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La Banca Centrale Europea ha lasciato i tassi di interesse invariati. Il tasso principale è allo 0%, mentre quello sui depositi resta negativo allo -0,4%. La Bce esclude la possibilità di tagliare i tassi in territorio negativo. Nel comunicato a seguito della riunione del consiglio che ha mantenuto invariati i tassi infatti sparisce la parola 'più bassi' che ha accompagnato le ultime volte la frase sulle previsioni. Francoforte nel comunicato scrive così solo che "prevede di mantenere i livelli dei tassi di interesse al livello attuale per un periodo prolungato e anche oltre l'orizzonte temporale del quantitative easing" 

Il quantitative easing della Bce procederà al ritmo di 60 miliardi "fino alla fine di dicembre o oltre se necessario". Lo ha detto il presidente della Bce, Mario Draghi, nella conferenza stampa dopo il consiglio direttivo svoltosi a Tallinn.

La Bce ha rivisto al rialzo le stime di crescita per l'Eurozona, portandole all'1,9% per quest'anno, all'1,8% il prossimo e all'1,7% nel 2019. Lo ha detto il presidente della Bce, Mario Draghi. La Bce rivede al ribasso le stime d'inflazione dell'Eurozona, portandole a 1,5% per quest'anno, a 1,3% il prossimo e a 1,6% per il 2019. Le precedenti previsioni stimavano un carovita rispettivamente all'1,7%, all'1,6% e all'1,7%

L'Italia potrebbe effettivamente ottenere uno "sconto" da Bruxelles sulla prossima manovra. In una intervista alla Stampa il Commissario europeo agli affari economici Pierre Moscovici, interpellato a proposito della lettera scritta all'UE dal Ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan per chiedere una riduzione dell'aggiustamento strutturale del deficit allo 0,3% nel 2018 (contro lo 0,8% previsto originariamente) e la stabilizzazione del debito/PIL, ha mostrato una certa apertura a tal proposito

L'Italia ? "Risponderemo alla lettera di Pier Carlo Padoan al momento opportuno. Lo faremo usando i nostri margini di apprezzamento sulla situazione macroeconomica: c'è qualcosa che non vogliamo fare e che non faremo : non imporremo agli Stati membri sforzi che possano ridurre fortemente la crescita": il commissario Ue agli Affari economici e Finanziari, Pierre Moscovici, in conferenza stampa a Parigi, ha risposto cosi' a una domanda sulla situazione dell'Italia. Un "consolidamento eccessivo di bilancio" rischierebbe infatti di avere un impatto sul Pil, ha continuato Moscovici, rifiutando tuttavia di fornire cifre precise.. Il responsabile Ue ha anche detto che con il governo di Paolo Gentiloni "lavoriamo bene". 

L'attuale governo italiano, ha proseguito Moscovici «capisce che il posto dell'Italia è al cuore dell'Europa e al cuore della zona euro, con opzioni francamente pro-europee, credo necessarie.. Mentre la «mia mia relazione con Pier Carlo Padoan si basa su un particolare rapporto di fiducia positivo». «L'Italia - ha continuato Moscovici - è la terza economia della zona euro, sarà la terza economia d'Europa dopo Brexit, ed è un paese fondatore. L'Italia ha bisogno di riforme e l'Europa è un catalizzatore di riforme per l'Italia. Quindi abbiamo bisogno di proposte italiane, di volontà italiana, di serietà italiana. E nel contesto attuale andiamo avanti», ha concluso. 

"Abbiamo trovato un accordo sulle misure necessarie per evitare una procedura all'Italia, poi abbiamo trovato un accordo su Monte Paschi. Ora stiamo discutendo sul prossimo bilancio: la nostra risposta arriverà in questa cornice", ha dichiarato Moscovici, aggiungendo che "nelle nostre raccomandazioni abbiamo detto che prenderemo in considerazione circostanze particolari. Nel chiedere gli sforzi di bilancio per il consolidamento useremo un margine di discrezionalità - non solo per l'Italia - perchè non vogliamo rischiare di ostacolare la crescita". 

Pochi giorni fa il dato sulla crescita italiana del primo trimestre 2017 è stato corretto dallo 0,2 allo 0,4%. Se non si è parlato di miracolo, quasi. Eppure, anche con i dati rivisti, siamo sempre in fondo alla classifica: la Germania viaggia a un rispettabile +0,6%, la media europea ci supera di un punto decimale (+0,5%). Il risultato è che secondo le previsioni della Commissione di Bruxelles l'incremento del prodotto interno italiano nell'intero 2017 sarà di circa l'1%, mentre la media del Vecchio continente sarà dell'1,7%. Tutta colpa del fatto che l'Europa non ci consente più di fare debiti come una volta? Si può anche andare più indietro nel tempo, a quando spendevamo più del consentito, ma le cose non cambiano: i debiti li abbiamo fatti, ma la crescita non c'è stata. Dal 2000 a oggi la ricchezza prodotta in Italia è rimasta invariata, contro il più 27% della Spagna, il più 21% della Germania e il più 20% della Francia.

