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Nasce da una segnalazione di Francesco Di Maio, responsabile della sicurezza della società Enav spa, l'indagine della Polizia Postale e della Procura di Roma (beneficiando "della piena collaborazione" delle autorità Usa) sull'attività di cyberspionaggio messa in piedi dall'ingegnere Massimo Occhionero e dalla sorella. 

Cosi un ingegnere nucleare di 45 anni, Giulio Occhionero, e la sorella Francesca Maria, 49 anni, entrambi residenti a Londra ma domiciliati a Roma e conosciuti nel mondo dell'alta finanza capitolina. Sono le due persone finite in carcere per il presunto cyberspionaggio di poilitici e istituzioni, tra cui Renzi e Draghi.

Il primo marzo del 2016 Di Maio "segnalava - si legge nell'ordinanza cautelare del gip Maria Paola Tomaselli - l'avvenuta ricezione di una email contenente un allegato malevolo, da cui ricevuto il 26 gennaio precedente e apparentemente inviato dallo studio legale del professor Ernesto Stajano".

Questa mail era risultata sospetta perché Di Maio non aveva mai avuto relazioni dirette con Stajano né con il suo studio legale. E così, anziché visualizzarla e scaricarne l'allegato, l'ha inviata per l'analisi tecnica alla società Mentat Solutions srl, che opera nel settore della sicurezza informativa e della malware analysis. Dall'esame dei dati tecnici si scopriva che questa mail partiva dal mittente Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo., utilizzando un mail server di proprietà della società Aruba spa con indirizzo IP 62.149.158.90. Da verifiche fatte presso Aruba risultava che l'indirizzo Ip "apparteneva ad un nodo di uscita della rete di anonimizzazione TOR, stratagemma informatico che di fatto impedisce l'identificazione dell'effettivo utilizzatore". L'account mittente (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.) faceva parte - hanno scoperto quindi gli inquirenti - di una serie di account collegati a studi legali risultati compromessi a seguito di una infezione informatica. Dall'istruttoria è poi emerso che il file analizzato presentava numerose analogie con un altro malware diffuso in precedenti campagne di spear-phishing che dipendenti della società Mentat avevano già avuto modo di studiare nell'ottobre del 2014, quando la società Eni spa era stata destinataria di messaggi 'malevolì al pari dell'Enav. 

L'indagine è partita dalla segnalazione al Cnaipic dell'invio di una mail: indirizzata all'amministratore di rilievo di un' infrastruttura critica nazionale, conteneva il virus Eyepyramid. Seguendo quella traccia gli investigatori sono risaliti alla rete botnet che, sfruttando il malware, riusciva ad acquisire da remoto il controllo dei computer e dei sistemi informatici delle vittime.

Gli indizi raccolti in altre inchieste lasciano intendere che la vicenda di spionaggio scoperta dalla Polizia "non sia un'isolata iniziativa dei due fratelli ma che, al contrario, si collochi in un più ampio contesto dove più soggetti operano nel settore della politica e della finanza secondo le modalità" adottate da Giulio e Francesca Maria Occhionero. E' quanto scrive il gip nell'ordinanza di custodia cautelare. Il riferimento è al "diretto collegamento" tra le condotte di cui i due sono accusati "ed interessi illeciti oscuri": un collegamento "desumibile dal rinvenimento, nel corso delle indagini, di quattro caselle di posta elettronica già utilizzate per attività similari, secondo quanto emerso dalle indagini relative alla cosiddetta P4". In ogni caso, precisa il giudice, "allo stato un collegamento con altri procedimenti penali non è dimostrato".

Giulio Occhionero è legato "con gli ambienti della massoneria italiana, in quanto membro della loggia 'Paolo Ungari - Nicola Ricciotti Pensiero e Azione' di Roma, della quale in passato ha ricoperto il ruolo di maestro venerabile, parte delle logge di Grande Oriente d'Italia".

