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Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan sembra deciso a rendere la Turchia un hub energetico capace di smistare verso l'Europa il gas di Israele, Azerbaigian e Krg, attraverso Cipro che dispone di risorse proprie. Risorse che hanno negli ultimi anni fatto risalire la tensione nel Mediterraneo orientale e che ora diventano, nel piano del presidente turco, l'espediente per riportare la stabilità nell'area, proprio attraverso accordi di sfruttamento.

Il piano di Erdogan ha già compiuto un importante passo con la visita del presidente israeliano Isaac Herzog in Turchia lo scorso marzo che ha certificato un processo di normalizzazione già avviato tra Ankara e lo stato ebraico, unite dal comune interesse a sfruttare le riserve israeliane. Il progetto di un gasdotto che porti il gas curdo in Europa attraverso la Turchia trova favorevole Israele, ma è osteggiato dall'Iran.

Europa e Turchia sono in questo momento unite dalla comune necessità di trovare alternative al gas russo. Una delle strade per ridurre la dipendenza da Mosca porta a guardare con interesse alle riserve di gas del nord Iraq, situate nelle autonomia Kurdistan Iracheno (KRG).

Come sottolinea l'agenzia agi, "A dio piacendo si aprono nuove prospettive in ambito energetico che spianano la strada ai mercati europei per il gas iracheno e del mediterraneo orientale, ma che necessitano normalizzazione nei rapporti e stabilità", ha detto Erdogan lo scorso 24 marzo, a margine del summit Nato di Bruxelles.

Secondo quanto riportato dall'agenzia Reuters, proprio l'opposizione all'accordo avrebbe costituito una delle ragioni che hanno spinto Teheran a colpire la città curdo-irachena di Erbil lo scorso 13 marzo. Un attacco missilistico mirato a colpire un covo dei servizi segreti israeliani a Erbil, secondo Teheran, una risposta a un'operazione con cui lo stato ebraico si era liberato di alcune spie iraniane a Damasco lo scorso marzo.

Al di là delle dichiarazioni di Teheran, è da sottolineare il fatto che un missile iraniano ha colpito la villa di Sheik Baz Karim Barzinji, amministratore delegato della compagnia curdo irachena KAR, che controlla il 40% dell'oleodotto della regione, la cui quota di maggioranza è nelle mani della compagnia russa Rosnefit.

Lo scorso dicembre Kar aveva chiuso un accordo con l'amministrazione regionale di Erbil per portare il gas dei giacimenti di Khor Mor, a sud di Kirkuk, fino ad Erbil e da lì a Dohuk. Un accordo raggiunto per soddisfare la domanda interna, ma che nei fatti spinge l'infrastruttura a soli 35 km dal confine turco.

Qui trova già pronto e operativo il gasdotto Tanap, costruito anche grazie a un accordo raggunto dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan e il KRG nel 2013, attualmente in uso per convogliare il gas dell'Azerbaigian in Turchia. Un avvertimento, mentre in ballo c'è la possibilità che il gas curdo possa raggiungere la Turchia e l'Europa già a partire dal 2025, come prospettato da Ali Hama Salih, a capo della commissione energia del parlamento del Krg.

Una prospettiva su cui spingono Ankara e Bruxelles e gli stessi curdi iracheni, che con le sanzioni scattate nei confronti di Mosca dall'inizio della guerra in Ucraina hanno intensificato la propria azione diplomatica nei confronti degli attori regionali.

Ragioni che spiegano l'urgenza del viaggio di Erdogan a Erbil a febbraio, che ha incontrato il presidente Nechirvan Barzani e ha spinto per far partire un progetto che riunisce gli interessi sia di Erdogan che di Barzani. Un cammino complicato da una causa aperta proprio tra i governi di Turchia e Iraq e che riguarda l'export di petrolio attraverso l'oleodotto Kirkuk-Ceyhan, una causa del 2015 per cui Baghdad ha chiesto danni per 25 miliardi di dollari presso la Corte di Arbitrato Internazionale.

Uno stallo su cui è intervenuto però il premier Mustafa al-Kadhimi, che ha deciso di rinviare l'arbitrato e che ha con Erdogan un buon rapporto, mentre il governo Barzani rimane attivissimo più fronti, che però riconducono tutti alla Turchia.

Il premier del KRG Masrour Barzani ha recentemente discusso 'l'enorme potenziale energetico della regionè con il ministro dell'Energia del Qatar, paese che ha strettissimi rapporti con Ankara. Barzani ha dichiarato che il KRG è pronto ad esportare il gas delle proprie riserve 'al resto dell'Iraq, Turchia ed Europa'.

Al momento la compagnia degli Emirati Dana Gas ha in mano l'estrazione e lavorazione del gas dei giacimenti di Chemchemal e Khor Mor, sfruttati ancora al di sotto dei rispettivi potenziali.

Da notare come proprio gli Emirati sono uno dei Paesi con cui Erdogan ha recentemente firmato accordi, anche in ambito energetico. Rimangono quasi intatti giacimenti di Miran e Bina Bawi, su cui sta lavorando la Genel Energy, compagnia turca britannica che ha già investito 1,4 miliardi di dollari e sui quali potrebbe presto aggiungersi la turca Cengiz, specializzata nella raffinazione di gas particolari come quello di questi due giacimenti.

Un piano che non piace a Teheran, come lasciato intendere dai missili piovuti su Erbil a Marzo, ma anche sull'influenza e le pressioni del governo iraniano sui membri del parlamento vicini all'ayatollah che non vedono di buon occhio il sostegno di Barzani al leader iracheno Moqtada Al Sadr, che aumenta il proprio consenso proprio attraverso una continua propaganda anti Iran. Oltre che il malcontento di Teheran Erdogan ha però altri nodi da sciogliere, in particolare con Baghdad.