La mancata crescita è strettamente legata al ristagno della cosiddetta produttività, che misura il valore dei beni o dei servizi prodotti da un lavoratore: dalla fine degli anni Novanta non è praticamente cresciuta. La tecnologia è migliorata, internet ci dà un mano, ma un lavoratore italiano in un'ora di lavoro produce in media quello che produceva vent'anni fa. Sulla stasi della produttività sono stati scritti centinaia di studi... il problema è la difficoltà italiana nell'usare in maniera efficiente le nuove tecnologie e nella selezione del capitale umano, soprattutto per le posizioni di vertice delle aziende: anziché merito e competenze si guarda a fedeltà e rapporti personali specie nelle aziende familiari. Se in una squadra non giocano i più bravi ma il figlio dell'allenatore, i risultati ne risentono.

L'indicatore ha un nome che suona complicato: indice di dipendenza strutturale degli anziani. In realtà, però, si spiega con relativa facilità. È il rapporto tra la popolazione che ha superato i 65 anni e che è dunque in età di pensione, e il numero di persone in età lavorativa, e cioè tra i 15 e i 64 anni. In Italia ogni cento potenziali lavoratori (non è nemmeno detto che tutti abbiano un'occupazione) ci sono 33,7 anziani. Si tratta del dato più alto in Europa: la media europea è di 28,1 e i Paesi più «giovani» sono Slovacchia (19,7) e Irlanda (20). Il dato italiano è, come detto, il più alto e per questo anche il peggiore. Evidenza infatti come l'invecchiamento, accompagnato da una riduzione degli scaglioni di popolazione giovanile, pesi sulla struttura produttiva del Paese. Già adesso l'alzarsi dell'età media ha un impatto di assoluto rilievo sui conti pubblici: in pratica un terzo della spesa pubblica finisce in assegni pensionistici, mentre la spesa sanitaria, tenuta a freno dai periodici «tagli» è in tendenziale ascesa anno dopo anno. E il cosiddetto debito demografico è destinato a crescere ancora. «Di fronte a una situazione di questo tipo le alternative possono essere tre», spiega Ottaviano. «Più delocalizzazione con il trasferimento di molte produzioni all'estero, più automazione, o più immigrati, destinati a fare il lavoro degli italiani».

Sul tema, una volta si chiamava «questione meridionale», si sono scritte intere biblioteche. «Eppure il differenziale nel tasso di crescita tra regioni del Nord e del Sud resta uno dei problemi fondamentali dell'economia italiana», spiega Lorenzo Codogno, al quotidiano il giornale per anni chief economist del ministero dell'Economia, fondatore di Lc Macro Advisors, società di consulenza con base a Londra. «Se il Sud iniziasse a convergere verso i dati del Nord, la crescita della Penisola sarebbe assicurata per i prossimi anni. E invece è come se corressimo con un peso sulle spalle». Nel 2015, dopo sette consecutivi di contrazione dell'economia, il Pil del Sud è cresciuto più che quello del settentrione (circa l'1%): merito del turismo che ha beneficiato della chiusura di alcuni mercati per colpa del terrorismo, e di un'annata agricola particolarmente favorevole. 

Ma già nel 2016 il rapporto tra i due dati è tornato quello abituale. La crisi che ha colpito tutto il Paese, ha lanciato segni profondissimi da Napoli in giù: l'attività manifatturiera ha fatto segnare un calo superiore al 33%, dal 2000 la diminuzione del pil è dell'8,7%. Secondo i dati della Svimez il centro Nord ha recuperato quasi completamente i livelli di occupazione precedenti la crisi, il Sud è ancora lontano, con un numero di occupati che è addirittura del 10% inferiore a quelli del 1992. A preoccupare è l'andamento complessivo degli indicatori sociali, per esempio il dato sull'investimento in educazione: il numero degli studenti meridionali immatricolati nelle università è diminuito del 17% tra il 2000 e il 2015 tra il 2002 e il 2014 l'emigrazione netta ha superato le 650mila unità, ben 133mila erano i laureati. Quanto al trasferimento di risorse da Nord a Sud basta un dato: per le regioni centro-settentrionali l'avanzo primario della pubblica amministrazione (entrate meno spese, escluse quelle per interessi sul debito) è positivo per il 7,5% del loro Pil, nel Mezzogiorno invece le spese superano le entrate per una cifra pari al 15% del prodotto interno.

Paura a Teheran con il Parlamento e il mausoleo di Khomeini sotto attacco. Quattro uomini hanno aperto il fuoco questa mattina nel palazzo del Parlamento iraniano ferendo almeno otto persone tra cui due civili e uccidendo almeno 12 persone, tra cui una guardia e ferendone 42. Due kamikaze si sono fatti esplodere in entrambi i luoghi attaccati. La situazione all'interno del Parlamento iraniano ora è sotto controllo e l'attacco ha causato danni minori di quelli previsti, grazie alle forze di sicurezza "pienamente in grado di gestire gli aggressori codardi". Lo ha detto il presidente del Parlamento iraniano, Ali Larijani, che oggi ha presieduto una seduta a porte chiuse mentre all'esterno dell'aula si svolgeva l'attacco terroristico. Per Larijani "l'attacco dimostra che i terroristi hanno l'Iran come obiettivo" perché "l'Iran è un hub attivo ed efficace nella lotta al terrorismo". Molti dei feriti, ricoverati in quattro ospedali della capitale, sono in gravi condizioni. Il ministro della Sanità, Hassan Hashemi, ha visitato i feriti e ha riferito che tutti gli ospedali di Teheran sono in stato di allerta. Il numero di morti non comprende i sette terroristi.

