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Doveva essere il futuro dell'Unione Europea, il ponte fra oriente e occidente, il primo Paese musulmano, ma laico, a entrare nel cloud di Bruxelles. E invece la Turchia si è trasformata nell’incubo peggiore non solo delle cancellerie europee, ma di mezzo Mediterraneo.

Erdogan ha minacciato la Grecia che, a differenza di Ankara agisce sotto il cappello del diritto internazionale: «Eviti errori che la porterebbero sulla strada della rovina. Se la Grecia vuole pagare un prezzo, che venga ad affrontarci. Se non ne hanno il coraggio, si tolgano di mezzo». Parole dure, di chi vuole cercare più il casus belli che un compromesso, che servono anche per solleticare l’elettorato più nazionalista, ma che rappresentano una minaccia concreta per tutti noi.

Erdogan ha messo in guardia oltre Atene anche Parigi dai tentativi di impedire alla Turchia di continuare le sue attività di rilevamento sismico per localizzare e identificare le fonti di petrolio e gas nel Mediterraneo orientale, sottolineando che Ankara è "determinata a pagare qualsiasi prezzo" per difendere i suoi interessi nazionali e sovrani. Il presidente turco ha affermato che i cittadini della Grecia e della Francia non sono pronti a pagare il prezzo pesante per le azioni dei loro governi.

Così tra Grecia e Turchia è di nuovo crisi. Oltre al nodo migranti, nelle ultime settimane le tensioni tra i due Paesi si sono fatte sentire nelle acque del Mediterraneo orientale. Alla base dell’escalation c’è soprattutto una grossa rivalità per le risorse energetiche. Ma non solo...oggetto del contendere sono i fondali di questo Egeo gran bleu e gran caos di idrocarburi e gas. Il problema sono i limiti delle acque territoriali e le EEZ - zone di commercio esclusivo fra Paesi.

A iniziare la partita è stata la Turchia: Recep Tayyip Erdogan pregava nella neo riconquistata Santa Sofia, mentre il suo governo trasmetteva un perentorio e spiccio Navtex: «Salpiamo alla ricerca di gas per salvaguardare la nostra indipendenza energetica». La Grecia non ha gradito, ha chiamato in causa l'Unione europea, consultando, prima, il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, poi accettando la mediazione, per ora fallita, di Angela Merkel e minacciando, quindi, di rivolgersi al tribunale dell'Aia: «La più piccola scintilla può tramutarsi in disastro».

La Turchia ha perseguito un’azione definita aggressiva di esplorazione del gas, “scontrandosi”, metaforicamente parlando, con navi greche rivali. Un terzo paese Nato, la Francia, è stato coinvolto, schierandosi con i greci. Più recentemente è stato anche annunciato che un piccolo numero di aerei da guerra F-16 degli Emirati Arabi si sta schierando in una base aerea a Creta per esercitazioni con le controparti greche.

Erdogan mina la pace nel Mediterraneo e l'esistenza stessa della UE evocando pagine di storia, conflitti e relative sofferenze che l’Europa credeva superate. Purtroppo non è così. Per Erdogan la partita con l’Occidente non si è chiusa e nel 2023, anni in cui verrà ridiscusso il Trattato di Losanna, rivendicherà come turche isole che appartengono alla Grecia. Utilizzando chiaramente il motivo nazionalista per coprire interessi energetici e commerciali. I prossimi tre anni quindi potrebbero portare alla fine della pace nel Mediterraneo. Se non sta attenta, anche a quella dell’Unione Europea.


Le Germania di Angela Merkel, sul cui territorio vivono oltre tre milioni di turchi, è quella più spaventata all'idea di un muro contro muro con il presidente, che potrebbe anche portare a disordini interni. Ci sono poi Paesi come l'Italia che, sbagliando, pensano si possa trattare la Turchia come partner. Il problema è proprio questo: Erdogan fa il partner solo con se stesso e con il suo disegno. Tanto più ora che può contare su un'arma potentissima come quella dei migranti.

Dall'altra parte c’è un’Europa che appare debole impotente, pronta a subire i ricatti di un Erdogan che non ha alcuna intenzione di fermarsi e che si placherà solo quando avrà la certezza di potere, lui, da solo, con un Paese da media potenza, controllare una delle istituzioni più importanti nate dopo la guerra.

Non è la prima volta che Grecia e Turchia si trovano in conflitto per il controllo del mar Mediterraneo orientale. La disputa più lunga e importante è quella per l'isola di Cipro, che ancora oggi è divisa tra la Repubblica di Cipro, di influenza greca e riconosciuto a livello internazionale, e la Repubblica turca di Cipro del Nord, che è riconosciuta soltanto dalla Turchia. Il fatto che la Turchia rivendichi l'esistenza di uno stato che non è riconosciuto da nessuno crea ulteriori complicazioni nel risolvere le dispute legali attorno allo sfruttamento delle risorse dell’area.

Per esempio lo scorso anno, il vicepresidente turco, Farou Oktay, aveva detto che la Turchia e la Repubblica di Cipro del Nord non potevano essere «escluse dall’equazione delle risorse energetiche nella regione» e che conducevano attività di ricerca ed estrazione nella legittimità del diritto internazionale.

Come ha raccontato su The Conversation Clemens Hoffmann, esperto di Medio Oriente, la Turchia sostiene che la sua posizione nel Mediterraneo orientale sia di tipo difensivo; tuttavia diversi analisti pensano che non sia così, che le politiche turche abbiano spinte espansionistiche, che si ricollegherebbero all'idea di “Mavi vatan” (Patria blu), ovvero l’ambizione della Turchia di ottenere la supremazia sul Mediterraneo orientale. In più, le zone esclusive rivendicate nell'accordo tra Turchia e Libia non tengono in considerazione gli effetti sull’isola greca di Creta, che si trova nel mezzo della zona reclamata dalla Turchia.

