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Dopo il trojan nel telefono di Palamara, spuntano altre intercettazioni. Risalgono a 7 anni fa e coinvolgono soggetti differenti: Silvio Berlusconi, il magistrato Antonio Esposito e il relatore-magistrato Amedeo Franco.

Le intercettazioni ambientali riguardano un commento alla sentenza che condannò al carcere Silvio Berlusconi nel 2013. Amedeo Franco - durante una conversazione telefonica con il Cav - ammette che è stato condannato ingiustamente e che tutto "è stato pilotato dall'alto". La sentenza definitiva riguardava una presunta appropriazione indebita di diritti tv. Ma così - e ora lo dimostrano pure i documenti e gli audio - non è stato.

Le carte oggi pubblicate in esclusiva da Il Riformista e gli audio choc mandati in onda a Quarta Repubblica fanno rabbrividire. Il magistrato - a modo suo - chiede scusa a Silvio Berlusconi per quel processo così fazioso. "A mio parere è stato trattato ingiustamente e ha subito una grave ingiustizia - dice Amedeo Franco -. Tutti i miei colleghi e anche i suoi che pure non la supportano sono convinti che questa cosa sia stata guidata dall'alto. Lei doveva essere condannato a priori perché è un mascalzone".

la vicepresidente del gruppo Forza Italia al Senato, Licia Ronzulli. "Quanto andato in onda stasera a Quarta Repubblica è semplicemente sconvolgente, doloroso. L'audio del dottor Franco sulla sentenza di condanna a Berlusconi, reso pubblico da Il Riformista, evidenzia che la democrazia è stata truccata, alterata al punto da cambiare il corso della storia politica italiana, nonché da minare l'equilibrio tra i poteri dello Stato. E' semplicemente vergognoso che una certa magistratura utilizzi il proprio potere a fini di lotta politica, è un danno fatto non solo al presidente Berlusconi, alla sua famiglia e a Forza Italia, ma a tutti i cittadini che da stasera hanno la riprova che purtroppo esiste anche una giustizia non giusta. Ricordiamoci che se Berlusconi è fuori dal Senato è a causa di questa sentenza ingiusta e che oggi scopriamo essere pilotata".

 
Forza Italia chiede ora che si faccia una commissione d’inchiesta. Si tratta di una richiesta legittima e doverosa, che non le sarà concessa per il coordinato e congiunto intervento del Partito servo degli interessi stranieri e di quello dei manettari spinti. inoltre anche fosse concessa una commissione questa sarebbe nelle mani dei nemici della libertà e della democrazia e non condurrebbe a nulla. Abbiamo visto come l Commissione d’Inchiesta sulle Banche non abbia concluso praticamente nulla, anzi abbia permesso molte coperture proprio perché manovrata da una maggioranza "insabbiatrice".  

Le rivelazioni di Quarto Grado e Il Riformista unite alla sentenza definitiva civile sul caso dell’evasione fiscale completamente inesistente mostrano che tutti gli eventi del triennio 2011-2013 non furono altro che un colpo di forza vikkento. Con quell'atto fu annullata la politica italiana, stravolta  completamente la democrazia e fummo condannati ad un decennio di governi sotto tutela europea e dei poteri “Forti”, salvo la brevissima stagione del governo Giallo Verde. Ora i “Poteri forti” interni hanno nomi e cognomi, e quelli stranieri che li manovrano come dei pupazzi, ora sappiamo come  hanno operato. Non è un caso che La Repubblica ed il Corriere,mettano questa brutta , orribile, vicenda in secondo piano. Eppure un governo eletto dagli italiani fu rovesciato con delle accuse che, a distanza di 10 anni, si sono rivelate false e con giudici che ora mettono in luce la non correttezza del giudizio penale. Eppure Berlusconi ha scontato una condanna penale, per quelle accuse. Chi lo potrà ripagare? Chi ripagherà l’Italia dove la Democrazia è stata cancellata ed azzerata, consegnandola ad una tecnocrazia pasticciona e comandata da Bruxelles, Francoforte e Berlino? Cosa dobbiamo pensare ora del caso Palamara, delle accuse a Salvini e del processo giusto? Ed i casi Bibbiano e Bologna? Quante persone ritengono che oggi in Italia chi va in tribunale sia giudicato in modo corretto?

"È un complotto e non c'è dubbio". Piero Sansonetti, direttore del Riformista, spiega a Nicola Porro a Quarta Repubblica i dettagli dello scoop del suo giornale, che ha anticipato le carte in mano alla difesa di Silvio Berlusconi che proverebbero come la sentenza di condanna del 2013 nel processo Mediaset-Agrama per frode fiscale sia stata "pilotata dall'alto". Parole, queste, pronunciate in una intercettazione choc dal giudice Amedeo Franco, che era relatore della Cassazione in quella sentenza.

Il tribunale civile di Milano però ha smontato le accuse di frode fiscale a Berlusconi: nessuna fattura gonfiata, nessuna interposizione fittizia è emersa riesaminando le carte del processo. Mediaset aveva infatti avanzato una richiesta di risarcimento contro lo stesso Agrama, con i giudici che hanno riconosciuto come nessuna fattura era stata gonfiata all'epoca sulla compravendita dei diritti su alcuni film americani.

Ed ecco cosa e stato pubblicato al Riformista in esclusiva dello scoop che hanno fatto anticipato dalla quarta Repubblica da Nicola Porro  : «Berlusconi deve essere condannato a priori perché è un mascalzone! Questa è la realtà… a mio parere è stato trattato ingiustamente e ha subito una grave ingiustizia… l'impressione che tutta questa vicenda sia stata guidata dall’alto… In effetti hanno fatto una porcheria perché che senso ha mandarla alla sezione feriale? … Voglio per sgravare la coscienza, perché mi porto questo peso del… ci continuo a pensare. Non mi libero… Io gli stavo dicendo che la sentenza faceva schifo…».