Dall’inizio del conflitto in Siria, il Paese degli ayatollah si è schierato al fianco di Bashar Al Assadcontro i ribelli e i terroristi di Daesh, sostenendo e coordinando anche le incursioni degli Hezbollah libanesi. Questo impegno militare è stato visto come fumo negli occhi sia dai jihadisti che dai loro sponsor, Arabia Saudita in testa. E proprio questa mattina, poco prima dell’attentato al parlamento e al mausoleo di Khomenei, il ministro degli Esteri di Riyad aveva affermato: “L’Iran deve essere punito per le sue interferenze e per il suo supporto al terrorismo nella regione“.

Nell’ottica saudita, che sembra esser condivisa anche dall’amministrazione Trump, le milizie sciite degli Hezbollah e quelle iraniane dei pasdaran sono da considerare alla stessa stregua di Isis e Al Nusra. L’attività militare iraniana non si svolge solo in Siria, ma anche in Iraq, con l’impegno in prima persona di Qasem Soleimani, il comandante delle Brigate al-Quds, i reparti speciali per le operazioni all’estero dei Pasdaran.

I colpi di arma da fuco sono stati uditi presso il monumento dedicato all'Ayatollah Khomeini a Teheran dove sarebbero entrati in azione quattro terroristi, incluso un attentatore suicida. Una persona è rimasta uccisa nell'esplosione innescata dall'attentatore suicida. Alcune fonti parlano anche di una decina di feriti. La Fars aggiunge inoltre che oltre all'attentatore suicida, un altro assalitore è rimasto ucciso in uno scontro a fuoco, un secondo si sarebbe suicidato ingerendo una capsula di cianuro, e un terzo, una donna, sarebbe stata catturata. 

Un'esplosione e' stata udita alla metropolitana del Mausoleo di Khomeini a Teheran: lo scrive l'agenzia di stampa iraniana Fars. La metropolitana si trova a due passi dal Mausoleo ed alcuni media ipotizzano si tratti di un terzo attacco.

Secondo l'agenzia di stampa iraniana Tasnim, uno degli assalitori del Parlamento iraniano, il Majlis, è riuscito a lasciare l'edificio e ha sparato in strada. Secondo il giornale online Shargh, un altro si sarebbe barricato in una stanza del complesso molto ampio del Parlamento e avrebbe detto di avere una cintura esplosiva.

"Morte agli Stati Uniti, abbasso gli Stati Uniti": questo lo slogan gridato all'unisono dai deputati iraniani presenti nel Parlamento nazionale, durante l'attacco terroristico nell'edificio. Lo riferiscono i media iraniani. I deputati si trovano nell'aula generale, un ampio emiciclo dove si svolgono le sessioni generali che e' stata intanto blindata dalle forze dell'ordine. I terroristi sono riusciti a penetrare in altre ali dell'ampia struttura.

Intanto a una donna, dipendente di un asilo nella zona di Hermon Hill, alla periferia est di Londra, è stata accoltellata oggi da altre tre giovani donne che - stando alla sua testimonianza - inneggiavano ad "Allah". Lo riferiscono alcuni media di quartiere ripresi dal Daily Mail online, senza per ora conferme di fonti ufficiali.
    

Gli attacchi terroristici simultanei che hanno colpito Londra questa notte sono il frutto di un complesso fenomeno di mobilitazione jihadista che ha come obiettivo l’Europa. Dal 2014 ad oggi, il continente europeo è diventato l’oggetto di una chiamate alle armi del jihad che non ha precedenti, né per modalità di attentati né per il numero e il ritmo di attacchi, che ormai ha raggiunto livelli mensili. In questa nuova guerra del terrorismo all’Europa, i servizi d’intelligence e le forze di sicurezza dei paesi europei, in special modo il Regno Unito e la Francia, si trovano completamente travolti da un fenomeno che non riescono a frenare né a comprendere. Nonostante l’innalzamento dei livelli di allarme, il dispiegamento di militari e di forze speciali per le strade delle città, nonostante il controllo capillare d’internet e dei media, il nemico sfugge, colpisce e miete continuamente vittime

L'attacco al London Bridge e al Borough Market di Londra nel quale sono morte sette persone, oltre ai tre aggressori, e rimaste ferite 48, si è svolto tutto nell'arco di otto minuti.

Ecco la sequenza temporale.

* 23.07 (ora italiana) - Il servizio ambulanze di Londra viene chiamato per un incidente al London Bridge

* 23.08 - La polizia viene allertata sul fatto che un pullmino ha travolto diversi passanti sul London Bridge. Testimoni hanno raccontato del un pullmino che correva contro la folla a 80 chilometri all'ora e di diversi corpi sulla strada. Il pullmino prosegue la sua folle corsa fino alla Borough High Street e si schianta fuori dal pub Barrow Boy e Banker. Lì i tre assalitori escono fuori e iniziano ad accoltellare le persone

* 23.14 - Le ambulanze arrivano sul luogo dell'attentato

* 23.16 - La polizia arriva sul luogo dell'attentato, spara e uccide i tre terroristi fuori dal pub Wheatsheaf.