Come ha chiarito l’ISPI, inoltre, la Turchia ritiene che parte del territorio marittimo di Cipro, in particolare quello attorno a Cipro del Nord, sia inclusa nelle proprie zone economiche esclusive: il governo turco pertanto non riconosce i contratti siglati dal governo di Cipro con le compagnie energetiche relativamente a queste aree e starebbe anzi pensando di intensificare le proprie ispezioni per ricominciare a trivellare.

La Turchia è diventata un problema a partire almeno dal 2009, cioè da quando Ankara ha inaugurato una politica estera sempre più aggressiva, è andato in crescendo. La brutta notizia, per tutti, è che questo problema continuerà a persistere per molti anni, facendoci attraversare crisi e tensioni sempre più grosse. La Ue per il momento, complice una cordata di Paesi, fra cui l'Italia, ha deciso di non procedere con sanzioni per contenere le mire egemoniche, sempre più avide e arroganti, del Presidente Recep Tayyip Erdogan e questo è un grosso errore, per due motivi. Il primo è che la Ue sta dando un'impressione di debolezza e mancanza di coesione che per il capo di Stato di Ankara è la maggiore garanzia del suo successo. In secondo luogo, e questa è la cosa più importante, è che la Turchia non ha alcuna intenzione di accontentarsi e ingloberà voracemente tutte le posizioni che la Ue lascerà vacanti. Ne dovrebbe sapere qualcosa proprio l’Italia, vista la progressiva diminuzione della sua influenza in Libia, Albania e Somalia. Tutti luoghi dove la presenza turca è preponderante.

Il punto, è che in un futuro non troppo remoto, cercare di contenere questo Paese, che è anche membro della Nato, ma firma serenamente accordi di forniture Militari con i russi, le sole sanzioni potrebbero non bastare più. La verità è che Erdogan in testa ha un piano molto chiaro e pensa di poterlo portare avanti perché ormai considera la Ue prova di ogni credibilità e capacità di azione collettiva.

Il presidente Turco, mira a governare mari che si riveleranno sempre più chiave nel futuro. La presenza massiccia in Libia, Somalia, Sudan e Qatar serve proprio a controllare un immenso corridoio blu che dal mediterraneo, dal Mar Rosso, dal Golfo Persico sfocia nel mare Arabico. Alle sue spalle, può contare sull'appoggio economico del Qatar, con la Turchia altro Paese legato ai Fratelli Musulmani.

L’Ue rischia di trovarsi letteralmente schiacciata sotto il peso di un Paese che ha assunto una apparente consistenza in rapidissimo tempo e che viene ricattata da un presidente che vuole influenzare non solo le scelte politiche di Bruxelles a suo favore, ma anche i milioni di musulmani che abitano sul territorio della Ue e che vedono in Erdogan un leader.

 

 

 

Una forte esplosione è stata riportata nella serata di martedì nella zona del porto di Beirut, capitale del Libano. La causa esatta non è stata ancora accertata: imponenti i danni, sale tragicamente il computo delle vittime.

La terrificante esplosione al porto di Beirut vista dal mare: si alza un fungo di fumo alto chilometri come quello causato da ordigni nucleari. Fra le migliaia di feriti anche un soldato italiano del contingente Unifil.

L'esplosione è avvenuta intorno alle ore 18 locali, una colonna di fumo alta più di un centinaio di metri si è alzata verso il cielo della capitale libanese.
Secondo quanto riportato dall'emittente televisiva "Al Majadin" l'esplosione è avvenuta nel blocco 12 del porto, in un capannone dove è stoccato materiale pirotecnico altamente infiammabile.

I residenti locali hanno affermato sui social che l’esplosione è stata talmente forte che in alcune case le finestre sono state distrutte. Prima si è sentita tremare la terra e solo pochi secondi dopo il suono di una forte esplosione.

Incidente o attentato? È la domanda che sorge spontanea nel guardare le immagini della gigantesca esplosione che ha sconvolto martedì pomeriggio il cuore di Beirut. Un enorme fungo di fuoco e detriti ha investito l’area del porto, non distante dal centro storico ricostruito dopo la guerra degli anni Settanta e Ottanta che aveva ridotto in macerie larga parte della capitale libanese.

I sospetti si tratti di un attentato sono sostanziati dalle notizie — ancora confuse — che giungono circa quella che sembrerebbe essere stata una seconda esplosione, avvenuta dopo quella principale, al porto, nei pressi della residenza dell'ex premier sunnita Hariri. Alcuni video mostrano, al porto, due esplosioni molto vicine una all'altra.

Secondo le prime ricostruzioni non si tratta di un attacco terroristico.
In interi quartieri del centro praticamente nessun edificio è rimasto con i vetri intatti. Fonti riferiscono che nella zona di Mar Mikhael nell'alto edificio di Electricité du Liban, l'ente elettrico nazionale, sono rimasti intrappolati molti dipendenti e che si è lavorato a lungo per trarli in salvo. Sull'autostrada costiera che va verso nord e che passa vicino al porto, per un lungo tratto si vedono auto semidistrutte, mentre la carreggiata è coperta di detriti. Anche all'aeroporto internazionale Rafic Hariri, distante alcuni chilometri, i danni all'aerostazione sono evidenti.