Tra Turchia e Iraq sono in ballo le operazioni militari dell'esercito di Ankara, che sconfina nel nord Iraq per colpire i separatisti curdi del Pkk, invisi anche allo stesso Barzani. Tra Ankara e Baghdad non sono mancati pesanti scambi di accuse scaturite dal sistema di dighe turche che di fatto riduce drasticamente il flusso d'acqua verso l'Iraq.

A queste si aggiunge la già citata causa in corso, su cui si pronuncerà un tribunale di arbitrato internazionale che potrebbe condannare Ankara a un risarcimento da 25 miliardi di dollari nei confronti dell'Iraq per non aver coinvolto il governo iracheno nei precedenti accordi con il KRG.

Una causa che costituirebbe un precedente capace di mandare in naftalina accordi futuri. Erdogan è consapevole degli ostacoli al progetto, ma più che compiere un passo indietro che riguardi le dighe o le operazioni contro il Pkk, punti fermi del suo governo, punta sul comune interesse di Israele e Unione Europea. Una convergenza che Erdogan ritiene capace di piegare le resistenze di Baghdad che non ha interesse ad aprire una disputa con il KRG che strizza l'occhio a Moqtada al Sadr, l'uomo che più di altri può frammentare ulteriormente il quadro politico iracheno.

Intanto l accordo siglato con l'Algeria è una tappa di quella che appare sempre di più come una corsa contro il tempo. Una corsa per sostituire i 29 miliardi di gas russo. Ieri il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha siglato l'accordo con il quale verranno portati a 9 miliardi i metri cubi di gas provenienti dal paese del Nord Africa attraverso il gasdotto TransMed/Enrico Mattei che porta il metano a Mazara del Vallo, in Sicilia, passando per la Tunisia. Una risposta "significativa", per Draghi, ma non l'ultima.

Draghi conferma l'offensiva diplomatica del governo iniziata nelle ore immediatamente successive all'attacco della Russia all'Ucraina, per limitare la dipendenza del gas russo (che pesa per circa il 40% sull'import italiano di gas) e cercare strade alternative all'approvvigionamento energetico. Una strategia che porterà il premier nelle prossime settimane a una serie di missioni in Africa, dal Congo, all'Angola al Mozambico.

"Subito dopo l'invasione dell'Ucraina, avevo annunciato che l'Italia si sarebbe mossa con rapidità per ridurre la dipendenza dal gas russo - dice Draghi al termine dei colloqui con il presidente della Repubblica algerina, Abdelmadjid Tebboune - gli accordi di oggi sono una risposta significativa a questo obiettivo strategico, ne seguiranno altre".

Il governo Italiano continua a cercare nuovi canali per differenziare le fonti di approvvigionamento energetico. Come sottolinea agi la firma dell'accordo siglato da Draghi, dal numero uno di Eni, Claudio Descalzi e dal presidente di Sonatrach, Toufik Hakkar, consentirà a Eni di aumentare le quantità di gas trasportate dall'Algeria attraverso il gasdotto TransMed/Enrico Mattei a partire dal prossimo autunno. L'intesa consentirà di aumentare "gradualmente volumi crescenti di gas a partire dal 2022, fino a 9 miliardi di metri cubi di gas all'anno nel 2023-24", fa sapere la stessa Eni. "I nostri Governi hanno firmato una dichiarazione d'intenti sulla cooperazione bilaterale nel settore dell'energia. A questa si aggiunge l'accordo tra Eni e Sonatrach per aumentare le esportazioni di gas verso l'Italia.

L'Italia è pronta a lavorare con l'Algeria per sviluppare energie rinnovabili e idrogeno verde. Vogliamo accelerare la transizione energetica e creare opportunità di sviluppo e occupazione", aggiunge Draghi, accompagnato nella missione algerina dai ministri degli Esteri Luigi Di Maio e da quello della Transizione ecologica Roberto Cingolani. "Italia e Algeria vogliono rafforzare la cooperazione anche in altri campi", ha aggiunto il premier. Un vertice Intergovernativo tra i due paesi è già in programma e si terrà ad Algeri il prossimo 18 e 19 luglio.

A Palazzo Chigi si è tenuto ieri un vertice al quale hanno preso parte il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Roberto Garofoli, il ministro dell'Economia, Daniele Franco, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega per l'intelligence, Franco Gabrielli, l'amministratore delegato di Terna, Stefano Donnarumma, l'amministratore delegato di Snam, Marco Alverà. Al tavolo, sono state vagliate più opzioni, ma la via maestra sembra - al momento - quella di stringere accordi con altri paesi produttori di energia, come dimostra il fitto programma di Draghiu in Africa, nei prossimi giorni. Tutto questo, mentre il governo cerca di contenere l'impatto dei prezi dell'energia sui cittadini.

"Il caro energia e la questione salariale sono le due priorità", per il segretario del Pd Enrico Letta: "E sulla questione salariale la mia proposta è questa: costruire un meccanismo di detassazione degli aumenti derivanti dai rinnovi contrattuali. Avrebbe un forte impatto sui salari, ma sarebbe anche molto importante per le imprese, perchè incentiverebbe i rinnovi e quindi darebbe competitività al sistema", aggiunge Letta.

"La maggioranza, tuttavia, è in fibrillazione sul tema del fisco e, in particolare, del catasto. Il centrodestra, con Lega e Forza Italia in testa, fa muro contro la riforma del catasto e incontrerà domani Mario Draghi "per sincerarsi che non si creino le condizioni per l'aumento di tasse", spiegano dai due partiti che cercano la mediazione del premier per evitare il ricorso alla fiducia sulla delega fiscale. Duro con gli alleati di governo è Enrico Letta: "La nostra linea non è quella dei contro-ultimatum, ma questo atteggiamento irresponsabile e inaccettabile sta facendo spegnere la candela, anche perchè gli episodi si moltiplicano. Se va avanti cosi' la destra si assume una grave responsabilità".

