Login to your account

Username *
Password *
Remember Me

Create an account

Fields marked with an asterisk (*) are required.
Name *
Username *
Password *
Verify password *
Email *
Verify email *
Captcha *
Reload Captcha
Domenica, 06 Ottobre 2024

Gli operatori del Centro …

Set 23, 2024 Hits:314 Crotone

Invasione tedesca a Croto…

Set 12, 2024 Hits:500 Crotone

XX Edizione del Premio …

Ago 21, 2024 Hits:835 Crotone

Un Eroe Senza Mantello: A…

Ago 12, 2024 Hits:1042 Crotone

Isola Summer 2024, ecco g…

Lug 05, 2024 Hits:1474 Crotone

Premio Pino D'Ettoris: al…

Lug 01, 2024 Hits:1230 Crotone

San Giuda Taddeo presenta…

Mag 27, 2024 Hits:1806 Crotone

Al Salone del libro Loren…

Mag 15, 2024 Hits:2491 Crotone

Khalifa Haftar è pronto marciare su Tripoli e gli aerei del governo riconosciuto hanno iniziato i primi raid sui convogli del generale a sud della capitale. Il caos in Libia rischia di condurre inesorabilmente il Paese in una guerra civile dai tratti decisamente preoccupanti. Preoccupanti per il Paese, per il Nord Africa e anche, inevitabilmente, per l’Italia.

In queste ore, Francia, Gran Bretagna, Italia, Emirati Arabi Uniti e Stati Uniti hanno lanciato un appello congiunto a tutte le fazioni libiche per cessare le violenze. “I nostri governi si oppongono a qualsiasi azione militare in Libia e riterrà responsabile qualsiasi fazione libica che faccia precipitare ulteriormente il conflitto civile”, si legge nella nota. “In una fase delicata di transizione, iniziative militari e la minaccia di azioni unilaterali rischiano solamente di ripiombare la Libia nel caos”. Ma dietro a questo appello potrebbe nascondersi una verità ben più complessa, dal momento che – è inutile negarlo – Haftar non ha potuto certo decidere in maniera totalmente spontanea di avanzare direttamente sulla capitale conquistando anche Garian, a cento chilometri dalla sede del governo di Fayez al-Sarraj.

Il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, ha detto di essere "molto preoccupato" per quanto sta accadendo. E ha lanciato un appello "a tutte le parti affinché si fermino ed evitino qualsiasi azione violenta" lanciando l'allarme sul "rischio di una nuova crisi migratoria, con l'aumento di flussi, principalmente verso l'Italia e gli altri Paesi mediterranei".

Il vertice dell'Europarlamento e vice presidente di Forza Italia ha detto: "Non vi può essere una soluzione militare alla crisi libica. Un nuovo conflitto causerebbe solo altre perdite di vite umane e danni enormi al Paese e alla sua popolazione". E ha chiesto che "l'Unione europea deve intervenire immediatamente e parlare con una voce unica e autorevole, contribuendo a una soluzione pacifica e democratica, nel quadro delle Nazioni Unite, come chiesto a più riprese dal Parlamento europeo".

E cosi si prepara nuovo scontro tra Governo Italiano e Ong : Sea Eye si trova a 15 miglia a Sud Est dell'isola, al di fuori delle acque territoriali italiane (12 miglia). "A bordo ci sono 64 persone salvate e 17 membri dell'equipaggio", spiega la Ong tedesca. Ieri sera, intorno alle 22, era "ancora in rotta di evasione" per trovare riparo dal maltempo. "C'è una neonata di undici mesi a bordo, raffiche di vento a 50 chilometri orari e onde alte due metri", lamentano gli operatori a bordo. Ma l'Italia per ora non cede. Il tratto di mare è pattugliato dalle navi italiane e la Alan Kurdi è costretta a fare su e giù tecnicamente si chiama "pendolamento" in attesa "di una soluzione politica".    

Fino ad oggi, sul fronte dell’emergenza immigrazione, si parla quasi sempre dei pericoli provenienti dall’esterno dei confini europei. Rotta turca, rotta libica, rotta algerina e tunisina, sono questi i principali fronti aperti su cui si cerca di intervenire, con l’obiettivo di scongiurare nuove partenze dalle coste africane o dall’Anatolia. Ma emerge sempre di più invece un fronte tutto interno all’Europa: quello greco.

Intanto il quotidiano il giornale nella sua analisi alla rubtica " occhi della guerra" racconta che Il paese ellenico, come si sa, affronta da dieci anni a questa parte gravi difficoltà. La cura dimagrante imposta dalla Troika per il rientro dei debiti, si rivela un cappio al collo da cui i greci non riescono affatto ad uscirsene, nonostante i proclami degli ultimi mesi. Ed un paese che non riesce ad avere mezzi sufficienti a spegnere gli incendi, come accaduto questa estate, difficilmente può trovare le risorse per accogliere migliaia di migranti che partono dalle coste turche. Il problema si mette ben in evidenza dal 2015, anno in cui dalla Siria e dall’Iraq arrivano centinaia di carovane tramite la Turchia: è l’apertura della cosiddetta “rotta balcanica”, che porta i migranti verso il centro ed il nord dell’Europa. Fino a quando però gli stessi paesi della penisola chiudono le frontiere in quanto impossibilitati a gestire un flusso di questa portata. E così la Grecia, vedendo i suoi confini settentrionali sbarrati, deve sobbarcarsi l’onere di accogliere migliaia di profughi.

