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Finalmente arriva il 4 marzo, sento tanta voglia di cambiamento e normalità. Io garantisco normalità e tranquillità. Penso il contrario di Gentiloni secondo cui il gap è colmabile, ndr: il distacco tra il centrodestra e gli altri sarà netto e la sorpresa sarà la Lega, soprattutto nelle regioni rosse, dove ne vedremo delle belle. Saremo il primo partito del Nord ma arriveremo al 20% anche in Regioni che sono governati dalla sinistra da cinquanta anni e dove i cittadini non ne possono più". 

"Il nome del candidato premier di Berlusconi? Non lo so". Il leader della Lega Matteo Salvini, al Forum live Ansa-Facebook smentisce l'alleto e chiosa: "La sorpresa è così sorpresa che non ne ho la più pallida idea. Le sorprese mi piacciono a Pasqua. Per il presidente del Consiglio non adoro le sorprese, preferisco la chiarezza. La Lega - dice Salvini - prenderà un voto in più di tutti gli altri del centrodestra e da presidente del Consiglio avrò l'onore e l'onere di scegliere i ministri. Farei fare il ministro a Berlusconi: non vedo l'ora di far fare il ministro a persone competenti settore per settore. Il primo settore priorità per il futuro e agricoltura e pesca, che affiderei a un uomo della Lega".

Quanto agli alleati, per Salvini non è una priorità incontrarsi di nuovo: "Abbiamo un programma firmato e condiviso, per fortuna ho inviti da tutta Italia. Quando si ha un programma condiviso non bisogna incontrarsi ogni settimana per ribadirlo".

Sui fatti di Macerata, da Salvini sempre al forum ansa facebook arriva una condanna a qualsiasi episodio di violenza: "Non vedo l'ora di esser messo alla prova di governo per dimostrare che si può portare tranquillità nelle città. L'errore è stato fatto da chi ha sottovalutato l'effetto dell'arrivo di tanti clandestini in Italia: Bisogna chiudere il rubinetto, limitare gli sbarchi e vedrete che un po' più di sicurezza la potremo garantire in Italia. E' la presenza islamica organizzata che va chiarita, non quella del singolo cittadino. Da italiano mi preoccupa dare spazio a chi non rinnega quanto scritto nella dichiarazione islamica sui diritti dell'uomo dove c'è scritto che la giustizia islamica prevale sulle legislazioni nazionali, che libertà di pensiero è limitata e che la donna conta un po' di meno dell'uomo. Se mi dicono che quella dichiarazione non esiste nessun problema".

Salvini ribadisce al Forum Ansa anche la posizione sui vaccini: "Io sono vaccinato e ho vaccinato i miei figli con i vaccini obbligatori: alcuni salvano la vita. Averne dodici insieme espone i bambini a rischio. Sono per fare obbligatoriamente i vaccini salvavita ma non per imporre con la minaccia una botta di dieci o dodici vaccini contemporaneamente che più di un danno hanno causato ai bambini. Bisogna accompagnare ma lasciare a mamma e papà il mestiere della mamma e del papà". 

Quanto a influenze esterne sulle elezioni, a Salvini 'fa sorridere questa storia della campagna filo russa. Magari ci sarà anche l'invasione degli alieni ma bisogna dimostrarlo. Gli italiani votano con la loro testa e io non vedo hacker russi. Comunque io non ho mai preso una lira ne da Trump ne da Putin'.

Nessun dubbio sul primo provvedimento ribadisce al forum ansa da adottare in caso di vittoria: "La legge Fornero, che ormai non è più solo una questione politica. L'emergenza è tornare a far circolare il lavoro, per i giovani che altrimenti scappano e per chi ha diritto a godersi la pensione. Pensioni e lavoro, poi per carità ci sono tante altre cose da fare ma il primo atto sarebbe quello.  La vita reale e le persone che incontro non mi chiedono le alchimie della legge elettorale o il futuro premier: chiedono meno tasse e via clandestini. Io metto a disposizione degli italiani la possibilità di scegliere me e la Lega. Se lo stato incassa di meno è buona notizia, sono soldi che finiscono in tasca agli italiani. Io ribalto il discorso sulla legge Fornero e sulla flat tax. Se lo stato dimagrisce si fa quello che c'è da fare. Sulla Fornero ho letto analisi preoccupate ma io sono strasicuro che quanto fatto negli ultimi anni ha avuto effetti disastrosi e successo".

