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Emozione stamane fra i parenti delle vittime di Covid davanti alla Procura. Con loro c'era l'avvocato Consuelo Locati, che coordina il team dei legali. "C'è grande gratitudine adesso - hanno sottolineato i familiari - perché per noi si riscrive la storia in questo momento. È ormai chiaro che non è stato uno tsunami improvviso e che qualcuno sarebbe dovuto intervenire".
I familiari delle vittime hanno portato con sé gli esposti a loro tempo presentati proprio in Procura a Bergamo.

«Il sacrificio dei nostri cari non sia vano. Mai più una pandemia, una qualsivoglia emergenza, ci trovi impreparati». È l'appello lanciato da Consuelo Locati, dell'associazione "Sereni e sempre uniti" che rappresenta i familiari delle vittime di Covid, sentita oggi in audizione informale in Commissione Affari sociali della Camera nell'ambito dell'esame delle proposte di legge per l'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulla gestione dell'emergenza epidemiologica da Covid-19. «Noi vogliamo sapere che cosa è successo, non ci interessa la politica. A voi noi chiediamo un'altra verità», dice. «Voi avete il dovere ridare a tutti noi la speranza di credere in qualcosa, la verità».

«Siamo stati abbandonati, ci siamo sentiti di vivere in una realtà surreale. La Bergamasca è stato il luogo della strage più devastante dal secondo Dopoguerra. In un mese circa sono decedute più di 6mila persone come eccesso di mortalità rispetto ai 5 anni precedenti», evidenzia Locati che pone una serie di domande: «Perché non si è intervenuti almeno a partire dal 5 di gennaio del 2020 al primo alert dell'Oms? Perché non ci è stato comunicato che il virus era già nelle nostre case e, invece di metterci al corrente del rischio che correvamo, ci dicevano che tanto era poco più di una banale influenza? E nella Bergamasca perché non si è intervenuti subito a isolarci? Noi chiedevamo di essere isolati, ma nessuno lo ha mai fatto. Perché sono stati inviati i militari nella Bergamasca il 5 marzo del 2020 e poi sono stati ritirati tre giorni dopo? Non può di certo essere un segreto di Stato, questa spiegazione non possiamo accettarla».

Locati cita poi «il piano pandemico non adeguato, non attuato». La verità, incalza, «è che dovevamo essere pronti e non lo eravamo. Chi ci rappresenta ufficialmente ci dia risposte chiare, sincere, trasparenti - esorta - Riteniamo di avere questo diritto, perché riteniamo che queste risposte rappresentino il rispetto che le nostre istituzioni riconoscono a noi familiari e prima ancora ai nostri cari che non ci sono più. Noi abbiamo dato fiducia al Parlamento, ma finora questa fiducia non ci è stata ripagata. La Commissione d'inchiesta sarebbe la prova che anche le istituzioni vogliono riprendere una relazione coi propri cittadini. 

E le risposte devono essere date in tempi ragionevoli. A noi non serve un giorno per ricordare i nostri cari, perché li ricordiamo tutti i giorni e promettiamo loro che avranno giustizia e non solo nei tribunali, ma anche attraverso quelle verità che solo il Parlamento ci può dare. L'auspicio è che venga istituita una Commissione d'inchiesta bicamerale proprio per mantenere alta l'attenzione su una delle pagine più buie della nostra storia, perché analizzare ogni errore e ogni sbaglio serve perché la strage che abbiamo vissuto non si ripeta più».

A tre anni di distanza dallo scoppio della pandemia di Covid che, tra febbraio e aprile 2020, ha straziato la Bergamasca con oltre 6 mila morti in più rispetto alla media dell'anno precedente, è stata chiusa l'inchiesta per epidemia colposa con 19 indagati tra cui l'ex premier Giuseppe Conte, l'ex ministro della Salute Roberto Speranza, il Governatore della Lombardia Attilio Fontana e l'ex assessore della sanità lombardo Giulio Gallera.

Il procuratore aggiunto di Bergamo Cristina Rota con i pm Silvia Marchina e Paolo Mandurino, sotto la supervisione del Procuratore Antonio Chiappani, hanno tirato le somme di una indagine con cui si è cercato di far luce e individuare le responsabilità di quella tragedia che ha lasciato una profonda ferita, e di cui è ancora vivo il ricordo delle lunghe file di camion dell'esercito con sopra le bare delle vittime da trasportare fuori regione per essere cremate.

Di fronte alle migliaia di morti e le consulenze che ci dicono che questi potevano essere eventualmente evitati, non potevamo chiudere con una archiviazione": così ha detto il procuratore di Bergamo Antonio Chiappani parlando dell'inchiesta appena chiusa sul Covid nella Bergamasca.

"La nostra scelta - ha aggiunto Chiappani - è stata quella di offrire tutto il materiale raccolto ad altri occhi, che saranno quelli di un giudice, di un contraddittorio con i difensori perché è giusto che la ricostruzione la diano gli interessati e da tutto questo ricavare l'esperienza non solo di carattere giudiziario, ma anche scientifico, amministrativo" quindi "una lezione, una grandissima riflessione".

La speranza del procuratore è che "al di là delle accuse, delle polemiche che senz'altro ci saranno" questo sia "uno strumento di riflessione". C'è stata una "insufficiente valutazione di rischio. Il nostro scopo - ha detto - era quello di ricostruire cosa è successo e di dare una risposta alla popolazione bergamasca che è stata colpita in un modo incredibile, questa è stata la nostra finalità, valutare se un'accusa può essere mantenuta come noi valutiamo di fare proprio per questa insufficiente valutazione di rischio". Con un "decreto" del "23 febbraio 2020 - prosegue Chiappani - era stata richiamata la legislazione sanitaria precedente, per cui nel caso di urgenza c'era la possibilità sia a livello regionale sia anche a livello locale di fare atti contingibili e urgenti in termine tecnico, cioè di chiudere determinate zone, c'era questa possibilità e poteva essere fatto proprio in virtù di questo diretto richiamo, fatto in un decreto di emergenza del 23 febbraio".