Il presidente degli Stati Uniti vuole, lanciare una versione più dura del "muslim ban", il bando agli ingressi dai Paesi a maggioranza musulmana. "Questo bagno di sangue deve finire e questo bagno di sangue finirà", ha detto il tycoon pomettendo, all'indomani dell'attentato sul London Bridge, che come presidente farà tutto quello che è necessario per "impedire che questa minaccia raggiunga i nostri confini" e per "proteggere gli Stati Uniti e i loro alleati da un nemico vile che ha dichiarato guerra contro delle vite innocenti

Ma in Gran Bretagna e scontro sui tagli alla polizia portati avanti da Theresa May, prima come ministro degli Interni e poi come premier. Il leader laburista Jeremy Corbyn invoca apertamente le dimissioni del capo del governo ancor prima delle elezioni di giovedì 8. May - ha tuonato Corbyn - dovrebbe "dimettersi per aver presieduto ai tagli" imposti alle forze di polizia mentre era ministro dell'Interno. E' un'opinione - ha insistito - condivisa da "persone molto responsabili" che sono "molto preoccupate". Anche esperti sulla sicurezza concordano nel criticare la riduzione di 20 mila agenti in nome dell'austerità portata avanti dai governi conservatori per contenere la spesa pubblica. In particolare la polemica si è concentrata sullo scarso numero di agenti armati nelle strade rispetto alle necessità in un momento di crescente emergenza dopo la serie di attacchi che hanno colpito il Regno Unito. 

 La polizia di Londra ha le "risorse appropriate e il governo protegge il bilancio delle forze dell'ordine dal 2015", ha risposto oggi la premier Theresa May alla dichiarazione fatta da Cressida Dick, comandante di Scotland Yard, secondo cui "sarebbe appropriato" rivedere le risorse a disposizione della Met Police dopo i recenti attacchi terroristici. May ha inoltre tentato di contrattaccare sul piano politico affermando che il Labour era contrario ad un aumento della spesa in favore della polizia e che il suo leader Jeremy Corbyn si era opposto a dare maggiori poteri alle forze dell'ordine. May inoltre sostiene in pieno lo 'shoot to kill', lo 'sparare per uccidere' i terroristi adottato dagli agenti armati di Scotland Yard per fermare i tre aggressori di Londra. La premier britannica ha sottolineato infatti che questo ha permesso di salvare "innumerevoli vite" grazie anche alla tempestività delle forze dell'ordine arrivate a London Bridge in pochi minuti.

Intanto i tre attacchi terroristici commessi da militanti islamici negli ultimi tre mesi nel Regno Unito hanno avuto "un baricentro principalmente interno" al Paese, in relazione alle indagini sull'attacco della notte tra sabato e domenica nella capitale britannica, il commissario della polizia di Londra, Cressida Dick, ha spiegato ai microfoni di BBC radio che, sia nei cinque attacchi sventati sia nei tre commessi, ci sono "senza dubbio dimensioni internazionali", e su questo vengono condotte indagini, ma "la maggioranza della minaccia che affrontiamo al momento non sembra essere diretta da oltremare".

Adesso la priorità della polizia londinese è tentare di capire se i tre attentatori, che hanno insanguinato il London Bridge, "stessero lavorando con qualcun altro", "se qualcuno fosse coinvolto nella pianificazione di questo attacco" e, soprattutto quale fosse il background della cellula jihadista. E, mentre capo di Scotland Yard rivendica per conto della polizia e dei servizi di sicurezza britannici di aver sventato diciotto potenziali attacchi terroristici a partire dal 2013, di cui cinque dopo la strage di Westminster del 22 marzo, sull'intelligence inglese pende il capo di accusa di non aver sventato un allarme che era già risuonato più volte. Uno dei tre terroristi che sabato sera hanno seminato la morte a Londra era molto noto alla polizia. Tanto da esser stato filmato, in un documento poi andato in onda su Channel 4, mentre discuteva con alcuni agenti sul perché avesse dispiegato una bandiera dello Stato islamico a Regent's Park di Londra . Al momento il 27enne era stato "catturato" al fianco di due predicatori incendiari ben noti alla polizia e all'intelligence.

Un terremoto diplomatico si abbatte sul Medio Oriente. Arabia Saudita, Egitto, Bahrein, Emirati Arabi Uniti e Yemen hanno tagliato i rapporti diplomatici con il Qatar. 

L'accusa che muovono al piccolo ma ricchissimo emirato è di destabilizzare la regione sostenendo economicamente "gruppi terroristici" come al Qaeda, lo Stato islamico e i Fratelli Musulmani.

La rottura dei rapporti diplomatici segue di appena due settimane la visita a Riad del presidente americano, Donald Trump, che ha chiesto ai Paesi musulmani di agire in maniera decisiva contro l'estremismo religioso. E il dito dei principali Paesi del mondo arabo hanno puntato il dito contro il Qatar che sta provando a ritagliarsi un ruolo regionale e che organizzerà i Mondiali di Calcio del 2022. Doha è stata anche esclusa dalla coalizione militare araba che combatte i ribelli filo-iraniani in Yemen. Da Sydney, però, il capo della diplomazia americana, Rex Tillerson, ha chiesto ai Paesi del Golfo di restare uniti.