Rimanendo in ambito economico, per Salvini "alcuni aspetti del jobs act sono da cambiare. La precarizzazione unita ai voucher incentiva al lavoro nero, l'aver eliminato i voucher aumenta il lavoro nero. Vanno bene anche i contratti a termine - specifica il leader del Carroccio - basta che non siano contratti a termine di una settimana. A Fabriano sono stato in un'azienda dopo ti arriva ogni pomeriggio un whatsapp che ti dice 'domattina ti aspetto in fabbrica'. Qui si è andati oltre la precarietà. Non puoi progettare il futuro e la famiglia con un contratto di una settimana"

"Per me in politica e nella vita ci sono al di là del calcolo politico valori come il rispetto e la gratitudine. Ho iniziato ad appassionarmi di politica grazie a Bossi, poi la pensiamo diversamente su molte cose. Bossi mi dice di stare solo a Milano, ma io sono stato accolto molto bene in Basilicata e in Puglia e sono orgoglioso della Lega che unisce nel nome del federalismo e dell'autonomia. Ma il rispetto e la riconoscenza vanno al di là del calcolo politico".

Intanto Il Cavaliere in un'intervista al Mattino parla del programma del centrodestra e guarda anche all'Europa: "Io non ho ritrovato ora un rapporto con la signora Merkel, al contrario abbiamo sempre avuto relazioni corrette e cordiali, ispirate a rispetto, stima e amicizia. Con lei condividiamo i valori cristiani e la visione liberale e moderata che è propria della grande famiglia del Partito Popolare Europeo". E nel Ppe, Forza Italia avrà un ruolo trainante: "A queste idee e a questi valori sarà ispirata la nostra azione di governo se, come sono certo, il centro-destra vincerà le elezioni e Forza Italia avrà un ruolo trainante dal punto di vista numerico e politico - aggiunge l'ex Cav - La Lega è un partito responsabile e consapevole di questa realtà, e noi rispettiamo i suoi valori e il suo apporto".

Il Cavaliere poi parla degli alleati: "Salvini non è bellicoso come viene dipinto". Sulla scelta del premier ha le idee chiare: spetterà indicarlo al partito che ha preso più voti: "È un criterio che ho indicato io per primo spiega - e se accadrà noi lo sosterremo lealmente. Forza Italia sarà di gran lunga il primo partito del centrodestra". Per la scelta del leader "l'esperienza che conta - non è solo quella politica". Ma non sarà una donna: "purtroppo non è ancora emersa la figura con le caratteristiche adatte. Sarà dunque un uomo di straordinaria autorevolezza ed esperienza, in Italia e all'estero". Il Cav ha poi parlato della flat tax che di fatto andrà a rivoluzionare il sistema fiscale italiano: "

L'esperienza storica delle maggiori economie del mondo dimostra che ridurre le tasse fa bene non soltanto all'economia, ma anche ai conti dello Stato. Solo la sinistra in Italia non lo ha ancora capito. Un esempio classico è quello degli Stati Uniti: negli anni '60 Kennedy e poi di nuovo negli anni '80 Reagan vararono un grande piano di riduzione delle imposte e in entrambi i casi le entrate dello Stato, invece di diminuire, nel giro di alcuni anni aumentarono del 30% netto". 

Sull'emergenza migranti afferma: "Io mi guardo bene dal criminalizzare gli stranieri - dice - anche quelli che sono entrati e vivono da clandestini nel nostro Paese. Ma qualunque persona responsabile si rende conto che 600.000 persone, l'equivalente di una città come Palermo o Genova, che vivono ai margini della società, di elemosina o di piccola criminalità, sono una bomba sociale pronta ad esplodere. E il dramma colpisce soprattutto gli italiani più deboli". Poi il Cav è intervenuto ai microfoni di Etnaradio e ha parlato dei grillini: "In caso di vittoria del Movimento 5 stelle i capitali, le imprese e tutti i cittadini che possono permetterselo lascerebbero l’Italia. Finiremmo in una situazione di isolamento internazionale con un governo di dilettanti senza esperienza in politica e nella vita".

I nodi principali non sono stati sciolti. E del resto nessuno se l'aspettava. Il passaggio del "Sultano" a Roma lunedì 5 febbraio è stata piuttosto l'occasione per Italia e Turchia per ribadire le proprie posizioni. E le distanze su temi cruciali come i diritti umani, l'Europa, la Siria, il terrorismo. Ma la visita di Erdogan per la verità ha lasciato dietro di sé anche polemiche politiche particolarmente accese in campagna elettorale e scontri di piazza, in una città blindata all'estremo.

Sullo sfondo la campagna elettorale, con il leader della Lega, Matteo Salvini, che ha definito una vergogna il fatto che "l'Italia ospiti il rappresentante di un regime estremista sanguinario, di un Paese islamico nei fatti, dove la religione comanda sulla legge". Nicola Fratoianni di Sinistra Italiana ha definito la visita "una pagina triste da evitare", mentre per Fabio Massimo Castaldo del M5S, è inaccettabile "stendere tappeti rossi a chi calpesta quotidianamente i diritti civili e politici dei propri concittadini".