A proposito del tema del piano pandemico, uno dei capitoli dell'inchiesta sulla pandemia di Covid, Chiappani spiega che  "il nostro problema è stato sì quello del mancato aggiornamento del piano pandemico, e questo riguardava un lato ministeriale, ma anche la mancata attuazione di quegli accorgimenti preventivi che già erano previsti nel piano antinfluenzale comunque risalente al 2006".

E' stato un "lavoro mastodontico" quello della Procura di Bergamo nell'inchiesta sulla gestione della pandemia di Covid. "Ci abbiamo impiegato tre anni ma mi risulta - racconta il procuratore  - che non sia stata ancora neanche iniziata una commissione parlamentare. Noi in tre anni abbiamo fatto un'inchiesta". Il lavoro ha incluso "ricostruire centinaia di vite, un insieme non solo di provvedimenti ma migliaia di mail e sms, tre consulenze durate oltre un anno - ha elencato - ricostruire tutti i rapporti anche di natura estera (ricordo il discorso dell'Oms, della mancata attuazione e aggiornamento del piano pandemico), ricostruire tutte le attività da parte delle amministrazioni". "Noi siamo in Lombardia - ha concluso - quindi anche delle singole amministrazioni lombarde: non è un gioco".

"E' vergognoso - dice il governatore Attilio Fontana - che una persona che è stata sentita a inizio indagine come persona a conoscenza dei fatti scopra dai giornali di essere stato trasformato in indagato. E' una vergogna sulla quale non so se qualche magistrato di questo Paese ritiene di indagare. Sicuramente non succederà niente. Anche in altri processi in cui sono stato assolto - aggiunge - ho saputo dai giornali cose che non sapevo". Fontana - scrive la Procura - avrebbe causato "la diffusione dell'epidemia" in Val Seriana con un "incremento stimato non inferiore al contagio di 4.148 persone, pari al numero di decessi in meno che si sarebbero verificati" se fosse stata "estesa la zona rossa a partire dal 27 febbraio 2020".

Silvio Brusaferro, presidente dell'Istituto superiore di sanità e altri, tra cui componenti del Cts e dirigenti ministeriali, indagati per epidemia colposa assieme anche ad Attilio Fontana e Giuseppe Conte, avevano "a disposizione", almeno dal 28 febbraio 2020, "tutti i dati" per "tempestivamente estendere" la zona rossa anche alla Val Seriana. Erano contenuti nel "Piano Covid elaborato da alcuni componenti del Cts coordinati dal prof. Stefano Merler". Documento che "già prospettava" lo "scenario più catastrofico per l'impatto sul sistema sanitario". Lo scrive la Procura di Bergamo nell'avviso di chiusura indagini.

Il direttore dell'Iss Silvio Brusaferro, nonostante le raccomandazioni e gli alert lanciati dall'Oms a partire dal 5 gennaio 2020 avrebbe proposto "di non dare attuazione al Piano pandemico, prospettando azioni alternative, così impedendo l'adozione tempestiva delle misure in esso previste". Lo scrivono i pm di Bergamo nell'avviso di chiusura dell'indagine sulla gestione del Covid in cui Brusaferro è indagato per epidemia colposa e rifiuto di atti d'ufficio con, tra gli altri, l'ex ministro della Salute Roberto Speranza, Claudio D'Amario ex dg della prevenzione del ministero, e con Angelo Borrelli, ex capo della Protezione Civile.

L'ex premier Giuseppe Conte e l'allora ministro della Salute Roberto Speranza, assieme ad altri indagati tra cui il Governatore lombardo Attilio Fontana, hanno «cagionato per colpa la morte» di una cinquantina di persone. Lo scrive la Procura di Bergamo nell'avviso conclusione indagini notificato a 17 persone.

Fonti Varie agenzie

La Cina auspica il dialogo tra Stati Uniti e Russia sul trattato Start, dopo la sospensione della partecipazione di Mosca, annunciata ieri dal presidente russo, Vladimir Putin.

Il trattato è "di grande importanza per mantenere la stabilità strategica globale, promuovere la pace internazionale e realizzare l'obiettivo di un mondo senza armi nucleari", ha commentato il portavoce del ministero degli Esteri, Wang Wenbin.

La Cina, ha aggiunto, "ha notato le differenze tra Russia e Stati Uniti sull'attuazione del trattato e spera che le due parti possano risolvere adeguatamente le loro divergenze attraverso un dialogo e una consultazione costruttivi per garantire la corretta attuazione del trattato".

Vladimir Putin ha annunciato che "la forza di deterrenza nucleare della Russia è dotata al 90% di armi avanzate" e che Mosca sospende la propria partecipazione al New Start.
Mentre gli Stati Uniti ne avrebbero 5.428. Di conseguenza, Usa e Russia deterranno circa il 90% del totale mondiale di questi ordigni devastanti. Ma delle quasi 6.000 testate nucleari russe, 1.500 sono ritirate e pronte a essere smantellate (sarebbero invece 1.720 quelle americane ritirate dagli arsenali). E delle rimanenti 4.500 - riportava un anno fa il Bulletin of the Atomic Scientists - sarebbero all'incirca 1.500 quelle in effetti dispiegate su sistemi strategici a lungo raggio, mentre le restanti 3.000 sarebbero "di riserva". La Russia ne avrebbe 812 dispiegate su missili balistici terra-aria, 576 su missili balistici lanciabili da sommergibili e 200 nelle basi dei bombardieri pesanti. 

Il trattato New Start tra Russia e Usa limita gli armamenti nucleari strategici fissando un tetto di 1.550 testate e 700 missili e bombardieri dispiegabili da ciascuno dei due Stati. Le armi nucleari sono spesso divise in 'strategiche' - capaci di colpire bersagli a lunga distanza - e 'tattiche', e su queste ultime le stime delle varie agenzie sull'arsenale di Mosca variano di molto: da 1.000 a 2.000 testate, sottolinea il Washington Post, secondo cui queste armi possono essere lanciate da terra, aria e mare, ma non sono dispiegabili preventivamente. Stando alla Federation of American Scientists, la Russia potrebbe avere 1.912 ordigni di questo tipo, ma questa cifra potrebbe contenere armi ritirate o in procinto di esserlo. Le testate nucleari sono armi micidiali, e anche le meno potenti sono capaci di uccidere migliaia e migliaia di persone e di rendere invivibile un'area per tantissimi anni.