Gli indizi raccolti in altre inchieste - secondo quanto scrive il gip nell'ordinanza di custodia cautelare - lasciano intendere che la vicenda di spionaggio scoperta dalla Polizia "non sia un'isolata iniziativa dei due fratelli ma che, al contrario, si collochi in un più ampio contesto dove più soggetti operano nel settore della politica e della finanza secondo le modalità" adottate da Giulio e Francesca Maria Occhionero. Il riferimento è al "diretto collegamento" tra le condotte di cui i due sono accusati "ed interessi illeciti oscuri": un collegamento "desumibile dal rinvenimento, nel corso delle indagini, di quattro caselle di posta elettronica già utilizzate per attività similari, secondo quanto emerso dalle indagini relative alla cosiddetta P4". In ogni caso, precisa il giudice, "allo stato un collegamento con altri procedimenti penali non è dimostrato".

Spiati politici e figure istituzionali come l'ex premier Renzi, pubbliche amministrazioni, studi professionali e imprenditori di livello nazionale. Lo ha scoperto la Polizia che ha smantellato una centrale di cyberspionaggio che per anni ha raccolto notizie riservate e dati sensibili.

Intanto cambia il capo della Polizia postale alla luce dell'inchiesta sul cyberspionaggio. Il capo della polizia Franco Gabrielli ha disposto l'avvicendamento al vertice, e all'attuale direttore, Roberto Di Legami, è stato assegnato un nuovo incarico. Tra i motivi alla base della decisione anche l'aver sottovalutato la portata dell'indagine sullo spionaggio dei politici senza informare i vertici del Dipartimento di pubblica sicurezza. Alla fine dell'estate un primo scivolone di Di Legami sul caso Cucchi.

Il mio assistito nega di aver fatto attività di spionaggio, i server all'estero li aveva per lavoro". E' quanto affermato dall'avvocato Stefano Parretta, difensore di Giulio Occhionero, prima di entrare nel carcere di Regina Coeli dove è previsto l'interrogatorio di garanzia dopo gli arresti di ieri. "Oggi risponderà alle domande del gip - aggiunge - ha cose da chiarire: questa è una vicenda ancora tutta da scrivere e lui nega di aver fatto alcunchè di illecito".

Ai due vengono contestati i reati di procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato, accesso abusivo a sistema informatico aggravato ed intercettazione illecita di comunicazioni informatiche e telematiche. Le indagini degli investigatori del Cnaipic, il Centro nazionale anticrimine informatico della Polizia postale, hanno accertato che i due fratelli gestivano una rete di computer (botnet) - infettati con un malware chiamato 'Eyepyramid' - che avrebbe loro consentito di acquisire, per anni, notizie riservate e dati sensibili di decine di persone che, a vario titolo, gestiscono la funzione pubblica e delicati interessi, soprattutto nel mondo della Finanza.

Il malware Eye Pyramid è vecchio c'è bisogno di un team che lo aggiorna, aggiunge funzionalità e lo rende invisibile. Lo spiega all ansa l'esperto di sicurezza Andrea Zapparoli Manzoni, che sottolinea come i due arrestati, sono sconosciuti al mondo degli hacker, "sono dei prestanome, dietro c'è uno sponsor". "Spiare quasi 20 mila persone vuol dire un'operazione in scala industriale - osserva l'esperto - e fare restare invisibile il malware per lungo tempo presuppone capacità di alto livello che non sono nelle possibilità delle due persone arrestate. Tra i domini usati, ad esempio, c'è eyepyramid.com che non userebbe neanche una persona sprovveduta. Questa è una storia affascinante a cui manca un pezzo".

Risultano spiati inoltre gli account di diverse altre figure istituzionali. Tra questi l'ex premier Mario Monti, l'ex Governatore della Banca d'Italia Fabrizio Saccomanni, dell'ex comandante Generale della Guardia di
Finanza, Saverio Capolupo. Ed ancora Piero Fassino, Paolo Bonaiuti, Mario Canzio, Vincenzo Fortunato, Fabrizio Cicchitto e Ignazio La Russa.