"Ho parlato con il presidente cipriota e gli ho espresso la solidarietà della Ue. La Turchia viola le regole del diritto internazionale con una provocazione inutile". Lo afferma il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, riferendosi alla vicenda della Saipem 12000, la nave da perforazione noleggiata dall'Eni bloccata al largo di Cipro dalla marina militare turca.
"La Turchia è candidata a far parte della Ue ma progressivamente si allontana dalla Ue. E' un poco un controsenso. Assistiamo ad una violazione del diritto internazionale nella direzione di un allontanamento", ha concluso Tajani parlando a Radio Anch'io. 

Sabato un'unità militare turca ha bloccato la nave Saipem 12000 dell'Eni impegnata in attività di perforazione all'interno della Zona economica esclusiva (Zee) di Nicosia. Ieri la Farnesina ha comunicato di essere impegnata per risolvere diplomaticamente la vicenda. Ma Erdogan ci aveva già provato lo scorso luglio. Allora la fregata turca Tcg Gokceada era intervenuta per «monitorare» le attività di «West Capella», un vascello impiegato da Eni e Total per esplorare il blocco 11, all'interno di un settore della Zee chiuso alla navigazione marittima. Il nocciolo del problema sono i diritti di sfruttamento delle riserve di gas eventualmente scoperte dall'Eni.

A dar retta a Erdogan, presidente di una Turchia che dal 1974 occupa militarmente la zona nord di Cipro, qualsiasi nuovo giacimento scoperto nelle acque dell'isola va condiviso con il governo filo-turco al potere nel settore settentrionale dell'isola. In verità Erdogan punta a quel gas per mettere fine alla dipendenza energetica di Ankara. Proprio sfruttando la tenaglia energetica la Russia di Putin l'ha costretto a scendere a patti sulla Siria trasformandolo da nemico giurato a controparte addomesticata. All'esempio della Russia deve guardare l'Italia. 

Accettare la visita di Erdogan a Roma era d'obbligo per non mettere a rischio le attività di 1300 aziende italiane presenti in Turchia ed esportazioni per oltre dieci miliardi di dollari. Chinare la testa davanti alle sue minacce militari sarebbe un suicidio. Erdogan commisura forza e protervia alla risolutezza dei propri avversari. Se non manderemo la nostra Marina a difendere i diritti di ricerca dell'Eni non metteremo a rischio solo i nostri interessi nel Mediterraneo, ma anche la sicurezza dei nostri concittadini in Turchia trasformandoli in potenziali ostaggi del Sultano. E nel caso la nostra determinazione non basti invochiamo quella Nato. Dentro quell'alleanza i partner affidabili siamo noi, non certo i turchi.

Restano i rapporti bilaterali. La Turchia è un Paese importante sul piano dei rapporti economici, come dimostra la cena con gli imprenditori che ha chiuso la giornata romana di Erdogan, e rimane l'interesse dell'Italia a mantenere un dialogo. Non a caso uno dei temi affrontati con Gentiloni è stato proprio quello dei rapporti economici. E anche Ankara ha tutto l'interesse a continuare ad avere canali aperti verso l'Europa. Uno dei pochi temi non divisivi è stato al centro dell'incontro con Francesco. Un colloquio di quasi un'ora in Vaticano, che ha avuto al centro lo status di Gerusalemme, dopo la fuga in avanti in solitaria di Trump. E poi gli altri temi, dalla situazione nel Paese, all'accoglienza dei profughi, alla Siria. Ma il messaggio più eloquente, alla fine di un colloquio definito "estremamente amichevole" dall'entourage di Erdogan, è stato il regalo del Papa: un medaglione che rappresenta l'angelo della pace che strangola il demone della guerra.

Il presidente turco quando e stato a Roma ha incontrato il Papa, il capo dello stato Sergio Mattarella (in un faccia a faccia di oltre mezz'ora) e il premier Paolo Gentiloni, mentre da Bruxelles arrivava un chiaro messaggio di chiusura nei confronti Ankara. E l'Olanda annunciava il ritiro dell'ambasciatore in Turchia. Il sultano del resto, a quanto si è appreso, in tutti i suoi colloqui non ha arretrato di un millimetro sulla situazione interna del suo Paese e sull'intervento nel nord della Siria contro i curdi, che restano per Erdogan senza mezzi termini 'terroristi'. Ma lo stesso hanno fatto i suoi interlocutori. Con Mattarella il lungo colloquio "franco e rispettoso" ha rivelato nel linguaggio diplomatico la freddezza nelle diverse posizioni.