Intanto un Esercitazione navale congiunta di Sudafrica, Russia e Cina è scattata al largo delle coste sudafricane; ne danno notizia sia l'agenzia stampa  russa Tass che il ministero della Difesa del Sudafrica. Le manovre, denominate Mosi-2, si svolgono nell'Oceano Indiano fino al 27 febbraio, ad un anno dall'inizio dell'invasione dell'Ucraina da parte dell'esercito di Mosca.  Da gennaio il Sudafrica è alla presidenza dei paesi BRICS, cioè  Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica.
L'esercitazione navale congiunta di Cina, Russia e Sudafrica è ricca di contenuti, tra cui una dozzina di task come antipirateria, difesa aerea e l'atterraggio di elicotteri sui rispettivi natanti. 

L'esercitazione congiunta aiuterà sicuramente le tre marinerie ad approfondire la reciproca fiducia, promuovendo la cooperazione in tema di sicurezza migliorando la loro capacità di mantenere congiuntamente la sicurezza marittima per dare un contributo maggiore alla pace mondiale" : ha dichiarato alla stampa Huang Zhongxin, comandante, 42a squadra di scorta della marina cinese. Le immagini diffuse da Pechino mostrano i natanti cinesi che partecipano alle manovre. Secondo fonti russe potrebbe anche essere effettuato un lancio di prova di un missile ipersonico Tsirkon che potrà raggiungere un obiettivo di superficie ad oltre 500 chilometri di distanza.

Le relazioni russo-cinesi "stabilizzano la situazione internazionale"

Lo ha assicurato il presidente russo Vladimir Putin, incontrando a Mosca l'inviato del presidente cinese Xi Jinping che ha avuto anche un colloquio con il ministro degli esteri russo Sergey Lavrov.

il tour diplomatico di Wang Yi in Europa è entrato nel vivo. Il direttore dell'Ufficio della Commissione Affari Esteri del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese (Pcc), ovvero il massimo funzionario della diplomazia cinese, è arrivato in Russia. A Mosca, per conto di Xi Jinping, Wang proverà molto probabilmente a sottoporre a Vladimir Putin il piano di pace cinese per risolvere la questione ucraina. Il bilaterale con il presidente russo è in programma oggi pomeriggio. Nel frattempo, il fedelissimo di Xi ha ribadito la partnership con il Cremlino in un incontro con il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov.

L'emissario di Xi ha un'agenda fittissima e densa di impegni. Wang ha subito incontrato il capo del Consiglio di sicurezza russo, Nikolai Patrushev. I due funzionari, stando a quanto riportato dal ministero degli Esteri cinese, hanno concordato di opporsi "alla mentalità della Guerra fredda" e "al confronto tra blocchi", di voler compiere maggiori sforzi per "migliorare la governance globale" e combattere "ogni forma di bullismo unilaterale" nei rapporti tra nazioni.

L'incontro più atteso era però un altro: quello tra Wang e Sergej Lavrov. Nel loro faccia a faccia è emerso che Mosca e Pechino sono pronte a "difendere gli interessi reciproci" sulla scena internazionale.

"Le nostre relazioni si stanno sviluppando in modo costante e dinamico e, nonostante l'elevata turbolenza sulla scena mondiale, dimostriamo solidarietà e disponibilità a difendere gli interessi reciproci sulla base del rispetto del diritto internazionale e del ruolo centrale delle Nazioni Unite", ha affermato Lavrov. "Nonostante la volatilità della situazione internazionale, Cina e Russia mantengono sempre la determinazione strategica, si muovono con fermezza e fiducia in linea con la formazione di un mondo multipolare e rimangono impegnate nel multipolarismo", ha aggiunto da parte sua Wang.

A seguire Wang Yi ha avuto un faccia a faccia con Putin. Secondo il presidente russo le relazioni russo-cinesi "stabilizzano la situazione internazionale".

Dal punto di vista economico, ha sottolineato il capo del Cremlino, l'obiettivo di un fatturato commerciale di 200 miliardi di dollari tra Russia e Cina sarà raggiunto prima del previsto.

L'inviato di Xi ha affermato che Pechino è pronta ad approfondire la fiducia politica reciproca e la cooperazione strategica con la Russia.

Nel frattempo il portavoce del ministero degli Esteri cinese afferma che Pechino non sta valutando invio di armi a Mosca e chiede di smettere di diffondere falsità a riguardo. "Gli Stati Uniti e altri Paesi Nato ora stanno costantemente diffondendo che la Cina potrebbe fornire armi alla Russia, un trucco che è stato usato e smascherato all'inizio della crisi in Ucraina", ha dichiarato Wang Wenbin, ricordando che sono gli Stati Uniti ed i Paesi Nato "la principale fonte di armi nei campi di battaglia in Ucraina".

La Cina, ha detto Wang Yi secondo quanto riporta la Tass, rimane "impegnata a sviluppare le relazioni con la Russia nonostante la situazione instabile nel mondo". L'inviato cinese ha aggiunto che l'alto diplomatico si aspetta di "raggiungere nuovi accordi" con Mosca.

Putin ha revocato un decreto del 2012 che in parte sosteneva la sovranità della Moldavia nell'ambito delle politiche sul futuro della Transnistria, regione separatista sostenuta da Mosca che confina con l' Ucraina e dove la Russia ha truppe. Lo riporta il Guardian. Il decreto, che comprendeva una componente moldava, delineava la politica estera russa di 11 anni fa che presupponeva relazioni più strette con Ue e Usa. La revoca è stata pubblicata sul sito del Cremlino e afferma che la decisione è stata presa per "garantire gli interessi russi in relazione ai cambiamenti nelle relazioni internazionali". Nelle stesse ore la Duma, la Camera bassa del Parlamento russo, ha approvato la sospensione del trattato nucleare New Start.