Nel porto di Beirut sono ancorate anche alcune unità navali dell'Unifil, la forza di interposizione dell'Onu al confine tra Libano e Israele. In serata fonti informate hanno detto all'ansa che squadre dei 'caschi blu' sono riuscite a raggiungere l'area dello scalo in elicottero e i membri degli equipaggi, che dovrebbero essere formati da marinai del Bangladesh, sono stati evacuati a Sidone. Fonti qualificate hanno detto invece che due militari italiani dell'Unifil sono rimasti feriti in modo non grave. Mentre in serata il presidente libanese Michel Aoun ha convocato una riunione d'emergenza del Supremo consiglio della Difesa presso il palazzo di Baabda, voci di ogni tipo si rincorrono sulle cause della deflagrazione.

"I responsabili della catastrofe ne pagheranno il prezzo", ha detto il primo ministro Hassan Diab in un discorso televisivo, senza tuttavia sbilanciarsi in alcuna ipotesi. Il capo delle forze di sicurezza nazionali, generale Abbas Ibrahim, ha detto all'origine del disastro vi è un incendio sviluppatosi in un deposito usato per custodire materiali altamente infiammabili sequestrati in passato. Un video circolato sui social media mostra dapprima una colonna di fumo nero alzarsi nel cielo. Poi, in quelle che sembrano le fiamme di un incendio, alcune deflagrazioni minori. Infine, un'esplosione gigantesca che investe anche il balcone da cui vengono riprese le immagini, molte centinaia di metri dal porto.

 I responsabili della "catastrofe" di Beirut dovranno darne conto": lo ha detto il primo ministro libanese Hassan Diab. "Quello che è successo oggi non passerà senza conseguenze - ha detto in un messaggio televisivo -. I responsabili di questa catastrofe ne pagheranno il prezzo".


Diab ha chiesto ai "Paesi amici" di aiutare il Libano. "Lancio un appello urgente a tutti i Paesi fratelli che amano il Libano a stare al suo fianco e ad aiutarci a guarire le nostre ferite profonde", ha detto il premier.

"Le terribili immagini che arrivano da Beirut descrivono solo in parte il dolore che sta vivendo il popolo libanese. L'Italia farà tutto quel che le è possibile per sostenerlo. Con la Farnesina e il ministero della Difesa stiamo monitorando la situazione dei nostri connazionali". Lo scrive su Twitter il presidente del Consiglio Giuseppe Conte.

"L'Italia è vicina agli amici libanesi in questo momento tragico. I nostri pensieri vanno alle famiglie delle vittime, a cui esprimiamo il nostro profondo cordoglio, e alle persone ferite, a cui auguriamo una pronta guarigione". Lo dice il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, secondo un tweet della Farnesina.

L’esplosione a Beirut giunge in un momento delicato per la storia del Libano, alle prese con una crisi economica senza precedenti e con un governo tecnico che non riesce ad attuare le riforme necessarie a sbloccare i fondi internazionali per ridare vigore all'economia. Le cancellerie di Roma, Parigi, Londra e Washington e l'Unione europea si sono mobilitate per fornire sostegno al paese. 


Israele ha offerto al governo libanese - attraverso intermediari internazionali - "aiuti umanitari e medici e immediata assistenza di emergenza". L'iniziativa, a seguito dell'esplosione di oggi a Beirut, è del ministero degli affari esteri guidato da Gabi Ashkenazi e del ministero della difesa di Benny Gantz. Il presidente israeliano Reuven Rivlin ha detto che Israele condivide "il dolore del popolo libanese e offre sinceramente il suo aiuto un questo momento difficile".

Il martoriato Libano torna a vivere i peggiori incubi della guerra civile e delle crisi sanguinose che hanno segnato i 30 anni passati dalla fine di quel conflitto. Un'esplosione di potenza inimmaginabile - secondo alcuni testimoni udita fino a Cipro, a distanza di 200 chilometri - ha portato la devastazione e seminato il panico in tutta Beirut e nei sobborghi. Almeno 73 morti e 3.700 i feriti, secondo un bilancio ancora provvisorio della deflagrazione, avvenuta nel tardo pomeriggio nel porto e sulle cui cause regna l'incertezza. Il numero delle vittime potrebbe comunque aumentare, a giudicare anche dalle immagini diffuse dai social media e dalle televisioni che mostrano persone rimaste intrappolate sotto le macerie di edifici crollati.

Il generale Abbas Ibrahim, riferisce Al Jazeera, ha visitato il sito dell'esplosione sottolineando che la causa è da ricercarsi in materiale altamente esplosivo, proprio come il già citato nitrato di ammonio. C'è anche un'altra ipotesi: l'esplosione di un magazzino di armi di Hezbollah. È quella più accreditata fra varie fonti di intelligence occidentali citate dall'Adnkronos, secondo le quali ad esplodere non sarebbe stato un deposito di fuochi di artificio o un vasto quantitativo di nitrato di ammonio, come riferito dal ministro dell'Interno libanese Mohammed Fehmi, ma un deposito di armi delle milizie sciite libanesi filo iraniane

Secondo, Roberta La Fortezza, analista per la regione Medio Oriente e Nord Africa e Sahel per Ifi Advisory e dottore di ricerca in Storia delle Relazioni Internazionali, intervistato dall'agenzia Nova, a prescindere dal dilemma tra attacco e incidente e dalla possibilità che l'esplosione avvenuta oggi a Beirut possa anche essere utilizzata dalle varie fazioni (interne e non), la detonazione registrata nel porto della capitale potrebbe avere importanti conseguenze sulla stabilità del Libano. "Il porto della capitale è distrutto e per un paese import oriented come il Libano questo può diventare un fattore cruciale. Ciò è tanto più vero in questo particolare momento storico: il Libano si trova infatti a vivere la peggiore crisi economica dai tempi della guerra civile. Fosse anche solo un incidente, non sarebbe per nulla da sottovalutare", ha detto La Fortezza.