In linea con l'Europa la posizione italiana, ribadita anche da Gentiloni in un lungo faccia a faccia. Il capo dello Stato e il premier, in piena sintonia, secondo quanto si è appreso, hanno affrontato in modo 'franco' temi chiave come le relazioni tra Ue e Turchia, la questione siriana, il tema migratorio e la situazione in Libia, la lotta al terrorismo e la situazione dei diritti civili, anche in relazione - spiegano fonti di governo - al lavoro dei giornalisti e alle attività delle Ong. Senza nascondere le profonde divergenze tra i due Paesi. E non è certo un caso che si sia evitato qualsiasi contatto con la stampa. L'unico, flebile, segnale giunto da Erdogan è stato il rilascio, proprio nel giorno della sua visita, dei medici che arrestati nei giorni immediatamente precedenti nell'indignazione della comunità internazionale. Indubbiamente troppo poco e forse, chissà, solo una coincidenza.

Sale la tensione nel mar Egeo tra Grecia e Turchia. Le autorità di Atene hanno denunciato che la scorsa notte una pattuglia della guardia costiera di Ankara ha speronato un mezzo dei suoi guardacoste nei pressi di alcuni isolotti rocciosi contesi tra i due Paesi. Nello scontro, secondo la denuncia greca, non risultano feriti, ma danni alla nave greca, colpita a poppa dalla prua di quella turca. La collisione, riferisce Atene, è avvenuta al largo degli isolotti disabitati di Imia (Kardak in turco), sotto il controllo della Grecia ma rivendicati dalla Turchia e su cui nel 1996 si sfiorò un conflitto tra i due Paesi. Da allora, le tensioni nella zona si riaccendono periodicamente.

Una Turchia che minaccia d' anni e non rispettando i trattati internazionali mentre dal 1974 tiene con occupazione militare il 38% della isola di Cipro, creando uno stato mai riconosciuto dalla comunita internazionale dal Onu dal UE, da nessuno, ma solo dalla Turchia, cosi minaccia la Grecia pur avendo torto  : "Abbiamo espresso chiaramente" che l'Egeo dovrebbe essere un mare di "amicizia" e che "evitare le tensioni sarebbe meglio per le relazioni bilaterali" ha detto stamani il premier turco Binali Yildirim, riferendo la sua telefonata di ieri con l'omologo greco Alexis Tsipras, dopo la collisione tra le rispettive motovedette nell'Egeo meridionale.

"Ultimamente, ci sono state alcune violazioni, iniziate con gli isolotti di Kardak, a cui abbiamo risposto", ha spiegato Yildirim, assicurando di aver concordato con Tsipras di mantenere comunque aperti i canali di dialogo politico e diplomatico per ridurre la tensione. A maggio, ha poi annunciato Yildirim, i rispettivi capi di Stato maggiore degli eserciti si incontreranno "per discutere le misure necessarie a evitare ulteriori escalation".

La marina militare turca ha fermato il viaggio della Saipem 12000, la piattaforma dell'Eni, che si stava dirigendo verso Cipro per iniziare operazioni di trivellazione su licenza del governo di Nicosia. Una mossa a sorpresa, annunciata dal ministro degli esteri cipriota e confermata dal gruppo petrolifero italiano, che arriva dopo le parole del presidente turco Recyp Erdogan che, all'indomani della sua visita in Italia, si era detto contrario alle operazioni del gruppo "nel Mediterraneo orientale". "I lavori (di esplorazione) del gas naturale in quella regione rappresentano una minaccia per Cipro nord e per noi", aveva sottolineato lo stesso sultano spiegando di aver espresso, nella sua missione a Roma la scorsa settimana, le "preoccupazioni turche" al presidente Sergio Mattarella ed al premier Paolo Gentiloni.

La nave Saipem 12000, capace di perforare fondali marini da 4mila metri con scarti di soli 25 centimetri, è un gioiellino invidiatoci da tutte le grandi compagnie petrolifere. Ma i gioiellini costano. E questo spiegano all'Eni divora dai 500mila ai 600mila dollari al giorno. Così lo scherzetto del presidente turco Recep Tayyip Erdogan che sabato ha mandato una fregata a bloccare la nave da ricerca al largo di Cipro, è già costato all'Eni oltre due milioni di euro. E altri ne andranno in fumo visto che le diplomazie non sembrano esattamente in frenetica attività.

L'Unione Europea, in attesa del risveglio di una Federica Mogherini in altre faccende affaccendata fa parlare i suoi portavoce. «È necessario che la Turchia mantenga relazioni di buon vicinato ed eviti qualsiasi genere di azione, frizione, minaccia o azioni dirette contro uno stato membro», faceva sapere lunedì la Commissione Europea. Parole a cui un Erdogan, abituato a ben altro, ha subito risposto con nuove minacce a Nicosia e - indirettamente - all'Eni e all'Italia: «Gli opportunistici tentativi riguardo alle esplorazioni di gas al largo di Cipro - sbraita - non ci sfuggono. Chi fa male i propri calcoli e si spinge al di là del consentito è avvisato». Per il Sultano la questione è semplice. 