Intanto la Cnn riferisce che la Russia ha effettuato un test di un missile balistico intercontinentale - SARMAT, soprannominato Satana II - che sembra essere fallito lunedì, nel momento in cui il presidente Joe Biden stava per arrivare in Ucraina, secondo due funzionari Usa vicini al dossier. Lo riporta la Cnn. La Russia ha notificato in anticipo agli Stati Uniti il lancio attraverso le linee di deconfliction. Un altro funzionario ha affermato che il test non ha rappresentato un rischio per gli Usa e che non è considerato un'escalation. Il presidente Putin non ha fatto alcun riferimento al lancio nel discorso di ieri. Il SARMAT trasporta testate nucleari.

Fonte Ansa Il giornale msn

Potete contare sull'Italia. Siamo con voi dall'inizio e lo saremo fino alla fine. Avete tutto il nostro il supporto". Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha confermato il massimo sostegno del governo italiano per la causa ucraina. E lo ha fatto parlando direttamente da due luoghi simbolo della guerra scoppiata lo scorso 24 febbraio in Ucraina. Il premier ha infatti visitato Bucha e Irpin, città teatro di atroci massacri civili perpetuati da parte dell'esercito russo. Nel pomeriggio sempre nella capitale incontrerà il presidente Zelensky.

Kiev "è grata alla presidente Meloni per la sua leadership e per il suo impegno nel continuare a sostenere l'Ucraina", ha dichiarato all'Ansa il portavoce del ministero degli Esteri ucraino Oleg Nikolenko. "Contiamo sull'ulteriore pieno sostegno da parte dell'Italia nel vincere la pace per l'Ucraina, ristabilire la sua sovranità e integrità territoriale e portare la Russia a rispondere dei suoi crimini", ha aggiunto il funzionario ucraino, che ricorda come il suo Paese "accoglierebbe con favore il sostegno attivo di Roma per l'attuazione della formula di pace del presidente Zelensky" e il "progresso dell'integrazione dell'Ucraina nell'Unione europea e nella Nato".

Vladimir Putin  parla per un'ora e 45 minuti all'Assemblea Federale a Mosca e fa il punto sulla guerra in Ucraina e la situazione economica e sociale della Russia. "Parlo in un momento molto complesso e decisivo di cambiamenti radicali che definiranno il futuro del nostro paese e popolo", aggiunge il presidente russo. E Putin cita anche l'Italia: "La Russia sa essere amica e mantenere la parola data, lo dimostra il nostro aiuto ai Paesi europei, come l'Italia, durante il momento più difficile della pandemia di Covid, esattamente come stiamo andando in aiuto nelle zone del terremoto".

"L'obiettivo dell'Occidente è portare la Russia ad una sconfitta strategica, vogliono eliminarci per sempre.Non si rendono conto che è in gioco l'esistenza stessa della Russia" ma noi "raggiungeremo i nostri obiettivi

L'Ucraina "voleva dotarsi di armi nucleari - afferma Putin - Non avevamo dubbi che a febbraio avevano pronte operazioni punitive nel Donbass, dove già avevano fatto bombardamenti e questo era in contraddizione con la risoluzione dell'Onu. Loro hanno fatto cominciare la guerra, noi usiamo la forza per fermare guerra.  "Kiev non solo voleva attaccare il Donbass, ma anche la Crimea". "L'Occidente ha preparato l'Ucraina ad una grande guerra e oggi lo riconosce. L'Occidente ha già speso 150 miliardi di dollari in aiuti militari all'Ucraina, il flusso di denaro non diminuisce". "Il popolo ucraino è ostaggio del regime nazista di Kiev".  "Non siamo in guerra con il popolo dell'Ucraina": ha detto Putin. Il capo del Cremlino ha accusato Kiev e i suoi protettori occidentali di aver "occupato il Paese politicamente, militarmente ed economicamente", dopo aver sostenuto che il regime di Kiev "tiene in ostaggio il suo popolo".

"L'economia russa ha superato tutti i rischi", ha detto sottolineando tra l'altro che nel 2022 il calo del Pil è stato del 2,1% rispetto alle previsioni molto peggiori del marzo del 2022, dopo l'avvio dell'operazione militare in Ucraina. "Abbiamo tutto per garantire la sicurezza e lo sviluppo del Paese", ha aggiunto. "L'obiettivo strategico è portare la nostra economia a nuovi confini, è un momento di sfide e possibilità, da come le realizzeremo dipende la nostra vita". "Espanderemo la cooperazione economica con altri Paesi e costruiremo nuovi corridoi logistici". "Grazie ad una buona bilancia dei pagamenti della Russia, non abbiamo bisogno di inchinarci e mendicare soldi all'estero". 

La Federazione Russa ha stanziato oltre un trilione di rubli a sostegno della sua economia per contrastare le sanzioni (occidentali): fondi che saranno reperiti non con emissione (di titoli) ma con un forte contributo del mercato: lo ha dichiarato il presidente russo Vladimir Putin parlando al parlamento, citato dalla Tass. Il capo del Cremlino ha aggiunto che molte industrie nell'ultimo anno non solo non hanno diminuito la loro produzione, ma l'hanno anzi aumentata, e che anche l'agricoltura ha mostrato una crescita a due cifre". "Oggi a queste 4 regioni" dell'Ucraina (ndr) "sotto il nostro appoggio diretto voglio dire che adesso siamo con voi, faremo di tutto perché in questi nostri territori torni la pace, la ripresa sociale e economica per far ripartire le imprese e il lavoro e costruiremo strade moderne come in Crimea". 

"Chi ha portato i fondi all'estero, è stato saccheggiato, derubato, ha perso tutto, erano certo risorse legalmente detenute. Aggiungerò un semplice dettaglio: nessuno dei semplici cittadini del Paese è dispiaciuto per chi ha perso i capitali all'estero, per chi si è comprato yacht e ora ha i fondi bloccati", ha detto Putin aggiungendo che "per l'Occidente sono cittadini di seconda classe". "Ma c'è una seconda scelta: lavorare per la propria patria e questi imprenditori sono tanti e qui è il futuro del business". "Invece che produrre tecnologia e creare posti di lavoro in Russia, i grandi uomini d'affari investono in yacht all'estero". Un duro attacco agli oligarchi che si sono arricchiti a partire dalla stagione delle privatizzazioni degli anni '90, quando le aziende dello Stato venivano vendute "quasi per niente".

