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All'indomani delle elezioni regionali in Sardegna va in scena la tregua armata tra Movimento 5 stelle e Lega. Dopo la cocente sconfitta subita a metà febbraio in Abruzzo, i pentastellati incassano una nuova débâcle a livello locale. Il malumore della base è sempre più tangibile. Così il capo politico del Movimento, Luigi Di Maio, alza la posta per rilanciare la sua leadership, accelerando su una serie di svolte che fa sapere di volere imprimere al M5s: sul blog, nel giro di pochi giorni, gli iscritti dovrebbero votare l'istituzione dei referenti locali fulcro della nuova organizzazione, l'apertura a liste civiche e la deroga ai due mandati per i consiglieri comunali.

Anche in seno alla Lega, il voto in Sardegna induce - pur con altri umori - alla riflessione. E allora, mentre Di Maio non vuole sentire parlare di ricadute sul governo, anche Matteo Salvini predilige toni bassi: entrambi garantiscono che gli equilibri dell'esecutivo giallo-verde non cambieranno. Salvini guarda i numeri, sa che senza l'apporto dell'intera coalizione di centrodestra la Lega, al momento, potrebbe non vincere in autonomia. E forse è questa riflessione a sconsigliare fughe in avanti leghiste.

Il segretario della Lega, Matteo Salvini commenta così il voto in Sardegna. "Ma per il governo non cambia nulla", ha aggiunto. "Con Luigi Di Maio ci siamo messaggiati, e ci vedremo a breve per i prossimi passaggi economici. Non c'era bisogno che lo confortassi io".  

«Dalle politiche a oggi se c’è una cosa certa è che su sei consultazioni elettorali, la Lega vince 6 a zero sul Pd - dice Matteo Salvini al voto in Sardegna - Anche in Sardegna, dopo il Friuli, il Molise, Trento, Bolzano e l’Abruzzo i cittadini hanno scelto - aggiunge il leader della Lega, a spoglio ancora in corso - di far governare la Lega. E come in Abruzzo anche in Sardegna è la prima volta che ci presentiamo alle Regionali». «Grazie a tutti quelli che hanno deciso di darci fiducia» conclude.

le rassicurazioni pero di Salvini, sulla volontà di mantenere l'alleanza giallo verde, per il M5s potrebbero essere insufficienti, se la prospettiva resta quella di una lenta ma costante erosione del consenso tra i propri elettori. Il leader della Lega lo sa ma non può farci nulla anche perchè una parte dei consensi perduti da Di Maio se li è accaparrati proprio lui. E certo non gli è dispiaciuto. Ma Salvini ha bisogno di andare avanti con i 5 Stelle. E farà di tutto per riuscirci. 

Di tornare a mettersi d'accordo con i suoi vecchi alleati del centrodestra - con Berlusconi ma anche con giorgia Meloni -non ha alcuna voglia. Anche perchè in quel caso non ci sarebbe l'escamotage del contratto, per rinviare temi spinosi e gli toccherebbe scendere a compromessi mentre il M5s dall'opposizione gli sparerebbe addosso. Restare con Di Maio però non sarà facile. Più il leader penta stellato sarà in difficoltà e piu sarà difficile fare ulteriori concessioni alla Lega. Ecco perché la vittoria per Salvini rischia di trasformarsi in un peso destinato a gravare sulla vita del governo. 

Prima o poi si dovrà decidere sulla tav; prima o poi il verdetto sulle autonomie delle Regioni verra emesso. Improbabile che finisca pari e patta. Qualcuno perderà e rimarrà bruciato. 

La Lega si è fermata al 11,8 per cento, dietro il Pd, che ha preso il 13 per cento. Non è una battuta d'arresto, considerato che si ipotizzava di arrivare almeno al 20 per cento.  "Vi pare poca roba? Vorrei averne altri di flop così", ha risposto Salvini, guardando il bicchiere mezzo pieno, ovvero la vittoria ampia della coalizione.

Nessuna preoccupazione anche dal premier Giuseppe Conte: «Non mi pronuncio sulle valutazioni politiche» del voto in Sardegna «ma non dobbiamo enfatizzare il ruolo di elezioni regionali: sono importanti per la Sardegna e offriranno degli spunti agli eletti ma sicuramente non ritengo che dagli esiti possano derivare conseguenze sul governo nazionale», spiega a margine del vertice Ue-Lega Araba. Più sfumata la posizione di Giancarlo Giorgetti: «Noi andiamo avanti per la nostra strada, gli elettori ci premiano, se altri hanno qualche problema è giusto che decidano loro come risolverlo», afferma il sottosegretario margine di un forum con investitori e analisti della City organizzato all’ ambasciata d’Italia dallo studio legale Legance.

