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La Tav rischia di mandare in crisi l'esecutivo di Conte: Salvini vuole completare l'opera ed è pronto ad "andare fino in fondo"; Di Maio gli dà dell'"irresponsabile" e tiene il punto sullo stop all'alta velocità.

Al centro del dibattito c'è la questione dei bandi. Entro lunedì dovrebbero essere avviati, altrimenti si rischiano ricorsi e penali. Il M5S vuole rimandarli a data da destinarsi, magari quando verrà rivista l'opera. Per la Lega è folle impedirne l'avvio. "Non si può fare l'arbitro a partita conclusa - dice Di Maio - L'analisi costi-benefici è stata complessa, non si può dire ora che non convince."Siamo consapevoli che ci sono degli impegni, delle leggi ma non si possono vincolare soldi degli italiani ad una opera che si deve ridiscutere. Se stiamo parlando dei soldi degli italiani prima vai a ridiscutere l'opera e poi decidi cosa vai a farne dei soldi"  

Pero oggi, a spiegare le sue motivazioni è Ponti stesso, interpellato a Mattino 5, il programma in onda tutti i giorni sul Canale 5: "Quella (il secondo documento, ndr) non è un'analisi costi benefici, ma sull'impatto, che si basa su analisi di valore aggiunto, che nulla hanno a che fare con l'analisi costi benefici. Non ci sono i costi in quello studio: non misura i costi ma il traffico, l'occupazione e l'impatto sulle imprese. L'analisi di impatto si occupa di ipotesi di valore aggiunto".

Ponti, quindi, ha scelto di spiegare le sue due diverse posizioni: "L'analisi costi benefici sulla Tav del 2011 fu promossa da un soggetto che aveva già deciso per il sì. Noi l'abbiamo criticata quell'analisi, avevano fatto degli errori metodologici. Ho fatto analisi per Ocse, Commissione europea, banca mondiale. Io credo di far bene il mestiere, credo di non essere uno schiavo di Toninelli. Abbiamo ottenuto un grande risultato: per la prima volta si paròa di numeri, così, finalmente, l'Italia diventa un Paese civile perché si critica e si discute di numeri".

Stando a quanto riportato, poche ore fa, dal tg La7, lo studio a cui ha fatto riferimento Ponti, avviato due anni fa, sarebbe stato condotto da circa 30 esperti del settore. Al centro del documento, lungo 116 pagine c'è, questa volta, l'impatto socioeconomico e ambientale delle reti transeuropee, di cui fa parte anche il Tav. E tra le firme di questo report c'è anche quella della società di Ponti. Nello studio, tra i riferimenti, c'è quello al risparmio di tempo per i passeggeri e per le merci, ma non solo. Anche i benefici, infatti, sarebbero evidenti anche in termini di occupazione. Per ogni miliardo speso nel cantiere si creerebbero 15mila posti di lavoro.

Ponti ha poi voluto chiarire: "Lo Stato è uno degli attori interessati nel progetto Tav. Noi guardiamo come stanno tutti gli attori in gioco e poi sommiamo tutti gli impatti. Lo Stato è un attore e valutiamo quanto sono i cost: con la Tav incasserebbe meno accise sulla benzina, sono soldi in meno per lo Stato, quindi giusto mettere questa voce nell'analisi costi-benefici. La somma di queste altissime accise sulla benzina e dei pedaggi autostradali che non incasserebbe sono costi per lo Stato, incassi che perderebbe rispetto ai danni ambientali che verrebbero limitati con la Tav".

Per fermare l'opera le opzioni, spiegava Di Maio ai suoi ieri sera, sono due. "Il primo è quello del blocco dei bandi - diceva - e ciò può avvenire o tramite una delibera del consiglio dei ministri o tramite un atto bilaterale Italia-Francia che intervenga direttamente sul CdA di Telt la società italo francese che gestisce gli appalti del Tav. Il secondo è quello del passaggio parlamentare per il no definitivo all'opera". I grillini non vogliono che il governo scarichi sull'Aula la decisione, perché in quel caso il fronte unito di Lega, Fdi, Forza Italia e Pd farebbe partire l'opera. I voti sono assicurati.  

Verrebbe da dire che alla fine tutti i nodi vengono al pettine. Quando, poco meno di un anno fa, si stava delineando la possibilità che si formasse una maggioranza parlamentare e di governo formata da Lega e Movimento Cinque Stelle, tanti osservavano con scetticismo le trattative, alla luce dei molteplici e noti punti di disaccordo tra i due partiti. Tutto risolto, sembrava, con la firma del contratto di governo

È difficile fare previsioni su quello che succederà: ma guardando al Paese, invece che al Palazzo, la sensazione è che la necessità di investimenti e di infrastrutture per lo sviluppo sia molto sentito su tutta la penisola. Al Nord come al Sud, tra i privati cittadini così come tra le tante aziende sempre più deluse e arrabbiate. L’atteggiamento del Movimento Cinque Stelle sulla Tav, infatti, è emblematico di una chiusura ben più ampia: non solo quindi rispetto alla sola Torino-Lione, bensì con riferimento alle tante opere che servirebbero al Paese stesso. Ne è la riprova il fatto che grandi alternative a questo progetto non ne sono state avanzate: che fine hanno fatto le promesse di investimenti nell’Alta Velocità al Sud? O quelle di grandi interventi per il trasporto regionale? Nulla di tutto questo nella legge di bilancio, nulla che faccia pensare che il Movimento abbia davvero capito le reali esigenze degli italiani in termini di crescita.