"La maggioranza assoluta dei russi ha espresso il proprio sostegno all'operazione militare speciale", ha detto sottolineando che "il Mar d'Azov è "tornato ad essere un mare interno della Russia".   "Coloro che sono sulla strada del tradimento devono essere ritenuti legalmente responsabili, ma non ci sarà una caccia alle streghe". "L'Occidente non solo ha scatenato una guerra militare e informatica e non è riuscita ad ottenere nulla e nulla riuscirà ad ottenere. Poi ci ha imposto sanzioni che hanno provocato la crescita dei prezzi e la perdita dei posti di lavoro, sono vittime delle loro stesse decisioni ed i cittadini lo sanno".  "Le elezioni a settembre e le presidenziali nel 2024 saranno tenute nel rispetto della legge". "Nella difesa della Russia tutti noi dobbiamo coordinare le nostre forze e i diritti per supportare il diritto supremo e storico: il diritto della Russia ad essere forte". "La Russia ci è stata consegnata dai nostri antenati, e noi dobbiamo preservarla e passarla" alle generazioni future. Su ciascuno di noi c'è una grandissima responsabilità per difedere il nostro paese e liquidare la minaccia del regime neo nazista. "Le sanzioni anti-russe sono soltanto un mezzo, mentre l'obiettivo è, come dichiarano gli stessi leader occidentali, cito direttamente: 'far soffrire i nostri cittadini'". "Ecco che tipo di "umanisti" sono" , ha proseguito Putin. "Vogliono far soffrire le persone in modo da destabilizzare la nostra società dall'interno. Ma i loro calcoli non hanno dato buoni risultati"."La Russia risponderà a qualsiasi sfida. Perché siamo tutti un unico paese. Siamo un grande popolo unito. Siamo fiduciosi nel nostro potere. La verità è con noi. Grazie". Così il presidente russo Vladimir Putin ha chiuso il suo discorso all'assemblea federale dopo circa 1 ora e 45 minuti.

Dal discorso del presidente russo Vladimir Putin sono arrivate parole di propaganda, ma la realtà è differente". Lo ha detto il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, parlando da Irpin alla Tv ucraina. "Una parte del mio cuore sperava in parole diverse, in un passo in avanti", ma quello che abbiamo ascoltato stamattina "è propaganda che già conoscevamo".

"La verità è che c'è qualcuno che ha invaso e qualcuno che si sta difendendo, e il paradosso è che chi è vittima di questa aggressione sta provando a presentare un piano di pace", a differenza di chi "è responsabile di questa guerra", ha aggiunto Meloni. La premier ha poi sottolineato che la popolazione ucraina "chiede al governo di combattere", a differenza di quanto racconta Putin, che sostiene che l'Ucraina andrebbe liberata dal regime al potere a Kiev

 Intanto la Russia "sospende" l'applicazione dello Start, l'ultimo trattato sulla riduzione delle armi nucleari ancora in vigore con gli Usa, perché non può permettere agli ispettori americani di visitare i siti nucleari russi mentre Washington è intenta ad infliggere "una sconfitta strategica" a Mosca. Ha detto il presidente Putin . "Sospendiamo il trattato, ma non ce ne ritiriamo", ha sottolineato Putin. Il presidente russo ha invitato il ministero della Difesa e Rosatom ad essere pronti per dei test sulle armi nucleari. "Non le useremo mai per primi, ma se lo faranno gli Stati Uniti dobbiamo essere pronti. Nessuno deve farsi illusioni: la parità strategica non deve essere infranta", ha detto Putin.

Il nuovo trattato Start (New Strategic Arms Reduction Treaty) sulla limitazione delle armi nucleari, di cui oggi Vladimir Putin ha detto che la Russia intende sospendere l'applicazione, fu firmato a Praga l'8 aprile del 2010 dagli allora presidenti Usa, Barack Obama, e russo, Dmitri Medvedev.

Entrò in vigore il 5 febbraio 2011 e fu prorogato una prima volta per 5 anni nel febbraio 2016 e una seconda nel febbraio 2021.

La scadenza ora è prevista per il 2026. Questo è quanto prevede il New Start che sostituì i due precedenti accordi Start 1 e 2 (quest'ultimo mai entrato in vigore) e il trattato di Mosca del 2002 (Sort), che scadeva nel 2012.

    * TESTATE NUCLEARI. Limite di 1.550 testate nucleari, scattato entro 7 anni dall'entrata in vigore del Trattato dopo le rispettive ratifiche. Riguardava le testate montate sui missili balistici intercontinentali (Icbm), sui missili balistici lanciati dai sottomarini (Slbm) e il numero di bombardieri disponibili con una testata ciascuno. Si trattò di una diminuzione del 74% rispetto all'accordo Start 1 e del 30% rispetto al Trattato di Mosca del 2002.

    * VETTORI. Limite di 700 vettori contando i missili Icbm e Slbm e i bombardieri in grado di sganciare ordigni nucleari: un dimezzamento rispetto allo Start 1. Il limite fu posto a 800 contando anche i missili non puntati.

    * SCUDO ANTI-MISSILE. Secondo Washington, l'intesa non stabilì limiti sui programmi di difesa anti-missile.
    Un'interpretazione mai condivisa da Mosca.

    * VERIFICHE. Previste ispezioni dirette, scambio di dati e informazioni, notifiche relative alle armi strategiche ed ai siti elencati nel documento e metodi per facilitare i controlli.

    * RATIFICA. Il Trattato comprende tre documenti: il testo di base, un protocollo che elenca diritti e obblighi associati al documento e allegati tecnici che affrontano i dettagli. Tutti e tre i documenti sono stati ratificati dai rispettivi parlamenti.

    * RITIRO. Il Trattato prevede una clausola di ritiro. 

