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Grazie agli scatti dei 30 fotografi in mostra, provenienti da dieci paesi diversi – compresi alcuni corrispondenti italiani delle tre principali agenzie rappresentate nella Stampa Estera, Reuters, AP e AFP – il visitatore può tornare al periodo compreso tra marzo e giugno per rivivere gli istanti fondamentali che hanno accompagnato il lockdown: dalle prime drammatiche chiusure, al crescente stato di sofferenza del paese; dalla resistenza composta dell’intera comunità, alla lenta ripresa delle attività. Un viaggio fotografico dedito alla documentazione storica e che, al contempo, vuole rendere omaggio al coraggio e alla resilienza dimostrata dagli Italiani nei giorni più difficili della pandemia, nonché ai professionisti del mondo dell’informazione che sono andati in prima linea per documentarla, anche a proprio rischio e pericolo.  

“La mostra promossa dall’Associazione della Stampa Estera in Italia, e che Roma Capitale affianca e sostiene, propone un percorso fotografico dal forte impatto emotivo relativo ai mesi del lockdown. I fotografi protagonisti di questa esposizione sono stati al tempo stesso corrispondenti delle diverse testate internazionali, ma anche cittadini che hanno compreso e condiviso con gli italiani i sentimenti di dolore e angoscia e la difficoltà che si stava vivendo. Le foto, oltre a documentare una pagina della nostra storia attraverso l'immediata forza comunicativa delle immagini, saranno un contributo prezioso per custodire la memoria di una tragedia che ha sconvolto la nostra esistenza” afferma la Sindaca di Roma Virginia Raggi.  

Cosi prende il via domani, 8 ottobre 2020, nelle Sale terrene del Palazzo dei Conservatori, la mostra fotografica "LOCKDOWN ITALIA visto dalla Stampa Estera" a cura dell’Associazione della Stampa Estera in Italia.

La mostra è un tributo a un Paese duramente colpito ma che ha dato l'esempio al resto del mondo: un viaggio per immagini che cattura non solo la situazione drammatica negli ospedali e nelle zone rosse, ma anche la sua resilienza, le città deserte, la solidarietà, la vita sui balconi e la lenta ripresa verso quella che è diventata la nuova normalità. 

“Con coraggio e lucidità i fotografi della stampa estera hanno documentato il versante italiano di una tragedia globale”, continua la Sovrintendente Capitolina Maria Vittoria Marini Clarelli – “E' giusto che queste immagini già divenute storiche siano esposte ai Musei Capitolini”.

“A marzo l’Italia è balzata in cima alle aperture dei telegiornali e sulle prime pagine dei media internazionali”, ricorda Trisha Thomas, la Presidente dell’Associazione della Stampa Estera in Italia. “Noi corrispondenti della Stampa Estera abbiamo raccontato come gli Italiani hanno affrontato questa crisi senza precedenti con coraggio, disciplina e solidarietà. Queste immagini testimoniano e rendono omaggio a un Paese che con i suoi sforzi ha dato l'esempio al resto del mondo.”  

L’esposizione, in programma fino al 1° novembre 2020, ha il patrocinio del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo. È promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale - Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e organizzata dall’Associazione della Stampa Estera in Italia. Servizi museali Zètema Progetto Cultura. Principal Sponsor: Intesa Sanpaolo. Main Sponsor: Acea, CNH Industrial, ENEL, TERNA. Top Sponsor: De Cecco, Tod’s. La mostra fa parte di Romarama, il programma di eventi culturali di Roma Capitale.

L’accesso alla Mostra sarà consentito ai detentori del biglietto di ingresso ai Musei Capitolini e  ai possessori della MIC card, secondo la corrente tariffazione.

La mostra si snoda lungo un percorso espositivo di più di settanta foto che si propone come un itinerario temporale ed emotivo attraverso le diverse fasi della pandemia. Si inizia da una prima parte in cui emerge con forza la drammaticità del momento storico nelle immagini delle terapie intensive, delle bare all’interno delle chiese, dei volti sofferenti degli infermieri e dei medici in prima linea. Si passa successivamente ai silenzi assordanti delle strade e delle piazze del Paese, per proseguire poi con la sofferenza dei degenti e dei familiari delle vittime. Nella seconda parte del percorso si torna a vedere la “luce” della rinascita con le immagini di una popolazione che reagisce. Inizialmente con i canti dai balconi e dai terrazzi o con le riaperture dei pochi esercizi commerciali autorizzati a lavorare e poi con il ritorno graduale alla normalità, seppur condizionata da regole nuove – mascherine, misurazione della temperatura, distanziamento sociale – che abbiamo imparato a conoscere e rispettare.