 

 

Il Professor Alberto Zangrillo, primario dell'Unità Operativa di Anestesia e Rianimazione Generale e Cardio-Toraco-Vascolare e Referente Direzionale Aree Cliniche dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, ha detto la sua riguardo il distanziamento sui treni.In una intervista a La Verità, il professore ha spiegato perché secondo lui è assurdo. E il motivo è semplice: “Tutti i sedili occupati da gente educata e responsabile valgono più di mille posti liberi. In altre parole il problema vero non è se li occupi ma chi li occupa e come”.

Secondo il medico scrive il Giornale, si può benissimo partecipare a un matrimonio o a un battesimo o a un compleanno. Il rischio è lo stesso che andare al supermercato. Ma le cerimonie civili sono state uccise, e di conseguenza anche tutte le aziende che ruotano intorno a esse. Con problemi economici sempre più importanti. Il professore non è interessato a polemizzare con Massimo Galli che ha definito lui, Massimo Clementi e altri otto, “la minoranza rumorosa”. Anche perché, come ha ammesso, non ha nulla da guadagnare in tutto questo, ma solo da perdere. Ma lo fa perché “mi pongo delle domande. E so che il 17% di Pil in meno è una catastrofe che mi riguarda come e quanto i malati in corsia. È stato detto che il distanziamento è un grave problema, come abbiamo visto sui treni. Ma io voglio contare sul buonsenso della gente”. In poche parole, su un centinaio di persone che si incontrano, solo il 30% indossa la mascherina nel modo corretto. Sul convoglio invece tutti con la mascherina utilizzata nel modo giusto. Il rischio è quindi maggiore in situazioni normali.

Alberto Zangrillo continua il quotidiano il giornale, dice di mettere queste benedette mascherine! Ma allo stesso tempo è evidente che la violenza del virus è incredibilmente abbattuta rispetto a questo inverno. Basta ricorrere alla paura” ha infine rimarcato spiegando che tanti personaggini invece alimentano il terrore nella popolazione. Mentre si deve imparare a convivere con il virus. Ovvio che si aspetti il vaccino, ma intanto? Con le precauzioni che stiamo adottando e usando la testa possiamo ritornare alla vita normale. Alla domanda se si sia pentito di aver accettato l'invito di Vittorio Sgarbi all'ormai famoso convegno al Senato, definito da alcuni un'adunata di negazionisti, Zangrillo ha detto che la definizione usata è deprimente

E guai a dargli del negazionista conclude il Giornale, in faccia, perché “negazionista è chi nega l'Olocausto, la persecuzione degli ebrei, i crimini di Adolf Hitler. Il tentativo di squalificare le nostre posizioni accostandosi ai carnefici è infame”. Considera Sgarbi molto intelligente, anche se a volte eccessivo nelle sue manifestazioni. Le quali però hanno sempre un fondo di verità. Nello specifico, “quel convegno ha posto, con alcuni dei migliori esperti medici e dei costituzionalisti, il tema della libertà e della cura. Per questo malgrado la campagna diffamatoria che abbiamo subito sono contento di averci partecipato”.

Secondo meteo.it, "Questo far emergere che ci possa essere divergenza di vedute fra addetti ai lavori, che in questa vicenda sono prevalentemente medici, ma anche tanti biologi, statistici, qualche veterinario e qualche epidemiologo, no fa bene. L'importante è che tutti coloro che parlano posseggano l'argomento. E possedere l’argomento significa comportarsi con ottimismo e buon senso, evitando estremismi in un senso o nell'altro". Alberto Zangrillo, chiedendo scusa per i toni utilizzati, rincara comunque la dose e va dritto per la sua strada, quella per cui da tempo si batte invitando a mantenere alta la guardia, ma senza scadere nella psicosi da virus.

Zangrillo si è poi definito umile, attento a chiunque incontri sulla sua strada. Ma polemico se necessario, soprattutto con gli “sparaballe” come li ha definiti lui stesso. Ha poi spiegato: “Non posso sopportare che persone prive di competenze provino a mettersi sul mio stesso piano, soprattutto a livello scientifico”. Lui che dallo scorso 22 febbraio al 18 aprile ha passato le sue giornate con malati di Covid, dimenticando gli orari, persino di dormire, e “poi arriva un tizio che nella vita fa lo statistico, e pretende di spiegarmi cosa sia il Covid. Non è presunzione mia.

È ridicolo che senza esperienza sul campo qualcuno cerchi di pontificare su cose che non conosce”. Contagio non è uguale a malattia, e ha sbagliato la Protezione civile con il bollettino medico quotidiano, una incredibile mistificazione rispetto “alla verità clinica. In tutto il gruppo San Donato, quello in cui lavoro, abbiamo solo 10 pazienti in cura, nessuno recente, nessuno in intensiva. Prima non c'era un letto libero. Ecco l'evidenza clinica!” ha sottolineato Zangrillo. Bisogna quindi distinguere tra coloro che hanno una normale degenza, alcuni anche asintomatici, dai malati gravi. Se fosse al posto del Comitato tecnico scientifico certo non favorirebbe il terrore.  