La Casa Bianca denuncia "l'assurdità" del discorso contro l'Occidente del presidente russo Vladimir Putin."Nessuno sta attaccando la Russia.
C'è una sorta di assurdità nell'idea che la Russia sia sottoposta a una qualche forma di minaccia militare da parte dell'Ucraina o di chiunque altro", ha dichiarato ai giornalisti il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca Jake Sullivan.

"A un anno dall'inizio dell'invasione non vediamo nessun segno che Putin si prepari alla pace. Anzi si prepara a una nuova guerra, prepara più truppe e si mette in contatto con la Corea del Nord e con l'Iran per le armi". Lo ha detto il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg durante un conferenza stampa con l'Alto Rappresentante Ue, Josep Borrell ed il ministro degli esteri ucraino, Dmytro Kuleba. "Nessuno ha attaccato la Russia, sono loro gli aggressori. La responsabilità dell'escalation della guerra", ha poi aggiunto Stoltenberg, "è di Putin".

“Nel discorso di Putin non c’è nulla di nuovo se non il rischio di un’escalation militare che era già scritta, con tutto quello che comporta e che non potevamo non calcolare”. E’ la posizione Giuseppe Conte ad Agorà su RaiTre che sottolinea come il Movimento 5 stelle ha “sempre mantenuto linearità e coerenza. Noi siamo a sostegno dell’Ucraina, il problema – ribadisce – è la strategia e il discorso di Putin lo dimostra. Vogliamo una escalation militare senza più limiti e confini? Accettiamo questo rischio? 

Io – aggiunge Conte – non sono assolutamente d’accordo, già abbiamo una recessione economica devastante. Non possiamo fare come in Afghanistan, che un giorno ci svegliamo e lasciamo il terreno ai talebani. Questa strategia costa”, prosegue Conte per il quale “le parole di Putin significano debolezza, ma la debolezza può coincidere con la disperazione”.

Un commento breve quello di Matteo Salvini: per il leader della Lega la mossa di Putin “non è una buona notizia”. “Spero che la guerra finisca il prima possibile“, ha detto Salvini.

Fonte Ansa / Il giornale / e varie agenzie

Sembra che lo fanno apposta ogni anno siamo qui a monitorare tutte le varie frasi, uscite, rappresentazioni, abbigliamenti, dei partecipanti al festival canoro di Sanremo. Non sto qui a fare l’inventario completo delle trasgressioni, delle provocazioni dei cantanti o degli ospiti con le puntuali e accese discussioni. Tuttavia rispetto agli anni precedenti è apparso un festival del politicamente corretto, nel quale si è voluto rappresentare “la banalità del male”, come disse Hannah Arendt di fronte a casi più seri.

“Male” per tutto quello che è stato evocato positivamente, come un bene a partire dal sesso libero, al poli-amore, dal presunto razzismo degli italiani nei confronti della campionessa di colore Paola Egonu, al rifiuto della maternità, in un tempo, particolarmente in Italia, segnato da un drammatico inverno demografico, che metterà a rischio l’esistenza stessa dell’Italia come popolo. “Male” perché si è voluto esaltare la legalizzazione della droga e attaccare  espressamente il governo degli italiani da parte di un ente, la Rai, che impone a ciascuno di noi un balzello annuale per restituire un servizio che dovrebbe essere pubblico.

Aggiungo qualche altro particolare, me lo ricorda Jacopo Coghe di Pro Vita & Famiglia, nell’ultima serata di Sanremo c’è stato l’episodio ripugnante e schifoso, trasmesso dalla Rai grazie ai soldi che noi siamo costretti a versare ogni anno col nostro canone. Coghe si riferisce a Fedez e il cantante Rosa Chemical hanno inscenato un rapporto anale tra il pubblico in sala con tanto di "bacio gay". Inoltre, Chiara Ferragni si è presentata in scena con una collana a forma di utero, rivendicando l'aborto - cioè l'uccisione brutale di un bimbo inerme nel grembo materno - come un "diritto umano". Inoltre Coghe nel messaggio ci invita a sostenere anche economicamente la campagna di Pro Vita & Famiglia iniziata durante lo svolgimento del Festival, “abbiamo noleggiato e fatto circolare per le vie di Sanremo due camion-vela con la scritta: Basta ideologia gender e propaganda LGBT sul servizio pubblico. Aboliamo il canone Rai!”

Non varrebbe la pena occuparsi dello spettacolo orrido che offre il Festival, ma visto che ho la “pretesa” di comunicare qualcosa ai miei lettori e soprattutto constato, almeno da quello che ci comunica la Rai, gli alti dati di ascolto delle cinque serate, del Festival di Sanremo si deve parlare. Infatti, dai dati di ascolto, “viene quasi da sorridere pensando alle petizioni, agli appelli-grancassa social, alle campagne di boicottaggio proclamate dai santoni duropuristi della rete per invitare a non sintonizzarsi sulla televisione di Stato pur di non guardarne nemmeno uno spezzone”. (Gianluca Kamal, Sanremo 23, lo specchio della (sur)realtà, 13.2.23, destra.it) Se questa è la situazione, coloro che fanno politica hanno il dovere di interessarsi ai fenomeni, “reali”. Una nota particolare di Kamal, di cui sono pienamente d’accordo, si poteva evitare in mezzo a questo circo equestre la rievocazione del doloroso ricordo dei martiri infoibati. Un ricordo sporcato.

A Sanremo è  il nuovo che avanza! E’ quella rivoluzione sessuale, nel 68 ancora alla fase di avanguardia  e che ora ambisce a diventare fenomeno di massa? E ha buone speranze di diventarlo se 2 italiani su 3 sono rimasti incollati allo schermo in obbedienza ai dettami di mamma RAI.