Nei mesi successivi un accordo tra Ue e Turchia prevede lo stanziamento di tre miliardi di Euro all’anno a favore di Ankara per trattenere nel paese anatolico i migranti. La pressione si alleggerisce, ma il problema non è ancora risolto. Sia perché dalla Turchia verso le isole greche si continua a sbarcare, sia perché le risorse che Atene può spendere per chi rimane all’interno dei confini ellenici sono limitate. E così ecco che, ad oggi, si calcola come almeno 25.000 migranti siano rinchiusi nei centri d’accoglienza dove garantire anche i servizi basilari è pressoché impossibile. La Grecia a malapena riesce a rifornire di medicinali e medici i propri ospedali, figurarsi se può organizzare al meglio campi allestiti solo per affrontare un’emergenza in verità mai terminata. Questi sono solo alcuni dei motivi per i quali la Grecia può essere definita, sul fronte migratorio, una vera e propria polveriera.

Per questo continua il Giornale adesso è lecito pensare che dentro la stessa Ue potrebbero aprirsi rotte interne di migranti. Tra le migliaia di richiedenti asilo presenti in Grecia, in tanti iniziano a pensare di scappare verso altre mete. Si potrebbe in poche parole riaprire la rotta balcanica, con i migranti questa volta non provenienti da paesi esterni alla comunità bensì dal paese dell’Ue più in difficoltà. Segnali in tal senso arrivano dai social. Su Facebook, come viene segnalato su LaPresse, è attiva la pagina “Border crossing in Greece“: qui vengono immesse sul web testimonianze di persone accampate in Grecia e pronte ad attraversare le frontiere settentrionali. Sempre sui social prende corpo l’iniziativa di alcuni curdi che vivono ad Atene, che invitano i migranti presenti nel paese ellenico ad unirsi ad una sorta di “marcia” volta a forzare i controlli alle frontiere ed uscire quindi dalla Grecia.

Segnali ovviamente che mettono non poco paura alle autorità dei paesi europei confinanti ed alle forze di sicurezza di quelli dove i migranti vorrebbero piazzare la propria destinazione. La riapertura di una rotta balcanica è un’eventualità contro cui molti governi lottano da anni. Il ricordo di cosa comporta tre anni fa il flusso di migranti in questa parte orientale dell’Europa è ancora vivo: in molti Stati, a partire dall’Ungheria di Orban, per reazione al fenomeno nascono e crescono molti movimenti definiti superficialmente oggi “sovranisti”. Il cosiddetto “blocco di Visegrad” trae origine proprio da quella emergenza. Ma anche in Germania ed in Italia si farebbe volentieri a meno di fronteggiare altre emergenze, per di più per rotte che provengono dall’interno del territorio europeo.

Fico apre lo scontro tra Lega e M5S nel corso del Festival del giornalismo a Perugia, Roberto Fico ha affrontato anche altri temi. E certamente non poteva mancare un commento su ciò che sta accadendo a Torre Maura. "Simone è l'orgoglio della nostra Italia costituzionale. - ha detto -. Lo ringrazio ufficialmente, quanto fatto da Casa Pound e Forza Nuova a Torre Maura è una vergogna".  

Credo che la querela di Salvini a Saviano sia stato un errore. Visto che il ministro dell'Interno ha il potere di decidere sulle scorte e Saviano è sotto scorta, io non l'avrei denunciato", ha esclamato il presidente della Camera al Festival del giornalismo di Perugia.

Il motivo del contendere, quindi, è la decisione di Matteo Salvini di denunciare per diffamazione Saviano. Il giornalista, infatti, in più di un'occasione si era appellato al ministro dell'Interno definendolo "ministro della malavita". Oltre ad accusarlo di seminare odio e bile, di parlare e compiere gesti solo per propaganda, Saviano ci aveva infilato in mezzo anche la malavita. E ora la paga cara. Anche se Fico prende le sue difese.

Nel suo informale pullover grigio, quindi, il presidente della Camera, prende posizione. E sa benissimo di essere ascoltato da tutti, tanto è che nel suo intervernto parla anche dell'Ue: "Dovremmo avere un solo seggio in sede internazionale e far valere appieno il nostro valore, altrimenti esiguo se presi come singoli Paesi. I sovranisti possono essere dispiaciuti dalle mie parole? Se ne faranno una ragione".


Tornando al discorso della Ong che sta per arrivare in Italia :  Sea Eye è in "rotta di evasione". E Salvini fa pattugliare il mare  "Altre vite messe a rischio da una Ong straniera", ripete il ministro dell'Interno da due giorni, quando la nave umanitaria tedesca ha recuperato 64 immigrati al largo delle coste della Libia e ha subito puntato la prua in "direzione Italia". Una mossa che ha irritato e non poco gli esponenti del governo italiano per l'ennesima puntata di un lungo scontro tra istituzioni e Ong. Dopo lo sbarco di Mediterranea Saving Humans di poche settimane fa, Salvini aveva diramato una direttiva per "fermare le azioni illegali delle Ong". 

Il messaggio era chiaro, ma non sembra essere arrivato a destinazione. Sea Eye ha continuato a pattugliare le coste libiche nonostante l'invito della Marina di Tripoli a non intromettersi e due giorni fa ha recuperato 64 migranti. "Ora Italia e Malta assegnino loro un porto sicuro, chiedeva l'Ong dei centri sociali guidata da Luca Casarini. "Le autorità italiane - assicura però il Viminale - non hanno in alcun momento assunto il coordinamento delle operazioni di soccorso che sono avvenute ben al di fuori della zona Sar di responsabilità italiana". Quindi Alan Kurdi resti al largo o trovi un'altra soluzione: non spetta a noi l'accoglienza. "Chiede un porto sicuro? 