In fin dei conti, leggendo il contratto di governo, sulla Tav c’erano poche parole ma compatibili con qualche tipologia di intervento: un impegno a ridiscuterne integralmente il progetto nell’applicazione dell’accordo tra Italia e Francia». Una frase che certo non sposa il progetto originario ma nemmeno indica chiusura pregiudiziale. E invece a sentire il premier Conte e le sue elucubrazioni causidiche, Palazzo Chigi nutre forti perplessità sull’opera, a tal punto che potrebbero risultare fatali. Si capisce che la base del movimento su questo argomento sia molto sensibile: il “No Tav” è stata una battaglia della prima ora del popolo a Cinque Stelle. Ma un anno dopo la vittoria delle elezioni e sei anni dopo l’ingresso in Parlamento, la classe politica del Movimento avrà ormai capito che l’arte della politica è e deve essere quella del compromesso, inteso nella sua più nobile forma, e non la chiusura a priori. E che cambiare un’idea, motivando la scelta, permette di fare passi in avanti nell’interesse di tutti. 

Da un lato i grillini di fatto agitano il governo con il "no" all'Alta Velocità dall'altro c'è il Carroccio che sostiene sempre di più il "sì" alla Torino-Lione. Queste sono ore di grande tensione nel governo. Il ministro degli Interni riaprirà il dossier lunedì e quindi questo che è appena cominciato sarà un weekend di riflessione. "Ne riparliamo lunedì. Ne riparliamo da lunedì in avanti. Io sono per fare e non per disfare. C’è tempo, il venerdì è lungo, quindi ci sentiamo stanotte per chi vuole avere la mia sensazione sulla sensibilità del presidente del Consiglio, sulla Tav, sul Terzo Valico, sulla Tap, sul metano, sull’eolico e su tutto quello che può interessarvi".

Ma di fatto il ministro usa parole che fanno temere una crisi dietro l'angolo: "Se i tempi sono quelli che ho sentito, la legittima difesa, il codice rosso e la certezza della pena entro la primavera saranno realtà". L'orizzonte temporale della primavbera dunque potrebbe essere una sorta di assicurazione sulla vita del governo, ma Salvini anche su questo punto afferma: "Siamo tutti nelle mani del buon Dio. Non c’è niente di certo. È molto probabile che queste tre leggi siano leggi dello Stato entro questa primavera. Che ci sia un Parlamento è fondamentale perchè le leggi le approva il Parlamento". Insomma tra la Lega e Movimento Cinque Stelle è ancora alta tensione. E il rischio di una crisi di governo resta sempre sul campo...

Voci di crisi di governo, muro contro muro sulla Tav, distanze tra Lega e M5S. Oggi Di Maio torna a riptere, come fatto ieri, che è da "irresponsabili" mettere a rischio il governo sull'alta velocità, definita questione "marginale". E poi si dice "interdetto" dalla Lega "che mette in discussione" l'esecutivo.

La pensa diversamente il collega Salvini. "Io sono per fare e non per disfare - dice il ministro dell'Interno - C’è tempo, il venerdì è lungo, quindi ci sentiamo stanotte per chi vuole avere la mia sensazione sulla sensibilità del presidente del Consiglio, sulla Tav, sul Terzo Valico, sulla Tap, sul metano, sull’eolico e su tutto quello che può interessarvi". Non è un caso che sempre oggi abbia evocato la crisi di governo: "Siamo nelle mani di Dio", dice il leghista.

Ecco allora che si torna al muro contro muro. Se Lega e M5S continueranno a voler andare "fino in fondo", ci sarà la crisi di governo. Lo ha detto chieramente ieri Stefano Patuanelli, capogruppo M5S al Senato: "Se c'è l'Alta velocità, non c'è il governo. E viceversa". Nel mezzo, il caso Diciotti. Senza esecutivo gialloverde, i Cinque Stelle non si sentirebbero obbligati a "salvare" Salvini dal processo.

Mai prima d'ora, al di là dei bisticci di secondo piano, Lega e M5S erano arrivano così ai ferri corti. Secondo il Messaggero, mercoledì notte - quando a Palazzo Chigi si è svolto il vertice senza risultati - Di Maio avrebbe confidato a Salvini che "se perdo questa partita non c'è più campionato". Il leader della Lega è forte del "75% degli italiani che viole fare la Tav", ma il M5S avrebbe già lanciato il suo avvertimento. Un monito che investe non solo il tema Torino-Lione, ma anche il caso Diciotti. A fine marzo il ministro dell'Interno dovrà affrontare il voto di Palazzo Madama sull'autorizzazione a procedere richiesta dal tribunale dei ministri di Catania. Se il M5S dovesse abbandonare Salvini, non è detto che il leghista non ne esca con le ossa rotte. Il vicepremier M5S lo avrebbe detto al collega direttamente: "Io non posso fare la Tav, cade il governo e verrebbe giù il governo". Secondo il Messaggero, che cita "qualcuno ai piani alti del Movimento!", il riferimento è anche al caso Diciotti.