Il tonfo dei Cinque Stelle in Sardegna, dopo quello in Abruzzo, dimostra che gli italiani stanno rinsavendo, stanno riaprendo gli occhi. E che il futuro è del centrodestra unito. Così Silvio Berlusconi, convinto che il voto di domenica abbia ridimensionato la Lega di Salvini, che non sarebbe autosufficiente.

"Gli italiani vogliono cambiare", diceva Antonio Tajani a poche ore dalle prime notizie sul voto sardo riferendosi ad una alleanza di governo giallo-verde piuttosto atipica rispetto ai risultati elettorali regionali. Ma Salvini, per ora, non sembra intenzionato a cambiare né idea né partner di governo. "Io col vecchio centrodestra non tornerò mai, questo deve essere chiaro", declina oggi il ministro dell'Interno in un'intervista a Repubblica. La dichiarazione sembra senza appelli né ripensamenti. "Governiamo insieme nelle regioni, nei comuni - spiega - Ma finisce lì".

Le difficoltà ci sono e il governo trema. Salvini, però, prova a tendere una mano al collega grillino. "È stato un voto locale, che non incide affatto sulle scelte nazionali", sostiene. "Io non mi sento più forte e Luigi non deve sentirsi più debole". In politica però non si regala nulla in cambio di niente. È evidente che oggi il leghista ha più vigore del grillino ed è improbabile che non lo faccia pesare sui temi che contano, come la Tav: "Farò di tutto - avverte - perché l'opera si realizzi".

Da ieri Salvini ripete come un matra che "va tutto bene, andremo avanti" e resta sordo ai richiami (giustificati) del centrodestra. A livello locale funziona, ma su quello nazionale per il ministro "giochiamo con altri schemi". Lui intende "rispettare" l'alleanza di governo e "l'impegno preso con i cittadini". Intanto, però, il centrodestra continua a volare e il M5S a cadere senza sosta. E dopo le Europee? "Ho dato la mia parola e la mia parola vale 5 anni e non cinque mesi".

Il tema, a suo giudizio, non è tanto pensare alla crisi, quanto lavorare sulla Basilicata, dove il candidato del centrodestra alle regionali di fine marzo è di Forza Italia. "Il centro-sinistra ha confermato di essere in crisi di idee, di uomini, di consenso. I Cinque Stelle hanno finalmente imboccato la strada di un declino irreversibile che si aggrava man mano che il Paese si rende conto della loro totale inettitudine".

Di Maio annuncia novità in arrivo: "Andremo avanti con la riorganizzazione e tra domani e dopodomani ci saranno novità importanti per il Movimento". E precisa: "Questa riorganizzazione non è una cosa per il M5s: servirà agli italiani perche noi siamo al governo ed abbiamo decine di istanze che arrivano dal territorio nazionale. La riorganizzazione ci aiuterà ad essere più capillare a rispondere alle esigenze dei cittadini". Tra le proposte al vaglio anche l'apertura alle liste civiche. Di Maio però avverte: "Bisognerà iniziare in maniera sperimentale. La cosa importante è che se ne discuta prima di tutto con i nostri iscritti", alludendo al referendum in preparazione su Rousseau.

"È inutile che si confronti il dato delle amministrative con le politiche: noi a livello amministrativo abbiamo sempre avuto risultati diversi da quello nazionale ed anche il questo caso la Sardegna non fa eccezione. Se si guarda agli altri partiti il M5s è in linea con tutte le altre forze politiche", conclude il leader dei cinquestelle.

Il prossimo appuntamento è a fine marzo, con le elezioni in Basilicata. Nonostante il M5s abbia cominciato a puntarci con decisione, il voto potrebbe veder trionfare una volta in più il centrodestra e la Lega, a due mesi dalla sfida cruciale delle elezioni europee. Una sfida per la quale, nel M5s, l'obiettvo principale è raggiungere il 25% che, secondo i sondaggi, i cinque stelle ancora non raccolgono in tutto il Paese. In seno al Movimento prevale il realismo. 

Anche perché, a taccuini chiusi, la definizione del voto sardo non ha mezze misure: anche se secondo alcuni era nell'aria, «è stata una débâcle». Il tema che affiora, in queste ore, è un cambio della comunicazione della linea movimentista. La sindrome di schiacciamento filo-leghista vede concordare un numero via via maggiore di parlamentari e l'esigenza, anche dalle parti dei vertici, è ora recuperare i toni moderati che permisero a Di Maio il salto oltre la soglia del 30% alle elezioni politiche.