 

Bene, vada ad Amburgo" è la linea di Salvini che ieri, durante il G7 a Parigi, ha chiesto al ministro di Berlino di assumersi la responsabilità sulla nave in quanto battente bandiera tedesca. Peccato che la Alan Kurdi abbia comunque fatto rotta verso Lampedusa, "forzando" il blocco imposto dal Viminale.

L'immediato intervento delle Fiamme Gialle ha evitato il peggio. I militari, non senza difficoltà, hanno bloccato lo straniero, apparentemente nordafricano. Lui, però, ha prima tentato di nascondere la catana sotto un'auto. Poi si è scagliato contro i finanzieri brandendo un coltello. L'uomo è stato infine immobilizzato e condotto in carcere in attesa del processo per direttissima.  

Stavolta il protagonista della scorribanda è un giovane straniero, già noto alle forze dell'ordine. I cellulari dei passanti terrorizzati lo hanno ripreso mentre brandiva una katana affilata e minacciava chi gli si parava di fronte.

Siamo a Milano, zona Corvetto. In piazzale Ferrara i passanti vedono camminare un ragazzo con lo zaino in spalla, il berretto in testa e un'arma in mano. È il primo pomeriggio di mercoledì quando alcuni finanzieri del Gruppo pronto impiego della città meneghina notano l'immigrato vagare armato per la sgtrada. Mostra katana, scrive Milano Today, e la punta contro alcune persone intente a riprenderlo con il cellulare

"Dopo i coltelli, i picconi e i macheti spuntano anche le katane in periferia: a quale arma dobbiamo arrivare prima che a Palazzo Marino si svegli qualcuno?", attacca Silvia Sardone, consigliere regionale e comunale del Gruppo Misto. "Ringrazio gli uomini delle Finanza prontamente intervenuti per disarmare questo balordo, che tra l’altro ha pure reagito aggredendoli. Del resto non ci si può aspettare altro nel quartiere, il Corvetto, dove vengono di continuo imbrattati i muri con volantini e scritte piene di insulti contro le forze dell’ordine. Speriamo che quando Sala e compagni si accorgeranno che Milano non finisce entro la Cerchia dei Bastioni non sia troppo tardi: al Corvetto servono rapidissimi interventi in tema di sicurezza, i cittadini non possono più aspettare".

il presidente della Cei manda un messaggio al governo e all'Europa e di fatto ribadisce la linea dell'accoglienza: "È una sfida per l’Europa e per l’Italia, sfida che va affrontata nei territori, nelle comunità locali attraverso percorsi di integrazione e inclusione sociale. Non basta accoglierli, non basta dargli un pezzo di pane: le persone vanno integrate. Pensate alla parabola del buon samaritano". Intanto la linea di Bassetti si scontra con quella del Viminale. Il ministro degli Interni, Matteo Salvini ha già risposto in modo chiaro alle richieste del versante buonista (Ong Mediterranea in testa) che chiede di aprire i porti ai migranti che si trovano a bordo della nave di Sea Eye: "Nave battente bandiera tedesca, Ong tedesca, armatore tedesco e capitano di Amburgo. È intervenuta in acque libiche e chiede un porto sicuro. Bene, vada ad Amburgo". È iniziato un nuovo braccio di ferro.  

Il presidente della Cei, cardinale Gualtiero Bassetti, intervenendo alla presentazione del rapporto 2019 del Centro Astalli non usa giri di parole: "I migranti - e questo è un principio fondamentale della dottrina sociale della Chiesa - vanno soccorsi e salvati, non respinti o bloccati in Paesi terzi non sicuri, perchè noi ci prendiamo delle grandi responsabilità bloccandoli in Paesi terzi, perchè mettiamo a repentaglio la loro vita. Alla fine chi si assumerà la responsabilità di tutto questo?". Parole chiare che poi vengono nuovamente ribadite in un altro passaggio dell'intervento di Bassetti che afferma: "Sono diminuiti gli sbarchi in Italia, ma aumentano in maniera esponenziale i morti in mare. Chi si assume la responsabilità di questi morti? Ogni morto in mare, nel deserto o perchè vittima di torture, di violenze, è una offesa che colpisce l’intero genere umano".

Intanto la Squadra Mobile di Palermo sta eseguendo 13 fermi di indiziato di delitto emessi dalla direzione Distrettuale Antimafia di Palermo nei confronti di altrettanti cittadini nigeriani accusati di far parte dell'associazione a delinquere di stampo mafioso, come dimostrato dalle indagini svolte dalla Squadra Mobile e coordinate dalla Procura della Repubblica, che si sono avvalse di attività tecniche, dichiarazioni di collaboratori e dichiarazioni testimoniali.

Secondo quello che hanno raccontato le rivelazioni dei pentiti nigeriani c'erano violenti riti per l'affiliazione. È stata una microspia a registrare quanto accadeva tra le mura di una casa. L'adepto, a conferma di quanto raccontato dai collaboratori, viene prima spogliato e poi preso a calci e pugni. Successivamente è costretto a bere un liquido composto dal suo stesso sangue e le sue lacrime. "Lacrime e sangue vengono mescolate con alcol, riso e tapioca, viene chiesto di giurare fedeltà e totale silenzio sulle pratiche dell'organizzazione", si sente nelle registrazioni delle microspie. I nuovi adepti, prima di aderire alla costola mafiosa della mafia nigeriana, come documentato dagli inquirenti, devono anche prestare una sorta di giuramento, registrato dalle microspie. "Debitamente giuro - dice il nuovo affiliato - di sostenere Eiye confraternita moralmente, spiritualmente, finanziariamente e in qualsiasi altro modo e se non lo faccio, che il vulture (avvoltoio, ndr) spietato mi strappasse gli occhi...".  