Critico anche Carlo Calenda, leader di Azione: "Questo è davvero un esempio di 'teatrino della politica'. Forza Italia e Lega chiedono a Draghi una cosa che Draghi ha già assicurato. L'obiettivo è quello di poter dire 'abbiamo difeso le case dalle tasse'. Tecnica di Salvini dal primo giorno, spiace si sia aggiunta Forza Italia".

 

Fonti Agi e varie agenzie 

"Nulla è ancora deciso, quello che succederà nei prossimi quindici giorni è decisivo per la Francia e per l'Europa". Emmanuel Macron è davanti a Marine Le Pen dopo il primo turno delle presidenziali francesi ma tutto, come sempre, si deciderà al ballottaggio del 24 aprile.

Ad affrontare Emmanuel Macron al ballottaggio per le elezioni presidenziali francesi sarà per la seconda volta la candidata dell'estrema destra Marine Le Pen, la quale ha superato il primo turno senza troppe sorprese, piazzandosi in seconda posizione con il 23 per cento circa dei voti, distante cinque punti dal suo avversario. Secondo le ultime stime pubblicate da France 2, Jean Luc Melenchon ha invece raccolto il 22,2 per cento dei sostegni, mancando di poco la qualificazione. "Grazie a tutte e a tutti. Le urne hanno parlato.

I francesi mi hanno dato fiducia e mi hanno permesso di accedere al secondo turno. Vedo una speranza, la speranza che insorgano le forze che vogliono risollevare il paese" sono state le prime parole di Le Pen davanti ai suoi sostenitori radunati per la serata elettorale al Pavillon Chesnaie du Roi, nella periferia sud-est di Parigi.

"Il ballottaggio del 24 aprile sarà una scelta di società e anche di civiltà, una scelta tra due visione opposte del paese: o la divisione e il disordine, o il raduno intorno alla giustizia sociale", ha continuato la leader del Rassemblement National, chiamando "tutti quelli che non hanno votato per Macron" a sostenerla.

Come nel 2017, Emmanuel Macron e Marine Le Pen si affronteranno il 24 aprile prossimo al secondo turno delle presidenziali in Francia, con un vantaggio di partenza del presidente uscente, senza però certezza sul loro voto riserve dopo il crollo di LR e PS dopo il primo turno di domenica. Secondo le ultime proiezioni il presidente uscente ottiene un punteggio migliore del previsto: il 27,6%, davanti al candidato di RN, al 24,3%.

Terzo il candidato della gauche, al 21,9%, che invita a non dare "nemmeno un voto" all'estrema destra. Anche gli altri candidati si schierano con Macron ad eccezione del populista di destra Zemmour (7%) e del sovranista Dupont-Aignan. Republicains e socialisti ai minimi storici. Astensionismo al 26,2%.

Dopo mesi di campagna atipica e poco mobilitante, l'astensione è stata superiore a cinque anni fa, tra il 26 e il 28% contro il 22,23% del 2017, secondo gli istituti elettorali. Con il terzo posto di Jean-Luc Mèlenchon (circa 21%), questa elezione conferma la retrocessione dei due partiti che hanno governato la Francia dalla Quinta Repubblica fino al 2017, che ottengono il punteggio peggiore della loro storia.
"I partiti tradizionali sono polverizzati", riassume il politologo Jèrome Jaffrè.

Come 5 anni fa si ripropone lo stesso scenario elettorale delle presidenziali del 2017, con un ballottaggio tra Emmanuel Macron e Marine Le Pen, un risultato ampiamente previsto dai sondaggi che, secondo Fourquet, indica il proseguirsi di "un movimento profondo di placche tettoniche, una scomposizione-ricomposizione del paesaggio politico ancora in corso con di fatto due blocchi sociologici e culturali messi a confronto".

Da un lato Macron seduce man mano che si sale nella scala sociale e dei redditi nonchè tra i pensionati in passato elettori della destra classica, tra i quali ha guadagnato consensi dal 2017 per il fatto di essere presidente uscente, per il contesto internazionale di crisi che hanno spinto alla sua riconferma per mantenere la stabilità ed evitare il caos economico.

Dall'altro, Le Pen ha i suoi maggiori sostegni tra i redditi più modesti e nella popolazione attiva, ma fatica a ottenere quelli delle categorie più abbienti e dei pensionati. Per l'analista Ifop, il verdetto delle urne è indicativo della "spaccatura che continua ad accentuarsi tra la Francia dei piani alti e la Francia dei piani bassi, sostituendosi al vecchio clivaggio destra-sinistra".

Intanto nella stampa internazionale sono due i temi che sono di primaria importanza  il ballottaggio tra Macron e Le Pen e il riarmo di Donbass, Macron e Le Pen tra due settimane si contenderanno l’Eliseo, “è in gioco il futuro della Francia e dell’Europa”, scrive la Frankfurter Allgemeine Zeitung, che mette le elezioni francesi in apertura: il primo turno è andato a Macron, che ha staccato la leader della destra. Ma dalle urne sono usciti anche altri dati rilevanti: il candidato di sinistra Melenchon “ha mancato di poco il secondo turno” raccogliendo a sopresa quasi il 22%, mentre sono crollati i gollisti e i socialisti. “Macron ora deve lottare”, rileva la Faz nel titolo del suo editoriale: perché è vero che ha già vinto il ballottaggio contro Le Pen nel 2017, ma “cinque anni fa Macron stesso era un outsider, un faro di speranza per i francesi politicamente disamorati”, mentre “questa volta è l'establishment” e anche se “ha ottenuto molto, come riconciliatore delle ‘due France’ ha fallito”. Mentre Le Pen “può sperare nel voti del populista di sinistra e oppositore dell’Ue Melenchon”. In prima pagina con grande evidenza anche la polemica che coinvolge Angela Merkel, accusata anche da alcuni settori del suo partito, la Cdu, di non aver preso una posizione netta contro l’invasione russa dell’Ucraina perché imbarazzata dalla sua politica di apertura a Putin negli anni del cancellierato.  