In una seconda conversazione, sempre registrata, il dottor Franco sosteneva che «sussiste una malafede del presidente del Collegio, sicuramente…». E riferiva voci secondo le quali il presidente Esposito sarebbe stato “pressato” per il fatto che il figlio, anch'egli magistrato, era indagato dalla Procura di Milano per… “essere stato beccato con droga a casa di…”. E poi diceva ancora: “I pregiudizi per forza che ci stavano… si potesse fare…si potesse scegliere… si potesse… si poteva cercare di evitare che andasse a finire in mano a questo plotone di esecuzione, come è capitato, perché di peggio non poteva capitare…Questo mi ha deluso profondamente, questo… perché ho trascorso tutta la mia vita in questo ambiente e mi ha fatto… schifo, le dico la verità, perché non… non… non è questo, perché io … allora facevo il concorso universitario, vincevo il concorso e continuavo a fare il professore. Non mi mettevo a fare il magistrato se questo è il modo di fare, per… colpire le persone, gli avversari politici. Non è così. Io ho opinioni diverse della… della giustizia giuridica. Quindi… va a quel paese…».

Fermiamoci qui. continua il giornale di Sansonetti, Che vi pare? In piena magistratopoli c’è una nuova conferma che è più grande di tutte le precedenti. Spesso, molto spesso, la giustizia non ha niente a che fare con la giustizia. Le sentenze, qualche volta, o spesso – non possiamo saperlo – sono decise al di fuori dei processi e per motivi che non hanno niente a che fare con l’accertamento della verità. Talvolta in questo modo si rovinano vite. O reputazioni. Stavolta addirittura si è rovinato un partito e deviato il corso della politica nazionale. State sicuri che nessuno sarà chiamato a rispondere. Però fa rabbia. Figuratevi, Chi scrive mai ha votato per Berlusconi e mai e poi mai lo voterà. Lui è di centrodestra e io sono di sinistra, perché dovrei votarlo? Però sapere che è stata fatta con questi metodi vigliacchi la battaglia contro di lui, beh, sapere questo provoca dolore e paura.  
 
Il ‘processo Mediaset‘ nei confronti di Silvio Berlusconi per frode fiscale? Fu “un plotone d’esecuzione”. A dirlo il relatore in Cassazione, il magistrato Amedeo Franco, in una registrazione di cui è venuto in possesso Il Riformista  

Ci sono le prove che la sentenza che condannò Berlusconi al carcere, nel 2013, e che diede il via al declino precipitoso di Forza Italia, era una sentenza clamorosamente sbagliata. E perdipiù c’è il forte sospetto che lo sbaglio non fu dovuto solamente a imperizia dei giudici, ma – forse: scriviamo dieci volte forse – a un disegno politico del quale è difficile stabilire con precisione gli autori.

Prima a grandi linee e poi nel dettaglio. Scrive il Riformista, Berlusconi, come ricorderete, è stato condannato una sola volta (negli altri 70 processi che ha subito è sempre stato o archiviato o assolto o prescritto). Questa condanna – definitiva – risale al 1 agosto del 2013 (allora Forza Italia viaggiava sopra al 21 per cento dei voti). La sezione feriale della Cassazione che emise la sentenza di condanna era presieduta dal magistrato Antonio Esposito (che oggi è un editorialista del Fatto di Travaglio). Relatore era il magistrato Amedeo Franco.

A sette anni di distanza emergono delle novità molto importanti, contenute in un supplemento di ricorso alla Corte Europea (contro la sentenza della Cassazione) presentato giorni fa dagli avvocati di Berlusconi (Andrea Saccucci, Bruno Nascimbene, Franco Coppi e Niccolò Ghedini). Le novità essenzialmente sono due: una sentenza del tribunale civile di Milano che ribalta la sentenza penale; e una dichiarazione del dott Amedeo Franco – ripeto: relatore in Cassazione – che racconta come la sentenza di condanna di Berlusconi da parte della Cassazione fu decisa a priori e probabilmente teleguidata. Per questa ragione era una sentenza molto lacunosa dal punto di vista giuridico.  

La vicenda riguarda l’unica condanna in via definitiva dell’ex premier e leader di Forza Italia, condannato dai giudici della sezione feriale della Cassazione nell’agosto 2013 a 4 anni di reclusione per frode fiscale nel processo sui diritti Mediaset (di cui 3 coperti da indulto).

È successo che dopo la sentenza, scrive Sansonetti, il dottor Franco (cioè, ricordiamo di nuovo, il relatore in Cassazione) incontrò Berlusconi e commentò la sentenza e l'andamento del processo. Berlusconi non era solo, quando incontrò Franco, c’erano dei testimoni a questo colloquio, e uno dei testimoni registrò. Tra poche righe ricopiamo parte della trascrizione di questo colloquio. Prima vi diciamo che gli avvocati di Berlusconi sostengono che in questi anni non hanno usato la registrazione per rispetto del magistrato, che era rimasto in attività. L’altr’anno però il dottor Franco è morto, e ora gli avvocati di Berlusconi hanno deciso di usare la registrazione e l'hanno depositata nel ricorso alla Cedu. Qui mi limito a trascrivere un po’ di frasi. Sono frasi che fanno accapponare la pelle, specie se si pensa che questo magistrato non è uno qualsiasi, è stato il relatore nel processo a Berlusconi e, ragionevolmente, ne ha chiesto inutilmente l’associazione.  
 

All'indomani delle rivelazioni choc del magistrato (ora scomparso) Antonio Tajani manda un chiaro messaggio alla Commissione Europea, scrivendo direttamente alla presidente Ursula Von der Leyen.

L'ex presidente del Parlamento Europeo e attuale numero due di Forza Italia chiede l'aiuto anche dell'Ue per fare chiarezza su una vicenda torbida, che sette anni fa – con la susseguente entrata in vigore della Legge Severino – ha allontanato il Cavaliere dal Parlamento, rendendolo non più candidabile in Italia.

ll popolo uiguro e altre minoranze prevalentemente musulmane nella Regione Autonoma Uiguro dello Xinjiang, in Cina, stanno subendo persecuzioni intollerabili e sponsorizzate dallo Stato.