Ma in mano ai due fratelli c'era un database che conteneva un elenco di 18.327 username il nome con cui un utente viene riconosciuto online di cui 1.793 corredate da password e catalogate in 122 categorie denominate 'Nick' che indicano la tipologia di target ...politica, affari, etc... oppure le iniziali di nomi e cognomi.

Tra i portali oggetto dell'attività dei due anche quello della Banca d'Italia, della Camera e del Senato. E risultano "compromessi" pure due computer in uso ai collaboratori del cardinale Gianfranco Ravasi, dal 2007 presidente del Pontificio Consiglio della cultura, della Pontifica Commissione di archeologia sacra e del consiglio di coordinamento tra accademie pontificie. L'organizzazione aveva immagazzinato le informazioni trafugate in alcuni server sequestrati in Usa.

I terremoti si susseguono, la cronaca li registra. Ma per fare presto e bene la ricostruzione, un metodo c’è. E’ il “metodo Raineri”.

Giovanni Raineri, piacentino, fu ministro “delle Terre Liberate” nel 1920, con Nitti e Giolitti. La situazione (del Veneto, in special modo) che si trovò a dover affrontare, era quella di un’immane tragedia. La descrisse lui stesso nelle sua memorie, pubblicate or ora dall’Istituto per la storia del Risorgimento/Comitato di Piacenza e dalla Banca di Piacenza:  “Rovina e abbandono ovunque e tracce profonde della devastazione compiuta dalla guerra, asportazione completa di quanto poteva essere dotazione o scorta delle aziende”.

In poco più di un mese, però, Raineri (cooperatore nato, tra i fondatori della Federconsorzi) varò il R.DL. 29.4.1920 e, cioè, la costituzione di Consorzi fra i danneggiati, fedele al principio che sempre lo guidò: doversi anzitutto dare “forte e rapido impulso alla ricostruzione e riparazione degli immobili di proprietà privata” perché “bisognava togliere il più presto possibile la popolazione, che numerosa vi dimorava, dal vivere nelle baracche, riconducendola alla vita sana, fisicamente e moralmente, della casa fissa: in altri termini, all’ordinata vita famigliare”. Il che “in aggiunta alle provvidenze deliberate dallo stato con eccezionale tempestività e proporzionalità rispetto ai danni patiti, nuove negli annali della storia mondiale, avrebbe contribuito a rasserenare gli spiriti, a ricondurre le popolazioni al tranquillo lavoro di un tempo, proficuo ai singoli, proficuo alla patria”. Il mezzo – chiaramente, e come Raineri spiegò – era quello di “chiamare gli stessi danneggiati ad assolvere il compito”: “Non più, dunque, lasciare ad iniziative di privati (o di enti, o di politici) di cacciarsi fra i danneggiati e lo stato, col proposito di fare luogo alle ricostruzioni e di speculare in proprio”. Così, testualmente, lo statista piacentino.

Naturalmente, il “metodo Raineri” suscitò immediate proteste: dei politici e degli enti locali, anzitutto (perché finanziava direttamente i danneggiati, eliminando l’intermediazione politica, per non dire di peggio) e poi, ovviamente, anche delle imprese dei grossi appalti (per le stesse identiche motivazioni di prima). Tutti costoro insieme – infatti – inscenarono una grande protesta a Venezia, in occasione di un discorso del ministro. Ma Raineri li piantò in asso, ne approfittò per fare un giro nelle zone danneggiate, parlare lui direttamente (in incognito, senza sceneggiate di variopinte scorte) con la gente, sentendone il polso (entusiasta). Ebbe, piena, la solidarietà politica e morale di Giolitti e continuò imperterrito nella sua opera provvidenziale.