Lo scontro fino a ieri pomeriggio vedeva contrapposti Salvini e Di Maio, con Conte da fare da ponte. Poi, però, il premier ha convocato una conferenza stampa per prendere posizione al fianco di Giggino e mettere in chiaro i "dubbi sulla tav". Il problema rimane. L'obiettivo del M5S è bloccare i bandi che dovrebbero partire lunedì. La società che gestisce la Torino-Lione ha già fatto sapere che lo stop costerebbe subito 300 milioni. Poi il conto potrebbe addirittura salire. Senza contare che l'Europa ha già quantificato in 800 milioni la perdita di finanziamenti stanziati da Bruxelles per l'Italia.

Il M5S però non cede. Rischia di implodere. "Conosco gli umori e le psicologie dei nostri - confessa al Messaggero Francesco Silvestri -non reggeremmo mai la partenza dei bandi, figurarsi un mezzo sì". Ecco perché Giggino, per evitare spaccature, ieri sera ha fatto sapere che "non sono disponibile a mettere in discussione il nostro no".

Secondo l’Istituto di sondaggi Index continua la discesa dei pentastellati. In una settimana giù di un altro 0.4% ma rispetto al 4 Marzo di un anno fa il consenso crolla di ben 11 punti percentuale. Cosa inversa e ben maggiore il dato per l’alleato che viene definito irresponsabile per il proposito di andare avanti sul valico Torino - Lione.

La Lega aumenta ancora negli ultimi sette giorni ma rispetto a 369 giorni fa (4 Marzo 2018- 8 Marzo 2019), porta a casa un + 17.2% con solo un - 0.2% per ottenere il raddoppio, tondo tondo, del 17.4% delle elezioni politiche 2018. Anche il Pd cresce di quasi un punto in sette giorni rasentando il 19% (18.9%) e pensando, ironicamente parlando, che le primarie dovrebbero esser celebrate quasi mensilmente per risalire una china rispetto ai minimi storici di questi mesi. Forza Italia è al 9%, Fratelli d’Italia al 4.5, + Europa al 2.8, Potere al Popolo all’1.8% ed altri di sinistra al 3.4%. Centrodestra al 48.1% (Lega + F.I. + Fratelli d’Italia); centrosinistra 25.1% (Pd+ Più Europa + altri di sinistra ad esclusione di Potere al Popolo) e Cinque Stelle al 21.7%.  

L’amministrazione Trump garantisce pieno sostegno al governo italiano, in particolare alla sua ala sovranista, mentre Bruxelles ha da tempo avviato una politica del tutto conflittuale con Palazzo Chigi, colpevole di aver sfidare le regole e i vincoli europei, ma anche di aver messo in dubbio la bontà dell’asse franco-tedesco.

Così, Roma ha deciso di spostare il suo asse verso l’Atlantico. E questa mossa sta cambiando e non poco le strategia italiane da un punto di vista economico, commerciale ma anche militare. Chiaramente nulla è gratuito. Come confermato anche dal viaggio di Giancarlo Giorgetti negli Stati Uniti – preceduto dal tour del sottosegretario Guglielmo Picchi sempre oltreoceano -, Washington ha chiesto a Palazzo Chigi garanzie politiche e strategiche. Ma i colossi italiani possono avere degli ottimi guadagni, a partire dall’industria bellica, anche nel settore della cyber-sicurezza.  

La conferma arriva in queste ore non solo dal tour Usa di Giorgetti, ma anche dalle mosse di Angelo Tofalo, sottosegretario alla Difesa, e Leonardo. Il sottosegretario interverrà domani all’apertura del workshop “Cybersecurity, challenges and opportunities for Italy and the Usa”. Un incontro importante perché, come sottolineato dallo stesso Tofalo: “Il tema della sicurezza cibernetica è di interesse nazionale. Non ci sono Paesi che possono sentirsi al sicuro dagli attacchi cibernetici. È compito dello Stato affrontare le sfide del futuro e cogliere le opportunità del quinto dominio”.  

Pero l’Italia è uno dei Paesi maggiormente coinvolti nella Nuova Via della Seta, il progetto con cui la Cina cerca di costruire il suo modello di globalizzazione. E il nostro Paese appare come quello del G7 più direttamente coinvolto nell’iniziativa. Tanto che, come riporta il Financial Times, è possibile che il governo italiano firmi il memorandum d’intesa con Pechino già a fine marzo, quando il presidente Xi Jinping arriverà a Roma in visita ufficiale.

Le pressioni americane, in questo senso, sono fortissime. Garrett Marquis, portavoce del Consiglio per la Sicurezza nazionale della Casa Bianca ha dichiarato al Financial Times che “la Via della seta è un’iniziativa fatta dalla Cina, per la Cina”. Ma ha che lanciato un monito diretto nei confronti di Roma: “Siamo scettici che l’adesione del governo possa portare benefici economici durevoli al popolo italiano e nel lungo periodo potrebbe finire per danneggiare la reputazione globale del Paese”.  

A Washington non è piaciuta la mossa del governo italiano di pensare alla concessione della rete a un colosso cinese come Huawei. E questo problema è stato sollevato anche durante il viaggio di Giancarlo Giorgetti negli Usa, dove, fra New York e Washington, gli è stato anche segnalato che il Pentagono e la Casa Bianca sono molto preoccupati da quanto deciso nelle stanze di Palazzo Chigi.