Il medico è tornato anche sulla famosa frase scrive il meteo.it, che lo ha visto attaccato da ogni parte, ovvero ‘il virus è clinicamente è inesistente’: "Ci tengo a chiarire un’ultima volta: probabilmente ho sbagliato nei toni, chiedo scusa. Ma nessuno è riuscito a contraddirmi e fortunatamente, con i colleghi del San Raffaele, continuiamo ad assistere a questo tipo di situazione, a questo tipo di evidenza. Dobbiamo convivere con il virus", ha ribadito. Concludendo poi così: "Voglio che sia chiaro a tutti che esiste un’enorme differenza fra contagio e malattia. Tutti i contagi che stiamo contando ogni giorni in Italia, fortunatamente non sono in grado di produrre una malattia con clinica tale da portare la persona in ospedale o, peggio, in terapia intensiva. Speriamo che la situazione si confermi tale...

"Non datemi del negazionista,scrive l agenzia Agi,  il virus esiste ma la malattia è cambiata" "Dire che il virus oggi non sta producendo una malattia clinicamente significativa non vuol dire affatto negare l'esistenza del Sars-Cov-2. Rifiuto in tutti i modi la definizione di negazionista".

"Io - spiega il primario al ADN Kronos - a differenza di alcune nuove 'star' televisive, ho curato davvero i pazienti. Sin dal primo giorno. Sono stato tra i primi ad andare nella zona rossa per aiutare i colleghi di Lodi. Qui al San Raffaele abbiamo dedicato ai pazienti positivi a Covid cinque terapie intensive, dove abbiamo assistito 130 malati gravi. E abbiamo prestato cure anche a 1.300 malati, con sintomatologia medio-grave, ricoverati in altri reparti".

Zangrillo non nasconde il fastidio per le accuse che gli sono state mosse, soprattutto dopo la partecipazione al convegno organizzato tre giorni fa al Senato, a cui ha partecipato anche Andrea Bocelli. "Se colleghi universitari milanesi si permettono di dare del negazionista a chi come me è andato in mezzo ai malati e se ne è preso cura, ne risponderanno", conclude Zangrillo nell'intervista alla Repubblica insiste su un concetto: "Lavoro di clinica e ricerca - dice - e sin dall'inizio ci siamo occupati dell'epidemia. Io riporto solo l'evidenza, ovvero che oggi il virus non produce una malattia clinicamente rilevante. Ma questo non vuol dire che il virus non esista piu': sono stato il primo, gia' ad aprile, a dire che dovremo convivere con il Sars-Cov-2 finchè non arriva' un vaccino".

Cresciuto in una famiglia normale, con il padre funzionario di banca e la madre casalinga, una volta trasferitosi dalla Liguria alla Lombardia aveva pensato di studiare per diventare chirurgo. Strada difficile e nessuna raccomandazione. Sceglie quindi di cambiare rotta e diventare intensivista che, come da lui stesso asserito, è “la figura più completa, quella che deve sintetizzare tutti i saperi, dalla chirurgia alla medicina interna”. Agli inizi degli anni novanta la prima grande esperienza lavorativa, a Londra. Dove si accorge che gli italiani erano provinciali. Nella Capitale londinese tanti ospedali multietnici con professionisti da tutto il mondo. Il futuro, insomma.





Quella di ieri è stata una giornata lunga e difficile. In mattinata il capo politico della Lega si è difeso con orgoglio nell'emiciclo, ricordando come nell'agosto del 2019 – poco prima che finisse l'esperienza del governo gialloverde – pensò semplicemente a difendere i confini italiani dalla Ong spagnola, che aveva caricato a bordo migranti recuperati al largo delle coste della Libia.

Salvini, ha sempre rivendicato la sua politica dei porti chiusi. E, soprattutto in questi giorni, l'ex ministro ha gioco facile per dimostrare che quella era l'unico modo giusto di agire se non si vuole che le coste italiane, e in particolare quelle siciliane, debbano affrontare un'autentica invasione.    

E mentre l m5s, manda l'ex Ministro davanti a un Tribunale, Luigi Di Maio attacca duramente che, come tutti gli italiani, deve fare i conti con i continui sbarchi, molti di immigrati già positivi al coronavirus: "Gli italiani già sanno come stanno le cose e chiedono risposte, non gli serve qualcuno che gridi più forte di loro. Da un rappresentante delle istituzioni, giustamente, si aspettano risposte. E noi dobbiamo dargliele. Dobbiamo marcare le differenze con chi riduce tutto a una battaglia tra poveri, con chi spera nel conflitto sociale per racimolare qualche voto in più. 

Di fronte a tematiche di questo genere servono serietà, responsabilità e concretezza" scrive su Facebook in chiaro riferimento a Luciana Lamorgese, titolare dell'Interno, ma anche a Giuseppe Conte.

Il ministro degli Esteri non si era fatto attendere neppure, quando a Porto Empedocle i cittadini hanno assistito a una vera e propria fuga di massa di migranti. Anche in questo caso i clandestini hanno messo a rischio la "salute pubblica" aveva tuonato specificando che non si tratta "di ideologie e politiche". Viene da pensare si tratti solo di buonsenso, nulla di più.

L'Italia ha vissuto uno dei momenti più bui della sua storia con la pandemia, abbiamo visto morire i nostri cari, i nostri medici, donne, uomini e anche bambini. Abbiamo dovuto seguire regole ferree, ci siamo chiusi in casa, alcuni sono stati separati dalle proprie famiglie per settimane e settimane. 