La mostra si chiude, infine, con una sezione dedicata al lavoro dei reporter in tempo di pandemia. Un collage di foto che mostra come i corrispondenti della stampa si siano dovuti adattare alle nuove condizioni di lavoro imposte dal lockdown attraverso dirette casalinghe, reportage con mascherina in città deserte, conferenze stampa e interviste online. La stessa Associazione della Stampa Estera in Italia ne ha dato dimostrazione trasferendo molte delle proprie attività sul web, creando una sede virtuale che ha prodotto, nei tre mesi di lockdown, più di 80 incontri non solo dedicati al tema pandemico – avendo come ospiti medici, virologi, pazienti, economisti, politici, psicologi, intellettuali, imprenditori e innovatori – ma dando spazio anche alle tematiche dell'agroalimentare e del mondo del cinema.

 

 

Il Comitato internazionale della Croce rossa ha deciso di denunciare la direzione intrapresa dal conflitto tra Armenia e Azerbaigian, non lo ha fatto sicuramente a cuor leggero. Nella guerra intrapresa dall'Azerbaijan, secondo riforma, il ruolo di Ankara si va sempre più definendo. In particolare con la fornitura di migliaia di mercenari e jihadisti provenienti dalla Siria (e forse anche dalla Libia) per combattere a fianco degli azeri contro gli armeni. Un destino, quello della cittadina al confine turco-armeno di Kars, analogo a quello delle città frontaliere di Ceylanpinar e di Reyhanli nel conflitto siriano. Ugualmente utilizzate per smistare le milizie islamo-fasciste.


Per il giornalista curdo Mustafa Mamay scrive riforma, non ci sarebbe quindi da stupirsi se «da ora in poi vedremo i salafiti passeggiare per le vie di Kars».
D'altra parte era quasi scontato che Erdogan intervenisse a gamba tesa nella questione del Nagorno-Karabakh ai primi segnali di ripresa del conflitto.

Mettendo a disposizione di Baku, oltre ai già citati mercenari e terroristi, aerei F-16, droni Bayraktar TB-2, veicoli e consiglieri militari.I combattimenti sono in corso ormai da più di una settimana, ma nelle ultime 48 ore i bombardamenti hanno colpito quartieri residenziali in entrambi i paesi, anche al di fuori delle zone contese. Colpi di artiglieria pesante e razzi hanno raggiunto la capitale del Nagorno Karabakh, Stepanakert, e le città azere di Ganja e Mingachevir.

Secondo il Cicr scrive - Pierre Haski - al Internazionale,  si contano già decine di morti e feriti tra i civili, con centinaia di scuole, ospedali e abitazioni distrutte. Questi fatti, secondo il comitato, rischiano di violare il diritto internazionale umanitario che vieta gli attacchi indiscriminati e sproporzionati. La Francia, gli Stati Uniti e la Russia, i tre paesi che costituiscono il gruppo di Minsk incaricato di organizzare una missione nella regione, hanno condannato la piega presa dalle ostilità nella giornata del 5 ottobre.


E stato probabilmente l'Azerbaigian secondo Haski,a dare il via alla nuova fase di ostilità con la vicina Armenia. Il che non significa che sia tutta colpa di Baku.
Gli scontri secondo Haski, cominciati domenica 27 settembre sono i più gravi dal cessate il fuoco del 1994: ci sono elicotteri abbattuti, carri armati distrutti e decine di morti. La cosa potrebbe andare per le lunghe – la guerra combattuta tra il 1992 e il 1994 provocò trentamila vittime e un milione di profughi – o potrebbe concludersi in pochi giorni. Ma non risolverà niente.