La prima pagina di Le Figaro è tutta per le presidenziali francesi: “Macron-Le Pen, nuovo duello” è il titolo che allude alle elezioni del 2017 quando i due si sfidarono nel ballottaggio che portò l’allora esordiente Macron all’Eliseo. Ma questa volta, osserva il quotidiano nel suo editoriale, la vittoria al primo turno pone “sfide” al presidente uscente. Perché, “se dispone di un vantaggio relativamente confortevole” su l'avversaria, “l’alta percentuale di Jean-Luc Melenchon gli mette davanti un blocco contestatore la cui minaccia non può essere sottovalutata”. E Macron, che ha passato cinque anni "a cancellare ogni alternativa tra il proprio campo e i populisti”, col risultato di sgretolare gollisti e socialisti, potrebbe “essere vittima del suo stesso successo”. Le Pen potrebbe cercare infatti una saldatura con l’elettorato di Melenchon cementata in un voto di protesta, attirando un patrimonio di consensi molto più consistente di quello che potrebbero portare in dote a Macron le candidate repubblicana Pecresse e socialista Hidalgo, uscite a pezzi dalle urne.

La guerra in Ucraina ha innescato una nuova “corsa agli armamenti”, osserva il China Daily, che cerca di fare il punto sulle commesse militari decise nel mondo dopo l’invasione russa. Si va dalla fornitura di caccia F-16 alla Bulgaria decisa dagli Stati Uniti il primo aprile (costo 1,6 miliardi di dollari), al piano per sostituire la sua flotta di F-18 sbloccato dal Canada dopo dodici anni di stasi (costo 15,1 miliardi di dollari), al progetto annunciato da Usa, Gran Bretagna e Australia di collaborare nello sviluppo di missili ipersonici, all’aumento delle spese per la difesa deciso da vari Paese, tra i quali il giornale cita la Germania, l’Italia e l’Estonia. Tale contesto, scrive il quotidiano citando Zhang Hong, ricercatore di studi russi, dell'Europa orientale e dell'Asia centrale presso l'Accademia cinese delle scienze sociali, si deve al fatto che “gli Stati Uniti e la Nato sollevano e sfruttano le ansie per la sicurezza”, con il vero obiettivo di “incoraggiare alcuni paesi dell'Asia-Pacifico ad accettare o chiedere una maggiore protezione dagli Stati Uniti”, che “di conseguenza, di dispiegare in questi Paesi armi più letali”.

“L’Ucraina fa pressioni per altre armi”, titola in apertura il Washington Post, che riprende gli interventi del presidente ucraino Zelensky e del suo ministro degli Esteri, Kuleba, sulle tv americane: I Paesi dell’Occidente “devono fornire armi all'Ucraina come se stessero difendendo se stessi e la propria gente. Se non accelerano, per noi sarà difficile resistere alla pressione", ha detto Zelensky al programma “60 Minutes” della Cbs, mentre Kuleba a "Meet the Press" della Nbc ha avvertito che sebbene “i leader abbiano strombazzato il successo nel cacciare le forze russe da Kiev, un'altra battaglia sta arrivando, la battaglia per il Donbass". Appelli a cui ha risposto, indirettamente, Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Biden, su "Face the Nation" della CBS: obiettivo "è aiutare gli ucraini a difendere il loro territorio in Ucraina e riprendersi il territorio", e “gli Stati Uniti stanno aumentando di risorse, armi, equipaggiamento militare, ma anche risorse diplomatiche per sostenere gli ucraini", ha detto Sullivan, che rivendicato una mobilitazione di risorse di "portata, scala e velocità senza precedenti". Collegato all’apertura, un servizio da Leopoli sulla “rete segreta invio di armi e droni alle forze ucraine”. Sull’Ucraina c’è anche un terzo titolo in prima pagina, per un ritratto di Vitali Klitschko, l’ex pugile sindaco di Kiev.

 

Il Cremlino critica l'ipotesi di un allargamento della Nato con il progetto di un ingresso di Svezia e Finlandia nell'Alleanza Atlantica sottolinea l Ansa. L'offensiva finale della Russia nella regione orientale del Donbass "è già iniziata". Lo afferma sulle tv ucraine, come riporta Cnn, Vadym Denysenko, consigliere del ministro dell'Interno ucraino. "I russi stanno accumulando le loro forze", ha detto Denysenko. "Sì, non ci sono ancora le grandi battaglie di cui si parla tanto negli ultimi giorni. Ma in generale potremmo dire che l'offensiva è già iniziata". Denysenko ha segnalato esplosioni durante la notte nella regione di Dnipro e ha detto che anche il bombardamento di Kharkiv, la seconda città più grande dell'Ucraina, è continuato.

 

Fonti ansa agi e varie agenzie

Il rialzo dei costi delle materie prime potrebbe far aumentare ancora di più l’inflazione come ha avvisato Moody’s, la nota agenzia di rating, nelle comunicazioni inviate oggi. L’aumento dell’inflazione quasi certamente indurrà le banche centrali ad alzare i tassi di interesse causando una frenata di tutte l’economia globale. Secondo le stime di Moody’s il rischio maggiore è che il PIL dei 20 paesi più industrializzati al mondo possa scendere al 3,6% nel 2022, contro le previsioni del 4,3% di febbraio.