Tutti, in un modo o nell'altro, ci siamo sacrificati. Ed è inconcepibile che oggi qualcuno, incurante delle regole tuttora in vigore, pensi di andarsene in giro senza rispettare l'obbligo della quarantena. Migranti o meno, fossero stati italiani avrei detto la stessa cosa. Qui è una questione di salute pubblica", sottolinea il titolare della Farnesina. D'altronde la stessa Ida Carmina, sindaca di Porto Empedocle che si batte contro gli sbarchi incontrollati, appartiene al Movimento 5 Stelle.L M5S, parla come Salvini, ma l ex Ministro, va a processo per le stesse motivazioni o quasi l'immigrazione, ma vediamo cosa e successo al Senato :

"In quel tribunale ci vado a testa alta e con la schiena dritta", così ha concluso il proprio discorso Salvini, già sicuro che il Senato lo avrebbe mandato a processo. E infatti una manciata di ore più tardi la ghigliottina della sinistra è arrivata puntuale, anche coi i voti di Renzi e dei renziani, che nei mesi scorsi si erano detti contrari a processo. L’ennesima giravolta, insomma.

Non ci vuol molto a capire che si tratta di un processo politico per tagliare fuori il numero uno del Carroccio dalla contesa politica. "Contro di me festeggiano i Palamara, i vigliacchi, gli scafisti e chi ha preferito la poltrona alla dignità. Sono orgoglioso di aver difeso l'Italia: lo rifarei e lo rifarò, anche perché solo in questo luglio gli sbarchi sono sei volte quelli dello stesso periodo di un anno fa, con la Lega al governo. Vado avanti, a testa alta e con la coscienza pulita, perché ho fatto il mio dovere con determinazione e buonsenso. Non ho paura, non mi farò intimidire e non mi faranno tacere: ricordo che per tutti i parlamentari, presto o tardi, arriverà il giudizio degli elettori", è stato il commento a caldo di ieri di Salvini, che da oggi studia come portare con sé in tribunale anche chi avallò le sue decisioni sulla Open Arms: su tutti, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte.

La sua strategia difensiva è sensibilmente cambiata rispetto alle altre volte in cui si dovette difendere sempre dalle stesse accuse di sequestro di persona. In passato, il suo obiettivo era esclusivamente dimostrare che i suoi atti contro le Ong "erano collegiali del governo" e che quindi, con lui, andavano processati anche Conte e i ministri Cinque Stelle. Stavolta, invece, secondo Salvini, siamo di fronte a una maggioranza che "sceglie la via giudiziaria e non quella democratica di libere elezioni per battere i suoi avversari politici". 

Una linea di difesa collaudata, adottata, del resto, per decenni da Silvio Berlusconi. Ed è proprio il Cavaliere che, commentando il voto, ribadisce come "ancora una volta, l'uso politico della giustizia sia l'arma con la quale la sinistra vuole liberarsi degli avversari".

"E' lo stesso metodo - ricorda l'ex premier - che hanno usato contro di me. Con 96 processi e 3636 udienze". Sulla stessa linea anche la leader di FdI, Giorgia Meloni: "Quando saltano le regole dello stato di diritto - nessuno è più al sicuro". Una svolta frutto dei due scandali che hanno reso ancora più complicato il sempre difficile rapporto tra politica e magistratura: le parole della chat di Luca Palamara ostili a Salvini e soprattutto la bufera giudiziaria che sta travolgendo la giunta lombarda, guidata dal Presidente leghista Attilio Fontana. Scandali che, sulla carta, hanno avvicinato la Lega e Iv, ambedue convinte che serva urgentemente una riforma della giustizia.

Non a caso, infatti, proprio Matteo Renzi era il sorvegliato speciale per capire se la sua linea "garantista" lo avrebbe spinto sino a "salvare" il leader sovranista. Alla fine Iv, cambiando idea rispetto al voto in Giunta, ha mandato a giudizio il segretario leghista. Renzi ha ammesso che l'altro Matteo "non agì per interesse pubblico" e quindi va processato. Tuttavia anche lui ha definito il rapporto magistrati-politica "l'elefante nella stanza", arrivando a chiedere che a settembre "maggioranza e opposizione si siedano intorno ad un tavolo e inizino a discutere del rapporto tra magistratura e politica".

Invito però bruscamente respinto al mittente proprio dal 'Capitano': "Noto il silenzio dei Cinque Stelle, meglio delle supercazzole di Renzi. Vedo che ha come modello De Gasperi ma si comporta come uno Scilipoti qualsiasi. Parlare con Renzi e Bonafede è una cosa che fa ridere. Renzi - ha concluso Salvini - ha la credibilità di una pianta grassa, non gli credono nemmeno i suoi genitori".

«Quando l'indirizzo governativo espresso dal Presidente del Consiglio in ordine ai minori presenti a bordo – motivato anche alla luce del mutamento della situazione originaria a seguito dell'avvicinamento della nave ai confini nazionali – è stato manifestato al ministro – si legge nella relazione del presidente Gasparri , quest'ultimo ne ha preso atto assumendo la decisione di adeguarsi allo stesso, pur non condividendolo. 

Va precisato che tale sbarco è avvenuto lo stesso giorno della presa d'atto del ministro Salvini (ossia il 17 agosto 2019) e non il 18 agosto, come erroneamente riportato nella richiesta di autorizzazione a procedere. In definitiva, nel momento in cui l'indirizzo governativo relativo ai minori è stato estrinsecato da parte del Presidente del Consiglio, il ministro Salvini ha potuto adeguarsi, cosa prima non possibile non sussistendo alcuna manifestazione esplicita in tal senso. Relativamente ai maggiorenni presenti a bordo occorre chiedersi se la presa di posizione del Presidente Conte sui minori possa aver configurato o meno una tacita indicazione al ministro Salvini anche per gli adulti presenti a bordo. La risposta a tale quesito è sicuramente negativa, innanzitutto per una circostanza fondamentale. 