 

 

 

Tra il 1999 e il 2017, la Germania ha guadagnato circa 1900 miliardi di euro, ovvero circa 23mila euro per abitante. E a parte l’Olanda, per il resto nessun Paese ha tratto realmente beneficio da questo moneta. Anzi, le altre due potenze europee, Italia e Francia, hanno assistito a un netto calo della crescita e della competitività. Per Parigi si parla di una perdita di 3600 miliardi di euro, mentre per l’Italia addirittura di 4300 miliardi. Numeri che, divisi in base ai cittadini, indicano che si sono persi 56mila euro pro capita in Francia e 74mila euro in Italia.

In un articolo del Giornale " occhi della Guerra" Lorenzo Vita  analizza i problemi che ha portato la Germania di essere unica che ha guadagnato dalla moneta unica il problema dell’euro, come scritto da Huffington Post, riguarda in particolare la competitività e le disuguaglianze sociali. Quello della competitività, in particolare, è un problema che sembra non solo irrisolto ma anche (attualmente) irrisolvibile poiché, a detta del Cep, “i singoli paesi non possono più svalutare la propria valuta per rimanere competitivi a livello internazionale”. Una perdita di competitività che ha condotto “a una minore crescita economica, a un aumento della disoccupazione e al calo delle entrate fiscali. La Grecia e l’Italia, in particolare, stanno attualmente attraversando gravi difficoltà a causa del fatto che non sono in grado di svalutare la propria valuta”.

Mai come in questi tempi, continua il Giornale  l’euro è stato messo in discussione. I movimenti critici nei confronti della moneta unica e nel mondo in cui è stata gestita, sono cresciuti in maniera esponenziale. E anche se non tutti sono dichiaratamente a favore dell’uscita dall’euro, sono in molti a chiedere un cambio di passo. Così, ed è evidente, la moneta unica non funziona. E lo dimostrano ormai innumerevoli studi che hanno sancito più volte una critica definitiva nei confronti del sogno di molti difensori dell’Ue.

L’euro può anche non essere stato un errore, come affermano i suoi difensori. Ma il fatto che sia un’emanazione e un’arma della politica economica della Germania è una realtà di fatto. Tanto che adesso sono numerosi i think tank e i centri studi che affermano che Berlino sia l’unica ad aver realmente guadagnato da questo sistema.

Come riporta l’Huffington Post, il Cep (Centrum für Europäische Politik) di Friburgo ha pubblicato un report molto dettagliato su vincitori e vinti a vent’anni dalla sua istituzione della moneta. E quello che ne scaturisce, è che ci sono solo due Paesi ad aver tratto profitto dalla moneta unica: Germania e Olanda. E se a dirlo è un centro studi tedesco, va da sé che non lo si può accusare di essere avverso alla Germania.

Lo studio come riporta il giornale si fonda su analisi di come sarebbe stato alto il Pil pro capite in assenza dell’euro. E l’Italia è quella che ha perso più di tutti. I ricercatori del centro tedesco affermano che senza l’euro, il Pil italiano sarebbe stato più alto di 530 miliardi di euro. “In nessun altro Paese tra quelli esaminati l’euro ha portato a perdite così elevate di prosperità” come in Italia, scrive il report.

E sulla situazione del nostro Paese, il rapporto conclude: “L’Italia non ha ancora trovato un modo per diventare competitivo all’interno dell’eurozona. Nei decenni prima dell’introduzione dell’euro, l’Italia svalutava regolarmente la propria valuta con questo scopo. Dopo l’avvento dell’euro non è stato più possibile. Invece, erano necessarie riforme strutturali. La Spagna mostra come le riforme strutturali possono invertire la tendenza negativa”.

Insomma, adesso a criticare la nostra moneta, ma soprattutto a puntare il dito sulla Germania non sono più solo i movimento sovranisti ed euroscettici. Anche i ricercatori tedeschi iniziano a essere molto duri nei confronti della politica di Berlino nei confronti dell’Unione europea. Ed è una conferma di come sia stata proprio la Germania la prima responsabile della crisi economica e di consenso nel sistema europeo.

 

Autorizzazione negata dalla Giunta per le Immunità del Senato alla richiesta del Tribunale dei ministri di Catania di poter processare il ministro dell'Interno Matteo Salvini con l'accusa di «sequestro di persona aggravato» per non aver fatto sbarcare per 5 giorni 177 migranti dalla nave Diciotti. I voti a favore della proposta del presidente della Giunta Maurizio Gasparri di dire no all'autorizzazione sono stati 16, 6 i contrari. «Sono molto soddisfatto del voto della giunta. I 5s Hanno voluto leggere il mio testo», ha spiegato Gasparri lasciando la Giunta.

Una riunione durata circa un paio d'ore, come promesso dal presidente e relatore Maurizio Gasparri, che ha chiesto di dire no alla richiesta del tribunale dei ministri di Catania di procedere nei confronti del vicepremier e ministro dell'Interno. Sul tema dovrà comunque esprimersi l'Aula del Senato entro il 25 marzo.