Il discorso di ieri del Presidente del Consiglio ha mal posto la questione dell’allargamento delle sanzioni commerciali europee al Gas naturale importato. Come e stato scritto più volte in vari Giornali, rinunciare improvvisamente al gas naturale russo non significa rinunciare solo a un po’ di aria condizionata, ma danneggiare pesantemente, e in modo permanente, il
nostro sistema industriale, causando recessione, depressione, disoccupazione e miseria.

"La maggioranza degli italiani all'idea di sacrificarsi per l'Ucraina non ci pensa neanche e una buona parte non ritiene neanche che Putin sia un dittatore da condannare": Maria Giovanna Maglie, ospite di Myrta Merlino a l'Aria che tira su La7, ha commentato le parole pronunciate ieri dal premier Mario Draghi in conferenza stampa. Rispondendo alla domanda di un giornalista, infatti, il presidente del Consiglio ha posto una questione a tutti gli italiani: "Volete la pace o il condizionatore acceso quest'estate?". Una semplificazione che a molti non è piaciuta.

"Draghi dovrebbe dire che se andiamo avanti con la guerra altro che il condizionatore non acceso, abbiamo un terzo dell'industria italiana in crisi mistica", ha proseguito la giornalista in collegamento col talk di La7. La Maglie, poi, ha anche sottolineato l'errore fatto dal premier in conferenza: "Lì casca l'asino, quando Draghi passa dal suo linguaggio tecnocratico un po' altezzoso al tentativo di comunicazione di popolo"

Ma il mondo occidentale inizia a tremare. La guerra non è conclusa e anzi procede con una violenza inaudita. Le trattative languono e la spinta arrivata dall'aumento dei prezzi sulla struttura produttiva comincia a far paura. Sia ai cittadini, che dormono sonni inquieti aspettando la nuova bolletta di luce e gas (quelle di fine anno hanno già subito rincari pesanti), ma anche al governo. Che inizia a temere che i contraccolpi sull'economia dell'escalation militare si trasformino invariabili incontrollabili.

Timori concreti che creano incertezza anche nell'esecutivo e che hanno spinto ieri il ministro dello Sviluppo Economico, Giancarlo Giorgetti, a firmare il decreto per l'istituzione di una unità di crisi interna, operativa già da lunedì, per monitorare e valutare i contraccolpi del conflitto sulle filiere e sui prezzi delle materie prime. Già la prossima settimana il ministro leghista presiederà il primo tavolo dove saranno chiamati i rappresentanti di settore coinvolti e dei ministeri interessati per fare il punto sulle urgenze da affrontare nel più breve tempo possibile. Non è difficile immaginare chi chiederà di essere ascoltato. I prezzi dell'energia, gas e petrolio, sono di fatto fuori controllo..

Si prevede che le economie occidentali alleate degli Stati Uniti e dell’UE sostituiranno circa 650.000 barili al giorno (bpd) di petrolio greggio russo con equivalenti tipi di petrolio del Medio Oriente. Si tratta di petrolio che però sarebbe stato destinato all’Asia che, per ora , non è ancora stato sostituito dal petrolio russo. Però questo accadrà per presto, e alla fine tutte le sanzioni, o auto- sanzioni, occidentali si trasformeranno in un enorme swap, cioè uno scambio di fornitori e clienti.

“Stimiamo che economie avanzate come l’UE, il Giappone e la Corea del Sud potrebbero ‘scambiare’ circa 650.000 b/g di greggio russo – 400.000 b/g di Urali, 170.000 b/g di ESPO e 80.000 b/g di luci della Russia orientale – con qualità e volumi simili acquistati principalmente dal Medio Oriente da Cina e India”, ha aggiunto Sun.

Il petrolio scontato russo fa gola a India e Cina, ma il problema è costituito dai contratti già attivi con i fornitori Mediorientali. Per esempio la Cina a un impegno a lungo termine con l’Iran per l’acquisto a prezzi già scontati di petrolio. Molte raffinerie poi hanno contratti di fornitura già in atto.

 

Fonti : scenari economici il Tempo Libero

Quattro passaggi e la base giuridica del capitolo VII della carta delle Nazioni Unite, quello riguardante le minacce alla pace. Sono questi i riferimenti che i Paesi garanti della neutralità ucraina, tra cui potrebbe esserci l'Italia, come ribadito anche oggi dai negoziatori di Kiev ai colloqui di Istanbul, dovrebbero avere nel caso in cui si arrivasse ad un trattato internazionale sul suo status.

Giorni fa, lo stesso presidente del Consiglio Mario Draghi aveva detto che l'Italia era stata richiesta come garante dall'Ucraina e dalla Russia. "Il contenuto esatto di queste garanzie è ancora presto per definirlo: dipenderà dal risultato dei negoziati fra Russia e Ucraina”, aveva spiegato Draghi. “Saranno garanzie che prevedono che le clausole negoziate siano attuate: la pace, il tipo di neutralità che l'Ucraina avrà, lo status delle regioni e via dicendo. Dipende dal contenuto dei negoziati"  

Nel weekend, il ministro italiano degli Esteri Luigi Di Maio ha ribadito in più occasioni la disponibilità dell’Italia a contribuire alla fine del conflitto in Ucraina e a fare da “garante” della neutralità del Paese. L’ex leader del M5S non ha spiegato cosa comporterebbe questo ruolo nel concreto, ma non è il primo politico a menzionare, e pare che la Turchia sia a lavoro per organizzare un vertice coi leader dei Paesi che potrebbero assumersi questa responsabilità