Se sono veri i dati che hanno dato i dirigenti Rai, sull’ascolto e la visione di Sanremo 23, per Marco Invernizzi (La “banalità del male” e l’astensionismo, 14.2.23, alleanzacattolica.org) Se è vero tutto questo “merita una riflessione perché, se molti milioni di italiani hanno guardato e condiviso il messaggio culturale veicolato da Sanremo, questo consenso, questa sintonia, nella misura in cui è vera, ci deve preoccupare. Perché non serve indignarsi, anche se sarebbe giusto che un governo eletto dagli italiani cercasse di sostituire o comunque limitare espressioni culturali che contraddicono il suo programma e i suoi valori. Non serve indignarsi se il consenso è autentico: bisogna, invece, impegnarsi per cambiare la cultura che concorda con quanto il Festival ha espresso”.

Allora bisognerebbe impegnarsi per cambiare la cultura con quanto il festival ha espresso. E qui Invernizzi fa una riflessione importante: un cambiamento culturale non può avvenire soltanto perché lo vuole un governo, ammesso che lo voglia veramente. Un governo non può cambiare il cuore delle persone, può soltanto favorire, non ostacolare, aiutare quelle forze della società che possono, se vogliono, cercare di educare al vero, al bello e al bene. Ma questo lavoro culturale dobbiamo farlo noi, deve nascere dalla società e dovrebbe anzitutto vedere impegnata in prima persona la Chiesa, attraverso le tante realtà che a essa fanno riferimento”. Infine per Invernizzi esiste un legame “fra la cultura espressa dal Festival di Sanremo, “sazia e disperata” avrebbe detto il cardinal Biffi, triste e vecchia come ha scritto Giovanni Orsina su La Stampa, e la disperazione politica che emerge dal non voto della maggioranza di lombardi e laziali: annoiati e abbandonati davanti a un televisore, alla ricerca delle solite trasgressioni, disillusi dalla politica e senza speranze. Un Paese che muore quasi senza saperlo”.

Ritornando a Sanremo 23, scrive Diego Torre sulla sua pagina fb, “eppure tutto era iniziato così garbatamente, con la presenza impeccabile di Mattarella e le declamazioni elogiative della Costituzione in salsa antifascista fatte dal comico di corte”. La performance di Benigni nella serata d’apertura, riesumata la Costituzione “più bella”. Potremmo chiedere al super comico: “Dov’era Benigni mentre veniva sospesa?”. Pertanto la kermesse sanremese, sotto la guida del cerimoniere Amadeus, pare che abbia inteso dare una precisa impronta pedagogica alle cinque lunghe ed estenuanti serate. A proposito del mite presentatore, non ha avuto difficoltà ad annunciare candidamente: ”Ai bambini va spiegato che esiste un uomo che ama un uomo e una donna che ama una donna, che è normale e che questo va portato ovunque, in televisione e nello spettacolo”. Chiaro? Ipse dixit!

Eppure l’operazione almeno da quello che hanno detto ieri sera a “Zona Bianca” non sembra destinata a produrre grandi risultati se, per recuperare i consensi perduti, l’universo radical-chic si affida ai banali monologhi degli influencer travestiti da maître à penser, alle lezioncine dei comici crepuscolari nel ruolo di costituzionalisti, ai sermoni dei rapper con toni da fustigatori.

Addirittura c’è un entusiasmo ingiustificato come quello di Francesco Merlo su Repubblica, che ha scritto sul palco ligure sta andando in scenala nuova resistenza”, affidando ad Amadeus i panni del novello partigiano. Mentre secondo Ugo Magri, editorialista de La Stampa, questo Festival è destinato a passare addirittura alla storia per essersi posto a difesa dei valori repubblicani.

Tuttavia quello che fa notare un articolo pubblicato da Atlantico è l’aspetto “educativo” che vuole imporre la manifestazione politicamente orientata e culturalmente debole. Il tutto naturalmente nell’intento di educare le masse al nuovo pensiero unico, di elargire panem et circenses, di formare una nuova classe di cittadini allineati e obbedienti. (Gianluca Spera, La sinistra si aggrappa a Sanremo, il nuovo cineforum per rieducare gli italiani, 11.2.23, atlantico quotidiano.it)

Li convinceremo che saranno liberi soltanto quando rinunceranno alla loro libertà in nostro favore e si sottometteranno a noi, scriveva Dostoevskij nel suo romanzo capolavoro, “I fratelli Karamazov”. Allora, ecco che la pedagogia sanremese diventa una sorta di sovrastruttura di un disegno più ampio, destinato però a fallire come ha scritto magistralmente Stefano Folli su Repubblica.

La sinistra intellettuale una volta si riconosceva nei giudizi taglienti di Pierpaolo Pasolini su Sanremo (“povera idiozia”); oggi si aggrappa al Festival come a una zattera in cerca di un ricostituente ideale, ma se possibile anche elettorale, che difficilmente potrà venire dallo spettacolo allestito da Amadeus”.

Insomma, da Pasolini a Chiara Ferragni, il passo verso il viale del tramonto politico e ideologico è davvero breve. Anzi, visti gli ultimi esiti elettorali, vedi le ultime elezioni regionali, siamo più vicini al tracollo che al tramonto.

 

Nel Lazio l'ex presidente della Croce Rossa italiana è al 53,8%. Meloni: "Il governo si rafforza". Fratelli d'Italia è il primo partito. Bene anche la Lega e Forza Italia. Tiene il Pd ma è flop delle opposizioni Il centrodestra conquista il Lazio e lo fa con una vittoria netta trainata da Fratelli d'Italia, che vince ovunque e si conferma il primo partito con oltre il 34% superando il risultato delle politiche dello scorso settembre quando aveva ottenuto il 31,44%, prendendo come riferimento la Circoscrizione Lazio del Senato ..Una vittoria netta

Francesco Rocca, nuovo governatore della Regione Lazio, ha raggiunto il comitato elettorale poco dopo le ore 18:00 di lunedì 13 febbraio. “Ringrazio D’Amato che mi ha chiamato poco fa e ha riconosciuto la mia vittoria, facendomi sapere che farà leale opposizione”, ha dichiarato in primis tra gli applausi dei suoi più fedeli sostenitori.

“È stata una corsa breve, ma intensa. Da oggi sento tanta responsabilità, ma sarà condivisa con donne e uomini straordinari. Bisogna risollevare una sanità distante e che mortifica i cittadini. L’astensionismo poi sottolinea che 10 anni di centrosinistra hanno allontanato i cittadini. Ci impegneremo per far tornare fiducia e partecipazione. Ora lavoreremo per trasformare il Lazio e rifare dignità e fiducia ai cittadini”.