La rottura diplomatica con il Qatar è sicuramente la crisi più grave dalla nascita nel 1981 del Consiglio di cooperazione del Golfo. L'agenzia di stampa saudita Spa ha detto che Riad ha chiuso i collegamenti terrestri, aerei e marittimi con l'emirato e, citando fonti locali, ha spiegato che la mossa serve a "proteggere la sua sicurezza nazionale dai pericoli del terrorismo e dell'estremismo"

Intanto a Torino la psicosi di attentato fa 1400 feriti : C’è un ragazzo a petto nudo con uno zaino nero sulle spalle. Intorno a lui si crea il vuoto, la gente corre in avanti, corre dappertutto tranne che verso di lui. Il ragazzo alza le mani, potrebbe sembrare la posa di un kamikaze o invece il tentativo di voler fermare l’onda, quasi a voler dire non è quello che credete, non abbiamo fatto niente. Le testimonianze riferiscono che il suo amico avrebbe accompagnato un suo gesto, un suono, con l’urlo «è un attentato». I due giovani sono entrambi lombardi, uno di loro ha una segnalazione per tafferugli da curva. Sono stati riconosciuti da un filmato. Sono entrati in questura alle 14. Ne sono usciti dopo dieci ore di testimonianza confusa, a volte contraddittoria, dove si sono spinti ad ammettere che c’è stato un momento «di confusione» dove qualcuno, comunque non loro, «avrebbe fatto una stupidata».

La bravata è l’unica spiegazione. Non ci sono altre concause. Lo scoppio dei petardi non risulta in alcuna traccia sonora della serata, se c’è stato si tratta di piccoli botti, grandi qual tanto che basta per scuotere il subconscio e far emergere la grande paura collettiva di questi anni. La folla si è mossa a sciame, sul lato a sinistra dello schermo, per poi passargli davanti allargandosi, attraversando la piazza in una fuga collettiva che si è conclusa sulle vetrine del dehor del Caffè San Carlo, su quelle dell’antica drogheria Paissa, abbattendo la ringhiera di ferro della scalinata che porta al parcheggio sotterraneo, l’unico fragore percepito, e guardando quei due metri di vuoto che finiscono sui gradini di cemento viene in mente un’altra tragica finale di Coppa dei Campioni, e l’esistenza dei miracoli.

Le cronache degli eventi non dovrebbero mai superare un certo tasso di emoglobina, ma ieri mattina era davvero difficile ignorare gli schizzi di sangue sui muri, i kleenex e persino le pagine del giornale gratuito distribuito in piazza intrisi di rosso e accartocciati. E negli interstizi dei sanpietrini, vetri, cocci di vetro ovunque, al punto che delle 1.527 persone che hanno ricevuto cure ospedaliere almeno 8-900, secondo i calcoli empirici fatti al Pronto soccorso delle Molinette, che ha fatto da centro di smistamento verso gli altri ospedali cittadini e piemontesi, perché alle cinque del mattino a Torino non c’erano più letti e personale a sufficienza, presentano ferite fa taglio curate con punti di sutura. E tutto questo disvelamento, questa paura inutile neppure temperata dalla consapevolezza che poteva andare davvero molto peggio, per una bravata, uno scherzo imbecille che ha scatenato 20 minuti di panico e ha reso la scorsa notte un futuro caso di scuola sulla psicosi da terrorismo. Non è neppure così importante chi ne è stato l’autore, la sua identità. Sappiamo che c’è un prima calmo e silenzioso a causa della sconfitta incombente della Juventus e un dopo che comincia alle 22.25, subito dopo il terzo gol del Real Madrid. Il fermo immagine è su un gruppo nella parte di piazza dove la folla si fa più rarefatta, verso piazza Castello, a sessanta metri dal megaschermo, davanti al ristorante che porta il nome del monumento tutelare, il Caval ‘d Brons.

Una "folla presa dal panico e dalla psicosi da attentato terroristico" causati da "eventi in corso di accertamento". E' stato questo a provocare gli incidenti in piazza San Carlo. Lo spiega in una nota la Prefettura. "La folla ha lasciato precipitosamente la piazza con danni causati dalla calca".

"Allo stato attuale non ci sono nè indagati nè ipotesi di reato". Così il procuratore di Torino, Armando Spataro, in merito all'indagine sui fatti di piazza San Carlo. "Prima di tutto è necessario ricostruire la dinamica precisa dei fatti", ha aggiunto a margine della cerimonia per la festa dei Carabinieri. Nel pomeriggio è previsto un vertice in Procura per fare il punto sull'inchiesta.

   

A 48 ore dall'arrivo di Donald Trump e degli altri grandi della terra, Taormina è una città chiusa e irreale: c'è un uomo armato ogni 10 metri, metal detector e scanner di ultima generazione, un laboratorio della Polizia scientifica in caso accadesse il peggio. Ma liberata dalle orde di turisti che ogni giorno in questa stagione sciamano nei vicoli tra negozietti e bouganville in fiore, la città è forse ancora più bella. Silenziosa e umana. Non si arriva, a Taormina, se non si ha il badge. Ci sono quelli per residenti, quelli per i tecnici e per militari, forze di polizia e 007, quelli per i giornalisti e i delegati. Ognuno con un colore diverso.