Nel Caucaso i paesi confinanti possono essere estremamente diversi: l’Azerbaigian è un paese musulmano sciita e parla quello che è in realtà un dialetto orientale del turco, mentre l’Armenia è cristiano-ortodossa e parla una lingua che non ha parenti noti nella famiglia indoeuropea. Ma i due paesi condividono una lunga storia d’oppressione.  

Secondo Sputnik Italia la situazione nella regione contesa del Caucaso meridionale è peggiorata domenica scorsa, dopo che Armenia e Azerbaigian hanno dato vita a reciproci scontri a fuoco e provocazioni militari lungo la linea di contatto. L'escalation ha spinto entrambi i Paesi a introdurre la legge marziale e la mobilitazione.

Il conflitto nella regione è iniziato nel febbraio del 1988, quando la Regione Autonoma del Nagorno-Karabakh a maggioranza armena proclamò l'indipendenza dalla Repubblica Socialista Sovietica dell'Azerbaigian. Nell'area è scoppiato un conflitto armato tra il 1992 al 1994, da allora sono stati avviati negoziati per la normalizzazione del conflitto con la mediazione del gruppo di Minsk dell'OSCE, guidato da Russia, Stati Uniti e Francia.

La Autoproclamata Repubblica, che formalmente fa parte dell'Azerbaigian, ha cercato il riconoscimento internazionale, con il premier armeno Nikol Pashinyan che ha proseguito i tentativi alla luce delle crescenti tensioni nell'area contesa.Quando la Russia post sovietica ha mediato per un cessate il fuoco tra le due parti in causa, ormai esauste, l’Armenia è riuscita a mantenere non solo il Nagorno Karabakh, ma anche un’ampia porzione di territorio (ormai svuotato dagli azeri) che collegava quest’ultimo con l’Armenia vera e propria. Ed è precisamente lì che il confine – o più precisamente la linea del cessate il fuoco – è rimasto fino a oggi.

Entrambi avevano trascorso quasi un secolo sotto l'impero della Russia zarista, ritrovando brevemente l’indipendenza durante la rivoluzione, per poi passare altri settant’anni nell’Unione Sovietica. Quando entrambi hanno recuperato nuovamente l’indipendenza nel 1991, tuttavia, si sono dichiarati quasi immediatamente guerra.

La colpa è di Iosif Stalin. Quando era commissario per le nazionalità, tra il 1918 e il 1922, disegnò i confini di tutte le nuove “repubbliche sovietiche” non russe nel Caucaso e in Asia Centrale secondo il classico principio del divide et impera. Ogni “repubblica” includeva minoranze etniche delle repubbliche vicine, per minimizzare il rischio che sviluppassero una vera identità nazionale.

All’Azerbaigian Stalin attribuì la provincia del Nagorno Karabakh anche se la popolazione di quell'area era per quattro quinti armena. Quando l’Unione Sovietica cominciò a sgretolarsi, settant'anni dopo, le minoranze locali di entrambi i paesi cominciarono a fuggire verso le zone dov’erano in maggioranza per mettersi al sicuro, anche prima che scoppiasse la guerra.

La guerra vera e propria è andata avanti dal 1992 al 1994, ed è stata un conflitto brutale con pulizie etniche: seicentomila azeri e trecentomila armeni sono fuggiti dalle loro case. Sulla carta, l’Armenia avrebbe dovuto perdere, perché ha una popolazione di soli tre milioni di persone rispetto ai nove milioni di quella dell’Azerbaigian, ma in realtà ha vinto la maggior parte delle battagli

Nel conflitto tra l’Azerbaijan e il Nagorno-Karabakh secondo Startmag , Baku è stata incoraggiata a scatenare le attuali ostilità dal suo alleato turco, che fornisce un considerevole supporto militare alle sue operazioni offensive.

Infatti, da quando Erdogan è salito alla presidenza (2014), la Turchia ha cercato di riallacciarsi alla sua “grandezza perduta” e al suo passato ottomano. La reislamizzazione, il nazionalismo e il pan-Turkismo sono stati quindi ampiamente incoraggiati da Erdogan, che ha intrapreso — come più volte abbiamo sottolineato su queste pagine di starmag— una politica di proiezione di potenza in Siria, in Libia e dal 2020 nel Mediterraneo orientale, contro Grecia e Cipro.