L’attività investigativa ha preso spunto dalla denuncia di una ragazza nigeriana vittima di tratta e di sfruttamento della prostituzione, che ha fornito agli agenti significativi elementi in ordine all’appartenenza agli Eiye del suo sfruttatore.

Le rivelazioni hanno permesso di individuare la casa di prostituzione all’interno del quartiere storico di Ballarò ed avviata una capillare attività investigativa che ha consentito di ricostruire l’organigramma dell’associazione a livello locale, fino a giungere all’identificazione dei suoi vertici.

Nel corso delle indagini sono stati documentati numerosi episodi violenti riconducibili all’associazione e alla sua capacità di imporsi sul territorio, nonché diverse attività delittuose connesse allo spaccio di stupefacenti e alla prostituzione, nello storico mercato di Ballarò a Palermo.

Numerose anche le riunioni tra i sodali documentate nel corso delle indagini, tra cui in particolare una relativa al “battesimo di un nuovo Bird”, con la captazione dell’intero rito da parte degli investigatori. Nel corso delle indagini è emerso, inoltre, come gli stessi membri cercassero di mascherare l’associazione a delinquere “Eiye”, costituendone una regolare denominata “Aviary”.

Intanto nelle motivazioni della sentenza emerege il vero volto di Said Mechaquat: "Un violento che aveva ridotto la sua ex compagna in uno stato di succubanza, costretta a subire percosse e minacce con frequenza costante. Per sua stessa ammissione almeno tre volte al mese". L'uomo a quanto pare prendeva a calci e pugni la sua compagna costretta spesso alla fuga da casa. Il procedimento dopo il primo grado si è bloccato.Said è in attesa della sentenza di appello che non è ancora stata fissata.

Ma già nel 2015 il marocchino aveva avuto i primi problemi con la giustizia. Il 19 febbraio 2015 aveva subito una condanna a un anno e due mesi. Il motivo? Sempre lo stesso: violenze sulla sua compagna. La donna era stata colpita con pugni e schiaffi. Anche calci mentre la donna era incinta. Un vero e proprio incubo. La storia tra Said e la sua ex compagna Ambra è stata di fatto scandita dalle violenze e dalle denunce. Said viene arrestato per ben due volte.

Nel 2013 i poliziotti trovano la donna seminuda in strada in lacrime con il piccolo figlio tra le braccia. Era stata picchiata. Dieci giorni di prognosi. Come ricorda sempre la Stampa, Said viene scarcerato. Ma tornano le violenze. Dopo le denunce, la condanna per Said arriva nel 2015. L'uomo però è rimasto in libertà fino allò'incontro con Stefano. La giustizia non ha fatto in tempo a mettere dietro le sbarre un assassino così spietato che ha spezzato per sempre il sorriso di questo ragazzo

Ieri sera, secondo quanto riportato dal portale di notizie Libya Observer, la Marina libica ha diffuso un comunicato rivolto alle organizzazioni non governative dopo il recente dirottamento della nave cisterna El Hiblu1, appartenente ad una compagnia turca, ma battente bandiera di Palau. Secondo il quotidiano il giornale arrivati a sei miglia dalle banchine di Tripoli, dove il mercantile avrebbe dovuto sbarcare un centinaio di migranti raccolti da un'imbarcazione in difficoltà, alcuni clandestini hanno preso possesso dell'imbarcazione e l'hanno dirottata verso Malta. La navigazione non è andata avanti per molto e la Marina libica ha bloccato e arrestato i pirati. Ora Tripoli è corsa ai ripari affinché non si ripetano episodi del genere.

Nel comunicato diffuso ieri sera i libici criticano "il silenzio della comunità internazionale e dell'Unione Europea sulla cattiva condotta di alcuni migranti" che potrebbe portare "in futuro gruppi armati a fingersi migranti e poi fare lo stesso atto di pirateria una volta soccorsi". Il tutto a ridosso "della stagione delle migrazioni illegali verso l'Europa". Le ong, si legge sul Libya Observer, "non dovrebbero intervenire in mare per indurre i migranti, in coordinamento con i trafficanti di esseri umani", a fare i viaggi della speranza. A Tripoli c'è, infatti, "grande preoccupazione" per "i ripetuti comportamenti criminali di migranti irregolari contro gli equipaggi delle navi di soccorso che dimostrano come il sistema search and rescue sia collassato nel Mediterraneo fornendo alle navi civili il pretesto per rifiutarsi di riportare i migranti in Libia".