Intanto nelle ultime ore si è tornati a parlare di questa repubblica filorussa per via di un'indiscrezione diffusa dallo Stato maggiore ucraino e riportata da Ukrainska Pravda. Secondo Kiev, "è stato intensificato il lavoro per mobilitare unità di truppe russe con sede nel territorio della regione transnistria della Repubblica di Moldova al fine di condurre provocazioni e svolgere azioni dimostrative al confine con l'Ucraina"  la piccola repubblica separatista filorussa potrebbe essere la nuova frontiera del conflitto tra Mosca e Kiev. Un corridoio che potrebbe portare le truppe russe direttamente al porto di Odessa

Da quando la Russia ha avviato l’invasione dell’Ucraina, scatenando un conflitto che va avanti da più di un mese, si guarda con sempre più attenzione a quello che succede in Transnistria. Si tratta di un territorio che si trova tra l’Ucraina e la Moldavia, fa ufficialmente parte di quest’ultimo Paese ma all’inizio degli anni Novanta si è autoproclamato indipendente e ha poi chiesto di essere annesso alla Russia  

A guardarla in quest’ottica, la Transnistria è una sorta di corpo estraneo collocato tra due realtà politiche e culturali “aliene”. È per questo motivo che, all’indomani del crollo dell’URSS, quando la Moldavia e l’Ucraina dichiararono la loro indipendenza, la Transnistria, che fino a quel momento aveva avuto una sua collocazione all’interno dell’Impero Sovietico, divenne una zona ad alta tensione. La comunità russofona, che rappresenta il 90% della popolazione, denunciò gravi discriminazioni e violenze nei suoi confronti, tanto che nel 1992 si scatenò una guerra tra secessionisti della Transnistria e la Moldova. La prima appoggiata dalla Federazione russa e – oggi fa sorridere amaro - da volontari ucraini, mentre la seconda dalla Romania. È stato classificato come un conflitto a bassa intensità, ma ha comunque provocato 4mila morti, e si è concluso il 12 luglio di quell’anno con un cessate il fuoco e il dispiegamento di forze di peacekeeping russe, rumene e transnistria.

Nel territorio si trovano al momento circa 1.500 soldati russi e si ritiene che questi movimenti di truppe siano finalizzati a "dare una dimostrazione di disponibilità per un'offensiva e possibili ostilità contro l'Ucraina". Come ricorda l’Agi, la repubblica si trova infatti a ovest di Odessa e potrebbe essere un fronte alternativo per attaccare la città portuale, dopo il fallimento dei ripetuti tentativi russi di aggirare Mykolaiv, a Est 

La notizia è stata commentata dal Ministero degli Esteri moldavo, citato da Ukrainska Pravda. "Le istituzioni statali responsabili della Moldavia stanno monitorando da vicino la situazione della sicurezza nella regione. Al momento, non ci sono informazioni che confermino la mobilitazione delle truppe in Transnistria", si legge nella nota in cui si afferma anche che le autorità continueranno a monitorare e scambiare informazioni con i partner per garantire la sicurezza dei cittadini  

Secondo quanto riporta il Financial Times, anche le autorità della Transnistria hanno negato questo scenario definendo le informazioni diffuse da Kiev “assolutamente false” e dichiarando che “tutte le unità militari presenti nel territorio sono in dispiegamento permanente e svolgono le attività in una modalità operativa standard”. Secondo la loro versione, anche quelle in programma sarebbero state anzi “deliberatamente minimizzate” per evitare di aumentare la tensione  

Intanto l 'orrore della guerra mostra, dunque, il suo volto più crudo con il massacro dei civili compiuto a Bucha, da dove emergono centinaia di cadaveri. "L'Unione europea condanna con la massima fermezza le atrocità commesse dalle forze armate russe in una serie di città ucraine occupate, che ora sono state liberate". Lo afferma l'alto rappresentante della Ue per la politica estera Josep Borrell in una nota. "L'Ue continuerà a sostenere fermamente l'Ucraina e avanzerà con urgenza nell'elaborazione di ulteriori sanzioni contro la Russia".

Per Kiev è genocidio, mentre Mosca nega, affermando che si tratta di una provocazione degli ucraini per bloccare i negoziati. La Russia ha respinto oggi "categoricamente" tutte le accuse sulla strage di civili a Bucha: lo ha fatto sapere il Cremlino. "La situazione a Bucha è una messa in scena dell'Occidente e dell'Ucraina sui social network". A dirlo è il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov ripreso dalla Tass.

Il ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, ha definito quanto accaduto a Bucha un altro "falso attacco" e ha sostenuto che nella cittadina ucraina alle porte di Kiev è stata organizzata una messinscena.

"L'altro giorno, è stato effettuato un altro falso attacco nella città di Bucha, nella regione di Kiev, dopo che le truppe russe se ne erano andate dalla zona secondo i piani", riferisce l'agenzia russa Ria Novosti.

Lavrov parlava a margine dell'incontro con il vice segretario generale delle Nazioni Unite per gli affari umanitari Martin Griffiths.
Secondo il capo della diplomazia russa, pochi giorni dopo la partenza delle truppe russe dalla cittadina è stata "allestita una messinscena, diffusa (nell'etere; ndr) attraverso tutti i canali e i social network dei rappresentanti ucraini e dai loro protettori occidentali".

Sulle atrocità a Bucha attribuite ai russi, "queste aree di cui parliamo sono state sotto l'occupazione, sotto il controllo dell'aggressore, delle truppe russe, o sono state bombardate dall'aggressore. Quindi, naturalmente, non c'è nessun altro che avrebbe potuto commettere queste atrocità". Lo ha detto il portavoce dell'Ue Peter Stano interpellato sul fatto che vengano attribuite alla Russia prima dell'esito di un'indagine. "Ovviamente ci deve essere un'indagine", ha aggiunto, già annunciata dalla Corte penale internazionale e l'Ufficio dell'Alto Commissario per i diritti umani.