A sentir lui gli eventuali giacimenti di gas scoperti nella cosiddetta «Zona Economica Esclusiva» concordata da Nicosia con Onu e Ue vanno divisi con il governo fantoccio mantenuto in piedi da Ankara nel nord dell'isola. In verità quel gas servirebbe a Erdogan per soddisfare le esigenze energetiche di una Turchia costretta, vista la dipendenza dal gas russo, a subire i diktat di Vladimir Putin. E così in questo gioco di rappresaglie incrociate Italia, Eni ed Europa si ritrovano a sottostare ai ricatti del Sultano. 

Ricatti particolarmente oltraggiosi per un'Italia che solo dieci giorni fa lo ha accolto con tutti gli onori. Onori non certo ricambiati, visto che il presidente turco non ha atteso neppure il rientro ad Ankara per rivelare come il solo e unico obbiettivo del viaggio fosse quello d'intimidire il nostro governo per convincerlo a bloccare le prospezioni dell'Eni. Operazione evidentemente riuscita visto il tono - sommesso e sottomesso - mantenuto dal nostro governo anche dopo l'arrembaggio della marina di Ankara. L'auspicio di una «soluzione condivisa» è stato il massimo dell'autorevolezza espressa ieri dal ministro degli esteri Angelino Alfano nel corso di un incontro in Kuwait con il suo omologo turco Mevlut Cavusoglu.

A compensare la titubante afasia dell'esecutivo Gentiloni contribuisce in parte il presidente del Parlamento Europeo Antonio Tajani, che oltre a esprimere pieno sostegno al presidente cipriota Nicos Anastasiades chiede alla Turchia di «rispettare la legge internazionale e astenersi dal coinvolgimento in pericolose provocazioni nelle acque territoriali di Cipro». E alla voce di Tajani s'unisce quella del presidente del Partito popolare Europeo Joseph Daul, concorde nel definire inaccettabili «le provocazioni e le minacce della Turchia verso Cipro o qualsiasi altro Stato». Ma parole e dichiarazioni sono poca cosa rispetto all'«asso di migranti» nascosto nella manica di Erdogan. 

Grazie a quell'asso il presidente turco tiene sospesa sulla testa dell'Europa una spada di Damocle da tre milioni e mezzo di profughi. Una spada in grado di creare devastazioni politiche, sociali ed economiche che neppure il giacimento di gas più ricco del Mediterraneo potrebbe ripagare. Quindi non illudiamoci. Alla fine da Bruxelles a Roma nessuno muoverà un dito. E assieme ai milioni dell'Eni andranno in fumo, una volta di più, la nostra credibilità e i nostri interessi nazionali.

Cosi continua il blocco della marina militare turca nel Mediterraneo orientale nei confronti della piattaforma dell'Eni Saipem 12000, diretta a un'area di trivellazione su licenza di Cipro. L'unità, ha detto il portavoce del governo di Nicosia, resta bloccata a circa 50 km dal luogo previsto per le esplorazioni di idrocarburi, a sud-est dell'isola. Ankara si oppone alle attività di trivellazione definendole "unilaterali". Il governo di Cipro e l'Eni, assicura ancora Nicosia, sono impegnati ad assicurare lo svolgimento delle attività esplorative. 

L'Italia si aspetta una "soluzione condivisa nel rispetto del diritto internazionale e nell'interesse sia dell'Eni, sia dei Paesi della regione, sia delle due comunita' cipriote". Lo ha detto il ministro degli Esteri Angelino Alfano al collega turco Mevlut Cavusoglu, incontrato oggi in Kuwait a margine della ministeriale anti-Isis. I due - riferisce la Farnesina - hanno concordato sulla necessità di tenere conto dei rispettivi interessi nazionali e delle preoccupazioni dei rispettivi governi. Anche allo scopo di preservare il necessario clima di fiducia per possibili ulteriori progetti in campo energetico, oltre a
quelli in essere.

"Raccomandiamo alle compagnie straniere che operano al largo di Cipro di non fidarsi della parte greca e di non essere strumenti di iniziative che superano le loro forze". Così il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, parlando ad Ankara al gruppo parlamentare del suo Akp.

"Non ci aspettavamo che accadesse perchè siamo assolutamente molto dentro l'Economic zone di Cipro" dove l'Eni ha già scavato due pozzi senza alcun problema: lo ha detto l'amministratore delegato del gruppo energetico, Claudio Descalzi, parlando a giornalisti al Cairo e rispondendo a domande sulla piattaforma Saipem bloccata dalla Turchia.