Da qui le richieste della Marina e dalla Guardia Costiera libiche all'Onu e all'Unione europea di "fare pressing sui Paesi confinanti con la Libia affinché chiudano i confini ai migranti irregolari e contribuiscano ad accelerare i rimpatri".munità internazionale e dell'Unione Europea sulla cattiva condotta di alcuni migranti" che potrebbe portare "in futuro gruppi armati a fingersi migranti e poi fare lo stesso atto di pirateria una volta soccorsi". Il tutto a ridosso "della stagione delle migrazioni illegali verso l'Europa". Le ong, si legge sul Libya Observer, "non dovrebbero intervenire in mare per indurre i migranti, in coordinamento con i trafficanti di esseri umani", a fare i viaggi della speranza. A Tripoli c'è, infatti, "grande preoccupazione" per "i ripetuti comportamenti criminali di migranti irregolari contro gli equipaggi delle navi di soccorso che dimostrano come il sistema search and rescue sia collassato nel Mediterraneo fornendo alle navi civili il pretesto per rifiutarsi di riportare i migranti in Libia". Da qui le richieste della Marina e dalla Guardia Costiera libiche all'Onu e all'Unione europea di "fare pressing sui Paesi confinanti con la Libia affinché chiudano i confini ai migranti irregolari e contribuiscano ad accelerare i rimpatri".  

La Sea Watch deve rispettare le nuove norme varata dall'Aja continua il Giornale che vietano alla nave dell'ong tedesca di battere bandiera olandese. E così scatta il blocco alla navigazione. La decisione è stata presa dal ministero delle Infrastrutture. "Ci sono gravi conseguenze per Sea Watch e per tutte le altre ong che operano navi battenti con la medesima bandiera. Si tratta di un intervento frettoloso che non lascia un periodo di transizione. Mostra la volontà del governo di impedire agli attori della società civile di svolgere le loro operazioni di soccorso", ha accusato la ong. La stessa sorte è toccata all'Aquarius. Dopo la revoca della bandiera da parte di Gibilterra, l'ong Sos Mediterranèe ha dovuto incassare pure il "no" per una nuova bandiera da parte di Ankara. Non cambia la musica se si guarda a Open Arms. La nave è ferma da tempo nel porto spagnolo di Barcellona e da circa due mesi non torna in mare.

A questo quadro va aggiunta anche la Mare Jonio di Mediterranea che di fatto adesso è nel porto di Marsala ma ha già annunciato una nuova missione nelle prossime settimane. Per il momento l'unica nave operativa e presente nel Mediterraneo è la Sea Eye che con la Alan Kurdi presidia le coste davanti la Libia. In Europa dunque si registra una stretta netta sulle autorizzazioni alla navigazione per le navi umanitarie. L'accogliente Spagna di Sanchez ha già tirato i remi in barca, l'Olanda l'ha seguita sullo stesso sentiero. L'Italia resta coi porti chiusi. 


Intanto nel'Udienza generale incentrata sul viaggio apostolico in Marocco, come riferisce il Giornale che si è appena concluso, papa Francesco ha messo in guardia "dalla cultura dell'aggettivo", senza sostanza. "Migrante è aggettivo, persona è sostantivo - ha osservato Bergoglio, in un intervento a braccio - noi siamo caduti nella cultura dell'aggettivo e dimentichiamo tante volte i sostantivi, la sostanza. L'aggettivo va attaccato a un sostantivo, persona migrante, così c'è rispetto". "La cultura dell'aggettivo - ha poi sottolineato il Pontefice - è troppo liquida, troppo gassosa".

Secondo papa Francesco, "servire la speranza, in un tempo come il nostro, significa anzitutto gettare ponti tra le civiltà". E per lui, in modo particolare è stata una gioia e un onore poterlo fare in Marocco, incontrando "il suo popolo e i suoi governanti". "Specialmente re Mohammed VI è stato fraterno, tanto amico, tanto vicino", ha concluso Bergoglio dopo aver ringraziato il Signore per avergli permesso di "fare un altro passo sulla strada del dialogo e dell'incontro con i fratelli e le sorelle musulmani". 

"Il mio pellegrinaggio ha seguito le orme di due Santi: Francesco d'Assisi e Giovanni Paolo II. Ottocento anni fa - ha infine sottolineato il Pontefice - Francesco portò il messaggio di pace e di fraternità al Sultano al-Malik al-Kamil. Nel 1985 Papa Wojtya compì la sua memorabile visita in Marocco, dopo aver ricevuto in Vaticano, primo tra i Capi di Stato musulmani, il Re Hassan II".  

"Non dobbiamo spaventarci della differenza". Durante l'Udienza generale sul suo viaggio apostolico in Marocco, Bergoglio ha anche spiegato come tutte le religioni guardino "il cielo e Dio". "Qualcuno può domandarsi: ma perché il Papa va dai musulmani e non solamente dai cattolici? Perché Dio permette tante religioni?", si è quindi interrogato il Santo Padre. 

Che poi ha ricordato ai fedeli: "Con i musulmani siamo discendenti dello stesso padre Abramo". "Dio ha voluto permettere questo, i teologi della scolastica dicevano la voluntas permissiva di Dio, ha voluto permettere questa realtà: tante religioni, ognuna nasce da una cultura, ma tutti guardano il cielo e Dio - ha continuato - siamo tutti fratelli e quel che Dio vuole è la fratellanza tra noi e in modo speciale in questo viaggio con i nostri fratelli figli di Abramo musulmani. Non dobbiamo spaventarci della differenza, Dio ha voluto questo, ma, sì, dobbiamo spaventarci se non facciamo lavoro di fratellanza e non andiamo insieme nella vita".

Le visioni sono contrapposte. L'Italia è convinta di essere stata abbandonata per anni da Bruxelles, lasciata sola a gestire una crisi migratoria senza precedenti. I numeri parlano chiaro: centinaia di migliaia di migranti si sono riversati sulle coste italiane, dopo la chiusura della tratta balcania (grazie ai soldi Ue). Per non parlare dei ricollocamenti, ancora fermi al palo. O della riforma del Trattato di Dublino che non trova una soluzione.