Dunque non è un caso che in un contesto di elevata conflittualità, allo stato attuale la Turchia sia l'unica nazione a non chiedere un cessate il fuoco tra i belligeranti ma al contrario sottolinei l’assoluta necessità di sostenere l’Azerbaijan, che incoraggia a riprendersi “le sue terre occupate”. Proprio Yunus Kilic, membro del Partito per la giustizia e lo sviluppo (AKP), ha detto pochi giorni fa che i recenti attacchi dell'Armenia non stanno solo prendendo di mira l’Azerbaijan ma il mondo turco nel suo insieme.

Agendo secondo una linea di politica estera espansionistica spregiudicata il governo turco non ha esitato a mobilitare — contemporaneamente all’invio di caccia, consiglieri militari e membri della sua compagnia militare privata (SADAT) — diverse centinaia jihadisti radicali che aveva precedentemente impiegato contro il regime di Bashar El-Assad in Siria e in Libia e contro le forze del maresciallo Haftar.

Così, Erdogan secondo startmag,ancora una volta, strumentalizza i jihadisti a proprio vantaggio, trasformando il confronto politico-militare in una guerra religiosa. Questi combattenti islamisti sono arrivati dalla Libia, trasportati su aerei di linea turchi, nonostante le smentite di Ankara e Baku. Il loro trasferimento è iniziato prima della metà di settembre, confermando che l’Arzerbaijan stava preparando un’operazione militare contro il Nagorno-Karabakh da diverse settimane. Per il momento, il loro numero è stimato tra alcune centinaia e mille. Di estrema rilevanza, infine, l’uso da parte turca di droni e F-16.

Il parlamentare Librandi, ospite di Paolo Del Debbio a Dritto e Rovescio lo scorso venerdì sera, ha attaccato la leghista Silvia Sardone. E lo ha fatto con frasi che se fossero state pronunciate da un esponente della destra avrebbero scatenato i benpensanti nostrani. Ma visto che l'obiettivo era una donna del partito di Salvini non si sono alzate voci di condanna. O almeno non ancora.

Nel corso della puntata si parlava di immigrazione. Come riferisce il giornale, ad un tratto il buon Librandi ha esclamato: "Il futuro dell'Italia è l'Africa e tu cara Sardone andrai a pulire i bagni degli africani perché saranno più ricchi di noi". Neanche le femministe sono scese in campo in segno di solidarietà alla Sardone.

Sui social, scrive Gabriele Laganà, al Giornale, invece, molti i commenti contro Librandi che fa parte di un partito che si dichiara moderato. "Tu in futuro andrai a pulire i bagni agli africani. Ditemi che è una frase decontestualizzata che non ho tempo di sentire cosa dica Librandi. Femministe mute? Eh già. La Sardone è leghista", ha commentato una utente. Un'altra persona ha notato la reazione dell'altra ospite, Karima Moual, giornalista di origini marocchine "Librandi maleducato e violento. Dice alla Sardone che presto pulirà i gabinetti agli africani solo per umiliarla, suscitando l'ilarità di quell'altra maleducata di Karima".

Ci sono insulti ed insulti. Se riversi parole pesanti contro un esponente della Lega allora non devi temere che buonisti e radical-chic si infervorano. Neanche se oggetto degli improperi è una donna, sottolinea il Giornale, forse è su questo che contava il deputato di Italia viva, il partito di Matteo Renzi uscito piuttosto malconcio dalle recenti elezioni Regionali, Gianfranco Librandi.

Ma Librandi scrive il Giornale, è andato oltre. Il deputato ha negato che ci sia un'emergenza immigrati da affrontare ed ha scaricato la colpa della situazione attuale sul leader leghista: "Il problema non c'è, lo ha creato Salvini". Dalle parole di Librandi pare di capire che il continuo flusso di clandestini sulle nostre coste sia da attribuire alla Lega e, perché no, ai sovranisti in generale. Forse il deputato una visita a Lampedusa la dovrebbe fare. Potrebbe così aprire gli occhi su una realtà che sembra non conoscere bene.

