Ciampino dell'ex terrorista Cesare Battisti. È la richiesta della Procura di Roma fatta al tribunale dei ministri. Salvini e Bonafede erano stati indagati dopo un esposto della Camera penale di Roma che denunciava la mancata tutela della dignità della persona arrestata.

Ora la palla passa al Tribunale dei ministri. Ci si chiede, intanto, come mai né il ministro Bonafede né Salvini abbiano sentito il dovere di rendere nota questa vicenda giudiziaria che li riguarda. E soprattutto il premier Conte ne era a conoscenza? E Di Maio? «La trasparenza è un dovere» diceva Beppe Grillo quando venne sospeso il sindaco ancora pentastellato Federico Pizzarotti per un avviso di garanzia per alcune nomine al teatro Regio di Parma e di cui non diede notizia tempestivamente ai vertici del M5s. Ma era molto tempo fa, c'era il «codice etico», le valutazioni seguivano ben altri costi-benefici da quelli della quadratura del cerchio del governo.

 

 

 

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