La ricostruzione del Veneto risultò un modello per tutti, produsse risultati ben superiori a quelli della stessa Francia, che pure – sotto la regìa di Poincarè – ebbe aiuti, alla Conferenza di pace, ben superiori a noi (in ragione – aveva inizialmente preteso quel Paese – addirittura di 89 parti alla Francia, 10 al Belgio e 1 all’Italia). Soprattutto, non vi fu nessun scandalo, neanche l’ombra della corruzione, che salta invece immancabilmente fuori col sistema dei “grossi appalti” (la corruzione, infatti, si combatte alla Raineri, se la si vuole davvero combattere; si combatte così, tagliandole l’erba sotto i piedi: non, con grida manzoniane, “pene esemplari”, aggravio di adempimenti che ottengono il solo scopo di molestare gli onesti). Non ebbe neppure ragione di manifestarsi – a proporre, a sollecitare e così via – quella pletora di “benefattori” che vogliono il nostro bene (e il loro interesse): con certificazioni varie; con, financo il famigerato libretto casa (cassato da molteplici sentenze della Corte costituzionale), con controlli eccezionali, con nuove metodologie per costruire, al di là di quella sismica.

Così, il “metodo Raineri”, naturalmente, da noi non si adotta più. Lo impediscono i burocrati, i politici, gli enti locali, i grossi appaltatori di lavori pubblici. Tutti, loro e le loro corporazioni, sempre per la stessa identica ragione. E arrivederci al prossimo scandalo annunciato.

L'identità dell'autore della strage di capodanno a Istanbul è stata accertata - conferma il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu, intervistato dall'agenzia Anadolu. Cavusoglu non ha fornito il nome né altri dettagli sulla persona identificata, che è ancora ricercata. L'agenzia Anadolu ha detto che finora 20 persone sono state fermate nell'ambito delle indagini sulla strage, costata la vita a 39 persone. 

Una caccia senza sosta ma ancora senza esito in tutta la Turchia al killer di Capodanno, che al momento ha un volto ma non un nome.

Dalle immagini in tv e sui giornali giurano di averlo riconosciuto alcuni vicini di casa nella provincia anatolica di Konya, dove l'uomo si sarebbe trasferito a fine novembre con la moglie e i 2 figli piccoli, probabilmente per non dare nell'occhio. Proveniente da un Paese dell'Asia centrale, come sembrano suggerire anche i tratti somatici: forse dal Kirghizistan o dall'Uzbekistan, anche se non cade l'ipotesi dell'origine dalla regione cinese dello Xinjiang, dove risiede la minoranza uigura, turcofona e musulmana.

La stessa polizia turca lo ha lasciato andare dopo un controllo all'aeroporto di Istanbul. Solo una somiglianza con il killer del 'Reina', il cui volto da ore circola su tutte le tv dopo la pubblicazione di un video-selfie girato nella zona di piazza Taksim, forse per inviare un messaggio sulla sua presenza in città. Il vero attentatore, per gli inquirenti, ha anche un passato in Siria, dove l'Isis lo avrebbe addestrato per la strage. Ma sullo scambio di persona le autorità turche continuano a mantenere un rigido silenzio. Forse, suggeriscono alcuni esperti, per far credere al killer che la polizia non sia così vicina alla sua cattura inducendolo a qualche passo falso.

Il tragico destino di una notte di Capodanno trasformata in una strage ha unito persone e vite diverse. Con la lista delle 39 vittime da cui spuntano nomi, identità ma soprattutto storie lontane tra loro. Accumunate dalla tragica sorte di essere al momento sbagliato nel posto sbagliato. Dalla giovanissima 18enne che da Israele era andata per festeggiare con le amiche a Istanbul, all'agente che era scampato poche settimane fa al duplice attentato dello stadio di Besiktas, all'autista di bus turistici che si era preso una serata libera. Fino al banchiere che voleva festeggiare con la moglie al Reina Club l'arrivo del 2017.

E cosi salito a 14 il numero dei presunti complici del killer di Capodanno al nightclub 'Reina' arrestati dalle unità antiterrorismo della polizia di Istanbul. Lo riferisce l'agenzia statale Anadolu. I sospetti fiancheggiatori vengono sottoposti in queste ore a interrogatori per chiarire il loro ruolo nella strage e cercare elementi utili alla cattura dell'attentatore in fuga.  