Cosi durante l'incontro odierno tra Jean Claude Juncker e Giuseppe Conte. Seduti attorno a un tavolo, i due parlano di economia, recessione mondiale e misure per la crescita. Ma anche di immigrazione. Ed è qui che la Commissione Europea ci tiene a rimarcare il fossato che divide Roma da Bruxelles. La politica dei porti chiusi non entusiasma l'Ue, l'addio alla missione navale di Sophia ha lasciato il segno e le continue critiche italiane sulla gestione della politica migratoria continuano a tenere alta la fiamma delle polemiche.  

E mentre la Ue "mente ufficialmente" che aiuta l Italia sulla questione immigrazione Un ragazzo che passeggia per le strade di Torino muore dopo essere stato sgozzato da un marocchino con cittadinanza italiana. Ma a rendere il tutto più doloroso, soprattutto per i familiari di Stefano, sono le parole con cui Said ha spiegato il suo gesto e la furia omicida: "Volevo uccidere un bianco, giovane e italiano. Avrebbe fatto scalpore. Ha comprato un coltello, poi è andato ai Murazzi del Po a Torino e ha osservato i passanti in attesa dell'uomo giusto". Il suo racconto poi si fa ancora più agghiacciante: "Mi bastava che fosse italiano, uno giovane, più o meno della mia età, che conoscono tutti quelli con cui va a scuola, si preoccupano tutti i genitori e così via. Non avrebbe fatto altrettanto scalpore. L’ho guardato ed ero sicuro che fosse italiano. Volevo ammazzare un ragazzo come me, togliergli tutte le promesse che aveva, dei figli, toglierlo ai suoi amici e parenti". Insomma Said Mechaquat cercava un "italiano".

Ha trovato Stefano che sorrideva e che per un assurdo motivo è finito sotto la furia omicida del marocchino. Proprio quella ricerca di "un uomo italiano" potrebbe far scattare l'aggravante di discriminazione razziale. A chiederlo Edmondo Cirielli, questore della Camera e parlamentare di Fratelli d'Italia: "L'assassino di Stefano Leo confessa che voleva uccidere 'un italiano'. Ha agito, dunque, per finalità di discriminazione razziale. Mi sembra strano che la procura di Torino non abbia ancora contestato all'assassino l'aggravante". Poi l'esponente di Fratelli d'Italia punta il dito contro una parte di quella sinistra che ha preferito restare in silenzio davanti ad un ragazzo italiano trucidato con una coltellata alla gola: "Appare ancora più imbarazzante- prosegue Cirielli- davanti a un omicidio crudele, spinto dall'odio verso gli italiani, il silenzio dei paladini dell'integrazione, Nicola Zingaretti e Laura Boldrini. E soprattutto mi aspetterei parole forti anche da parte del presidente della Repubblica Sergio Mattarella per condannare questo omicidio razzista".

Intanto di fronte ai tanti fallimenti dell'Ue e agli sforzi messi in campo dal Belpaese in questi anni, la Commissione sostiene che "l'Ue non è stata assente". Lo dice proprio Juncker, senza giri di parole. "Non bisogna dire che l'Ue è stata assente quando si è trattato di dare solidarietà - assicura al termine dell'incontro con Conte - L'Italia ha ricevuto un miliardo". Già, peccato che i contribuenti ne abbiano spesi 4,3 miliardi solo nel 2017 e per il 2018 erano stati messi a bilancio tra 4,6 e 5 miliardi. "La questione migratoria è importante - insiste Juncker - e ribadisco che bisognerà attuare una solidarietà più articolata". A parole ricorda che "l'Italia porta un grande fardello", ma la solidarietà europea c'è stata davvero?

Conte non la pensa così. "Ho ribadito al presidente Juncker che è improcrastinabile una rapida attuazione delle conclusioni del consiglio europeo di giugno - dice in conferenza stampa - Non è ammissibile continuare a operare senza considerare che chi sbarca in Italia, in Spagna o in Grecia sbarca in Europa". Ed è proprio sulla "condivisione della responsabilità" che Bruxelles e Roma sono ancora distanti. se questa non cambia, "il coordinamento delle guardie costiere non serve" e "rischia di diventare un fattore di attrazione". Per Conte "serve un meccanismo di redistribuzione, i miliardi vanno spesi per una politica seria".

Intanto è dal fronte libico che arrivano le migliori notizie per il governo italiano. Il portavoce della Guardia costiera libica, Ayoub Qasem, rivendica infatti di aver "ridotto insieme alla marina libica del 90 per cento le partenze dei migranti nel Mediterraneo". Qasem spiega che "la decisione di sospendere l'operazione Sophia indica la validità del lavoro da noi condotto anche se la marina libica e l'Unione europea non sempre hanno lo stesso punto di vista sul fenomeno dell'immigrazione illegale".

Secondo " i occhi allla guerra " è evidente che Palazzo Chigi dovrà dare una risposta agli Americani riguardo i accordi con la Cina. Perché quello posto da Washington non è un problema di poco conto. Ieri l’ambasciatore è stato netto: “Gli Usa non possono condividere informazioni con Paesi che adottano tecnologie cinesi, ci saranno implicazioni a lungo termine, siamo seriamente preoccupati per le conseguenze sull’interoperabilità Nato. Tutti vogliamo fare affari con la Cina, ma ci sono minacce informatiche”. L’irritazione americana è evidente. E nessuno Oltreoceano lo sta nascondendo. Prima era stato Garrett Marquis dalle colonne del Financial Times. Poi erano arrivati i tweet del National Security Council. Infine, in ordine sono arrivate le dichiarazioni di Mike Pompeo e di nuovo quelle di Marquis. Insomma, tutto l’establishment Usa ha pesantemente condannato la decisione del governo italiano.