Intanto le elezioni di ieri hanno segnato un uno-due alla politica di Bruxelles  che, in altri casi, sarebbe un know-how politico. A Budapest non solo Viktor Orban vince, ma stravince, nonostante tutti i sondaggisti dicessero che sarebbe stata un’elezione combattuta. In questo modo si conferma un detto che in Italia dovremmo conoscere bene: i voti, non i sondaggi, eleggono i deputati.

Anche in questo caso la sinistra viene decisamente sconfitta, anche se i verdi compaiono per la prima volta nella vita politica serba. Tra l’altro Vucic e Orban condividono una “Relazione speciale”

Orban fu cacciato dal PPE e considerato a lungo un Paria politico. ora il suo popolo lo conferma alla guida del paese, il tutto nonostante, o forse per, le sue politiche contro l’indottrinamento LGBTQ e la sua posizione molto moderata nella crisi ucraina. In altri momenti altri politici a Bruxelles avrebbero compreso il segnale, ma quelli attuali Non capiscono , non vogliono capire, non capiranno. Continueranno per la propria strada incuranti dei voti e della democrazia. Nessuno toccherà le loro certezze fino a quando non saranno, fisicamente, cacciati dai loro posti di potere.

Fonti  : Sky 24 / adnkronos / Agi / Ansa e varie agenzie 
 

Colpiti otto serbatoi di benzina e gasolio, in fiamme duemila metri cubi. Evacuato tutto il personale, nessuna vittima. Secondo il governatore l'attacco è stato sferrato da due elicotteri ucraini che sono entrati in territorio russo volando a bassa quota. Si tratterebbe del primo raid ucraino sul suolo russo dall'inizio dell'invasione

La Russia ha annunciato l'apertura per oggi di un nuovo corridoio umanitario per evacuare i civili da Mariupol, purché le autorità ucraine diano conferma scritta. Lo ha riferito in conferenza stampa il capo del Centro di controllo della difesa nazionale russo, Mikhail Mizintsev.

"A seguito delle richieste personali del presidente francese e del cancelliere tedesco al presidente russo Vladimir Putin, le forze armate russe riapriranno il corridoio umanitario da Mariupol a Zaporizhzhya con una sosta a Berdiansk alle 10:00, ora di Mosca, del 1 aprile", ha detto Mizintsev, "affinché questa operazione umanitaria abbia successo, suggeriamo che sia condotta con la partecipazione diretta dei rappresentanti dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e della Croce Rossa Internazionale".

"L'Unione europea continua a chiedere che la Russia cessi questa aggressione e ritiri tutte le forze e l'equipaggiamento militare dall'intero territorio dell'Ucraina immediatamente e incondizionatamente, e rispetti pienamente l'integrità territoriale, la sovranità e l'indipendenza dell'Ucraina all'interno dei suoi confini internazionalmente riconosciuti. La Russia ha la piena responsabilità di questa guerra di aggressione contro l'Ucraina e sarà ritenuta responsabile dei crimini commessi nel suo corso", continua.
 
L'Unione europea "deplora" la decisione delle autorità russe di vietare a un certo numero di cittadini dell'Unione europea, compresi i funzionari dell'Unione europea e degli Stati membri, nonché i membri del Parlamento europeo e dei parlamenti degli Stati membri, di entrare nel territorio di la Federazione Russa in rappresaglia per le sanzioni dell'Ue legate all'invasione russa dell'Ucraina.

"Le sanzioni dell'Unione europea rispondono all'aggressione militare della Russia contro l'Ucraina. Mirano a porre fine a quelle azioni illegali e distruttive. A differenza delle controsanzioni russe, le misure restrittive dell'Ue sono pubblicate in modo trasparente e basate su criteri chiari, comprese le modalità legali per impugnarle", afferma in una nota l'Alto rappresentante dell'Ue per la Politica estera, Josep Borrell.

Intanto ieri e stata la conferenza del Presidente Draghi alla stampa estera, e ha risposto alle tante domande dei colleghi stranieri :

Prima di cominciare, ha detto il Presidente del Consiglio, vorrei dire una parola per ricordare un grandissimo professionista, il giornalista di politica estera del Corriere della Sera Franco Venturini. È stata una persona che immagino voi tutti conosciate e di cui abbiate avuto modo di apprezzare la professionalità, la competenza e l'umanità.

E’ un piacere essere con voi della stampa estera. Ringrazio la presidente Esma Cakir e l'ex presidente Maarten van Aalderen per l'invito e poi, naturalmente, voglio ringraziare tutti voi per il lavoro che fate. In un certo senso siete gli occhi e le orecchie del resto del mondo sull'Italia, quindi, il vostro ruolo è fondamentale. Questa collaborazione che il governo italiano vuole stimolare è fondamentale per lo stesso governo oltre che, ovviamente, importante per voi. Tutto ciò, naturalmente, nel rispetto della vostra indipendenza. A questo punto sono a disposizione per le vostre domande.

Queste sono alcune risposte alle tante domande dei colleghi della stampa estera , e la prima risposta del Presidente Draghi a Esma CAKIR (presidente stampa estera): 

Non ci sentivamo col Presidente Putin da prima dell'inizio della guerra, la prima cosa che ho detto è stata: “La chiamo perché voglio parlare di pace”. Su questo punto, espresso da me, il Presidente Putin sostanzialmente ha acconsentito. “Certo” ha detto “parliamo di pace”. Allora ho chiesto quando è previsto, o se è previsto, un cessate il fuoco, perché questa era l'altra richiesta che volevo fare. La cosa più importante - ho detto - ora è dimostrare che questo desiderio di pace esiste, attuando un cessate il fuoco, anche breve, ma un cessate il fuoco. Le condizioni non sono mature, però è stato aperto poi il corridoio umanitario di Mariupol, che è la notizia che voi avete visto oggi sui giornali.