A chi gli ha chiesto se terrà la delega alla sanità ad interim, Rocca ha risposto: “Sicuramente seguirò la sanità molto da vicino ma ancora non ho preso una decisione.

Francesco Rocca, il manager della sanità con il culto del fare voluto dalla premier Giorgia Meloni, è il nuovo governatore con il 49,92% quando sono state scrutinate 2.031 sezioni su 5.306. Il centrodestra vince anche a Roma, che stavolta non premia il centrosinistra, fiaccato anche dall'astensione record. E tramonta così il campo largo, l'alleanza Pd-M5s, al governo della regione con Nicola Zingaretti. Non ce l'ha fatta il candidato dem Alessio D'Amato, assessore alla sanità uscente in prima linea nella battaglia contro il Covid, che ottiene il 36,56%, in termini percentuali più di quel 33% con cui Zingaretti vinse nel 2018, anche se con oltre un milione di voti e un'affluenza al 66,55%. Il Pd però tiene con circa il 21% in linea con il 21,25% delle regionali del 2018 ed anzi migliora rispetto al 18,32% delle ultime politiche. Non riesce l'exploit a Donatella Bianchi, la giornalista Rai, in corsa per i Cinque Stelle che si ferma a circa il 12%. Anzi i pentastellati arretrano: alle regionali del 2018 Roberta Lombardi prese il 27%, mentre alle politiche il M5s aveva il 14,8%. Ora come voto di lista si attesta a poco più del 9%.

A pesare sul risultato l'astensione record, l'affluenza nel Lazio si è quasi dimezzata rispetto alle precedenti regionali del 2018 passando dal 66,55% al 37,2%. Il record negativo è stato a Roma dove l'affluenza si è fermata al 33,11% contro il 63,11% delle regionali del 2018. Ha votato un elettore su tre, mentre quasi il 70% ha disertato le urne, specie in periferia. Alle comunali dell'ottobre 2021 al primo turno andò a votare il 48,54% e al secondo turno il 40,68% degli aventi diritto. Solo in centro e nelle zone semicentrali, Ztl compresa, si è votato un po' di più: 39,16% nel II municipio (Parioli-Trieste) e nel I municipio, cioè il centro storico 35,48%. 

Il record dell'astensionismo, con il 27,55% di affluenza, c'è stato nella periferia di Tor Bella Monaca seguita da Ostia con il 29,89%. La vittoria di Rocca restituisce un quadro politico regionale ridisegnato, come era già nelle premesse della sfida elettorale. Il centrodestra, trainato da Fdi e dal candidato voluto dalla premier Meloni, va oltre anche quel quasi 45% ottenuto alle politiche e il 36% delle regionali del 2018 è un ricordo lontano. Fratelli d'Italia si conferma primo partito e vince ovunque, con oltre il 33%, un balzo netto rispetto all'8,69% delle regionali del 2018. Forza Italia e Lega restano ai livelli delle politiche, intorno al 6%. E traina la vittoria con punte del 44% in provincia di Latina e quasi del 42% a Viterbo. 

Due province dove Rocca fa il pieno: a Latina con il 73,14% e nella Tuscia con il 63,65% con 50 sezioni scrutinate su 295, Il centrodestra vince anche Roma con il 46,36% ottenuto da Rocca, superando il 40,60% delle politiche, quando sono state scrutinate circa il 40% delle sezioni. FdI si conferma primo partito con oltre il 33%, più del 30% delle politiche, prendendo come riferimento la circoscrizione Lazio 1 della Camera e va ben oltre il 17,42% delle comunali del 2021. Il partito della premier Meloni è primo in tutti i municipi e in centro è al 26,76%, davanti al Pd che si attesta al 25,07%. Nella Capitale il centrosinistra con il 39% ottenuto da Alessio D'Amato va meglio del 30% delle politiche. Anche la formazione di Calenda non dà l'apporto sperato attestandosi al circa il 6%, contro il 9,42% delle politiche. Così il centrosinistra stavolta non vince. Roma non lo salva

Per la prima volta è infatti Fratelli d'Italia "la forza trainante della coalizione", come l'ha definita Daniela Santanchè, dopo un enorme salto in avanti che porta il partito di Giorgia Meloni dal 3,6% del 2018 al 26% di oggi. Dando vita a inediti equilibri nel centrodestra in una giunta prima saldamente nelle mani di Forza Italia, dimezzata in cinque anni dal 14% al 7%, e poi della Lega. Partito che però esprime sempre il presidente, forte anche di un risultato eccellente anche nelle zone colpite dal covid come Brescia e Bergamo, dove ha superato il 60%, e forte anche della sua lista che supera il 6%, andando a insidiare appunto il partito di Silvio Berlusconi come terza forza della coalizione. Solo il risultato di Milano è l'unica magra consolazione per Pierfrancesco Majorino, che alla luce dei risultati non sarebbe riuscito a vincere neanche con l'intero campo largo. Tiene il Pd, che migliora seppur di poco i risultati del 2018 e del 2022 superando il 20% ma gli alleati del Movimento 5 stelle non arrivano neanche al 5%, crollando rispetto al 17% delle scorse regionali quando si presentarono da soli. 

Non va per niente meglio a Letizia Moratti, che sperava di drenare voti sia a destra che a sinistra e invece, a metà scrutinio, non è riuscita a superare neanche la soglia del 10%. E se la sua lista civica ha ottenuto un discreto 5%, si è invece fermata al 4% l'alleanza tra Azione e Italia Viva che in Lombardia alle politiche era andata meglio rispetto al dato nazionale. Moratti non entrerà quindi in consiglio regionale, mentre Majorino ha confermato che lascerà il suo seggio da eurodeputato per guidare l'opposizione in Lombardia, una regione che da 28 anni il centrosinistra non riesce a governare e così sarà anche per i prossimi cinque.

fonte ansa agi e varie agenzie

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