Un primo no era arrivato ieri sera dalla base del Movimento 5 Stelle, che ha espresso la propria preferenza attraverso la piattaforma Rousseau. Un voto non vincolante, ovviamente, ma che determina l'orientamento dei senatori grillini. E che ha reso quasi scontato il "no" di oggi, dal momento che anche Forza Italia, Fratelli d'Italia e Lega avevano da tempo annunciato di voler respingere la richiesta dei magistrati siciliani. Su 23 membri della Giunta, quindi, a favore del processo si sono espressi solo i quattro rappresentanti del Partito democratico, il senatore di Leu Pietro Grasso e l'ex 5 Stelle Gregorio De Falco. Assente invece la vicepresidente Giulia D'Angelo (M5S) che stanotte ha dato alla luce una bimba.

I parlamentari, non tutti, si sciolgono in un applauso appena Luigi Di Maio entra nella saletta del gruppo scortato dai suoi ministri e dice che «con questo risultato i nostri iscritti hanno valutato che c’era un interesse pubblico nella vicenda Diciotti». E in un momento, il giovane capo politico capisce di essere uscito indenne dal voto di Rousseau in versione forche caudine 2.0. O meglio: il Movimento è spaccato, quasi come una mela, ma l’alleanza di governo regge e dunque si va avanti. È il culmine di una giornata ricca di tensioni, con il vicepremier costretto ad annullare una cerimonia alla Federico II di Napoli per ritornare di corsa nella Capitale. Deve gestire da Roma gli umori dei suoi. Da sondaggi interni e passaparola il risultato è in bilico. «E rischia di cadere giù tutto», si sfoga. Anche perché proprio Di Maio si è esposto in prima persona con Salvini e tutto è appeso. Spesso il ministro dell’Interno in questi mesi si è sfogato così: «Ma Luigi i suoi li regge?». A dubbi del capo M5S si aggiungono quelli del premier Conte sul voto on line, prima fatti filtrare e poi smentiti da Palazzo Chigi. Fatti che testimoniano una grande fibrillazione.

La democrazia diretta è sempre stato un principio fondante del MoVimento 5 Stelle - spiega in una nota Francesco Silvestri, portavoce del MoVimento 5 Stelle alla Camera dei deputati sulle polemiche all'interno dei pentastellati sul voto sul caso Diciotti -. Anche sul caso Diciotti abbiamo fatto decidere i nostri iscritti, che è esattamente quello che non hanno mai fatto le altre forze politiche. Per questo ci stupiscono le parole di alcuni parlamentari che si lamentano per questa decisione. Ricordo, ad esempio, alla senatrice Fattori e a quanti cercano giornalmente visibilità sui giornali, che è proprio grazie a Rousseau che sono potuti entrare in Parlamento, ben conoscendo le regole che hanno sottoscritto. Il dialogo all'interno del MoVimento è sempre aperto, ma se Fattori e gli altri non condividono più questo modus operandi, potrebbero semplicemente restituire quanto dovuto e dimettersi".

"La rete aveva già votato su questo punto quando abbiamo votato il programma. È una contraddizione forte, perché questa votazione è fuori regolamento - ha detto a 'Circo Massimo' -. Nell'articolo 4 dello Statuto, che è quello che regola le votazioni, quelle di questo tipo non sono previste". "Con questo voto il M5S ha perso una parte della sua natura, dal punto di vista elettorale dovrebbe costare caro. Nella mia bolla di percezione il dissenso è ampissimo", aggiunge.

"Per me bisogna cercare un altro mezzo per trovare le convergenze e non cedere passo passo a ricatti. Condivido l'idea di voler andare avanti per portare avanti il programma, ma questo cedere può essere deleterio per il M5S e per il Paese. Si sta disegnando un'idea di società respingente, che fa leva sui più deboli. Siamo in recessione etica e morale, si sta dando adito a una visione di chiusura e di respingimento che non appartiene al vero Movimento".

La Lega primo partito italiano con più eletti all'Europarlamento, passando dagli attuali 6 eurodeputati a 27, e il secondo dopo i tedeschi della Csu/Cdu che ne avrebbero invece 29. Lo dicono le prime proiezioni sui seggi della futura Eurocamera dopo le europee a fine maggio, proiezioni basate su sondaggi condotti nel nostro Paese nelle settimane precedenti. Il M5S salirebbero da 14 a 22. Crollerebbe il Pd che passerebbe da 26 eurodeputati a 15, Forza Italia scenderebbe da 11 a 7.

in vista delle elezioni europee, il Partito Popolare Europeo dovrebbe essere quasi sicuramente la prima forza politica nel prossimo Parlamento, portando a Strasburgo un battaglione di 183 deputati, ma con una perdita di 34 deputati rispetto agli attuali 217.