Esistono ora una serie di prove crescenti, relative all incarcerazione di massa, l'indottrinamento, la detenzione stragiudiziale, la sorveglianza invasiva, il lavoro forzato e la distruzione di siti culturali uiguri, compresi i cimiteri, insieme ad altre forme di abuso. Le stime del numero di persone internate vanno dalle centinaia di migliaia alla sconcertante cifra di tre milioni.

Nonostante le ripetute richieste, Xi Jinping e il governo della Repubblica popolare cinese non hanno permesso un'indagine indipendente su queste presunte atrocità.

Un nuovo rapporto pubblicato oggi presenta prove convincenti e allarmanti circa il drammatico declino dei tassi di natalità tra le comunità di minoranze etniche nella Regione dello Xinjiang e una politica statale invadente di prevenzione delle nascite, compresa la sterilizzazione femminile. Ciò può indicare che il governo cinese sta perseguendo e applicando una politica coordinata per ridurre la popolazione dei gruppi minoritari.

Il mondo non può rimanere in silenzio di fronte allo svolgimento di atrocità. I nostri Paesi sono vincolati da solenni obblighi di prevenire e punire qualsiasi sforzo per distruggere un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso "in tutto o in parte".

Pertanto, ci impegniamo in un'azione politica urgente in ciascuno dei nostri Paesi. I nostri governi devono sostenere una risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite per stabilire un'indagine internazionale, imparziale e indipendente sulla situazione nella Regione dello Xinjiang; devono agire per garantire che possano essere prese le appropriate determinazioni giuridiche sulla natura delle presunte atrocità; e non devono tralasciare alcuno sforzo nel perseguire un'azione politica rapida e decisa per prevenire l'ulteriore sofferenza del popolo uiguro e di altre minoranze in Cina.


Vi sono gravi indizi che il governo cinese stia agendo per ridurre drasticamente le nascite nelle minoranze musulmane dello Xinjiang. È quanto emerge in un rapporto rilasciato oggi dall'Alleanza interparlamentare sulla Cina (IPAC) e nella sua versione italiana dal Global Committee for the Rule of Law "Marco Pannella” (GCRL).

La ricerca, condotta dal Professor Adrian Zenz - uno dei maggiori esperti mondiali sulla situazione delle minoranze nella regione autonoma uigura dello Xinjiang - rileva che: I tassi di crescita della popolazione sono diminuiti dell'84% nelle due più grandi prefetture uiguri tra il 2015 e il 2018 e sono ulteriormente diminuiti nel 2019.

Documenti governativi del PCC prescrivono senza mezzi termini che chiunque violi i piani di controllo delle nascite per la popolazione uigura può essere punito con l'internamento in campi di "addestramento" e descrivono una campagna di sterilizzazione di massa femminile nelle aree rurali.

Secondo l'autore del Rapporto, i dati forniscono la prova più forte finora che le politiche di Pechino nello Xinjiang potrebbero configurare uno dei criteri di genocidio citati nella Convenzione ONU del 9 dicembre 1948 per la Prevenzione e la Repressione del Delitto di Genocidio, il punto d) dell'Articolo II: "Misure miranti a impedire nascite all'interno del gruppo [mirato]”.

In risposta a queste rivelazioni, i membri dell'IPAC hanno rilasciato una dichiarazione che promette un'azione politica in ciascuno dei 15 parlamenti rappresentati nell'IPAC, tra cui quello italiano con i due Co-Chair Lucio Malan (Forza Italia) e Roberto Rampi (Partito Democratico), e i suoi membri attuali Enrico Borghi (Partito Democratico), Andrea Delmastro Delle Vedove (Fratelli d'Italia), Paolo Formentini (Lega) e Roberto Giachetti (Italia Viva).

A tal proposito i due Co-Chair, in cooperazione con il GCRL, annunciano una conferenza stampa che si terrà mercoledì 1 luglio alle ore 12 presso la Sala Nassirya del Senato della Repubblica, alla quale parteciperanno - oltre ai membri IPAC - l’Ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata, Presidente del GCRL e già Ministro degli Esteri, Dolkun Isa, Presidente del Congresso Mondiale Uiguro, Elisabetta Zamparutti, Tesoriera di Nessuno Tocchi Caino, e Laura Harth, Rappresentante del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale Transpartito e Coordinatrice del Consiglio scientifico del GCRL.

L’IPAC promuoverà una azione coordinata per avviare un'indagine urgente delle Nazioni Unite sul trattamento dei musulmani uiguri e di altre minoranze in Cina, e per istruire i tribunali competenti a stabilire se si sono verificati o meno crimini contro l'umanità o il genocidio.

La dichiarazione dei 30 Co-Chair dell'IPAC (di cui segue una versione completa) afferma: Il mondo non può rimanere in silenzio di fronte alle atrocità. I nostri Paesi sono vincolati da solenni obblighi di prevenire e punire qualsiasi sforzo per distruggere un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso "in tutto o in parte".

Pertanto, ci impegniamo in un'azione politica urgente in ciascuno dei nostri Paesi. I nostri governi devono sostenere una risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite per stabilire un'indagine internazionale, imparziale e indipendente sulla situazione nella Regione dello Xinjiang; devono agire per garantire che possano essere prese le appropriate determinazioni giuridiche sulla natura delle presunte atrocità; e non devono tralasciare alcuno sforzo nel perseguire un'azione politica rapida e decisa per prevenire l'ulteriore sofferenza del popolo uiguro e di altre minoranze in Cina.  

Dichiariazione di Giulio Terzi e Laura Harth, GCRL:   E’ di fondamentale importanza l’esistenza di un gruppo di legislatori anche in Italia impegnato sulla miriade di questioni che oggi riguardano i nostri rapporti con la Repubblica popolare cinese, e invitiamo tutti i Senatori e Deputati di coscienza a partecipare alla conferenza stampa che si terrà questo mercoledì. Le atrocità descritte anche in questo rapporto contro la popolazione uigura non possono lasciare indifferente nessuno e spingono ad un’azione forte e decisiva.