La macchina della sicurezza è scattata lunedì e da allora nessuno entra e nessuno esce senza passare i controlli. Che sono strutturati a cerchi concentrici. Il primo è a Giardini Naxos e all'uscita dell'autostrada Messina-Catania, check point con le autoblindo dell'esercito. Ma è solo un assaggio. Lungo i tornanti che dal mare si arrampicano fino alla città ci sono solo mezzi delle forze di polizia: sono gli unici che possono arrivare a porta Catania e porta Messina, le due porte da cui si accede alla zona di massima sicurezza. All'ingresso sono stati installati gli stessi metal detector e scanner che ci sono negli aeroporti, con un'aggiunta: un apparecchio che verifica che il badge al collo non sia falso. Le telecamere riprendono tutto e rilanciano ogni volto nel cuore del sistema, la sala operativa interforze allestita all'interno di Palazzo Duchi di Santo Stefano.

E dopo quello che e successo a Manchester e con circa 100 potenziali terroristi che risultano schedati e monitorati, a situazione diventa molto seria,anche perche il bacino di potenziali jihadisti è ben più ampio fra i 1000 e 2000 radicali islamici.

«Il profilo di chi potrebbe farsi saltare in aria è la giovane età, poco più che ventenne, non integrato e contiguo alla criminalità con piccoli reati dallo spaccio ai furti», spiega uno degli uomini in prima linea nell'arginare il terrorismo a casa nostra. A differenza del kamikaze libico di Manchester in Italia sono altri i paesi di origine delle potenziali minacce. «La maggioranza dei segnalati sono magrebini della Tunisia o del Marocco, ma non mancano i balcanici estremisti», spiega al Giornale una fonte dell'antiterrorismo. La cosiddetta «spirale balcanica» trova radici soprattutto nel Nord Est. Gran parte dei magrebini espulsi per «sicurezza nazionale» erano nascosti, al contrario, in Piemonte e Lombardia.

Secondo il quotidiano il giornale la minaccia più pericolosa è rappresentata dal «ritorno» dei veterani della guerra santa. Per la Siria e l'Iraq sono partiti dall'Italia in 113 ed almeno 20 sono stati uccisi. In gennaio erano rientrati in Europa appena 17, sei due quali presenti sul territorio nazionale. I servizi segnalano che «oltre a rappresentare un potenziale target di attacchi diretti, l'Italia potrebbe costituire un approdo o una via di fuga verso l'Europa per militanti del Califfato presenti in Libia o altre aree di crisi, una base per attività occulte di propaganda, proselitismo e approvvigionamento logistico, nonché una retrovia o un riparo anche temporaneo per soggetti coinvolti in azioni terroristiche in altri Paesi». E proprio sulla Libia è tornato ieri il ministro degli Interni Marco Minniti: «nell'attentato di Manchester è emerso un link diretto con la Libia: sono due questioni su cui abbiamo riflettuto e dobbiamo continuare a riflettere».

I numeri e la tipologia dell'islamico estremista, potenzialmente pericoloso, si possono dedurre dalle espulsioni che negli ultimi due anni sono arrivate a 176. Da gennaio sono 44, oltre due potenziali jihadisti a settimana. Uno degli ultimi, il 13 maggio è Sayed Yacoubi sodale del killer di Berlino Anis Amri. La parte del leone la fanno i marocchini che sono circa un terzo seguiti da una cinquantina di tunisini e poi algerini ed egiziani. I balcanici sono poco più di una ventina fra kossovari, albanesi e macedoni. Fra gli espulsi dal ministero dell'Interno figurano anche 13 imam. Cattivi maestri annidati in moschee fai da te ricavate in garage o appartamenti, che sarebbero un migliaio in tutta Italia. Solo in Lombardia sono 160 e altri 120 in Veneto. L'intelligence sottolinea che non bisogna «sottovalutare l'influenza negativa esercitata in alcuni centri di aggregazione da predicatori radicali () soprattutto nei confronti di giovani privi di adeguata formazione religiosa che potrebbero essere indotti a una visione conflittuale nei confronti dell'Occidente, foriera di derive violente».

Dietro le sbarre risultano 375 i radicalizzati o sospetti tali sotto osservazione. «Ma il problema è costituito dai 400-500 che sono stati scarcerati. Impossibile sorvegliarli tutti perché ci vogliono almeno quattro uomini al giorno ciascuno», spiega Marco Lombardi esperto di terrorismo jihadista dell'Università cattolica. «Un attentato come a Manchester può accadere in qualunque momento anche da noi - osserva il docente - ma la probabilità è bassa rispetto agli altri paesi. Noi non abbiamo ancora la terza generazione di possibili radicali».