Salgono poi i Liberali e l'estrema destra dell'Enf, perdono terreno i Popolari, ma restano di gran lunga il primo gruppo nel Parlamento Europeo, e soprattutto i Socialisti, che tuttavia dovrebbero restare il secondo gruppo, ma anche i Verdi, che erano considerati in crescita. Il quadro che emerge dal sondaggio diffuso oggi dal Parlamento Europeo, con le proiezioni dei seggi, in vista delle prossime elezioni europee, realizzato da Kantar Public sulla base delle intenzioni di voto rilevate all'inizio di febbraio, prevede un'Aula in cui i Socialisti e i Popolari non avranno più la maggioranza. Ma già un'alleanza tra Socialisti, Popolari e Liberali avrebbe una maggioranza confortevole, che diverrebbe inattaccabile se imbarcasse anche i Verdi.

Prima forza che potrebbe essere seguita proprio dal blocco sovranista. Che non si presenta unito, ma che potrebbe ottenere, stando alle proiezioni, 153 seggi mettendo insieme tutti i tre gruppo parlamentari euroscettici.

Secondo i dati dell'Eurocamera, tra i gruppi sovranisti, l'Europa delle Nazioni e delle Libertà (il gruppo a cui appartiene la Lega) dovrebbe ottenere quasi certamente 59 seggi, i Conservatori e riformisti europei (gruppo parlamentare cui appartiene Fratelli d'Italia) 51 seggi. Mentre l'Europa della libertà e della democrazia diretta (a cui appartiene il Movimento 5 Stelle) potrebbe avere 43 seggi.

Sul fronte interno, ecco come sono pronti a cambiare gli equilibri italiani e del governo in Europa. I rappresentanti della Lega dovrebbero passare da 6 a 27, diventando così la seconda forza più grande dell'Europarlamento dopo la Cdu di Angela Merkel. Per maggio, le proiezioni del Parlamento europeo parlano invece di un Movimento 5 Stelle con 22 deputati, otto in più rispetto agli attuali. Fratelli d'Italia dovrebbe avere quattro eurodeputati, ma il gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei (Ecr), subirebbe un forte calo di presenze, con 51 seggi: 24 in meno degli attuali. Pesa la possibile uscita di scena dei conservatori dopo la Brexit.

A sinistra, il gruppo dei Socialisti&Democratici (S&D) dovrebbe confermarsi quale seconda forza e ottenere 135 seggi. Per i socialdemocratici si tratta di un crollo di rappresentanti, visto che vedrebbe un calo di 51 deputati rispetto ai 186 attuali. Per questo motivo, pur rimanendo il secondo partito, non rappresenterebbero il secondo blocco, perché i sovranisti, pur disuniti, sarebbero molti di più.

Il gruppo dell'Alleanza dei liberali e democratici europei (Alde), quello di Guy Verhofstadt, dovrebbe diventare la terza forza con 75 seggi, con un guadagno di 7 deputati. Una proiezione in cui però non sono inclusi i possibili eletti di La Republique En Marche, il partito di Emmanuel Macron.

Per quanto riguarda il gruppo della Sinistra Unitaria Europea (Gue), il partito dovrebbe ottenere 46 seggi, con una diminuzione di sei deputati rispetto ai 52 attuali. Il gruppo dei Verdi, nonostante il boom in Germania, dovrebbero ottenere 45 seggi: ora ne ha 52.

La proiezione, che si basa sulle rilevazione nazionali e considerate molto affidabili, è anche fondata sul futuro numero di seggi dell'Europarlamento dopo la Brexit, che non saranno più 751 ma 705.

 

Intanto quello di oggi è un passaggio certamente cruciale per la maggioranza. Ma sia dalla Lega che da M5s arrivano messaggi di rassicurazione. Salvini si dice tranquillo.  "Ho fatto il mio dovere e ho difeso i miei concittadini, come prevede la Costituzione. Ho difeso la mia Patria, come è dovere di ogni cittadino". Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti evidenzia: 'Il governo non rischia di cadere'. "Sul governo si va avanti. Ho preso un impegno con gli italiani e intendo portarlo avanti", dice Luigi Di Maio. Ma il viceministro alle Infrastrutture Edoardo Rixi (Lega) precisa: "E' abbastanza chiaro che il voto su Salvini è un voto sul governo. D'altra parte anche dentro il Movimento mi sembra ci siano quelli più filogovernativi e quelli meno. È giusto anche capire il mondo dei 5 Stelle che cosa ne pensa. "Questa consultazione per noi non avrà conseguenze, per gli altri non lo so. Noi non obblighiamo nessuno a far nulla, stiamo lì e prendiamo atto delle scelte", aggiunge.   