Chiedere con atto scritto lo sbarco immediato dei minori comportava un implicito indirizzo opposto per i maggiorenni, altrimenti il Presidente Conte avrebbe dovuto chiedere lo sbarco immediato di tutti gli immigrati presenti a bordo e non solo dei minori. In altri termini, l'atto formale adottato dal Presidente Conte per i soli minori comportava la conseguente deduzione, sul piano logico, che la Presidenza del Consiglio condividesse la linea del ministro Salvini sui migranti non minorenni, altrimenti sarebbe stato illogico circoscrivere l’indirizzo ai soli minori, sapendo che a bordo erano presenti anche maggiorenni. Con riferimento alle condivisibili osservazioni prospettate nel corso delle sedute, va evidenziato che il Presidente Conte, se avesse voluto assumere un indirizzo idoneo a separare l'azione promossa dal ministro Salvini dall'azione del Governo anche per i migranti adulti, avrebbe dovuto – nella lettera del 16 agosto – ordinare lo sbarco immediato di tutti gli immigrati presenti a bordo e non quindi dei soli minorenni. Tale distinguo, effettuato dal Presidente Conte nella sua lettera del 16 agosto, rende anzi evidente per facta concludentia una condivisione implicita di quest'ultimo delle azioni poste in essere dal ministro Salvini in ordine ai migranti maggiorenni»

Inoltre, nella fattispecie in esame, «la “condivisione governativa” è certificata da un decreto interministeriale a valenza interdittiva, adottato dal Ministro dell’interno di concerto con i Ministri della difesa e delle infrastrutture e dei trasporti in data 1° agosto 2019. Appare sin troppo ovvio – ha aggiunto Gasparri – far notare che lo stesso Presidente del Consiglio Conte, che pur si è attivato ai fini dello sbarco dei minori, tuttavia non si è affatto avvalso dei poteri di cui all'articolo 5, comma 2, lettera c), della legge 23 agosto 1988, n. 400, al fine di “sospendere l'adozione di atti da parte dei Ministri competenti, sottoponendoli al Consiglio dei Ministri” successivamente. Né lo stesso Presidente Conte ha adottato decisioni concrete volte a permettere lui lo sbarco degli immigrati maggiorenni, dopo il 17 agosto 2019; sbarco che, come noto, in questo caso – a differenza dei due precedenti – è avvenuto in esecuzione di un provvedimento della magistratura, non avendo assunto iniziative nel frattempo non solo il Ministro dell'interno, ma anche gli altri Ministri interessati e lo stesso Presidente del Consiglio».

Da qui il diniego della Giunta alla richiesta di autorizzazione a procedere, «attesa la sussistenza nel caso di specie dell’esimente del perseguimento del preminente interesse pubblico nell'esercizio della funzione di Governo».

Il Tribunale dei Ministri accusa l'ex Ministro che : L'episodio riguarda il rifiuto di ingresso in acque territoriali imposto ai 107 migranti giunti in prossimità di Lampedusa a bordo della ong “Open Arms”, nella notte tra il 14 e il 15 agosto scorso, violando convenzioni internazionali e norme interne in materia di soccorso in mare e di tutela dei diritti umani. In particolari, Salvini avrebbe violato, tra le altre, la convenzione di Amburgo sulla ricerca ed il soccorso in mare, la convenzione Unclos e la Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell'Uomo e abusando dei propri poteri ometteva, «senza giustificato motivo, di esitare positivamente le richieste di Pos inoltrate al suo ufficio il 14, 15 e 16 agosto, provocando consapevolmente l’illegittima privazione della libertà personale dei predetti migranti, costringendoli a rimanere a bordo della nave per un tempo giuridicamente apprezzabile, precisamente dalla notte tra il 14 ed il 15 agosto sino al 18 agosto 2019, quanto ai soggetti minorenni e per tutti gli altri sino al 20 agosto 2019, data in cui, per effetto dell'intervenuto sequestro preventivo della nave, disposto dalla procura della Repubblica di Agrigento, venivano evacuate tutte le persone a bordo».

 

Ho agito insieme a Conte. E se qualcuno in aula riterrà che sia stato commesso un reato, ne risponderanno in tanti, a cominciare dal premier». Matteo Salvini si prepara alla grande battaglia di oggi in Senato sull'autorizzazione a procedere contro di lui per il caso Open Arms. «Sono state - incalza l'ex ministro, accusato di sequestro plurimo aggravato - scelte prese collegialmente con alcuni interventi presi per iscritto. Se vado a processo, eventualmente il presidente del Consiglio mi accompagnerà un po' a Catania e un po' a Palermo e prenderemo una granita». Ironizza ma si preoccupa Salvini. Oppure, come dicono nella Lega, questa è l'occasione giusta per accusare il governo, per oscurare il caso Fontana e per risalire a cavallo del tema prediletto: migranti e nuovi migranti che arrivano in quantità sempre maggiore

“Salvini ha fatto il proprio dovere di ministro, perseguendo l'interesse pubblico a un corretto controllo e a una corretta gestione dei flussi migratori, tutelando l’ordine pubblico. Se si votasse in coscienza ed esaminando le carte, questa vicenda si chiuderebbe domani e per sempre” afferma Giulia Bongiorno, celebre penalista ed leghista come Matteo Salvini, a Repubblica. “Prima di lanciare accuse, dovrebbero spiegare perché il comandante della Open Arms rifiutò per ben quattro volte una via d'uscita che avrebbe consentito di mettere subito in salvo i migranti”.