Ieri, l’ambasciatore Usa in Italia, Lewis M. Eisenberg, è stato chiarissimo. Prima ha parlato del rammarico americano per la scelta di Luigi Di Maio di recarsi in Cina prima di andare negli Stati Uniti, poi ha ricordato che Washington è estremamente dispiaciuta per quanto avvenuto durante la visita di Xi Jinping a Roma e Palermo. Perché gli Stati Uniti non volevano che venissero firmati quegli accordi. E Eisenberg, pur ammettendo che tutti vogliono fare affari con la Cina, ha ribadito la necessità di escludere determinate aree strategiche dai patti con Pechino. In primis il 5G.

Le parole di Eisenberg risuonano limpide. Non accenna a cambi di rotta da parte degli Stati Uniti. Segno che questo accordo con Pechino non sia affatto stato rimosso dai pensieri americani. Anzi, è molto probabile che il governo statunitense continui a battere su questo tasto e chiedere garanzie a tutti i partiti di governo e anche dell’opposizione. Tanto è vero che dopo essersi augurato un Di Maio “illuminato” dopo il viaggio in America, ha incontrato in queste ore anche Nicola Zingaretti, neo segretario del Partito democratico. Così, dopo aver confermato i rapporti con la Lega e gli altri partiti di centrodestra, ha voluto ribadire la volontà di Washington di blindare l’asse con Roma coinvolgendo tutti i partiti presenti in parlamento.

 

 

 

L'ha ucciso perché era troppo felice. Per questo ha scelto Stefano Leo, il ragazzo di 34 anni sgozzato sulle rive del Po lo scorso 23 febbraio.«Volevo ammazzare un ragazzo come me, toglierli tutte le promesse che aveva, dei figli, toglierlo ai suoi amici e parenti». È la terribile confessione di Said Machaouat, il 27enne che ieri si è consegnato ai carabinieri. Il giovane ha origini marocchine e cittadinanza italiana.

Originario di Biella, una laurea in Giurisprudenza, Leo viveva dallo scorso novembre a Torino. Dopo un lungo periodo trascorso all'estero, tra Cina, Giappone e Australia, era commesso in un negozio d'abbigliamento del centro. Sempre puntuale, sempre preciso, tutte le mattine per recarsi al lavoro faceva una passeggiata in lungo Po Macchiavelli. L'ha fatta anche quella mattina del 23 febbraio, un sabato, ignaro che stava andando incontro al suo assassino. Un uomo, rimasto sconosciuto fino ad oggi, che lo ha ucciso senza un apparente motivo con una coltellata alla gola.

«Siamo ancora increduli. Quello che è accaduto a Stefano non deve più succedere a nessuno», dicevano ancora ieri i suoi amici, un centinaio di palloncini rossi liberati in cielo, dal luogo del delitto, per chiedere «verità e giustizia». Era presente anche la sindaca, Chiara Appendino, per manifestare la vicinanza della Città alla famiglia Leo. Che ora attende di conoscere gli ultimi sviluppi dell'inchiesta, nella speranza che sapere chi ha ucciso Stefano porti loro un po' di pace.

Ha spiegato che da tempo, a causa delle sue vicissitudini, non riusciva a uscire dalla depressione e dalla sofferenza. «La cosa peggiore - avrebbe detto a proposito del suo passato - è sapere che il mio bimbo di quattro anni chiama papà l'amico della mia ex compagna». Per diversi giorni gli inquirenti hanno temuto che dietro quel profondo taglio alla gola potesse esserci un serial killer. Poi l'esito delle indagini ha dato un esito ancora più sorprendente: Stefano è morto perché si è trovato al posto sbagliato nel momento sbagliato finendo preda della follia di un marocchino di 27 anni. Proprio il killer del ragazzo si è presentato in Questura. Said Mechaout, 27 anni, marocchino con cittadinanza italiana, ha spiegato i motivi del suo gesto: "Sono io l’assassino di Stefano Leo. Sono venuto qui per costituirmi. Mi sentivo braccato dai carabinieri. Non volevo commettere altri guai. Ho scelto, tra tutte le persone che passavano, di uccidere questo giovane perché si presentava con un’aria felice. E io ho scelto di uccidere la sua felicità".

Una frase questa che lascia nel totale sconforto i familiari del ragazzo che ha visto finire la sua vita mentre passeggiava nella zona dei Murazzi, nel capoluogo piemontese. L'assassino, subito dopo la sua confessione, è stato trasferito alla Squadra Mobilie. Qui ha confermato la sua confessione aggiungendo particolari terribili al suo racconto: "L’ho visto, mi ha guardato e ho pensato che dovesse soffrire come sto facendo io. L’ho sgozzato con il mio coltello, venite e ve lo faccio trovare". Dopo queste parole ha accompagnato gli inquirenti. La lama si trovava dentro una cabina elettrica in Piazza d'Armi. Poi Said ha aggiunto: "Ero sposato ma mia moglie mi ha lasciato — ha detto agli inquirenti —. La mia vita fa schifo, va tutto male, ho anche litigato con gli assistenti sociali". Alla famiglia di Stefano non resta che il dolore. Il padre si abbandona allo strazio di chi non trova risposte per la morte del figlio: "Se è lui, adesso voglio sapere perché lo ha fatto. Non capire mi uccide. Ciò che ci logora è non avere ancora risposte chiare su Stefano". «Il movente che ci viene raccontato fa venire freddo alla schiena», dice il procuratore vicario di Torino Paolo Borgna dopo il fermo di Said Machaouat. I carabinieri del Comando provinciale di Torino, coordinati dai sostituti procuratori Ciro Santoriello e Enzo Bucarelli, hanno già trovato i primi riscontri alla confessione.