La campagna di sterilizzazione di massa delle donne rivelata dal Professor Zenz attraverso documenti ufficiali della autorità cinesi si aggiunge a precedenti rapporti circa la separazione forzata dai bambini dei loro genitori rinchiusi nei campi e ai matrimoni inter-etnici forzati; indicazioni forti della presenza di elementi costitutivi del crimine di genocidio secondo la Convenzione ONU del 1948. La Repubblica italiana, che per tanto tempo è stata promotrice nell’acquisizione e l’affermazione di diritti al livello internazionale - a partire della Corte penale internazionale - non si può e non si deve tirare indietro dinanzi a queste nuove prove aggiuntive sulle atrocità commesse dal Partito comunista cinese. Sono passati quasi tre anni da quando a Dolkun Isa fu impedito da agenti della Digos di entrare al Senato della Repubblica a denunciare l’apertura dei campi d’internamento nello Xinjiang. Contiamo che questa volta abbia la possibilità di denunciare le violazioni dei diritti fondamentali nella sua patria, senza che nessuno glielo impedisca.

La reciprocità e il rispetto delle convenzioni sui diritti umani sottoscritti da entrambi i Paesi va rivendicato in modo assoluto anche nei rapporti bilaterali, soprattutto a seguito della sottoscrizione dell’Accordo sulla Via della Seta. Speriamo pertanto che questo appello per un’azione decisiva al livello internazionale per accertare quanto stia realmente accadendo nello Xinjiang - così come in Tibet, a Hong Kong, e nella Cina intera - possa essere accolto anche dalle forze di maggioranza governativa, soprattutto di fronte al rifiuto continuo cinese - come rilevato ancora la settimana scorsa da oltre 50 esperti indipendenti ONU - di aprire a indagini indipendenti sul suo territorio, questione tornata con prepotenza anche per quanto riguarda la pandemia del COVID19.

Fayez al Sarraj, ha ricevuto a Tripoli il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. Nei colloqui, i due "hanno sottolineato l'importanza di tornare sul sentiero della politica e di respingere negativi interventi esterni nella questione libica". Lo scrive un post pubblicato su Facebook dall'ufficio stampa del consiglio presidenziale di cui Sarraj è capo. Durante l'incontro è stata inoltre discussa l'urgenza di "ripristinare la produzione petrolifera che rappresenta la ricchezza di tutti i libici e la loro fonte di reddito". Nel colloquio sono stati affrontati anche i dossier delle migrazioni e della cooperazione contro la pandemia di Covid-19.

Si è inoltre discusso della missione navale europea "Irini" che ha l'obiettivo di far rispettare l'embargo sulle armi alla Libia. Il presidente del Governo di accordo nazionale libico ha espresso il "ringraziamento all'Italia per il suo contributo alle operazioni di individuazione delle mine che le milizie degli aggressori hanno lasciate nelle aree residenziali da cui sono stati cacciati". 

La storia 

Partendo da questo presupposto si spiega in due parole cosa succede questi giorni nel mediterraneo specialmente in Libia e con le pretese Turche  :  tutti "i giocatori nel campo dimenticano" pero che i contro, conscio delle difficoltà che il dossier energetico nel Mediterraneo orientale impone alla smania turca, Erdogan ha preferito volgere lo sguardo alla Libia (dopo la Siria), visto e considerato che su Grecia e Cipro c’è un granitico blocco di alleanze formato da Usa, Francia, Israele, Egitto che non gli consente ulteriori spazi di manovra, al di là delle consuete provocazioni oltre le quali egli stesso sa di non poter andare.  

L'accordo con la Libia sui confini marittimi fa di Ankara non solo un alleato di chi di gas è ricco, ma anche e soprattutto il Paese a cui proprio Cipro, Israele e Grecia ma anche la Ue, dovrebbero chiedere il nullaosta per far approdare il gasdotto EastMed prima sulle coste greche e poi italiane, nel caso, ovviamente, tale accordo fosse riconosciuto.

Una risposta alle mosse e alle mire della Turchia, comunque, arriva dall’East Mediterranean Gas forum (Emgf), che diventa un’organizzazione internazionale dopo la firma dell'accordo quadro avvenuta al Cairo. Tra i membri ci sono l'Egitto, l'Italia, Israele, la Grecia, Cipro, l'Autorità nazionale palestinese e la Giordania. Anche la Francia vorrebbe far parte dell’organizzazione.

L’East Mediterranean Gas forum (Emgf) e diventata un’organizzazione internazionale dopo la firma dell’accordo quadro avvenuta al Cairo e l'Italia è uno dei paesi fondatori. L'ambiziosa iniziativa dell'Egitto, tesa a sfruttare gli impianti di rigassificazione sulla costa egiziana come snodo per il commercio di energia verso l’Europa e non solo, annovera fra i suoi membri l'Egitto, l'Italia, Israele, la Grecia, Cipro, l'Autorità nazionale palestinese e la Giordania. Il forum esclude la Turchia e crea una via alternativa al Turk Stream, il gasdotto russo-turco erede del South Stream che doveva arrivare in Italia. La Francia, da parte sua, ha inoltrato una richiesta ufficiale per aderire all'Emgf. "L’Italia è orgogliosa di far parte dell’East Mediterranean Gas Forum, un progetto che può accelerare la stabilizzazione e la condivisione delle competenze del gas nella regione", ha detto ad “Agenzia Nova”, Alessandra Todde, sottosegretario di Stato allo Sviluppo economico, presente all'evento a nome del governo italiano.

La presenza allo stesso tavolo di rappresentanti israeliani e palestinesi è peraltro un fatto di rilievo, che aumenta il prestigio di un appuntamento sì “tecnico” ma dal profondo significato politico. Secondo quanto appreso da "Agenzia Nova", Israele ha aperto alle trattative con l'Anp per sviluppare il progetto del giacimento di gas Gaza Marine, a largo delle coste dell’enclave palestinese. Gaza Marine è stato scoperto dalla British Gas nel 2000 e si stima che contenga 32 miliardi di metri cubi di gas naturale, per un valore di 4 miliardi di dollari circa. Yasser Arafat allora lo definì “un dono di Allah”, ma ad oggi il giacimento non è ancora stato sfruttato. Nel marzo del 2018, l'anglo-olandese Royal Dutch Shell ha rinunciato alla propria partecipazione al giacimento di gas naturale, lasciando come unico stakeholder il Palestine Investment Fund, fondo sovrano palestinese. Secondo gli esperti, l'estrazione del gas palestinese richiederebbe circa 30 mesi e potrebbe porre fine al deficit energetico dell’enclave, vendendo le eccedenze all’estero.