Ma per l’Italia è anche un altro discorso. Roma è parte del G7, è uno dei partner principali della Nato, Napoli è l’hub dell’Alleanza atlantica nel Mediterraneo, e Donald Trump ha stretto ottimi rapporti con il governo giallo-verde. Insomma, l’Italia non è un Paese come gli altri per Washington. Ed è per questo che da parte americana sono già arrivate indicazioni specifiche sulla scelta di Palazzo Chigi di essere coinvolti pienamente nell’iniziativa della Nuova Via della Seta.  

Gli Stati Uniti non vogliono che il futuro delle telecomunicazioni sia in mano cinese, un Paese considerato un avversario da parte di Washington. Ci sono problemi di natura commerciale,m ma soprattutto di natura strategica. L’intelligence americana non ha intenzione di vedere le reti europee e dei partner internazionali in mano a un governo con cui conduce una vera e propria guerra economica ma anche politica.

E questo “warning” americano è arrivato anche a Roma. Tanto che si iniziano a muovere i servizi segreti. Come riportato da Ansa, il Copasir il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica ha chiesto in questi giorni un incontro con il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e il ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, proprio per discutere del dossier 5G, che rappresenta lo standard futuro per tutte le reti di comunicazione mobile. Un tema particolarmente delicato, complesso e dai forti rischi, tanto che Luciano Carta, direttore dell’Aise, ne ha parlato in audizione al Comitato.

Per l’intelligence italiana, il rischio di concedere in mano straniera la rete non è un problema secondario. Huawei e Zte, i due colossi cinesi che provano a spartirsi le reti mondiali del 5G, continuano a ribadire che dietro la loro politica commerciale non ci sia alcun tentativo di conquistare reti strategiche occidentali. Ma gli Stati Uniti hanno già messo in chiaro che la questione non sia affatto da sottovalutare.

Intanto Il governo giallo-verde ha presentato il suo piano sulla immigrazione, ma l'Ue non è riuscita a trovare un "accordo" a livello internazionale. E così, mentre i governi si fronteggiano barricati sulle proprie posizioni, la crisi continua. Gli sbarchi sono diminuiti ma - Avramopoulos dixit - la situazione in Libia resta "molto caotica" e presto potrebbero ricominciare ad arrivare altri immigrati.

Per gestire i flussi di migranti, l'Italia chiede "una pre-distribuzione", in modo che "più Stati europei possano condividere l'onere di fare tutte le verifiche". In sostanza i richiedenti asilo andrebbero "subiti distribuiti su più paesi", senza far ricadere tutto il peso sui Paesi di primo approdo. Il motivo? "Nella maggior parte dei casi - spiega Moavero - le persone migranti non cercano l'isola greca, l'Italia o la Spagna: stanno cercando una vita diversa e un rifugio in Europa. Secondo noi la questione è profondamente europea".

A rendere noto lo stallo delle trattative in Europa è stato il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi. Il titolare della Farnesina nel corso di un'audizione davanti al comitato parlamentare Schengen ha spiegato chiaramente l'idea del governo nostrano: "Le persone, in particolare quelle che vengono salvate in mare" dovrebbero "essere sbarcate anche per ragioni umanitarie, ma dovrebbero essere sbarcate in zone franche rispetto all'applicazione delle regole di Dublino". Questo piano è stato portato avanti a livello Ue, ma a fronte delle belle parole di solidarietà di molti Stati alla fine "quando si va alla fase operativa" il dialogo "finisce col bloccarsi".    

Fino ad oggi, infatti, le norme di Dublino costringono i Paesi di primo approdo a farsi carico della domanda di asilo. Cioè devono verificare se i migranti sono davvero in fuga dalla guerra e se hanno le carte in regola per ottenere protezione internazionale. La pratica è lunga e per due anni gli immigrati si trasformano un onere insostenibile per Grecia, Italia e Spagna. Se, invece, come vorrebbe Roma, i migranti venissero distribuiti subito, allora sarebbero tutti gli Stati Ue a "dividersi" il compito delle verifiche. Alleggerendo così il carico per i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo.

Per ora, però, non è ancora stato trovato un accordo. Per questo oggi la Commissione europea ha spiegato che finché il regolamento non verrà modificato si potrà proseguire con "disposizioni temporanee relative agli sbarchi". Tradotto: ogni volta che una nave carica di migranti chiederà dove approdare, i governi dovranno trovare accordi mirati per la redistribuzione. In pratica si ripeterà quanto successo, in alcuni casi, negli ultimi mesi. 

Per la Commissione "sulla base dell'esperienza acquisita con le soluzioni ad hoc nell'estate 2018 e nel gennaio 2019, le disposizioni temporanee possono fornire un approccio più sistematico e coordinato a livello dell'UE in materia di sbarco" "Tali disposizioni - continua l'Ue - metterebbero in pratica a livello dell'UE i principi di solidarietà e responsabilità, e servirebbero come meccanismo ponte fino al completamento della riforma del regolamento Dublino". Ma per una soluzione definitiva ci sarà ancora da attendere. E chissà quanto.

 

 

 

 

 

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La strategia americana è molto chiara: l’alleanza fra Europa e Stati Uniti non è una priorità assoluta. Gli obiettivi di Washington per questo nuovo millennio sono diversi rispetti a quelli del Novecento. Lorenzo Vita fa un analisi dettagliata per il quotidiano il giornale e " occhi alla Guerra" ...Ed è del tutto evidente che l’idea della Casa Bianca, ma anche del Pentagono, sia quella di spostare il baricentro dei propri interessi militari dall’Europa all’oceano Pacifico, in particolare intorno alla Cina.