La restituzione «obbligata», fiore all'occhiello dei parlamentari Cinquestelle che si sono impegnati (e vantati) di donarli a un Fondo per il microcredito alle imprese istituito presso il Ministero dell'Economia, è diventata la spada dell'harahiri. Complice la desolante disorganizzazione e improvvisazione che regna attorno al samurai Giggi Di Maio, ancora ieri abbarbicato a concetti così elementari da testimoniarne la modestia, l'inadeguatezza. Dopo l'annunciata espulsione di Martelli e Cecconi, i primi due parlamentari pizzicati dalla Iene a truffare su bonifici e rendicontazione, il Capo politico ieri mattina ancora pensava di poter tenere sotto controllo la situazione. 

«Questo è un Paese strano... Restituisci 23,1 milioni e la notizia è che manca lo 0,1!». Logica minimizzatrice che sembrava reggere, almeno fino a quando la cifra «mancante» dal Fondo è rimasta confinata nei 100mila euro dei due inadempienti (uno, addirittura, s'era giustificato con «gravi problemi familiari», come a scuola). Ma con il passare delle ore la cifra sembrava crescere come una variabile impazzita. 

Fonti grilline utilizzavano un'altra di quelle scuse da asilo Mariuccia che fanno temere il peggio: «Abbiamo sbagliato i calcoli, il dato visibile su tirendiconto.it non corrisponde alle tabelle del Tesoro... A occuparsi delle rendicontazioni, centinaia e centinaia, c'è un unico tecnico che ha commesso degli errori...». Giarrusso invece esultava, dopo aver verificato i propri rimborsi: «Un funzionario della banca ha fatto un errore, ma i rimborsi ci sono, puntuali e precisi!».

"Tra deputati e senatori siamo ad una doppia cifra, è un partito fatto di furbi e furbastri che tradisce la fiducia dei cittadini". Sono queste le parole con cui un ex militante, ai microfoni de Le Iene nel servizio sul M5S trasmesso via internet domenica sera, svela i mancati rimborsi che, a suo parere, coinvolgerebbero diversi esponenti del M5S. L'inchiesta de Le Iene, che il programma sceglie di mandare sul suo sito web, ha portato al ritiro, di fatto, dalla campagna elettorale dei parlamentari Andrea Cecconi e Carlo Martelli. E' l'ex militante intervistato da Le Iene, infatti, a fare i nomi dei due esponenti pentastellati, rei - è la sua accuso ai microfoni del programma Mediaset - di aver finto di restituire oltre 21mila euro, nel caso di Cecconi, e oltre 76mila nel caso di Martelli. 

La mancata restituzione, spiega l'ex militante, si concretizza pubblicando sul sito "tirendiconto.it" i bonifici fatti salvo poi revocarli entro 24 ore dalla pubblicazione. Interpellati il 2 febbraio scorso dall'inviato de Le Iene Filippo Roma, sia Cecconi sia Martelli negano. "Non è vero, ho tutti i bonifici fatti, sono caricati online", spiega Cecconi prima di andar via mentre Martelli prima nega con forza ("A me questa cosa non risulta, questa cosa qua finisce adesso, è una cosa terribile") salvo poi rilevarsi più possibilista: "farà questa verifica, se è così provvederò a sistemare tutto". A entrambi Le Iene chiedono di contattare il programma dopo la verifica ma nessuno dei due parlamentari, spiega il programma nel servizio, si fa sentire.

"Quelle persone come Cecconi e Martelli le ho già messe fuori, per gli altri stiamo facendo tutte le verifiche che servono ma siamo orgogliosi di quello che è il Movimento. Non sarà qualche mela marcia ad inficiare questa iniziativa che facciamo solo noi e come sanno gli italiani da noi le mele marce si puniscono sempre". Così a Napoli, Luigi Di Maio, in merito ai rimborsi dei cinquestelle. "La notizia in un paese normale è che M5S ha restituito 23 milioni e 100mila euro di stipendi e questo è certificato da tutti quanti e ci sono 7mila imprese in Italia che lo testimoniano perché quei soldi hanno fatto partire 7mila imprese e 14mila posti di lavoro", ha spiegato. " Se ci saranno controlli da fare li stiamo facendo - ha concluso - ringrazio chi ha fatto queste inchieste ma questo è un paese strano in cui restituisci 23,1 milioni e la notizia è che manca lo 0.1".

Andrea Cecconi e Carlo Martelli sono, probabilmente, la punta di un iceberg. Un iceberg contro cui la campagna del M5s rischia di sbattere a un passo dal rush finale. Il caso degli ammanchi nelle restituzioni dei parlamentari, si allarga a macchia d'olio, potrebbe superare il milione di euro e irrompe nella tappa elettorale di Luigi Di Maio nella sua Campania. Tappa che vede, tra l'altro, il ritorno in campo di Beppe Grillo. Il caso è preso molto seriamente dai vertici, che reagiscono in maniera durissima. "Le mele marce le trovo e le caccio, nessuno inficerà il nome del M5S", è il diktat del capo politico. La questione, secondo il servizio delle Iene andato in onda ieri sera, riguarda almeno una decina di parlamentari e non solo Cecconi e Martelli. 