Il rapporto dei servizi segreti per il parlamento relativo al 2016 conferma che «i principali profili di criticità appaiono riconducibili alla possibile attivazione di elementi radicalizzati in casa, dediti ad attività di auto-indottrinamento e addestramento su manuali on-line () e dichiaratamente intenzionati a raggiungere i territori del Califfato». L'intelligence lancia un allarme preciso: «Sempre più concreto si configura il rischio che alcuni di questi soggetti decidano di non partire a causa delle crescenti difficoltà a raggiungere il teatro siro-iracheno ovvero spinti in tal senso da motivatori con i quali sono in contatto sul web o tramite altri canali di comunicazione determinandosi in alternativa a compiere il jihad direttamente in territorio italiano». Il profilo di un Salman Abedi di casa nostra come avrebbe potuto diventare Abderrahim Moutaharrik, l'operaio-kickboxer arrestato lo scorso anno nell'operazione Terre vaste.

 

Il Presidente Americano Trump ha inaugurato il suo primo viaggio delle tre religioni monoteiste cominciando dalla Arabia Saudita presso i musulmani sunniti, mandando al diavolo gli sciiti sostenuti dall'Iran, prima di recarsi a Gerusalemme e al Muro del pianto dove è stato protagonista di un incontro di altissima caratura simbolica, anche grazie a suo genero Jared Kushner e alla figlia Ivanka, moglie di Jared convertita per lui all'ebraismo. Inoltre, prima di decollare per Roma il presidente americano ha fatto un'altra visita musulmana incontrando il presidente palestinese Abu Mazen. Seguendo questo itinerario lungo la via delle tre religioni monoteiste, Trump è entrato nella misteriosa città vaticana dopo aver varcato le porte delle altissime mura fra le quali vive un uomo che parla la stessa lingua dei messicani e ne condivide largamente il modo di pensare, mentre in patria si agita lo spettro dell' impeachment con l'intento di azzopparlo.

Se nessuna guerra non è più scoppiata grazie al coraggio di Anwar Sadat che lo pagò con la propria vita come avrebbe più tardi pagato col sangue Ytzakh Rabin, la vera pace non ha fatto seguito a quell'evento e non ci sono ipotesi serie,Trump che la fa sempre facile prima di scoprire quanto tutto sia 'complicato', che il 45 esimo presidente americano riesca a fare il miracolo che Truman, che per primo riconobbe lo Stato di Israele, Eisenhower, Kennedy, Nixon, Ford, Carter, Reagan, Bush padre, Clinton, Bush figlio e Obama non sono riusciti a fare. E purtroppo Trump approfitta dell'occasione per lanciarsi in un'altra tirata contro l'Iran, dunque contro Obama, solo per compiacere Netanyahu.

Non c'è nessun elemento nuovo, 40 anni dopo l'incontro Sadat-Begin, che indichi l'esistenza di nuove e reali trattative fra i palestinesi della Cisgiordania, i palestinesi di Gaza, il governo della destra al potere con Netanyahu, la lobby dei coloni che spingono per nuove insediamenti. La Siria, l'altra grande nazione ancora tecnicamente in guerra con Israele è in guerra con se stessa. La Giordania è invasa dai profughi. Il Libano vive nel proprio costante, fragile equilibrio. E le chiacchiere, i tweet, le sortite azzardate di Trump che aveva prima detto, e poi ritrattato, di voler portare la capitale israeliana a Gerusalemme, volano nell'aria, come le bombe e i razzi che le parti si scambiano.

Se Trump non ha fatto promesse epocali in Medio Oriente, dove si è ben guardato dal sostenere la teoria dei due popoli, due Stati, con il Papa si limiterà a dare un segnale neutrale di dialogo, mentre sarà Bruxelles il suo vero banco di prova perché lì verrà a batter cassa con i Paesi della Nato che non pagano la retta. L'Italia è fra i debitori: siamo indietro anche con le rate della sicurezza internazionale, ma cerchiamo di farla franca agitando l'innocuo vessillo di un esercito europeo che purtroppo non si farà mai, anche perché la Nato già esiste, ma grava di più sulle spalle del contribuente americano. Questo sosterrà Trump, che non propone più di sciogliere l'alleanza, perché obsoleta e legata alla Guerra Fredda. Ultima tappa, il G7 di Taormina sotto l'incubo della strage di Manchester e senza la Russia di Putin, ancora in castigo per la vicenda ucraina.

"Negoziato politico" e "dialogo inter religioso" per promuovere la pace nel mondo, e in riferimento "alla situazione in Medio oriente e alla tutela delle comunità cristiane". Questo sembra essere un punto di convergenza raggiunto nel corso dei colloqui che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha avuto in Vaticano, per mezz'ora con papa Francesco e per 50 minuti con il segretario di Stato, card. Pietro Parolin e con il "ministro degli Esteri" della S.Sede, mons. Paul Gallagher.

Un incontro che, nonostante le voci e controvoci, il Papa e la Santa Sede non hanno mai pensato di rifiutare o non propiziare, consapevoli della importanza di un interlocutore come Trump nella pacificazione mondiale. E infatti appena l'udienza è stata chiesta, il Papa l'ha accordata, modellandola nel fitto programma romano del presidente statunitense.