ll quesito come detto ha generato parecchia confusione e anche lo stesso Grillo ha criticato la scelta dello staff. Ma proprio su quetso tema è arrivata la risposta dello staff di Rousseau: "La risposta chiesta agli iscritti a Rousseau per il voto è uguale a quella che sarà chiesta martedì ai senatori della Giunta. Si è deciso di porre nel quesito il reale oggetto della questione, che coinvolge anche le decisioni politiche del presidente Conte, del vice presidente Di Maio e del ministro Toninelli. Non si tratta di decidere se 'mandare a processo il ministro dell'Interno, ma di valutare se la decisione di trattenere i migranti qualche giorno a bordo della nave Diciotti è stata presa sulla base di un interesse dello Stato o no". Insomma il voto degli iscritti del Movimento parte già con qualche problema. Salvini da parte sua si dice tranquillo e non teme sgambetti o problemi per la tenuta del governo: "Gli italiani sanno che ho agito per il loro bene e per la loro sicurezza.Da inizio anno 215 sbarchi contro i 4.856 del 2018, meno 96%. E i rimpatri sono 795, quasi quattro volte gli sbarcati. Sento forte il vostro supporto, in Sardegna e ovunque io vada".

Le operazioni di voto sono già slittate di un'ora. Sulla piattaforma Rousseau era previsto un voto dalle 10:00 di questa mattina fino alle ore 19:00. Adesso il voto partirà alle 11:00 per terminare alle 20:00. Dietro al ritardo alcuni probabilmente alcuni problemi tecnici. Gli iscritti al Movimento oggi dovranno rispondere ad un quesito che ha già sollevato polemiche per la formulazione della frase che indurrebbe a votare "sì" in caso di "no" e viceversa. Il quesito presentato sulla piattaforma è questo: "Il ritardo dello sbarco della nave Diciotti, per redistribuire i migranti nei vari paesi europei, è avvenuto per la tutela di un interesse dello Stato?

- Sì, quindi si nega l'autorizzazione a procedere
- No, quindi si concede l'autorizzazione a procedere".

A questa formula è stato aggiunto, in mattinata, un inciso: "...è avvenuto per la tutela di un interesse dello Stato'' in caso di risposta affermativa e ''non è avvenuto per la tutela di un interesse dello Stato'' in caso di risposta negativa.

Subito dopo il quesito la comunicazione dello staff di Rousseau: "La votazione è attiva sulla piattaforma Rousseau dalle 11.00 alle 20.00". Un segnale, il ritardo, che di fatto accende le polemcihe sull'affidabilità del sistema che di fatto in passato è finito nella bufera per alcune violazioni della privacy e soprattutto per attacchi hacker. Ma nel corso della giornata, intorno alle 15:00 è arrivata un altro rinvio per le difficoltà di accesso alla piattaforma: "Considerata l’alta partecipazione, la chiusura delle votazioni sul caso Diciotti è stata prorogata alle 21.30 di oggi", si legge sul blog delle Stelle.

"Da capo politico - sottolinea - sosterrò il risultato della consultazione online sul caso Diciotti". "Qualcuno si è lamentato del quesito - ha aggiunto senza nominare esplicitamente Beppe Grillo - ma è lo stesso quesito che verrà posto in Giunta per le autorizzazioni. Non parlo sui se e sui ma". "Ci sentiamo stasera - ha concluso - e poi ognuno si assume le proprie responsabilità".

"Ho fatto il mio dovere e ho difeso i miei concittadini, come prevede la Costituzione. Ho difeso la mia Patria, come è dovere di ogni cittadino", ha detto il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, oggi a Ozieri (Sassari)

Intanto le votazioni dei pentastellati sono partite alle 11 con un leggero slittamento dovuto - si è spiegato - a problemi tecnici. Inoltre M5s ha fatto sapere che "considerata l'alta partecipazione, la chiusura delle votazioni sul caso Diciotti è stata prorogata alle 21.30 di oggi".

Beppe Grillo puntualizza la sua battuta di ieri sulla consultazione virtuale. "La mia - dice - era solo una battuta, montata ad arte contro il M5S", dice tornando sul tweet ironico lanciato ieri sulla consultazione online (definita qualcosa a metà "tra il comma 22 e la sindrome di Procuste") sul caso Diciotti sulla piattaforma Rousseau. "Piena fiducia nel capo politico Luigi Di Maio", sottolinea.

La decisione del M5S di affidare alla piattaforma Rousseau l'autorizzazione a procedere o meno sulle accuse al ministro dell'Interno Salvini sulla nave Diciotti è, invece, secondo il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani, "una scelta ridicola che offende la democrazia parlamentare, che cerca di togliere ogni responsabilità al M5S incapace di decidere se stare dalla parte del diritto o del giustizialismo". Tajani ha poi annunciato che Forza Italia voterà "no" nelle sedi istituzionali.