E dalle prime verifiche i vertici del Movimento ammettono come il "buco" sulle restituzioni per il fondo per il microcredito sia "più grande" degli oltre 200mila euro preventivati dai media. Sul totale delle cifre "vediamo domani", si limitano a dire, dopo aver chiesto in via ufficiale gli atti al Ministero dell'Economia presso cui è registrato il fondo per le pmi. I calcoli, fatto salvo eventuali errori commessi dai tecnici del Movimento nel riportare i dati delle restituzioni, sembrano volgere al peggio. Alla cifra di 226 mila euro di ammanco, che ha fatto scattare l'allarme per le mancate restituzioni, va infatti aggiunta la cifra versata al fondo dagli eurodeputati del M5s, pari a 606mila euro, come certificato dallo stesso blog giorni fa. E a questa si somma il totale dei rimborsi arrivati dalle Regioni: le stime sono approssimative ma si parla di oltre 500mila euro. Il tutto fa quindi aumentare la forbice tra quanto dichiarato dai parlamentari sul sito tirendiconto.it e quanto arrivato, in concreto, dai bonifici.

Intanto Il candidato premier M5S Luigi Di Maio si è presentato stamattina negli uffici dell'Istituto di credito che è a Montecitorio. In sua compagnia, oltre allo staff M5S, c'era l'inviato de "Le Iene", Filippo Roma, tra gli autori dell'inchiesta sulle "restituzioni" dei parlamentari M5S. La presenza di Di Maio in banca mostrerebbe la volontà del leader di fare chiarezza sulla vicenda: è presumibile che abbia chiesto allo sportello bancario di fornirgli copia dei bonifici al Fondo per il microcredito del Ministero dello Sviluppo sul quale i pentastellati devolvono parte del loro stipendio

"Di Maio come Craxi"? Bobo e Stefania replicano a Renzi : La frase non è piaciuta ai molti che continuano a nutrire stima nei confronti dell'ex leader socialista, scomparso nel gennaio del 2000. I primi a insorgere sono stati i figli di Bettino, che militano su fronti politici opposti. "Renzi dice a Otto e mezzo che Di Maio gli ricorda Craxi - scrive su Facebook e Twitter Bobo Craxi -. Un paragone miserabile pronunciato dal capo della banda dello scandalo Consip ed Etruria. Un altro buon motivo per non farlo votare dai Socialisti".

Anche la figlia maggiore di Bettino, Stefania Craxi, candidata al Senato nelle liste di Forza Italia, non le manda certo a dire a Renzi. ''I sondaggi che giungono al Nazareno fanno perdere sempre più la testa alla cricca etrusco-fiorentina, ormai al collasso e prossima a una sconfitta di portata storica, tanto da confondere Craxi con un insipiente Di Maio, in un rigurgito di antisocialismo che rappresenta una nota di continuità di certa sinistra 'vecchia' e 'nuova'". "L'ormai stantia retorica renziana, intrisa del solito moralismo e della solita, quanto poco credibile, superiorità morale, cozza con la ragione e con la cronaca di questi mesi e di questi anni. Se Renzi cerca formule a effetto o 'mariuoli' per sbugiardare le menzogne pentastellate, può benissimo rovistare nella sua cerchia ristretta affetta da una passione 'sinistra' e 'morbosa' per le banche e per gli affari che, come prestò si vedrà, non ha risparmiato neanche il campo internazionale".

"Renzi farebbe quindi bene a ripassare la storia - prosegue Stefania - non solo per capire chi è stato Craxi, ma anche per comprendere che il M5S figlia proprio da quella stagione di violenza, menzogne e falsità, chiamata Mani Pulite, a cui la sua battuta vuole ammiccare e fare riferimento. Per inciso, un periodo della nostra storia che ha distrutto il sistema politico ed istituzionale italiano aprendo la strada al giustizialismo, al populismo ed all'avventura.

Un anno fa era il "cattivo". Ora, però, alcune delle cose che fa iniziano a produrre risultati e lui comincia a piacere a chi prima lo disprezzava. Stiamo parlando del rapporto tra le cosiddette élite globali banchieri, grandi industriali e politici e il presidente Usa Donald Trump. 

Che il clima sia cambiato lo registra anche il New York, altra testata “nemica” di Trump. Il giornale della Grande mela conferma che Davos ha finora “riservato una calda accoglienza al presidente, che è stato uno dei suoi critici principali, che gli hanno spianato la strada della Casa Bianca. Il vero test però è oggi, prosegue il Nyt, con l’atteso discorso che il presidente pronuncia al World Economic Forum. Il presidente non dovrebbe lanciare alcun attacco frontale, ma soltanto rivendicare una politica commerciale equa e che non penalizzi, come è successo in passato, il suo Paese.