C'è la firma dell'Isis sulla strage di Capodanno a Istanbul. Con un comunicato diffuso per la prima volta in turco, oltre che in arabo, il sedicente Stato islamico ha rivendicato a poco più di 24 ore di distanza l'attacco al nightclub 'Reina', in cui sono rimaste uccise 39 persone, tra cui almeno 25 stranieri.

Nel comunicato di rivendicazione, l'Isis definisce la Turchia, "serva della croce". E poi, riferendosi al suo ruolo nel conflitto in Siria, avverte che "il governo di Ankara dovrebbe sapere che il sangue dei musulmani, uccisi dai suoi aerei e dalla sua artiglieria, provocherà un fuoco nella sua casa per volere di Dio" sostenendo che il killer ha agito "in risposta agli ordini" del leader dell'Isis, Abu Bakr al-Baghdadi".

Il primo è il chiaro riferimento che nel testo della rivendicazione si fa alla guerra in Siria, la minaccia di far pagare alla Turchia “il sangue dei musulmani versato per i bombardamenti dei suoi caccia”, trasformandolo in “fuoco nella sua casa”. Un’accusa di tradimento, rivolta ad Ankara, percepita dai jihadisti come traditrice e “apostata”, per citare ancora il testo, per le scelte che hanno portato Erdogan prima ad unirsi alla coalizione occidentale, offrendo le sue basi per bombardare in Siria, e poi ad affiancarsi al fronte pro-Assad, entrando in campo direttamente e secondo una parte dell'opinione pubblica, non solo turca, "abbandonando" Aleppo.

Un elemento che va valutato insieme a un secondo, più banale, ma altrettanto rilevante: la rivendicazione stessa. Questa volta l’Isis ha parlato, ha ammesso di avere colpito in territorio turco. Una scelta con cui i jihadisti sono usciti allo scoperto chiarendo, se ancora era necessario, quanto la propaganda del gruppo jihadista ha da tempo iniziato a dire: da che i turchi sono entrati in Siria, per contrastare le milizie curde nel nord del Paese e per respingere i jihadisti, da che - nel 2015 - Ankara ha iniziato a contrastare i network presenti sul proprio territorio, l’ascia di guerra è stata dissotterrata e anche Erdogan è passato nella schiera dei nemici, nei confronti dei quali è stata spesso accusato di chiudere un occhio, lasciando troppa permeabilità ai propri confini con la Siria e finanziando anche alcune sigle molto poco moderate.

E proprio dalla Siria è arrivato nella scorse settimane l’ennesimo orrore a firma del sedicente Stato islamico: un video in cui due uomini, identificati come soldati turchi, vengono dati alle fiamme, ancora vivi. Poco importa che il governo di Erdogan abbia detto di non poter verificare l’attendibilità del filmato: il messaggio è comunque chiarissimo. L’attacco a Istanbul rischia di essere solo il preludio a un altro anno di stragi per la Turchia.

Il ministro dell'Interno, Marco Minniti, ha riunito al Viminale i Vertici nazionali delle Forze di Polizia e dei servizi di Intelligence, per un aggiornamento sulla minaccia terroristica di matrice internazionale "alla luce dei gravissimi fatti di Istanbul". Nel corso dell'incontro, sottolinea il Viminale, "è stata fatta un'attenta e approfondita analisi dello scenario internazionale, sottolineando che l'attenzione rimane altissima ma il livello della minaccia non cambia per l'Italia".

"Continua ad essere impiegato un dispositivo di sicurezza - prosegue il Viminale - fondato, da un lato, su un intensa attività di intelligence per interventi di prevenzione e, dall'altro, sul controllo del territorio, con il coinvolgimento di tutte le forze in campo". Il Comitato di Analisi Strategico Antiterrorismo è riunito permanentemente "con l'obiettivo di garantire, anche in questi giorni di festa, il massimo impegno per la sicurezza e la tranquillità degli italiani".