Dopo le crescenti tensioni con la Turchia, in seguito all'accordo con la Libia, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è arrivato il mese di gennaio ad Atene. Prima di decollare, Netanyahu ha dichiarato di essere diretto per un incontro “molto importante” con i leader di Grecia e Cipro. “Abbiamo formato un'alleanza mediterranea di enorme importanza per il futuro energetico di Israele e per la stabilità regionale”.

Il vertice trilaterale mette fine ai sogni di  Erdogan, attraverso la costruzione del gasdotto EastMed che porterà il gas naturale israeliano e cipriota sul mercato europeo attraverso la Grecia, attraversando l'area di competenza creata da Erdogan e il Governo fantoccio di Fayez al-Serraj.

Il Ministro della Difesa francese, Florence Parly, ha dichiarato che l'accordo raggiunto il 28 novembre 2019 dal Governo libico di Accordo Nazionale (GNA) e la Turchia, sulla delimitazione delle frontiere marittime nel Mar Mediterraneo, sarebbe pericoloso per gli interessi e la sicurezza nella regione.

L’accordo tra Serraj ed Erdogan “mette in pericolo gli interessi e la sicurezza nella regione” ha dichiarato Parly in visita a febbraio ad Atene, “solleva serie preoccupazioni (…), non ha valore legale e non concorda con il diritto internazionale”.

La Grecia ha ribadito in più occasioni che l’accordo tra la Turchia e il GNA crea un area di competenza esclusiva nel Mediterraneo orientale senza tenere conto dell’isola di Creta. L'Unione europea ha già dichiarato che l'accordo rappresenta una flagrante violazione del diritto internazionale.

Secondo il quotidiano greco “To Vima”, il ministro della Difesa francese ha confermato il sostegno di Parigi a Grecia e Cipro nella disputa con la Turchia sulle aree dell'Egeo e del Mediterraneo orientale. Le tensioni tra Grecia e Turchia sono esacerbate con le attività di esplorazione di Ankara al largo di Cipro, per cui l'Unione europea ha annunciato sanzioni contro Ankara. E’opportuno ricordare che Italia e Francia hanno inviato proprie fregate nell'area per tutelare i propri interessi.

Il generale Carlo Jean ha criticato le mosse del governo italiano, oltre che degli Stati Uniti (“ambigui“): “Noi ci siamo cullati con l'idea molto peregrina di una cabina di regia assegnata all'Italia che i nostri governi hanno usato solo per farsi propaganda e peraltro in maniera molto maldestra”, ha detto Jean in una intervista a Start Magazine: “L’accordo tra Sarraj ed Erdogan sul Mediterraneo Orientale è contrario non soltanto agli interessi dell’Italia, ma anche a quelli di Grecia, Cipro e in parte di Egitto ed Israele. L’accordo infatti va ad incidere su EastMed, la grande pipeline che dovrebbe portare in Europa l'enorme quantità di gas che è stata scoperta a sud di Cipro, fino alle porte del Libano, di Israele e dell’Egitto. Ad ogni modo, dubito fortemente che la Turchia abbia le capacità finanziarie e tecnologiche per sfruttare questo gas”.  

Così prosegue la disputa tra Turchia e Francia in Libia. In una escalation i due Paesi si sono scambiati pesanti accuse negli ultimi mesi. La Turchia ha difeso le sue attività e il suo sostegno al Governo libico di Accordo Nazionale con base a Tripoli, insinuando che la Francia ha compiuto “azioni oscure ed ingiustificate nei confronti della Libia”.  

Il presidente francese, Emmanuel Macron, aveva definito la NATO un'organizzazione clinicamente morta. Il ministero degli Esteri turco ha detto che “non è accettabile che un alleato della NATO agisca in questo modo”. Sottolineando che “la Turchia, al fine di garantire una pace e una stabilità durature in Libia, continuerà a sostenere gli sforzi sotto l'egida delle Nazioni Unite”.

L’Eliseo aveva dichiarato la scorsa settimana che “i turchi si stanno comportando in modo inaccettabile usando la NATO, e la Francia non può permetterlo”, osservando che il presidente Emmanuel Macron ha discusso di questo problema con il suo omologo americano Donald Trump e che si terranno discussioni, specialmente nelle prossime settimane, con i partner della NATO interessati al fascicolo libico.

Erdogan ha violato tutte le risoluzioni delle Nazioni Unite in Libia, inviando armi e migliaia di mercenari, compresi jihadisti, estremisti e minori. Da quanto emerso in numerosi rapporti, la destinazione finale di questi combattenti è l’Europa. Dopo essersi infiltrati tra i migranti in partenza dalle coste libiche, almeno due sospetti terroristi sono stati arrestati dalle autorità di sicurezza di Italia e Spagna nelle precedenti settimane.

“In una dichiarazione rilasciata dal Ministero d'Europa e degli Affari Esteri francese in risposta a una domanda sulla visita del Ministro degli Esteri greco Dendias a Parigi, le accuse sulla posizione del nostro Paese nei confronti della Libia sono una nuova indicazione della politica cupa e ingiustificata della Francia nei confronti della Libia”, ha affermato il Ministero degli Esteri turco.

La nota di Ankara afferma inoltre che il sostegno della Francia ad Haftar alimenta la crisi libica, sottolineando che “questo approccio dalla Francia ha incoraggiato Haftar a insistere sui metodi militari e ha aumentato la sofferenza e l’angoscia del popolo libico”. Il Ministero turco ha aggiunto che “il più grande ostacolo all’instaurazione della pace e della stabilità in Libia è il sostegno della Francia e di alcuni paesi alle istituzioni illegali, in violazione delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza”.