Intanto Silvia Sardone e stata investita dall'odio: "Putt... schifosa, muori bruciata". Il suo no alla moschea di Milano scatena gli islamici.
Gli screenshot, che ilGiornale. può pubblicare integralmente in esclusiva, mostrano la ferocia degli insulti diretti all’europarlamentare del Carroccio. “Forse non hai capito”, avverte con fare minaccioso il misterioso utente che si fa chiamare Otman. C’è chi le augura di “morire bruciata” e chi le promette che presto “noi stranieri ti entriamo in casa e ti stupriamo”. I vari messaggi sono stati recapitati nelle chat private dei profili social della Sardone. “Questi insulti, moltissimi dei quali provenienti da profili di stranieri - dice lei - evidenziano, una volta di più, che c’è un odio latente verso coloro che osano chiedere regole, controlli, sicurezza in merito al tema delle moschee”.

Continuerò scrive il Giornale, la dichiarazione del esponente della Lega, a stare al fianco dei cittadini che chiedono la chiusura delle moschee abusive, dopo aver ascoltato per anni le promesse del Sindaco Sala ed essere poi rimasti delusi”. Ed è proprio all'amministrazione comunale, colpevole di “un lassismo clamoroso nell’affrontare la gestione dei centri di preghiera islamici”, che la Sardone chiede di intervenire per sanare “abusi di tutti i tipi”. “Noi chiediamo un atteggiamento pragmatico e di non andare contro la volontà dei cittadini fortemente contrari a questa scelta e del Consiglio Comunale che già si era espresso opponendosi alla moschea in via Novara - conclude - Ribadisco che le minacce di questi frustrati non mi fermeranno, la nostra battaglia a testa alta al fianco dei milanesi che dicono no alla moschea continuerà”.

Intanto alla conferenza stampa di Matteo Salvini che ha seguito l'udienza preliminare aggiornata al 20 novembre dal Gup sul caso Gregoretti. Ovvia la soddisfazione del leader della Lega, la sua linea difensiva sembra essere stata accolta: sono stati chiamati a testimoniare, tra gli altri, anche Giuseppe Conte e Danilo Toninelli. E il leader della Lega commenta: "Era la mia prima volta in tribunale da potenziale colpevole e imputato, sono soddisfatto di aver sentito finalmente da un giudice che quel che si è fatto non si è fatto da soli", ha concluso il leghista.

La Procura intanto ha nuovamente richiesto, come aveva fatto nella prima fase del procedimento, l'archiviazione di Matteo Salvini dall'accusa di sequestro di persona per la gestione dello sbarco di 131 migranti dalla nave Gregoretti. In aula, per l'accusa, è presente il sostituto procuratore Andreas Bonomo. L'udienza davanti al gup Nunzio Sarpietro sta proseguendo con l'intervento dell'avvocato Giulia Bongiorno per la difesa. Come riferiscono fonti della Lega, la difesa di Matteo Salvini ha chiesto il non luogo a procedere perché il fatto non sussiste sul caso Gregoretti e un'eventuale audizione dell'attuale ministro dell'Interno Luciana Lamorgese. La richiesta di audizione del ministro è stata avanzata per sollecitare un approfondimento probatorio da parte del giudice per accertare se le procedure di sbarco indicate nel capo di imputazione sono le stesse seguite tuttora dal governo Conte.

Sorpasso nei sondaggi per Fratelli d'Italia sul Movimento 5 Stelle: il partito di Giorgia Meloni guadagna il terzo posto dopo le elezioni regionali e il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari. I dati sono quelli della rilevazione effettuata da Index Research per Piazza Pulita, trasmissione di La7. Cambia poco in testa, con la Lega che è al 24% ma vede avvicinarsi il Pd, ora al 20,5%. La novità più importante arriva al terzo posto, con Fratelli d'Italia che raggiunge il 16,2% e scavalca il Movimento 5 Stelle, fermo al 16%. Più indietro troviamo Forza Italia al 6,1% e la Sinistra al 3,5%. Altro sorpasso è quello di Azione ai danni di Italia Viva: il partito di Carlo Calenda si attesta al 3,1%, quello di Matteo Renzi al 3%. I Verdi sono a 2%, così come +Europa, mentre Cambiamo di Giovanni Toti non va oltre l’1,4%  

Giorgia Meloni secondo Antonio Polito al Corriere della Sera, esiste sfida mai dichiarata ma nei fatti con Salvini, l'accreditamento internazionale ha un peso cruciale.  Unica a guidare un partito europeo, quello dei Conservatori, dove c'erano i Tories inglesi e dove oggi c’è il Likud israeliano e il partito al governo in Polonia. Questo le dà una collocazione internazionale più credibile di Salvini: pur restando infatti «contro» questa Unione Europea, lei non ne è più «fuori», come chi a Bruxelles è alleato della Le Pen. E neanche tanto “contro”, poi, se si considera che il partito gemello polacco ha votato per la Von der Leyen.  