Spazio, dunque, al “mercato libero e aperto”, purché sia al contempo “giusto e reciproco”. Il presidente denuncerà tutto quello che ostacola gli scambi commerciali basati sulla “reciprocità”, in particolare l’odioso furto della proprietà intellettuale, il trasferimento forzato di tecnologie e le sovvenzioni all’industria. 

Il messaggio che vuole dare è questo: l’America è pronta a fare affari con il mondo intero, dopo la riforma fiscale appena varata, molto vantaggiosa per le aziende. Basta sventolare il vecchio slogan “America First“, anche perché in questa sede non avrebbe senso. La nuova sfida di Trump è quella di invitare gli imprenditori stranieri a investire negli Usa, ricordando loro che non c’è mai stato un momento migliore per farlo.

E vediamo cos’ha fatto di così straordinario Trump per ribaltare questo giudizio, trasformandosi da reietto, da non prendere neanche in considerazione, a commander-in-chief da rivalutare? Si tratta di soldi. Quelli che la riforma Trump fa risparmiare ai grandi potentati economico-finanziari.

"L'America - ha detto Trump a Davos - e' aperta alle imprese ed e' tornata ancora una volta competitiva. E' un privilegio stare qui tra leader della diplomazia e della politica. Sono qui per rappresentare gli interessi degli americani e per offrire un'amicizia nel costruire un mondo migliore. L'America - ha proseguito sta di nuovo vedendo una forte crescita, in Borsa si sono creati 7.000 miliardi di dollari dalla mia elezione. 

Come presidente degli Stati Uniti - ha proseguito - metterò sempre l'America al primo posto, come gli altri leader mettono il loro Paese al primo posto. Venite in America. Io credo nell'America e la metterò sempre al primo posto. Ma non significa America alone. Invitiamo gli altri leader a proteggere gli interessi dei loro cittadini come lo facciamo noi.

Ripristineremo l'integrità del sistema commerciale. Solo insistendo su un commercio giusto e reciproco possiamo creare un sistema che funziona non solo per gli Usa ma per tutti i Paesi. Gli Stati Uniti non tollereranno più pratiche scorrette nel commercio internazionale". 

"Il sistema che regola l'immigrazione negli Usa  - ha detto ancora Trump - è fermo al passato e d'ora in poi chi entra verrà selezionato in base alla sua capacità di contribuire al benessere economico del Paese".

"Gli Usa - ha proseguito Trump - sono fortemente impegnati per la massima pressione per denuclearizzare la Corea del Nord, lavoriamo con gli alleati per contrastare i terroristi e Daesh, gli Usa sono leader per assicurare la sicurezza mondiale". 

L'accoglienza al presidente USA è stata tiepida: all'inizio del discorso, solamente metà sala ha applaudito, l'altra metà no. 

Intanto il quotidiano Tedesco Die welt  "attacca" il nostro Paese : "L'Italia è l'assoluto fanalino di coda dell'eurozona, messo anche peggio della Grecia", si sostiene dalle pagine finanziarie del quotidiano Die Welt,nell articolo i Greci lasciano in dietro gli Italiani. E il timore degli economisti delle banche d'affari è che alle prossime elezioni, indipendentemente da chi vinca, "non c'è da aspettarsi riforme di base", dice Timo Schwietering, analista della banca Metzler. "Solo riforme radicali, come in Grecia, potrebbero cambiare qualcosa" dice il quotidiano di Berlino. "Ma cose del genere non sono nel programma elettorale di nessuno dei contendenti alle elezioni".

"L'Italia è l'unico paese dell'eurozona il cui livello di vita, dall'entrata in vigore dell'unione monetaria, è diminuito", prosegue Timo Schwietering.

"Prima l'Italia aveva un modello economico facile", dice Daniel Hartmann, capo economista della banca Bantleon, che si occupa del risparmio gestito. "Quando la congiuntura si bloccava, si svalutava la lira, che ridava benzina alle esportazioni e rianimava la congiuntura". Dall'entrata in vigore dell'unione monetaria questo modello non ha più funzionato e il paese dovrebbe abbassare i costi o aumentare la produttività. "Il passaggio al nuovo campo all'Italia non è ancora riuscito".

Sarebbe necessaria soprattutto una riforma dell'amministrazione: "le prestazioni sono scarse e per giunta care". Un permesso di costruzione costa tre volte la Germania, un procedimento giuridico in Italia è di 3 anni, in Germania di uno e mezzo. Le premesse di riforma c'erano con il governo Renzi, ma ora rischia di bloccarsi tutto, secondo Welt.

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