E’ seguita, da parte del Presidente Putin, una lunga descrizione della situazione geostrategica dell'Ucraina e quali potrebbero essere le condizioni di un accordo. A questo punto ho espresso la mia convinzione che, per risolvere certi nodi cruciali dell'accordo, fosse necessario un incontro con il Presidente Zelensky, col quale avevo parlato prima, che peraltro lo sta chiedendo praticamente dall'inizio della guerra. La risposta è stata che i tempi non sono ancora maturi, occorre che i negoziatori vadano avanti con le trattative.

Uno dei punti che il Presidente Putin ha trattato è che a suo avviso ci siano dei piccoli passi avanti nei negoziati e, in effetti, le posizioni delle due parti su vari argomenti dall'inizio si sono un po' avvicinate. Sono cauto su questo perché c'è, evidentemente, ancora molto, molto, molto scetticismo.

Il 29 marzo ci sono stati tre annunci. Il Ministero della Difesa russo ha annunciato una riduzione radicale dell'attività militare nelle regioni di Kiev e di Chernihiv. Quindi questo è un primo annuncio. Sempre lo stesso giorno il Ministro russo Shoigu ha affermato che le forze armate russe hanno raggiunto gli obiettivi principali della prima fase, e l'obiettivo primario rimane liberare il Donbass. Quindi: riduzione delle attività militari nella regione di Kiev, riaffermazione che l'obiettivo è il Donbass. Sempre il 29 marzo la Vice Prima Ministra Ucraina Vereščuk ha annunciato che la Russia e l’Ucraina hanno concordato l'apertura di tre corridoi umanitari per la giornata di ieri: due corridoi interessano Mariupol e il terzo invece Melitopol. Questi sono i fatti. Altri fatti sono che l'intelligence americana conferma che ci sono stati dei movimenti di truppa, che sono coerenti con questi annunci, ma conferma anche che il lancio di missili ad ovest di Kiev è continuato. Tutti desideriamo vedere uno spiraglio di luce, ma tutti dobbiamo stare coi piedi per terra. 

I fatti sono sostanzialmente oggi che le sanzioni funzionano, che alla pace si arriva se l'Ucraina si difende, altrimenti non si arriva alla pace. C'è desiderio di andare avanti presto, ma è anche presto per superare lo scetticismo. In tutto questo ho affermato, riaffermato la disponibilità dell'Italia, che è stata accolta. La telefonata è terminata con l'intenzione di tenersi in contatto.

La risposta alla domanda della collega Anna Buj (La Vanguardia) : La constatazione più importante oggi è che, a seguito di questa crisi, i Paesi del Sud, i Paesi del Mediterraneo dell'Europa stanno realizzando che possono essere un hub importantissimo di gas oggi, ma anche soprattutto di idrogeno domani. È un hub che può funzionare molto bene tra loro, è un hub che può destinare le risorse della sponda sud del Mediterraneo verso l'Europa del Nord. Quindi gli investimenti di infrastrutture che bisogna fare sono molto importanti e sono investimenti tra i Paesi del Sud e tra i Paesi del Sud e i Paesi del Nord. Nei Paesi del Sud c'è un'ipotesi, è quella del gasdotto Italia-Spagna, ne abbiamo accennato con il Primo Ministro Sanchez a Roma e anche al Consiglio Europeo. C'è un'altra ipotesi del gasdotto EastMed. Tutte queste sono però ipotesi per ora, devono essere studiate. La Commissione ha allo studio la fattibilità per il gasdotto EastMed ma, insomma, bisogna che ci sia uno studio preventivo perché sono significativi investimenti strutturali. Quindi questa è la prima cosa da fare. Ci si può contare nell'eventualità di una crisi del gas oggi? No, no perché sono investimenti che prendono anni. Grazie.

E la risposta alla domanda di Christian Mavris (Radio Televisione Pubblica Ellenica Ert): Al momento non le saprei rispondere sul coinvolgimento o meno della Turchia. Quel che è certo è che la Commissione sta continuando lo studio di fattibilità. Anche perché gli investimenti da fare sono molto significativi e bisogna valutare la sostenibilità economica. Ci sono vari elementi, ma due mi vengono in mente: la sostenibilità economica e la sostenibilità -come dire- energetica; cioè quali siano le fonti di approvvigionamento che verrebbero agganciate a questo gasdotto, quanto sono grandi. Ma certamente quel che è successo negli ultimi due mesi, cioè dopo il blocco, cambia fortemente i giudizi di fattibilità.

Intanto è morto Edy Ongaro, veneziano di 46 anni, nome di battaglia Bozambo, è stato travolto dall'esplosione di una bomba a mano in battaglia a nord di Donetsk. Era in Ucraina dal 2015. È morto per l'esplosione di una bomba a mano a nord di Donetsk.

Ongaro, prima della partenza per il Donbass, aveva avuto una vita complicata: disoccupato, ultrà del Venezia, coinvolto nel 2015 nell'aggressione di un barista, un periodo di permanenza in Spagna lungo tre anni dove, racconterà, ha "imparato molto sulla guerra civile spagnola".

Lo stesso Collettivo Stella Rossa lo definisce "un Compagno puro e coraggioso ma fragile", che "in Italia aveva commesso degli errori". Poi la scelta del Donbass, dove entra nella temuta brigata Prizrak, un battaglione di miliziani da ogni parte d'Europa che combatte contro l'esercito ucraino a favore della causa indipendentista filo-russa.

Fonti Ass.stampa Estera e Agi

 

 

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