Secondo Polito sono due anni che lei si muove per guadagnarselo, attraverso una rete sempre più fitta di relazioni tessute in Europa sia da Fitto sia da Carlo Fidanza, capo delegazione di FdI, e in America da più contatti diretti che hanno portato a due visite con incontro informale con Trump, una nel 2019 al Cpac (convegno annuale degli attivisti conservatori) e l'altra lo scorso febbraio a Washington al National Prayer and Breakfast, ristretto circolo della destra Usa. Di converso, la manifestazione del partito — la festa di Atreju — si è sempre più aperta ad ospiti internazionali.

Con Salvini coltiva rapporti di lealtà scrive corriere della sera, ci tiene alla coerenza. Sarà a Catania per solidarizzare con lui, imputato per il caso Gregoretti. Non sempre Salvini ha ricambiato. Giorgia Meloni non lo dice, ma il leader della Lega aprì la crisi di governo nell'agosto del 2019 mentre lei era in volo, in vacanza, per andare a nuotare con gli squali balena in Messico. Non le aveva detto niente.  

Ho avuto il grande onore di essere stata eletta Presidente di ECR, il partito dei conservatori europei che raggruppa più di 40 partiti europei e occidentali dice Giorgia Meloni alla Gazzetta Tricolore.

Ringrazio la famiglia dei conservatori per la grande fiducia che mi è stata data. Continueremo insieme a lavorare e a batterci per un'Europa confederale di Stati Liberi e Sovrani. Fratelli d’Italia è sempre più protagonista nel quadro politico internazionale: contro lo strapotere dei tecnocrati e dei burocrati, per costruire un’Europa che sappia difendere la sua identità e quella delle Nazioni che la compongono. Un’Europa di Patrioti.
 
Vi ringrazio continua , di cuore per ogni messaggio di augurio e sostegno ricevuto per la mia elezione dice Giorgia Meloni alla Gazzetta Tricolore. Essere il primo politico italiano a guidare un grande partito europeo è per me un immenso onore e farò di tutto per rappresentare al meglio l'Italia e per costruire un’Europa diversa, che sappia riscoprire le sue radici e il suo coraggio.

Intanto la Sinistra (3,5%), secondo il sondaggio, dei dati della rilevazione effettuata da Index Research per Piazza Pulita, trasmissione di La7. fa meglio sia di Azione sia di Italia Viva, visto che il partito di Carlo Calenda viene registrato al 3,1% e quello di Matteo Renzi al 3%. Appaiate al 2% troviamo due realtà come i Verdi e Più Europa, mentre tutti gli altri partiti messi insieme valgono il 2,2%. Rimane molto alta, infine, la percentuale di chi si dice indeciso e propende per l’astensione: secondo il sondaggio Index ben trentanove italiani su cento farebbero parte del cosiddetto partito del non voto.

Dai dati di Piazza Pulita relativi ai partiti a quelli dedicati ai leader politici. Nella speciale classifica della fiducia, il leader più apprezzato rimane il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, forte del 42% delle indicazioni. Alle spalle dell'inquilino di Palazzo Chigi si colloca Giorgia Meloni (35%), mentre la medaglia di bronzo va al segretario leghista Matteo Salvini, con il 29%. Giù dal podio il segretario dem Nicola Zingaretti – al 20% – seguito da Silvio Berlusconi (20%). Carlo Calenda e Luigi Di Maio sono appaiati al 19%, mentre Matteo Renzi è il fanalino di coda con il 15%.

Venendo dunque alla sfida per la leadership politica tra la Lega di Matteo Salvini e il Partito Democratico di Nicola Zingaretti, il Carroccio si conferma essere la lista più votata a livello nazionale, con il 24% dei consensi; al 20,5%, invece, il Piddì.