La dichiarazione ha sottolineato che la Turchia sostiene un Governo riconosciuto dalla comunità internazionale nel quadro delle risoluzioni delle Nazioni Unite e fornisce sostegno su richiesta. “E mentre il nostro paese è in piedi con il governo legittimo, la Francia è al fianco del colpo di stato e una persona illegittima in conformità con le decisioni delle Nazioni Unite e della NATO”. Ha dichiarato, descrivendo le attività della Turchia in Libia come legittime, mentre la Francia è alla ricerca di azioni gravi, come nel caso della Siria, dove subappalta alcuni paesi della regione. Considerando questi rapporti oscuri della Francia, ci dovremmo preoccupare”.

Dopo il fallimento dell'offensiva su Tripoli lanciata ormai un anno fa dal generale Khalifa Haftar, uomo forte della Cirenaica sostenuto da Russia, Egitto ed Emirati Arabi, il Governo di Accordo Nazionale tripolino presieduto da Fayez al-Sarraj, sostenuto dall'Onu e dall’Italia, con l'apporto sul campo delle forze turche, ha iniziato la riconquista dei territori persi sotto le bombe dell’autoproclamato Esercito nazionale Libico (Lna) fedele ad Haftar: prima si è ripreso gran parte dei territori intorno alla capitale, dove è rimasto assediato per mesi, e poi ha cominciato la propria avanzata, rifiutando qualsiasi proposta di cessate il fuoco lanciata dai nemici in difficoltà, fino ad arrivare alle porte di Sirte.

Abdel Fattah al-Sisi, ha annunciato che il suo esercito è pronto a condurre missioni all’interno o anche all'esterno dei propri confini, riferendosi proprio alla Libia, per proteggere i propri interessi nazionali. Ipotesi, questa, che rischierebbe di trasformare quello libico da conflitto interno, anche se già caratterizzato dall’ingerenza esterna di numerosi attori internazionali, Russia, Egitto, Emirati Arabi e Turchia su tutti, in un campo di battaglia in cui si affrontano potenze mondiali.

Secondo  OFCS.report ci informa di una situazione ridicola che si sta creando attorno alla questione libica, con l’Italia, ormai quasi completamente estraniata dalla situazione , obbligata a chiedere per piacere ad Sarrj, quindi ad Erdogan, di riprendere le proprie posizioni mettono a Tripoli, per svolgere un ruolo che, grazie a Di Maio, non riesce a svolgere.  

Dopo Cina, Venezuela e Qatar adesso la Turchia. Il governo italiano è diventato “amico” anche di Erdogan. E domani, Luigi Di Maio, si recherà a Tripoli per chiedere a Sarraj (e quindi ai turchi) di poter “rientrare” in Libia. La politica estera del governo Conte, dunque, ha prodotto il risultato di costringerci a stringere accordi con i Fratelli Musulmani per mantenere uno spazio nel paese in cui abbiamo fortissimi interessi economici e strategici. Insomma, una disfatta che sarà difficile recuperare.

In questo scenario, è evidente che la Turchia ha soppiantato l’Italia nel ruolo di primo alleato del governo di al Serraj, come era stato indicato a suo tempo dall'Onu e dagli Stati Uniti. Non solo. Poiché la Turchia e Tripoli criticano la missione navale europea Irini, a guida italiana, incaricata di ostacolare i rifornimenti di armi ai belligeranti libici, e poiché al Serraj non ha esitato a definire tale missione «sbilanciata a favore di Haftar» che riceve rifornimenti militari per via aerea e terrestre dal vicino Egitto, nei giorni scorsi Giuseppe Conte ha telefonato al premier libico per ribadire «l’imparzialità e la neutralità della missione Irini». Con il risultato che, per Tripoli, l’Italia è passata da alleato a paese neutrale. In pratica un voltafaccia, che rischia di mettere in pericolo i militari schierati in Libia a protezione di un ospedale e delle ambasciate, oltre agli enormi interessi petroliferi che il nostro paese ha sempre avuto in Libia.

Qualche giorno fa,Cavusoglu ha ricevuto l’omologo Luigi Di Maio, dopo che la visita prevista per mercoledì era saltata all’ultimo minuto, quando il turco s’era recato a Tripoli alla guida di una folta delegazione di altissimo livello. “La nostra priorità è quella di mettere la parola fine al conflitto in Libia. Stiamo superando una crisi globale senza precedenti e non possiamo permetterci una ulteriore escalation. Sempre a testa alta, consapevoli delle nostre potenzialità. Siamo l'Italia e ne siamo orgogliosi”, ha scritto Di Maio anticipando l’incontro su Facebook.

Con gli accordi sul Mediterraneo orientale firmati unilateralmente tra Turchia e Libia nel gennaio scorso – ricordiamolo - si stabiliva una zona economica esclusiva tra i due Paesi (30 chilometri a sud est di Creta) che consente alla Turchia un accesso privilegiato ai giacimenti di gas naturale nel mare di Cipro, impedendo contestualmente lo sviluppo di infrastrutture che portino il gas cipriota e israeliano in Europa. 

il dialogo italo-turco si è svolto su diversi e non sempre convergenti registri: quello dell'interscambio commerciale, quello del giudizio politico sulla questione dei curdi (ambiguo, per la verità, e comunque di scarso rilievo operativo nella misura in cui non vi è partecipazione diretta dell’Italia in quell'area), ma soprattutto quello della fondamentale relazione Ue-Turchia, che vede la Grecia – paese amico e stato membro – in grossa difficoltà, e bisognosa di un aiuto italiano.

Si deve ricordare l'incontro tra Di Maio e il Ministro degli Esteri Cipriota gennaio scorso : ministri degli Esteri di Italia, Luigi di Maio, e Cipro, Nikos Christodoulides, si sono incontrati  a Roma per discutere tra le varie cose di energia, ovvero delle tensioni in atto nel Mediterraneo orientale dove il presidente turco Recepp Tayyp Erdogan e il presidente libico Fayez al-Serraj hanno disegnato una mappa che spartirebbe fra i due paesi un'ampia zona per lo sfruttamento dei fondali ai fini petroliferi. Un’iniziativa considerata “inaccettabile, che viola i diritti sovrani dei Paesi terzi, che non è conforme alla legge del mare e che non può produrre conseguenze giuridiche per i Paesi terzi”. “Solo attraverso una cooperazione autentica e in buona fede, le risorse naturali nel Mediterraneo beneficeranno tutti i popoli che vivono nella regione”, hanno comunicato i due ministri in conferenza stampa congiunta. Per Di Maio e Christodoulides “le zone economiche esclusive e della piattaforma continentale dovrebbero essere affrontate attraverso il dialogo e i negoziati in buona fede, nel pieno rispetto del diritto internazionale e conformemente al principio delle relazioni di buon vicinato”, per cui è necessario “accelerare l'attuazione della decisione del Consiglio europeo finalizzando le liste sul regime di misure restrittive che colpiscono coloro che sono responsabili o coinvolti nell’attività di trivellazione illegale di idrocarburi nel Mediterraneo orientale”.