Marco Marsilio del centrodestra è il nuovo governatore dell'Abruzzo. Il candidato di Fratelli d'Italia conquista il 48% e stacca i rivali del centrosinistra, Giovanni Legnini, fermo al 31%, e del Movimento 5 stelle Sara Marcozzi, solo terza con il 20%.

Boom della Lega che diventa il primo partito nella regione (alle precedenti elezioni regionali del 2014 non era nemmeno presente) con oltre il 27%. Crolla al 19% il Movimento 5 stelle, dal 39,9% delle politiche 2018 (era il 20% alle precedenti regionali). In calo anche il Pd che prende l'11,6%, dal 25% delle elezioni di 5 anni fa e dal 14% delle politiche. Affluenza in calo al 53,12%.


E proprio per la sua collocazione temporale, a poco più di tre mesi dalle elezioni europee, l'esito delle urne potrebbe avere un peso non indifferente sugli equilibri del governo e, sopratutto, sui rapporti tra gli alleati. Il risultato che esce da questa prima tornata elettorale è netto. Il senatore romano di origini abruzzesi Marco Marsilio, sostenuto dal centrodestra, è infatti al 48%. Molto più indietro l'ex vicepresidente del Csm, Giovanni Legnini, sostenuto dal centrosinistra, che si ferma al 31,34%. Crolla il Movimento 5 Stelle che con il consigliere regionale uscente Sara Marcozzi non va oltre il 20,16%.

Alla libreria Feltrinelli, nel centro di Pescara, il giorno dopo del voto si parla dell'"insostenibile leggerezza dell'essere" dei grillini. Ovvero si ragiona - quei e nei bar e nei ritrovi cittadini in attesa di festeggiare con il neo-governatore di centrodestra, Marsilio, mentre Salvini è atteso oggi pomeriggio all'Aquila - sulla catastrofe M5S, che sono passati dal 40 al 20 per cento.


"L'effetto Raggi è arrivato fino qui", ragiona un anziano professore di liceo in pensione. Cioè? "M5S ha mostrato, amministrando Roma, di non vare le capacità tecniche e le visioni politico-culturali che sono necessarie per governare le realtà locali e quelle nazionali. Gli abruzzesi somo gente pratica, hanno capito il problema e lo hanno risolto cambiando voto o non andando a votare".

E così la sconfitta è anzitutto una  sconfitta di Di Maio, che aveva fatto dell'Abruzzo il centro della proprio svolta di lotta: e il No Tav grillino è stato fulcro della campagna elettorale, anche se della Torino-Lione se ne infischiano dalle parti del Gran Sasso, come hanno dimostrato i dati. E si ragiona di bipolarismo in Abruzzo. Stava per formarsi qui, ma in chiave nazionale, il nuovo bipolarismo tra destra leghista e sinistra grillina, e invece no. Riparte da questa regione il vecchio bipolarismo. Con il centrosinistra al 30 per cento, e il centrodestra al 50. I grillini solo al 20, cioè terzi in classifica. E così molto probabilmente sarà anche nel voto del 20 febbraio in Sardegna.

Per me non cambia nulla". All'indomani della schiacciante vittoria alle elezioni regionali in Abruzzo, Matteo Salvini rassicura gli alleati di governo e sottolinea come non siano all'orizzonte rimpasti nell'esecutivo.

"Se riesco già oggi mi vedrò con Luigi Di Maio e il premier Giuseppe Conte", ha spiegato il vicepremier e ministro dell'Interno a Montecitorio. E pure il presidente del Consiglio si dice certo che non ci saranno cambiamenti: "Sono elezioni regionali di una regione centrale", ha detto Giuseppe Conte, "Aspettiamo di leggerle e di vedere le valutazioni che spettano agli esponenti delle forze politiche. Il dato mi sembra abbastanza chiaro, ma questo non cambia nulla per il governo centrale. Continuiamo a lavorare, non cambia nulla".

Parlando del voto, però, Salvini non ha mancato di ironizzare sul Partito democratico: "È bizzarro vedere festeggiare il Pd perchè è arrivato secondo", ha detto, "se uno si accontenta di perdere va bene così". "Sono felice, perché il lavoro paga, la concretezza paga", ha quindi esultato, " Questo è un altro, il secondo dato elettorale vero, dopo Trento e Bolzano, da che siamo al governo. Alle europee eravamo all'1%, ora simao primo partito col 27%".