Salvini: “Io tranquillo, c’era anche Conte”. Si dice “tranquillo” perché a suo dire “le carte sono là, non sono cambiate e parlano chiaro”. Matteo Salvini ostenta sicurezza e torna ad attaccare i 5 Stelle e Conte. L'obiettivo grosso di Salvini sono i suoi ex alleati nel Governo giallorosso, e mostrare il loro radicale cambio di rotta. “Io ho agito a difesa del mio Paese e quello che ho fatto l'ho fatto in compagnia del premier Conte, ho fatto quello che c'era nel programma di governo non ritengo che ci sia stato un errore o reato. Se qualcuno ritiene che sia un reato ne risponderete in tanti. Vorrà dire che Conte mi accompagnerà un po’ a Catania e un po’ a Palermo e prenderemo una granita”.

“Ma a sbagliare non fu solo Salvini”. “Noi voteremo a favore dell’
autorizzazione a procedere nei confronti Salvini” afferma il leader di Iv Matteo Renzi in Aula al Senato. “Dalle carte abbiamo visto e approfondito che c’è una responsabilità oggettiva, secondo noi, dell’intero governo - dice Davide Faraone, capogruppo al Senato di Italia Viva, ad Agorà Estate Rai Tre - Io non credo che allora il comportamento esclusivamente sbagliato fosse soltanto quello di Salvini. Allora quel comportamento sbagliato era di un governo

Matteo Salvini ha commentato a Tgcom24 l'intervento di Renzi in Senato. "Per me la sua parola vale zero, con Open Arms ho fatto il mio dovere e ho la coscienza a posto. - ha dichiarato -. Se andrò a processo, ci andrò a testa alta e sarà un processo politico. Se pensano di intimorire la Lega con un processo politico 'alla Palamara' , si sbagliano di grosso. Quando tornerò al governo farò esattamente le stesse cose".  

L'ex premier non aveva fatto nessuna dichiarazione prima di questa mattina, ma ormai sembrava già chiaro che Iv avrebbe deciso di dire sì all'avvio del processo contro il leader della Lega, che potrebbe essere accusato di sequestro di persona e rifiuto d'atto d'ufficio.

Per salvare Matteo Salvini , i 18 senatori di Italia viva avrebbero dovuto votare contro il processo, così da non permetterà a Movimento 5 Stelle, Pd e Leu di raggiungere la maggioranza assoluta. Ma, ormai, Renzi è deciso a sostenere la maggioranza. "Noi non abbiamo cambiato idea, noi abbiamo sempre pensato che quella gestione della politica migratoria sia in Europa sia stato un errore- ha detto il leader di Iv, prendendo la parola in Senato-Non ho bisogno di dirlo a M5s e Salvini, magari ho bisogno di dirlo a quella parte della sinistra che hanno sostenuto che noi eravamo la brutta copia della destra quando andavamo a raccogliere in mare i migranti morti. Noi eravamo questi, una cosa diversa da voi".

La vicenda risale all'epoca in cui Salvini era ministro dell'Interno del primo governo Conte, quello guidato dall'intesa Lega-M5s. Tra l'1 e il 20 agosto 2019, la nave spagnola Open Arms rimase per 19 giorni in attesa di un porto in cui sbarcare. Porto che l'Italia e Malta avevano negato. Quando poi la nave si avvicinò a Lampedusa entrando in acque italiane fu il pm di Agrigento Luigi Patronaggio a salire a bordo con due medici e a constatare una situazione sanitaria insostenibile. La nave fu sequestrata e i 160 migranti a bordo fatto sbarcare. Da lì partì la volontà del pm di indagare eventuali omissioni da parte dei pubblici ufficiali.  

Il voto del Parlamento italiano è importantissimo. Mandare a processo Matteo Salvini significa ristabilire una verità storica e l'inviolabilità delle convenzioni internazionali che regolano il soccorso in mare nonché i principi delle nostre costituzioni democratiche”. A parlare a “Repubblica” è il fondatore di Open Arms, Oscar Camps, secondo il quale “il processo a Salvini stabiliranno un principio che vale per tutti i governi: i diritti umani devono essere rispettati e la legge è uguale per tutti”. Camps si dice infine “deluso” dall'operato dell’attuale Governo perché anche senza Salvini ””è cambiato poco, si sono smorzati i toni, ma la linea politica è rimasta la stessa”.

Processare Matteo Salvini per aver difeso i confini italiani ù dall'immigrazione illegale è semplicemente scandaloso. Fratelli d'Italia voterà compattamente, e convintamente, contro ù l'autorizzazione a procedere. La sinistra impari a battere i suoi ù avversari nelle urne, se ne è capace. Forza Matteo". Così ha scritto su Facebook il presidente di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni.

Nel 2019 il Senato, tra cui il M5s, negò l'autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini per il caso della nave Diciotti (risalente all'estate 2018). La linea fu quella secondo cui la scelta di non far sbarcare oltre 170 migranti tratti in salvo dalla nave militare italiana per circa una settimana era stata una scelta politica governativa e, come tale, non sindacabile. In ogni caso, secondo quella linea, non si trattò dell'abuso di un ministro per ottenere un personale vantaggio politico.

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