Intanto Ieri, durante la visita in Marocco, Bergoglio ha ribadito che "il fenomeno migratorio non si risolve con i muri" e ha puntato il dito contro la Spagna che proprio in Marocco "ha costruito due barriere con lame per ferire chi le vuole superare". Quindi, se l'è immancabilmente presa con Donald Trump rinfacciandogli di voler "chiudere completamente le frontiere". "Ho visto - racconta il Pontefice al Corriere della Sera - un pezzo di quella barriera, il filo spinato con i coltelli. Sono rimasto commosso e poi ho pianto, perché non entra nella mia testa e nel mio cuore tanta crudeltà. Non entra nella mia testa e nel mio cuore vedere affogare persone nel Mediterraneo, mettiamo un ponte ai porti. Questo non è il modo di risolvere il grave problema dell'immigrazione". Il Papa ammette che l'emergenza degli sbarchi e dell'immigrazione clandestina è una "patata bollente" per ogni governo che si ritrova a doverla risolverla. Ma comunque non perde l'occasione per attaccare e condannare chi "non lascia entrare" gli stranieri o "li lascia affogare" in mare o "li manda via sapendo che tanti di loro cadranno nelle mani di questi trafficanti che venderanno le donne e i bambini, uccideranno o tortureranno per fare schiavi gli uomini".

Per papa Francesco l'Europa sta diventando come "un bastone contro i migranti". E se la prende con gli elettori, per la maggior parte cristiani cattolici, mentre loda la "gente di buona volontà" che a suo dire è "un po' presa dalla paura" a causa della "predica usuale dei populismi". 

"Si semina paura e poi si prendono delle decisioni - continua Bergoglio nell'intervista al Corriere della Sera - la paura è l'inizio delle dittature. Dopo la caduta della Repubblica di Weimar, con promesse e paure è andato avanti Adolf Hitler e conosciamo il risultato. Impariamo dalla storia, questo non è nuovo". Quindi, sostenendo che "l'Europa è stata fatta da migrazioni" e che questa "è la sua ricchezza", invita i fedeli ad aprirsi a quelle "persone che migrano per la guerra o per la fame". "Ma se l'Europa, così generosa, vende le armi allo Yemen per ammazzare dei bambini, come fa l'Europa a essere coerente?"

Io di politica italiana non capisco - frena subito il Pontefice - non so cosa sia, davvero. Ho letto la lettera del cardinale Pietro Parolin (nella quale ha spiegato agli organizzatori perchè non sarebbe andato) e sono d'accordo, una lettera pastorale, di buona educazione". 

Ma poi, come riporta il Corriere della Sera, eccolo tornare a picchiar duro sull'immigrazione. E, invitando i Paesi europei a non "laciare affogare i migranti in mare", attacca quei governi, come l'Italia, che hanno chiuso le frontiere ai barconi: "Abbiamo visto che è più bello seminare la speranza, che ci vogliono dei ponti, e sentiamo dolore quando vediamo le persone che preferiscono costruire dei muri, perchè coloro che costruiscono i muri finiranno prigionieri dei muri che hanno costruito".

Proprio questa mattina, il vicepremier Salvini aveva ricordato le campagne a favore di migranti e accoglienza perpetrate negli anni scorsi dalla stessa Boldrini. 

E lo ha fatto ripubblicando un video della scorsa settimana quando, ospite di Giovanni Floris a Di Martedì, aveva ribadito che "l'immig sta diventando un problema perché svia dai veri problemi". "A lei andava bene l'invasione clandestina incontrollata...Non è un pesce d'aprile!", ha chiosato Salvini.  

"Vi insegna lei la libertà", aveva scritto il ministro dell'Interno, "Queste presunte 'femministe' parlano tanto di diritti, guarda caso dimenticando sempre il vero pericolo, l’estremismo islamico, quello per il quale la donna vale meno di zero. Secondo voi perché  ?".

Ma l'ex presidente della Camera non ci sta e rivendica la sua presenza in quella piazza. "Eravamo lì a difendere dei diritti", ha detto a Radio Cusano Campus, "Allo stesso tempo dall'altra parte c'era questo congresso dove invece si cercava di sottrarre a qualcuno diritti sanciti dopo decenni di battaglie, come la legge sulle unioni civili. Il fatto che dei ministri siano andati lì penso che sia inopportuno e anche preoccupante. 

Se il ministro Salvini dice che questi diritti non si toccano allora forse ha sbagliato manifestazione. Che si riuniscano queste persone va bene, però sia chiaro che nel nostro Paese non c'è alcun attacco alla famiglia tradizionale. Non ho mai sentito che nel nostro Paese una famiglia in giro per strada sia stata oggetto di violenza, cosa che invece purtroppo accade con gli omosessuali. 

Ieri i fan di Verona gridavano per strada: Salvini uno di noi...

Pubblicità laterale

  1. Più visti
  2. Rilevanti
  3. Commenti

Per favorire una maggiore navigabilità del sito si fa uso di cookie, anche di terze parti. Scrollando, cliccando e navigando il sito si accettano tali cookie. LEGGI