Un accordo che il ministro degli Esteri greco all’epoca commentò così: «Ignora chiaramente qualcosa che tutti possono vedere, ovvero che tra questi due paesi, Libia e Turchia, c’è l'isola di Creta, che è geograficamente grande, nel senso che l’accordo potrebbe influire sulla sovranità ellenica». Da allora la situazione tra Turchia e Grecia non ha fatto che irrigidirsi, e Atene si aspetta che l’Italia – ampiamente coinvolta nell’area per via dell'importante presenza di Eni – sia un alleato, e non un convitato di pietra. 

Al momento, l'unica cosa certa è che al centro dei colloqui ci sarà un grande «Patto per l’Export», finalizzato a rafforzare l'interscambio commerciale, che ha raggiunto quasi 18 miliardi dollari ma che rispetto al 2018 si è ridotto del 9,1 per cento. Il business prima di tutto.

Tra Italia e Turchia i rapporti sono attivi: l’interscambio da 18 miliardi annui è un ottimo piano di partenza per due paesi che non hanno economie forti (problema sostanziale sopra alle ambizioni espansionistiche turche). “Stiamo lavorando per contrastare la crisi economica derivante dalla pandemia”, commenta Di Maio. E la Turchia – attore che potrebbe essere parte anche del de-coupling americano nei confronti della Cina – potrebbe essere un punto di appoggio. Ankara ha usato gli spazi concessi dalla crisi sanitaria per proiettare la propria politica estera, anche usando la Nato come vettore (circostanza che l’ha esposta alle critiche francesi ma anche a una maggiore attenzione americana).

Da una parte, dunque, vendiamo navi militari all'Egitto che ha praticamente dichiarato guerra ad Ankara per il ruolo che ha in Libia, dall'altra trattiamo con la Turchia per avere un posto (o almeno preservarlo) nel paese nordafricano. Forse ci offriremo per sminare l’area di Tripoli dopo i combattimenti tra l'esercito del generale Haftar e le milizie al fianco di Sarraj. Nelle intenzioni del governo, secondo indiscrezioni, ci sarebbe anche l’idea di “dare una mano” per riattivare l'aeroporto di Mitiga. Ma occorre ottenere il via libera del presidente turco, che potrebbe decidere di lanciarci un osso per continuare a rimanere in un territorio dove per anni abbiamo goduto di una indiscussa supremazia.  

In questo scenario, però, è bene non dimenticare il ruolo della Francia, che non  gradisce affatto l’ingerenza dei Turchi in Libia e appoggia Haftar e i suoi alleati egiziani e di altri Paesi arabi che si oppongono decisamente alla presenza ottomana nella zona.

L’esercito francese, preoccupato dalla prospettive di un conflitto ad “alta” intensità che potrebbe scatenarsi nel prossimo futuro, e assodate le carenze di uomini e mezzi di cui attualmente dispone, sta approntando un piano strategico per rafforzarsi. Secondo il parere dello stato maggiore, la Francia deve essere pronta a difendersi da sola di fronte a uno scontro simmetrico e non deve concentrarsi solo ed esclusivamente sul mantenimento di mezzi e armamenti che le consentono di affrontare conflitti asimmetrici

E proprio la Libia rischia di ospitare un conflitto per l'egemonia del Mediterraneo pericoloso per il nostro Paese. Forse anche a questo si riferiva il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, quando questa mattina, durante la cerimonia di chiusura dell'anno accademico del Centro alto studi della difesa, ha dichiarato: “Lo scenario internazionale non presenta alcun tendenziale miglioramento.

Al contrario, la pandemia sta ulteriormente aggravando contesti già complessi, sotto il profilo economico e sociale, e rischiano pertanto di assistere ad un aumento delle minacce e ad una crescente instabilità, che associata alla dinamica demografica e alle condizioni di sottosviluppo che caratterizzano tante aree del cosiddetto ‘Mediterraneo Allargato’, configurano tutte le premesse per generare e cronicizzare conflitti armati, con inevitabili ricadute anche sulla nostra sicurezza”.

 

 

Secondo Giulio Terzi di Sant'Agata, Presidente del Global Committee for the Rule of Law “Marco Pannella” :  Leggiamo con sorpresa, finanche con sconcerto, le riflessioni sul Venezuela espresse nell'editoriale “Calcoli errati (a ovest)”, pubblicato in prima pagina dal Corriere della Sera in data domenica 21 giugno 2020. 

Non possiamo non rimanere stupefatti dal taglio e ancor più dai contenuti, e soprattutto dalle omissioni presenti nel fondo in oggetto; un argomento tanto importante, quale quello della politica estera italiana, e ancor più quello direttamente chiamato in causa, della tragedia venezuelana, esige una integrazione, che potremmo emblematicamente intitolare “la prospettiva errata (sul Venezuela)”.

Il Venezuela di Chavez e Maduro non può essere esaminato come uno dei tanti fenomeni latinoamericani caratterizzati, nel passato come nel presente, da elementi di autoritarismo: il Venezuela della “rivoluzione bolivariana” appare, oggi ancor più chiaramente, l’esperimento più atroce, totalitario e criminale che la storia dell’America Latina abbia mai vissuto. Oggi più di 5 milioni di venezuelani vivono fuori dai confini, costretti a fuggire per fame e per repressione, entrambe armi di sterminio e controllo del potere.