Mezz'ora di colloquio privato, alla presenza dell'interprete mons. Miles, anglofono che conosce perfettamente lo spagnolo, e poi la presentazione del seguito, e lo scambio dei doni. Il Papa ha offerto i suoi tre documenti magisteriali - la "Evangelii gaudium", la enciclica 'ecologica' "Laudato sii" e la esortazione sulla famiglia, "Amoris laetitia"; inoltre papa Bergoglio ha consegnato il messaggio per la Giornata della pace del 2017. I testi magisteriali sono abitali come dono ai capi di Stato, il messaggio non lo è sempre, ma neppure è inusuale.

In quel messaggio papa Francesco formulava un appello al disarmo e alla abolizione della armi nucleari, invitava alla non violenza come sfida per i leader mondiali e, come nel messaggio del 2016, chiedeva di farsi carico della crisi migratoria. Il Papa ha donato anche il medaglione che raffigura un ramo di ulivo che unisce la pietra divisa, e ha spiegato: "questo glielo regalo perché lei sia strumento di pace", e il presidente ha replicato: "Abbiamo bisogno di pace". Il presidente Trump ha donato un cofanetto di libri del leader antisegregazionista e pacifista Martin Luther King. "Questo è un regalo per lei - gli ha detto, presentandogli la confezione chiusa -. Ci sono libri di Martin Luther King. Penso che le piaceranno. Spero di sì". "Grazie, grazie tante", ha risposto il Papa.

Il "compiacimento" è stato invece espresso circa le "buone relazioni bilaterali esistenti", e il "comune impegno a favore della vita e della libertà religiosa e di coscienza", mentre si è parlato di auspici circa una "serena collaborazione tra lo Stato e la Chiesa cattolica" in Usa, impegnata "nei campi della salute, dell'educazione e dell'assistenza agli immigrati". Un bilancio che le parti potrebbero considerare soddisfacente per il primo incontro tra il presidente degli Stati Uniti forse meno vicino al sentire dei papi fino a questo momento, e tra il primo papa latinoamericano della storia della Chiesa.

La delegazione statunitense - il presidente era accompagnato dalla consorte Melania e da altre dieci persone, compresa la figlia Ivanka con il marito - ha osservato precisamente il cerimoniale: puntualità nei tempi, - arrivo in perfetto orario nel cortile di San Damaso dove ad accoglierli c'era il prefetto della Casa Pontificia Georg Gaenswein - sobrietà nel vestire: il presidente in abito blu, moglie e figlia in nero, con veletta nera; Trump ha sorriso al momento della foto che lo immortalava, sulla soglia della porta, vicino a papa Francesco, che aveva una espressione concentrata.

Tra i temi affrontati da Trump e Gentiloni anche la questione migratoria come sfida globale per il G7 di cui il presidente Usa e il premier italiano avevano già parlato nel loro incontro alla Casa Bianca un mese fa. E ancora l'importanza del tema climatico e la questione degli scambi commerciali, per conciliare libertà e reciprocità. Ai colloqui per parte americana hanno partecipato il consigliere economico della Casa Bianca Gary Cohn, il genero Jared Kushner, il consigliere per la sicurezza nazionale Usa, H.R.McMaster, il segretario di Stato americano Rex Tillerson, il vice consigliere per la Sicurezza Usa, Dina Powell.

Al centro del colloquio, secondo quanto si apprende da fonti di Governo, il G7 di Taormina, occasione per mostrare l'unità dei leader e dei paesi e l'impegno comune e la determinazione contro il terrorismo, all'indomani della strage di Manchester. 

Trump, alle 11.15, si e recato al Quirinale per una prima presa di contatto con Sergio Mattarella, con cui è previsto che si intratterrà per una quarantina di minuti. E stato accompagnato dal segretario di Stato Rex Tillerson. Per l'Italia era presente il ministro degli Esteri Angelino Alfano. Mattarella e Trump hanno avuto modo di rivedersi due giorni dopo, a Taormina, in occasione del G7. Successivamente Trump rientrerà a Villa Taverna, dove alle 12.25 ha incontrato il premier Paolo Gentiloni. Si tratta del secondo faccia a faccia dopo quello dello scorso 20 aprile a Washington, che avrà ancora più rilevanza proprio in vista del G7 siciliano. Nel frattempo, le due signore della famiglia Trump seguiranno due programmi alternativi.

Melania, alle 11.15, ha visitato l'eccellenza dell'ospedale pediatrico vaticano Bambino Gesù. La figlia Ivanka, quasi contemporaneamente, e stata a Trastevere, ospite della Comunità di S.Egidio, dove ha incontrato anche un gruppo di donne vittime del traffico di esseri umani. Alle 13.20, Trump e Melania partiranno per l'aeroporto di Fiumicino e mezz'ora dopo l'Air Force One si alzerà in volo in direzione di Bruxelles. 

Intanto  :  Massima attenzione ai grandi eventi in programma nei prossimi giorni a Roma dopo l'attentato a Manchester. Sensibilizzata la sicurezza che già da tempo è ai «massimi livelli» per l'allerta terrorismo. Tra gli eventi a grande partecipazione il concerto Mtv Awards sabato sera a piazza del Popolo; domenica Roma-Genova all'Olimpico, con il saluto dei giallo rossi al capitano Francesco Totti, in campo per l'ultima volta; le cerimonie del 2 giugno e un evento per la Pentecoste al Circo Massimo a cui parteciperà il Papa.

 

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