Intanto e stato identificato come il 28enne Iakhe Mashrapov, con passaporto del Kirghizistan, il presunto killer di Capodanno a Istanbul. Lo riferisce la tv di stato turca Trt. Il passaporto del presunto killer risulta rilasciato dalla repubblica ex sovietica dell'Asia centrale il 21 ottobre scorso, un mese prima del suo arrivo in Turchia.

Il presunto attentatore di Capodanno sarebbe stato addestrato nei campi dell'Isis in Siria, prima di trasferirsi in Turchia a fine novembre. Lo riferisce Haberturk, citando fonti anonime delle indagini. In Siria, Mashrapov avrebbe anche combattuto nelle fila del sedicente Stato islamico.

I rappresentanti dell'Ambasciata del Kirghizistan ad Ankara hanno inoltrato una richiesta ufficiale alle autorità turche per confermare le informazioni secondo cui un cittadino kirghizo sarebbe coinvolto nell'attacco di Capodanno a Istanbul. Lo riporta Interfax. "Nessuna conferma è stata data finora. Tutto il resto sono congetture selvagge", ha detto uno dei funzionari dell'ambasciata all'agenzia russa. Analoga richiesta è stata presentata dal Comitato di Stato per la sicurezza nazionale del Kirghizistan.

La moglie del presunto autore della strage di Istanbul è stata arrestata. Lo riferisce dalla Turchia la corrispondente di ITV britannica Sally Lockwood, che cita fonti della polizia. La donna, riferisce il quotidiano Haberturk, è stata fermata nella provincia anatolica conservatrice di Konya, dove il killer sarebbe giunto anche con i due figli a fine novembre dal Kirghizistan. Le fonti citate dal giornale confermano inoltre che si tratterebbe di un uiguro, originario della regione cinese dello Xinjiang.

"Ho saputo dell'attacco dalla tv. Non sapevo che mio marito fosse un simpatizzante di Daesh" (Isis). Lo avrebbe detto alla polizia turca la moglie del presunto killer di Capodanno a Istanbul, fermata nelle scorse ore a Konya, nella Turchia centrale, secondo quanto riferisce Haberturk.

 

 

Si è svolto a Sulmona il funerale di Fabrizia Di Lorenzo, la ragazza di 31 anni uccisa nell'attentato a Berlino. Anche all'uscita dalla chiesa un lungo applauso ha accolto il feretro: dietro la bara i genitori, poco dopo è apparso anche il Capo dello Stato Mattarella. La salma è stata trasportata nel cimitero di Sulmona per la tumulazione con cerimonia privata.

Un lungo abbraccio del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha concluso l'incontro che i genitori e il fratello di Fabrizia hanno avuto col capo dello stato all'aeroporto di Ciampino. Il padre Gaetano, la madre Giovanna e il fratello Gerardo, scesi dall'aereo, hanno trovato sottobordo un pulmino dell'Aeronautica militare che li ha accompagnati fino all'ingresso dell'aerea riservata al 31° Stormo dell'Aeronautica militare. Qui i familiari della giovane di Sulmona morta nell'attentato di lunedì scorso a Berlino, sono stati accolti dal presidente Mattarella e dalle altre autorità presenti.

"È la prima volta che un terrorista viene ucciso in Italia e sicuramente una divisa è diventata bersaglio privilegiato. Non dimentichiamo che anche in Francia sono stati uccisi due poliziotti. Noi siamo la vetrina dello Stato". Lo afferma - in un'intervista al Corriere della Sera - Maurizio Vallone, a capo del servizio controllo del territorio del Dipartimento della Pubblica sicurezza, dopo l'uccisione dell'attentatore Anis Amri: "dobbiamo essere particolarmente attenti, prendere tutte le iniziative possibili di autotutela". I due agenti di Milano, dice, "Sono stati perfetti, la loro è stata un'operazione da manuale". 