Se al 16,2% e al 16%, come detto, troviamo FdI e il M5s, Forza Italia di Silvio Berlusconi viene fotografata dal sondaggio al 6,1% delle preferenze. Per rimanere nell'area di centrodestra, Cambiamo! di Giovanni Toti intercetta l’1,4% dei favori. Mettendo assieme i volumi elettorali delle quattro forze di centrodestra, un’eventuale coalizione unita riuscirebbe a portare a casa il 47,7% dei voti. L'attuale maggioranza giallorossa di centrosinistra, invece, si ferma al 43% delle intenzioni di voto.

Dal sondaggio emergono secondo il Tempo di Roma, inoltre interessanti indicatori sull'operato del governo e sulla fiducia dell'opinione pubblica su quello che faranno Conte e i ministri. Il 50,9% ha dichiarato di avere poca o nulla fiducia in un buon utilizzo dei fondi europei per la crisi Covid.

 

Mike Pompeo la visita in tre Stati: Grecia, Italia e Croazia. Un'agenda ricca di incontri ufficiali, colloqui, volta a mettere sul tavolo argomenti di primaria importanza per l'amministrazione Trump: dal commercio alla sicurezza, dalla pandemia al nucleare. Dunque non solo l'alleanza militare della Nato e la solidità dei rapporti commerciali, ma anche questioni più spinose tra cui quella relativa alle sanzioni iraniane e alla stabilità del Mediterraneo orientale.

In una mossa che potrebbe essere interpretata come una dimostrazione simbolica di sostegno alla Grecia, nel suo teso conflitto con la Turchia, il massimo diplomatico americano ha dichiarato, martedì 29 settembre,come sottolinea "sicurezza internazionale", che gli Stati Uniti posizioneranno una gigantesca nave della Marina in una base militare condivisa con la Grecia, a sole 600 miglia dalla costa turca. La Hershel “Woody” Williams, l'ultima nata della flotta americana, sarà dispiegata a Souda Bay, una base congiunta greco-statunitense, situata nei pressi delle acque territoriali dove la Turchia ha inviato, contro le intenzioni di Atene, le sue navi da ricerca e perforazione energetica. La nave, secondo il New York Times, potrebbe servire da avvertimento simbolico e provocare la crescente irritazione di Ankara. “Il Mediterraneo orientale è un’area molto sensibile che è stata recentemente provata dall’aggressività della Turchia con azioni provocatorie”, ha detto ai giornalisti Mitsotakis dopo l'incontro privato con Pompeo.

Nelle sue dichiarazioni pubbliche di martedì, Pompeo, sulla linea della politica estera perseguita da Trump, ha cercato di stare a cavallo tra Grecia e Turchia. Il diplomatico ha descritto i progressi negli sforzi di mediazione della NATO come positivi e ha affermato che lo sviluppo nel Mediterraneo orientale “dovrebbe promuovere la cooperazione e fornire una base per la sicurezza energetica e la prosperità economica dell'intera regione”.

Il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, ha affermato che Washington sostiene “fortemente” il dialogo tra Grecia e Turchia per risolvere le tensioni nel Mediterraneo orientale. “Incoraggiamo gli alleati della NATO a riprendere la discussione il prima possibile”, ha dichiarato Pompeo durante una visita alla base navale statunitense di Souda Bay, sull'isola greca di Creta, martedì 29 settembre. Il giorno prima, il funzionario USA aveva incontrato il ministro degli Esteri greco, Nikos Dendias, nella città portuale di Salonicco, e aveva affermato che il rapporto tra Stati Uniti e Grecia è “ai massimi storici”.

Come sottolinea Francesco De Palo alle "formiche",  Il link Usa-Grecia alla voce difesa può contare sulla presenza, forte, di Lockheed Martin che già ha intrapreso l’upgrade di 84 caccia F-16. Inoltre è stato concluso l’accordo per la fornitura di quattro elicotteri MH-60R alla Marina ellenica mentre è allo studio un passo più pesante in direzione della Marina. In ballo c'è l'acquisto greco di quattro nuove fregate e l'upgrade di altre quattro fregate tipo Meko. Anche in questo caso c'è una proposta americana per costruire quattro nuove fregate multiruolo (Mmcs) con un parallelo potenziamento della Meko in Grecia.