A uscirne con le ossa rotte dal voto in Abruzzo, però, è il Movimento 5 Stelle che, come al solito, viaggia da solo. A correre per i grillini c'è la Marcozzi, 41enne consigliere regionale uscente, già candidata alle elezioni regionali nel 2014. Il vicepremier Luigi Di Maio ha chiuso la campagna elettorale lanciando un attacco alla sinistra definita "peggiore di Berlusconi e più ipocrita". Ma il risultato è un vero e proprio crollo. È, infatti, riuscito a stento ad arrivare al 20% perdendo così quasi venti punti percentuali dalle elezioni politiche dello scorso marzo. Neanche un anno fa, i grillini avevano conquistato proprio l'Abruzzo con il 39,8% e 303.006 voti. Uno scivolo pazzesco anche rispetto al 21,4% ottenuto cinque anni fa  

Il ruolo e la presenza sul territorio che hanno avuto i principali leader politici, nel corso della campagna elettorale, ha fatto capire sin da subito l'importanza della sfida. Tanto che la maggior parte degli analisti politici vedono nelle elezioni regionali in Abruzzo una sorta di test nazionale. Il risultato sembra confermare il trend dei sondaggi che ogni circolano da mesi. Marsilio incassa il 48% delle preferenze trainato da un centrodestra unito che si dimostra, ancora una volta, vincente. La Lega, che raddoppia il risultato ottenuto alle politiche 2018 e si conferma prima partito d'Italia, porta a casa il 27,45% dei voti. Forza Italia si assesta sul 9,1%. Fratelli d'Italia, di cui Marsilio è senatore, ha avuto il 6,47 delle preferenze.

Il centrosinistra ha provato a contrapporsi al centrodestra schierando Legnini con l'appoggio di ben otto liste (Pd, Abruzzo in Comune, Centristi per l'Europa-Solidali e Popolari per Legnini, Progressisti con Legnini-Sinistra Abruzzo-Leu, Avanti Abruzzo-Italia dei Valori, Abruzzo Insieme-Abruzzo Futuro, Legnini Presidente, +Abruzzo-Centro Democratico). Pur avendo abbracciato l'anima progressista, quella cattolica, di sinistra ma anche liberale e dei Radicali, non gli è riuscito di uscire dal pantano del 4 marzo è il principale degli obiettivi. L'ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio Letta e vicepresidente del Csm si è, infatti, fermato al 31,34% con il Partito democratico che non è andato oltre l'11,15% delle preferenze.

Intanto "C'è un uso politico della diplomazia, che trovo molto inquietante, da parte di Emmanuel Macron. Lui vuole a ogni costo apparire come l'oppositore politico alla politica condotta da Salvini, da Orban, a costo di mettere in una situazione di crisi i nostri due Paesi, che sono alleati da lungo tempo". Queste le dichiarazioni di Le Pen, leader di Rassemblement national, a France Inter.

Una difesa a spada tratta del governo giallo-verde, in particolare dell'alleato della Lega, e una critica feroce nei confronti del capo dell'Eliseo. Perché Macron, adetta di Marine Le Pen, fa "uso politico" e "a scopi elettorali" della diplomazia. Il riferimento è al richiamo dell'ambasciatore francese a Roma subito dopo l'incontro fra Di Maio e alcuni alti esponenti del movimento di protesta dei gilet gialli.

Secondo la leader della destra francese, c'è "una contraddizione molto forte" nelle posizioni espresse da Macron, "che vuole la scomparsa delle frontiere, che è per il federalismo europeo, che è colui che porta l'idea di liste transnazionali" per le prossime elezioni europee, ma "si scandalizza che un responsabile politico italiano venga a discutere con dei militanti politici in Francia". Per la Le Pen, "l'ingerenza e l'indignazione hanno una geometria variabile", perché "quando Obama chiede di votare per Macron, tutto il mondo trova sia bellissimo. Quando Erdogan viene a fare un grande incontro a Strasburgo, nessuno ha nulla da dire".

E un vero scontro tra giurie e televoto 46% Mahmood 11% ma vince San Remo è diventa un caso politico per qualcuno, addirittura, è un vero e proprio dispetto verso il «prima gli italiani» di Matteo Salvini. Scene da un Festival che si chiude con un simpatico e ingombrante vincitore a sorpresa: tutti felici e contenti, o quasi tutti. Felici perché la settimana di irragionevole follia è finita, perché ora si passa all'incasso (concerti, dischi, trasmissioni, progetti), perché la sbornia provoca una strana sensazione di eccitazione. Eccitato, addirittura inferocito, lo abbiamo visto in piena notte, il favorito della vigilia, Ultimo, arrivato secondo. «Me l'avete tirata e mi avete rotto il c...zo» ha sparato verso l'affollata platea della sala stampa. Non ha partecipato neppure alla rituale passerella di Domenica in. La sua rabbia è accompagnata dalle sirene che si sono alzate sul sistema di votazione, perché la vittoria di Mahmood non è l'investitura popolare di un'Italia che vota per l'integrazione.

 

 

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