Dopo Berlino, il dispositivo è stato potenziato: "Oltre agli agenti in servizio in ogni città, abbiamo 1.800 uomini a disposizione per potenziare i servizi quando questori o prefetti lo richiedono. L'aspetto principale in questo momento riguarda quanto accade prima delle manifestazioni ritenute a rischio: noi elenchiamo le prescrizioni da rispettare, se la risposta non è adeguata scatta il divieto". Ad esempio, spiega, "un concerto di fine anno non si potrà svolgere se non ci saranno 'filtraggi' delle persone all'entrata e all'uscita, come avviene negli stadi. Inoltre dovranno essere montate le barriere di cemento per impedire l'accesso dei mezzi. In ogni occasione saranno presenti le Unità operative antiterrorismo", addestrate dai Nocs che si muovono in macchine blindate e fucili ad alta precisione: "Abbiamo a disposizione 400 poliziotti e circa altrettanti carabinieri".

Gli investigatori della Digos sono stati al lavoro anche durante il giorno di Natale per ricostruire nel dettaglio di spostamenti di Amri, ucciso la notte tra giovedì e venerdì scorso a Sesto San Giovanni durante un controllo di un equipaggio della Volante. Da analizzare anche i dati che ieri gli investigatori tedeschi hanno portato a conoscenza degli agenti della Digos, coordinati dal procuratore aggiunto Alberto Nobili, a capo del Dipartimento Antiterrorismo della Procura di Milano e dai pm Paola Pirotta e Piero Basilone. All'esame la pistola calibro 22 che il tunisino aveva con sé, la sua scheda telefonica non utilizzata e altri elementi che potrebbero chiarire se l'uomo poteva disporre di appoggi nel Milanese, oppure se Sesto era solo un luogo di passaggio per andare altrove.

Amri era in contatto con suo nipote attraverso Telegram per poter eludere i controlli della polizia. E' quanto emerso dopo un'operazione delle forze di sicurezza tunisine, che hanno smantellato ieri una cellula terroristica composta da tre membri tra i 18 e i 27 anni, tra cui il nipote dello stesso Amri. La cellula terroristica operava tra Fouchana nel governatorato di Ben Arous, e Oueslatia, in quello di Kairouan.

La Questura di Milano ha diffuso un fotogramma estratto dalle telecamere della Stazione Centrale che riprende Anis Amri il 23 dicembre scorso, poche ore prima che il terrorista tunisino, ritenuto responsabile della strage di Berlino, fosse ucciso in uno scontro a fuoco con la Polizia a Sesto San Giovanni. L'immagine - che mostra Amri mentre si dirige verso l'esterno della Stazione - è delle 00.58 del 23 dicembre e rappresenta un altro tassello nelle indagini degli investigatori che stanno ricostruendo gli spostamenti dell'uomo. Anis Amri, il tunisino responsabile dell'attentato di Berlino, era passato per la stazione di Lione Part-Dieu dove aveva acquistato un biglietto per Milano con corrispondenza a Chambery. Lo dimostrano le immagini delle telecamere di video sorveglianza della stazione. Dopo essere passato da Lione e Chambery, prima di arrivare a Torino, Amri si era fermato alla stazione di Bardonecchia, nel Torinese quindi aveva raggiunto Sesto dalla Stazione Centrale di Milano a bordo di un autobus.

Il terrorista ha sparato alla testa dell'autista polacco del tir con cui è stato compiuto l'attentato a Berlino "tra le 16.30 e le 17.30". È quanto scrive la Bild, citando risultati dell'autopsia. Lukasz Urban ha perso molto sangue e può anche essere stato ancora in vita quando Amri si è lanciato contro la folla al mercatino di Natale, ha proseguito la Bild, "ma i medici escludono che sia stato in grado di agire con consapevolezza" e quindi "di aggrapparsi al volante durante l'attentato". Una prima ricostruzione della dinamica aveva invece lasciato intendere che Urban avesse lottato fino all'ultimo, aggrappandosi più volte al volante e, forse, costringendo il tir a sbandare, salvando così molte altre persone.

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