L’Italia,soprattutto con quest’ultimo governo, ha già manifestato chiaramente la sua scelta: la Nato non si discute, specialmente se l’alleanza militare europea debba diventare un blocco guidato da Parigi. Trump ha dimostrato di avere un forte interesse nell’Italia. E questo implica per Roma un rafforzamento del proprio ruolo all’interno dell’Alleanza. Nella sfida con l’Unione europea a trazione franco-tedesca, l’Italia ha già scelto: e sta con gli Stati Uniti. A dimostrazione che la trappola di Trump nei confronti di Macron e Merkel è già scattata  

Il presidente degli Stati Uniti lo ha reso chiaro innumerevoli volte. Lo ha fatto quando ha chiesto ai partner europei di pagare di più per la Difesa. Lo ha chiarito quando si è interrogato sull’utilità di estendere la Nato nei Balcani (in particolare sul Montenegro). E lo ha detto chiaramente anche nei riguardi della Germania, chiedendo ad Angela Merkel di scegliere fra gli accordi economici ed energetici con la Russia e la protezione dell’ombrello Nato.  

Questa scelta strategica degli Stati Uniti,continua il quotidiano  confermata anche dalle innumerevoli richieste di Trump agli alleati europei, non indica per forza un abbandono Usa dell’Europa. Ma indica una diversa presa di posizione da parte della Casa Bianca. Se prima l’Europa poteva contare su Washington perché l’ombrello occidentale serviva agli Usa per contrastare l’Unione sovietica, ora non c’è più questa logica completamente anti-russa.

L’Europa è un mercato per il presidente americano. E interessa esclusivamente per quello. Altri scopi di natura strategica stanno lasciando molto perplessi gli strateghi repubblicani. Tanto che è nata una profonda divergenza fra l’idea dei militari e dell’amministrazione sull’esistenza stessa dell’Alleanza atlantica.

Di fronte a queste sfide, secondo il Giornale l’Europa sta reagendo in maniera molto diversa. E sono soprattutto Francia e Germania a essere quelle più colpite dallo sganciamento degli Stati Uniti dal Vecchio continente. Perché mentre gli altri Stati europei hanno optato per una netta correzione della propria agenda strategica verso l’Occidente, Berlino e Parigi non hanno mai nascosto il desiderio di costruire un’alleanza alternativa alla Nato e all’ombrello americano. Tanto che si parla sempre più spesso della nascita di un asse strategico che abbia anche l’arsenale nucleare comune fra i propri obiettivi. Arsenale che Parigi non ha mai voluto delegare all’Alleanza atlantica e che invece più volte nel corso della sua storia a voluto definire “europeo”.

Il problema è che la deterrenza nucleare non può nascere solo da un accordo. E la Germania attualmente dipende totalmente dagli Stati Uniti. La Francia può permettersi di parlare di una propria deterrenza e può essere tranquillamente in grado di presentarsi come potenza europea priva di dipendenze strategiche da Washington. Mentre la Germania non può farlo. E qualsiasi decisione significa un processo lentissimo, molto profondo e completamente aleatorio.

Tanto che l’idea di un arsenale nucleare autonomo rispetto a quello Nato è un’ipotesi che a Berlino circola da alcuni anni ma di cui nessuno riesce a dare né tempistiche né certezze. E questo comporta un dato molto rilevante: Berlino non potrà fare a meno degli Stati Uniti e della sua alleanza per moltissimo tempo. Il tutto nonostante la sfida crescente fra Germania e Usa sul fronte economico, energetico e politico.

Come riferiscono " occhi da guerra "sotto questo profilo, Francia e Germania sono sole e isolate. La Francia avrebbe le possibilità di sganciarsi definitivamente dall’alleanza con gli Stati Uniti, ma si ritroverebbe isolata in Europa e incapace di reagire di fronte ai giganti militari come Cina e Russia (o come gli stessi Stati Uniti). Inoltre, con il claudicante e fragile sistema di Difesa dell’Unione europea, di fatto la guida francese sarebbe un elemento quasi inutile. Mentre la Germania non potrebbe garantire a Parigi alcuna alleanza per i prossimi decenni, diventando automaticamente o priva di deterrente nucleare o completamente isolata insieme alla Francia e dipendente dall’arsenale parigino.

Nel frattempo, l’isolamento in Europa secondo il quotidiano di queste due potenze appare in aumento. Gli altri Stati europei non sembrano affatto interessati a entrare in un sistema strategico guidato da Parigi e Berlino. Già l’Unione europea, con l’asse franco-tedesco a fare da motore, è mal tollerato da larga parte degli Stati membri dell’Unione europea. Avere la propria difesa in mano a Francia e Germania sembra quindi del tutto fuori discussione. Tanto più che gli Stati europei hanno progetti ben diversi da quelli di Francia e Germania.

L’Europa orientale ha già chiarito di essere fortemente orientata verso la Nato. Il Gruppo di Visegrad, tra Unione europea e Nato, non ha dubbi: meglio l’Alleanza atlantica. E del resto, per un gruppo di Stati preoccupato costantemente dalla Russia, l’unica alleanza valida appare quella offerta dagli Stati Uniti.

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La guerra fra Italia e Francia danneggia tutti. Ma danneggia soprattutto Parigi. Che adesso si trova nella condizione di dover accettare due alternative: o un’Europa franco-tedesca a trazione esclusivamente germanica, oppure provare a ricostruire l’Unione europea partendo da una rinnovata alleanza con l’Italia.