E’ oggi un paese senza gas, senza acqua potabile, senza carburante, senza industria, senza risorse se non quelle derivanti dai traffici criminali di natura transnazionale che fioriscono sin dai tempi del dittatore Chavez, golpista indottrinato da Fidel Castro e irresponsabilmente graziato dopo due anni di galera dorata. Non si venga, per amore della verità e dei fatti, a dire che sulle condizioni attuali pesano le sanzioni (dell'Impero Yankee, ovviamente): il Dipartimento del Tesoro ha emesso sanzioni dure contro il regime e alcuni settori del Paese solo poco più di un anno fa, mentre, tanto per fare un esempio, i primi grossi problemi nella fornitura di energia elettrica cominciarono nel Paese nel lontano 2009, ben undici anni fa. Non casualmente, solo due anni prima, il dittatore Chavez aveva nazionalizzato il settore elettrico. Se c’è una sanzione che affama e uccide quotidianamente il popolo venezuelano, è la sanzione inflitta sadicamente dalla rivoluzione castro chavista ad un Paese ricchissimo di risorse, e dotato in precedenza di una società civile viva e vitale.

Spiace anche constatare come per l'ennesima volta si indugi, anche lessicalmente, sul riconoscimento di Juan Guaidò come presidente legittimo della Repubblica. Vale giusto la pena di ricordare come le elezioni del 2018, che portarono quelle sì all’auto-proclamazione di Maduro come vincitore (concretamente, proclamato come tale da un Comitato Elettorale Nazionale illegale nominato direttamente dal regime, in barba a ogni legittima procedura interna) sono state riconosciute dalla comunità internazionale (perfino dall’Italia!), nonché dall’Organizzazione degli Stati Americani, dall’Unione Europea e tanti altri fori multilaterali non “schiavi” degli “errori” dell’Occidente, come elezioni totalmente e radicalmente manovrate, pilotate, farsesche, oltre che viziate a monte da violenze e repressione nei confronti delle opposizioni: in breve, tamquam non essent.

A fronte pertanto di un vuoto assoluto di potere, cioè dell'assenza di un Presidente eletto secondo procedure costituzionali, l'anno scorso il Parlamento venezuelano, l'Assemblea Nazionale (ultimo organo rimasto legittimo nel Paese, e per questo sottoposto a repressione, arresti, violenze, pestaggi, processi politici) ha semplicemente provveduto ad applicare quanto la Costituzione, perfino quella chavista, prevede: l’affidamento dell’incarico di presidente ad interim al presidente dell'organo rappresentativo della sovranità popolare. Se ci pensa bene, è quello che accade anche in tanti altri sistemi, non ultimo il nostro. La differenza è che qui il presidente del Senato, in tali circostanze, non sarebbe al centro di una sterile disputa giuridica sulla sua qualità o meno di capo di Stato pro-tempore. Mentre in Venezuela, il presidente in questione deve lottare per rimanere libero, vivo, ed ha bisogno dell'appoggio internazionale per non finire in carcere, per volontà del regime, e su mandato del Procuratore Generale Tarek William Saab; nome curioso per un latinoamericano.

Così come è curioso il nome di uno degli uomini forti del regime, tale Tareck Al Aissami, figlio e nipote d’arte (i suoi erano tra i fondatori del partito Ba’ath in terra siriana e irachena), secondo svariate procure federali statunitensi, principe del narcotraffico, del riciclaggio di denaro e uomo-cerniera tra Caracas e Teheran, con tutto ciò che ne consegue, cioè anzitutto Hezbollah. Non possiamo certo affrontare qui i tanti altri motivi per cui il Venezuela, stato decomposto in mano a un conglomerato di criminali internazionali e protetto da quei “bravi ragazzi” dell’arena globale contemporanea (Cina, Russia, Cuba), è oggi focolaio tra i principali e forse più pericoloso di instabilità globale. Basti pertanto solo prendere in esame le tossiche relazioni tra Caracas e Teheran e rispettivi proxy, sin dalla metà degli anni 2000.

Basti informarsi, come direbbe Grillo, nel web, su che cosa succede da anni soprattutto nella la parte meridionale del Paese: si scoprirà (e le prove sono abbondanti) che nel cosiddetto “Arco Minero”, regione amazzonica venezuelana, operano gomito a gomito l’ELN e le FARC colombiane, e nientemeno che il “Partito di Dio”, quello Hezbollah che dalle miniere illegali del Paese caraibico estrae illegalmente quantità impressionanti di minerali preziosi, tra cui oro, diamanti, coltan, uranio, torio. Non è necessario un grande sforzo di immaginazione per intuire come tali risorse, aldilà della natura criminale dell’attività estrattiva già di per sé abominevole, vadano a finanziare attività non propriamente solidaristiche, sotto l’egida della premiata ditta Al Quds/Hezbollah. A chi pensa che tutto ciò sia fantasia, consigliamo di analizzare la folta letteratura in merito, spesso opera di un’attività di oltre quindici anni di autentica lotta per la conoscenza, messa in campo con coraggio indomito dal deputato italo-venezuelano Americo De Grazia, messo in salvo e oggi libero di poter parlare grazie ad una straordinaria operazione diplomatica del Presidente Casini, pochi mesi fa.

Quanto all'asserita, probabile “maggioranza” del popolo venezuelano che ancora appoggerebbe il governo, non c’è che dire. Vent'anni di repressione, incarcerazioni, stampa indipendente inesistente, più di 400 prigionieri politici, decine di deputati costretti all'esilio, elezioni fraudolente e consultazioni rubate, più di 7000 esecuzioni extragiudiziali: un elenco di elementi che tipicamente caratterizzano quei Paesi i cui governi dormono sonni tranquilli, perché sanno di poter contare su una parte “probabilmente maggioritaria” del popolo. Per carità, non scherziamo!

Giulio Terzi di Sant’Agata
Presidente del Global Committee for the Rule of Law “Marco Pannella”
Matteo Angioli
Segretario del Global Committee for the Rule of Law “Marco Pannella”
Andrea Merlo
Analista del Global Committee for the Rule of Law “Marco Pannella”
Laura Harth
Analista del Global Committee for the Rule of Law “Marco Pannella”

 

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