Il tutto andrà impreziosito dalla seconda base navale a Souda,continuano "le formiche",  con l’ambizioso obiettivo che il Quartier Generale del Comando del Mediterraneo Orientale (Sdam) a Souda abbia un reale potenziale nei prossimi anni, magari in parallelo con il disimpegno Usa dalla base turca di Incirlik. Da segnalare la possibilità che il KC-135, dedito al rifornimento in volo, possa decollare anche dalla base aerea di Larissa, dove sono giunti da mesi anche gli elicotteri americani Kiowa. Da tempo si discute anche di due F-35 per Atene (che ha già acquistato 18 Rafale francesi): anche se è nota a tutti l’esosità dell’investimento, la decisione quando sarà presa avrà risvolti geopolitici, prima che economici.

Così oggi il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, dopo la sua visita in Grecia, e' arrivato a Roma e ha avuto un incontro di circa un'ora con il premier Giuseppe Conte, poi vedrà il segretario di Stato Vaticano Pietro Parolin e avrà un bilaterale con il ministro degli esteri, Luigi Di Maio.

Il segretario di Stato americano Michael Pompeo, ha lasciato palazzo Chigi dopo l'incontro con il premier Giuseppe Conte. Il colloquio è durato poco meno di un'ora. Mike Pompeo è arrivato a Roma questa mattina. Dopo l'incontro con Giuseppe Conte, sono in programma incontri con il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, e il segretario di Stato Vaticano, Pietro Parolin.

Tanti i dossier sul tavolo, dalla lotta alla pandemia di coronavirus alla Libia, ma in primissimo piano c'è la partita del 5G che tanto sta a cuore all'amministrazione Usa. Questa mattina il segretario di Stato Usa ha preso parte ad un convegno sulla libertà religiosa organizzato all'hotel Excelsior dall'ambasciata Usa presso la Santa Sede. In quell'occasione ha incontrato il responsabile vaticano dei Rapporti con gli Stati, monsignor Richard Gallagher, prima di un colloquio giovedì con il segretario di Stato Pietro Parolin. La visita di Pompeo a Roma si concluderà giovedì in Vaticano con l'incontro con Parolin preceduto da una tappa del segretario di Stato Usa alla Comunità di Sant'Egidio

L’editoriale pubblicato sulla rivista online First Things, nel quale Pompeo avvertiva che la Santa Sede “metterebbe a rischio la sua autorità morale” in caso di prolungamento dell'Accordo Provvisorio con Pechino, è stato percepito come un’interferenza nei Sacri Palazzi, particolarmente fastidiosa per un pontefice che ha investito non poco nel dialogo con le autorità cinesi.

Sì, e questa è proprio una delle ragioni per cui il Papa non incontrerà il segretario di Stato americano Mike Pompeo". Così il segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, mons. Paul Richard Gallagher, subito dopo l'incontro con Pompeo al meeting sulla libertà religiosa organizzato a Roma dall'Ambasciata Usa presso la Santa Sede, risponde all'ansa alla domanda se la stessa mossa di organizzare unilateralmente il simposio non significhi una strumentalizzazione del Papa mentre il presidente Trump è alle battute finali della campagna elettorale.

Il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, chiede a papa Francesco di dare prova di "coraggio" nel combattere le persecuzioni religiose, in particolare nei confronti della Cina con la quale il Vaticano è sul punto di rinnovare un accordo sulla nomina dei vescovi. Lo ha detto in presenza dell'arcivescovo Paul Gallagher

 

la visita del segretario di Stato avrà il suo epicentro in Vaticano, anche solo per il fatto che Pompeo non avrà modo di parlare direttamente con il Pontefice. Tuttavia il colloquio con il segretario di Stato Parolin sarà occasione per ribadire il disappunto statunitense sulla conferma dell’accordo tra la Santa Sede e Pechino sulla nomina dei vescovi in Cina. Il Papa su questo va avanti, convinto che con i cinesi sia meglio dialogarci piuttosto che tornare all'epoca del gelo, durata 70 anni.

 

 

 

 

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