Sembra impossibile in questi tempi di sfida fra Emmanuel Macron e il governo di Giuseppe Conte. Ma la Francia secondo il quotidiano il Giornale non può non capire l’errore strategico che sta commettendo. Perché Parigi e Berlino hanno interessi del tutto divergenti. Una potenza importatrice, l’altra esportatrice. Una una potenza legata alla difesa, l’altra prettamente alla dimensione economia e commerciale. E come se non bastasse, Parigi si deve confrontare con una realtà molto competitiva in cui la Germania ha un solo interesse: prendere il sopravvento su tutta l’Europa.

La Francia di Emmanuel Macron, la Spagna di Pedro Sanchez, la Germania di Angela Merkel, così come i leader dell’Unione europea, si sono prodigati ad accusare l’Italia e i Paesi di Visegrad. Ma nessuno ha mai fatto realmente qualcosa per evitare quanto accadesse. Nessuno ha voluto riformare le quote di distribuzione dei migranti, nessuno ha proposto di cambiare il regolamento di Dublino, nessuno ha mai sostenuto gli Stati costieri. La soluzione al problema non l’ha mai data nessuno.

Che l’Europa abbia un problema con i migranti, questo è assodato. Ma che esistano Paesi in grado di dare lezione sul’ accoglienza di profughi, migranti economici e rifugiati, questo è un altro discorso. E se qualcuno si interroga se la possibilità esista, la risposta è no: nessuno può darne.

Il caso Aquarius di questa estate è stato il simbolo di quanta ipocrisia aleggia in Europa. Tutti impegnati a bacchettare l’Italia considerandola il mostro verso cui lanciare le invettive del politicamente corretto. Ma nessuno che ha guardato più in là del caso concreto. Nessuno che ha voluto interrogarsi sul motivo per cui si sia arrivati a quel punto

Intanto Fabio Fazio intervista Emmanuel Macron ed è polemica. Che il lungo faccia a faccia tra il conduttore e il presidente francese sarebbe finito al centro del dibattito politico italiano lo si era capito dal giorno dell'annuncio a finire nel mirino sono le domande scelte dalla redazione per l'inquilino dell'Eliseo.

A far scattare sulla sedia la Meloni, però, è stato un altro passaggio, quello in cui il conduttore ha ricordato come "si dice che Parigi sia la capitale d'Italia anche per quanti sono gli italiani che abitano qui e anche viceversa". L'affermazione non è piaciuta a Fratelli d'Italia. "Servo tra i servi, Fazio intervista Macron e dichiara: "Dato che è pagato con milioni di italianissimi euro per dire che l'Italia è una colonia francese", attacca Meloni, "sarebbe bene fosse spedito a farsi stipendiare dai suoi amici d'oltralpe"  

A sollevarle è Giorgia Meloni, già critica su Che tempo che fa. "Secondo voi avrà il coraggio di chiedergli conto del neocolonialismo francese in Africa condannato dal Parlamento italiano con la recente mozione di Fratelli d'Italia?", si domandava la leader di FdI prima del lancio dell'intervista. La tanto attesa domanda non c'è stata, anzi. Ne sono mancate anche altre, in particolare quelle sui temi caldi che hanno contrapposto Parigi a Roma. Un esempio? Nessuna richiesta di chiarimento sulle incursioni della Gendarmerie francese al confine italiano tra Claviere e Bardonecchia, oppure sui respingimenti o sulla condanna della Cedu per il trattamento dei minori richiedenti asilo.

Cm nell'intervista  Macron ha cercato di ricucire il rapporto con l'Italia e in cui si è proposto come maestrino in uno scontato spot pro-Europa. "Ci sono stati malintesi tra Italia e Francia ma bisogna andare oltre", ha detto il presidente francese. "I malintesi e le peripezie più recenti non sono gravi, bisogna andare oltre: ci sono state affermazioni un po' eccessive. Quello che dobbiamo ai nostri popoli è andare oltre". Poi il leader di EnMarche! ha parlato di Europa, dell'accordo di Aquisgrana, della pressione cinese e ha infine provato a mettere in guardia dal ritorno del nazionalismo.

Secondo "occhi alla Guerra"Il problema è che Macron sta sbagliando premessa: che la Germania voglia un’Europa franco-tedesca. In realtà lo spirito tedesco non è affatto quello di condividere l’Ue con qualche altra potenza. Anzi, l’idea che contraddistingue da decenni l’Unione europea è quella di una Germania che decide le sorti del continente e di una Francia che accetta, in maniera più o meno supina, le decisioni assunte tra Francoforte e Berlino con il placet di Bruxelles. Perché, come spiegato da Carlo Pelanda, questa Unione è un’alleanza fra nemici e non fra amici. E questo chiarisce in maniera abbastanza netta quale sia la reale essenza del panorama politico europeo.

La guerra all’Italia non le serve per ricalibrare il potere tedesco. Ma soprattutto sta spingendo gli altri Paesi europei a guardare oltre quell’Unione europea che la Francia vuole dominare o quantomeno provare a dominare insieme alla Germania. Con questa sfida continua a Roma e ai governi europei, ma soprattutto con la costruzione dell’asse con Berlino, Macron non sta affatto creando le premesse per una Europa a trazione franco-tedesca, ma in una Europa completamente spaccata, al massimo a trazione germanica e con diversi gruppi di Paesi che si stanno costruendo delle proprie alleanze o interne all’Europa o al di fuori.

Critiche alla volontà Ue di sostenere l'ammodernamento delle infrastrutture anatoliche sono state espresse anche da diversi esponenti politici "sovranisti". Marine Le Pen ha infatti duramente biasimato il piano ideato dalla Commissione a beneficio della nazione islamica e ha poi accusato i vertici Ue di "regalare al tiranno Erdoğan i soldi dei cittadini europei" e di volere promuovere la "penetrazione musulmana" nel "Vecchio continente".  

Il sostegno economico promesso da Katainen all'esecutivo Erdoğan ha subito suscitato malumori da parte di numerosi media occidentali e da parte dei movimenti "sovranisti". Ad esempio, il quotidiano britannico The Daily Telegraph ha accusato la Commissione Juncker di stornare le risorse Ue dall'obiettivo di "promuovere la crescita" nel "Vecchio continente" per destinarle a vantaggio di un Paese "lontano anni luce dagli standard giuridici e democratici europei".  

Il vicepresidente della Commissione europea, Jyrki Katainen, che ha di recente partecipato, ad Ankara, a una conferenza stampa insieme a Nihat Zeybekci, ministro degli Affari economici del governo Erdoğan. Durante il suo intervento, il vice di Juncker ha assicurato al Paese anatolico un "significativo contributo Ue" al fine di munire l'ex "Sublime Porta" di un "sistema dei trasporti efficiente e all'avanguardia".

Katainen ha quindi dichiarato che Bruxelles accorderà alla Turchia uno stanziamento di "275 milioni di euro", destinati principalmente alla realizzazione, nel Paese asiatico, di linee ferroviarie "ad alta velocità". Grazie al finanziamento Ue, la nazione islamica, a detta del vicepresidente della Commissione, sarà dotata di collegamenti su ferro capaci di "connetterla con il cuore dell'Europa". Tra i progetti rientranti nel "piano di aiuti" europeo per Ankara, vi è infatti lo sviluppo di una tratta ferroviaria diretta "da Istanbul a Bruxelles", la quale sarà percorsa da treni costruiti con le "tecnologie più avanzate".

Ogni settimana, ogni giorno "la propaganda antigovernativa" tranquilla per le tv dello Stato o le tv private funziona e non si ferma un attimo ma questo "accanimento" contro la Lega e il Ministro Salvini non fa altro che aumentare i suoi consensi :

Stando alla seconda proiezione del Parlamento europeo secondo il Giornale in vista delle elezioni di maggio resa nota oggi a distanza di circa due settimane dalla precedente, il partito di Matteo Salvini potrebbe incassare il 33,3% passando così a 28 seggi dai 27 che gli attribuivano le precedenti proiezioni. Il Movimento Cinque Stelle, invece, accreditato la scorsa volta di 22 deputati, si ferma a quota 21 con nove punti percentuali in meno dell'alleato di governo (24,3%).

La nuova proiezione attribuisce un seggio in più a Forza Italia che con il 9,1% arriva a quota nove europarlamentari e uno in meno al Partito democratico che si attesta a quattordici con il 16,9% dei consensi. A Strasburgo, secondo le nuove proiezioni dell'Eurocamera, che elaborano la media dei sondaggi europei, dovrebbero arrivare anche quattro eurodeputati di Fratelli d'Italia che, dopo aver aderito al gruppo dei Conservatori e Riformisti, è data al 4,4%. Non raggiungono la soglia di sbarramento del 4% e dunque non ottengono nessun seggio invece +Europa (3,5%), Potere al popolo (2,3%) e Articolo 1-Mdp (1,8%).

Se arrivasse a ventotto eletti, la Lega, che oggi conta sei deputati a Strasburgo, si confermerebbe la seconda delegazione più numerosa dopo quella della Cdu tedesca. Tra i partiti alleati dei Cinque Stelle, i polacchi di Kukiz 15 sarebbero al 7,3% e ipotecherebbero quattro seggi dell'Europarlamento. Ai croati di Zivi Zid vengono invece attribuiti due seggi. Non vengono conteggiati i greci di Akkel e i finldandesi di Liike Nyt. Ad oggi, i pentastellati non avrebbero quindi i numeri per formare un gruppo autonomo all'Euro camera dal momento che per formare un gruppo servono almeno venticinque deputati di sette diverse nazionalità.

Secondo Le Figarò, il presidente della Francia ospite alla Rai alla trasmissione che tempo che fa parlerà dei legami di amicizia tra Francia e Italia, in particolare della sua relazione personale con l'Italia e la sua cultura. Ma non solo. Si parlerà anche di Europa, migrazione, ambiente e sfide economiche e sociali. Chissà se anche quest'intervista provocherà polemiche. Nei giorni scorsi, infatti, Fazio è finito nel mirino di Fratelli d'Italia che lo ha accusato di ospitare troppo spesso Roberto Saviano.  

Intanto il fotografo Toscani ospite di Massimo Giannini e Jean Paul Bellotto, ha detto : "Io non sono nemico di Salvini - dice Toscani - è lui che è nemico dell'Italia! Gli italiani che votano sono il 40%, di quel 40% lui prende una percentuale inferiore a quella del PD. Smettiamola di fare i frignoni, noi non salvinisti". Poi ha parlato anche del rapporto tra Italia e Francia. I francesi - è il ragionamento - ce l'hanno "solo con qualche italiano un po' burino". "Non hanno un nome dispregiativo per gli italiani come ce l'hanno per gli inglesi e per i tedeschi - spiega - Lavoro in Francia da tanti anni, mi sono sempre trovato bene. In realtà ci vogliono bene. Anzi, hanno anche un po' di gelosia. Poi tre, quattro italiani gli stanno un po' sulle palle. Sappiamo tutti chi sono. Ci sono i radical chic e i burini. E i francesi ce l'hanno con i burini. Fra l'altro, ultimamente ho scoperto che i rolex ce li hanno loro. Il rolex è il simbolo della burinaggine totale". "Parla di Di Maio e Salvini?", gli chiedono i conduttori. "Se lo mettono la domenica...".

Intanto Il volto noto di La7 Giovanni Floris, secondo il quotidiano il Giornale è stato denunciato dal Codacons alla Procura della Repubblica per una presunta induzione al gioco d’azzardo.

L’associazione a tutela dei consumatori ha deciso di procedere con l’esposto dopo la messa in onda nell’ultima puntata di un servizio dedicato a come aggirare il divieto di utilizzo dei soldi del reddito di cittadinanza per il gioco d’azzardo.

Nel filmato sarebbe stato illustrato come, grazie ad un escamotage tra carte di credito, sia possibile e facile eludere i paletti imposti dalla legge mostrando, inoltre, i vari passaggi da compiere per comprare un “Gratta & vinci” con il denaro proveniente dalla sovvenzione governativa.

"Nel corso della trasmissione Giovanni Floris ha proposto un servizio sulle modalità per aggirare i paletti fissati dalla misura governativa in tema di reddito di cittadinanza" si legge nella denuncia presentata dal Codacons "in particolare illustrando le possibilità per eludere il divieto di utilizzo del sussidio per il gioco d’azzardo".

Un servizio giornalistico, questo, contrario a quanto chiesto nei giorni scorsi dal Ministro del lavoro Luigi Di Maio che aveva invitato il mondo dell’informazione a non rilanciare notizie su come aggirare le norme sul reddito di cittadinanza.

Secondo sempre il Codacons, il video trasmesso nel corso della puntata potrebbe essere considerato come una sorta di induzione per aggirare le regole con una possibile frode ai danni dello Stato che potrebbe provocare un danno economico per la collettività.

Per questo motivo l’associazione ha chiesto alla Procura di Roma se la decisione di Floris di trasmettere il servizio possa configurare l’induzione al gioco d’azzardo o una forma di favoreggiamento a delinquere.

Il Codacons, inoltre, ha proposto a La7, rete che si batte per arginare i fenomeni della ludopatia e del gioco d’azzardo, di sospendere lo stesso Floris "per il grave comportamento" tenuto nell’ultima puntata.

L'attacco arriva da Mariarosaria Guglielmi che, aprendo il congresso di Magistratura democratica a Roma, come riferisce il Giornale  ha accusato il governo giallo / verde dei peggiori crimini.

Pur senza mai nominarlo,secondo il quotidiano  il principale imputato di Magistratura democratica è Salvini. "Con il suo inesauribile trasformismo - lo accusano - può scendere a compromessi persino sulla pelle dei migranti abbandonati al loro destino in mare". Le parole usate contro il leader leghista sono violentissime. "Con la chiusura dei nostri porti e la messa al bando delle Ong si è consumata una violazione senza precedenti degli obblighi giuridici e morali di soccorso e di accoglienza, che derivano dal diritto interno ed internazionale". Poi, ricordando i casi della nave Aquarius e della Diciotti, la Guglielmini parla addirittura di "un'inversione morale" che, "in pochi mesi e con pochi gesti", ha "annientato intere esperienze di integrazione e di inclusione". "Abbiamo così distrutto intere comunità cresciute intorno al valore dell'accoglienza e alle opportunità che la pacifica convivenza offre a tutta la collettività - continuano le toghe rosse - abbiamo privato 'persone' di diritti, non per quello che fanno ma perchè diverso dal nostro è il Paese dove sono nate e dal quale sono state costrette a fuggire".

Nel mirino della corrente di sinistra della magistratura non finiscono solo le norme su immigrazione e sicurezza. Ovviamente, non viene risparmiata nemmeno la riforma della legittima difesa, che dovrebbe diventare legge nelle prossime settimane. In questo caso, Salvini e i suoi vengono accusati di sovvertire "il sistema dei valori della nostra Costituzione". E ancora: il disegno di legge Pillon sull'affido viene definito "oscurantista" e paragonato a quella "sub-cultura, fortemente ideologizzata, che ha prodotto le iniziative contro l'aborto e gli attacchi in nome dei valori della famiglia 'tradizionale' alle unioni civili, al biotestamento, alla laicità dello Stato". A Luigi Di Maio, invece, Md rinfaccia il reddito di cittadinanza. Dulcis in fundo, i probositi di riformare il sistema giudiziario vengono visti come azioni "eversive" da fermare al più presto, preservando così lo strapotere delle toghe. "Vi è un attacco mirato a singoli magistrati per screditarne l'operato ed offrirli alla gogna pubblica dei social - è la conclusione della Guglielmi - con continui tentativi di delegittimare l'intervento giudiziario".

 

 

 

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