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L'Italia nel 2050? Sarà ancora un Paese a maggioranza cristiana o l'Europa diventerà “Eurabia”, come l'ha chiamata in passato Oriana Fallaci

The Future of World Religions”, il centro studi indipendente americano aveva analizzato pochi anni fa, gli trend demografici e migratori e ha immaginato come saranno le nostre società nel lontano 2050.

Ebbene, sì, la religione musulmana è quella che cresce più velocemente di tutte, ma quella cristiana rimarrà comunque la più diffusa globalmente (31,4 per cento contro il 29,7 di quella musulmana, bisognerà forse aspettare il 2100 per il sorpasso), e non ci sarà nessuna invasione islamica, nessuna mutazione genetica della civiltà occidentale.
 
L'Europa è piena di immigrati clandestini. Nel 2017, l'ultimo anno a cui sono riconducibili i dati più precisi, si contavano tra i 3,9 e i 4,8 milioni di individui senza documenti e liberi di girovagare per il Vecchio Continente. Eppure nonostante la ‘libertà di movimento circa il 70 per cento dei clandestini vive stanziato in quattro paesi e la metà è oggi in Germania e Regno Unito.

Nel corso degli ultimi quindici anni, l'Europa ha acquistato – o meglio recuperato – una posizione centrale nella geografia migratoria globale. Per motivi di collocazione geografica e di struttura socio-demografica, il continente è, nel contempo, esposto a migrazioni spontanee e «indesiderate», e bisognoso di flussi selettivamente programmati. La difficoltà di far corrispondere la realtà migratoria con le aspirazioni e i bisogni strutturali rappresenta una delle sfide centrali per il futuro delle società e delle istituzioni europee.

Nonostante alcuni miglioramenti recenti nel livello di informazione statistica comparativa offerta sul sito dell’Unione europea, manca tuttora un quadro ufficiale, comprensivo e aggiornato, della situazione migratoria dello spazio comunitario. Le stime più autorevoli concordano comunque nel segnalare una forte crescita del ruolo di attrazione che l'Europa, nel suo complesso, esercita nel sistema migratorio globale. Per quanto riguarda in maniera specifica l’ue, pur nella difficoltà di azzardare cifre precise, esistono buone ragioni per ritenere che essa abbia superato gli Stati Uniti come bacino di immigrazione.

Il fenomeno migratorio diventa strutturale nella seconda metà degli anni ’90, per tre concause. La caduta dei regimi comunisti nei paesi vicini dell'Europa centro-orientale aggiunge un ulteriore flusso di risorse umane alla manodopera offerta da decenni dalla fascia meridionale del Mediterraneo. Accordi intergovernativi rendono sempre più facili i passaggi alle frontiere, all'interno del crescere dei fenomeni di globalizzazione dell'economia, e del turismo internazionale. La crisi demografica e l'invecchiamento della popolazione europea rendono irrinunciabile l’acquisizione di lavoro esterno, per il mantenimento dell’espansione economica nel vecchio continente. Alla metà degli anni 2000, la presenza di lavoratori stranieri nei paesi membri si attesta tra il 4 e il 5% della popolazione totale, e contribuisce per ¼ alla crescita occupazionale annua.

Di sicuro il tema della demografia sarà centrale nei prossimi decenni e sembra essersene accorta, con colpevole ritardo e con soluzioni tutte da chiarire e approfondire, anche l’Unione europea.  

In Germania, un quarto di tutti i residenti ha quello che chiamano ormai comunemente “background migratorio”, che significa avere almeno un genitore nato all'estero. Una cifra che è destinata ad aumentare con i decessi legati alla vecchissima popolazione europea, sostituita da una generazione più giovane, il cui 42% è fatto di bambini che hanno meno di sei anni e non hanno entrambi i genitori tedeschi.

In Svezia, a inizio 2019 gli stranieri costituivano il 19% della popolazione, quasi un quinto di quanti vivono nel Paese sono nati all’estero. Cifre record non solo per il cuore della Scandinavia, ma per tutta l'Europa: il numero di residenti e cittadini stranieri è raddoppiato solo in questo secolo. Il 31 agosto c'erano in Svezia 190.209 nati in Siria, 145.602 nati in Iraq e 145.487 nati in Finlandia.

“Fate cinque figli, il futuro dell’Europa è vostro” disse il presidente turco Erdogan nel 2017 ai musulmani residenti in Europa, una dichiarazione che seguiva quella dell’algerino Boumedienne nel 1974 all’Onu: “Il ventre delle nostre donne ci darà la vittoria”.

E l'imam Qaradawi, guru della Fratellanza islamica, ha parlato della natalità islamica come il mezzo per la “conquista non violenta dell’Europa”. Escatologia islamica, ma con notevoli fondamenta. Specie perché questi leader musulmani la coltivano nel seno di una Europa che ha smesso di fare figli. Italia, Grecia, Spagna, Germania, Portogallo e tutto l'est Europeo versano in condizioni demografiche disastrose, con appena un figlio a coppia, con l'equilibrio fra morti e nascite già compromesso da tempo e prospettive di declino demografico nei prossimi venti-trent'anni che farebbero impensierire anche l'ultimo degli edonisti.

“La religione vince sempre alla fine – non foss'altro che per motivi semplicemente e brutalmente demografici”, ha detto lo scrittore francese Michel Houellebecq. Oggi, milioni di musulmani vivono all'interno dell'Unione europea e il loro numero, stando alle ricerche più serie, arriverà presto a costituire almeno il 15 per cento della popolazione totale secondo Timothy M. Savage dell'Ufficio di analisi europea del Dipartimento di Stato americano ha stimato che l'Europa sarà al 20 per cento musulmana entro il 2050.

La lotta tra ceceni e magrebini per esempio in Francia : e una guerra civile nel cuore del Paese, I fatti di Digione lasciano emergere una serie di aspetti tra l'altro già noti al contesto francese, come l'assenza delle istituzioni in certi quartieri considerati ormai delle vere e proprie zone franche dove islamisti, spacciatori e delinquenti fanno il bello e il cattivo tempo, ma anche un'integrazione inesistente che mette chiaramente in evidenza come i modelli multiculturali francesi, britannici e scandinavi siano un totale fallimento.

I magrebini lo hanno detto chiaramente che volevano “proteggere il proprio territorio” dai ceceni; questo è un problema serio perché mette in evidenza come non soltanto vi siano comunità parallele che considerano la propria zona una specie di area extraterritoriale dove valgono regole alternative a quelle dello Stato centrale, ma anche come vi siano altri gruppi etnici in grado di attaccare queste zone a colpi di armi semiautomatiche e facendo materializzare scene da guerra civile nel cuore dell'Europa. Del resto anche la tardiva risposta della polizia, preoccupata di ingaggiare uno scontro con le bande, fornisce un ulteriore elemento di una quasi totale assenza dello Stato.

Secondo Von Der Leyen, "c'è bisogno di parlare di razzismo e c’è bisogno di agire". "Cambiare direzione è sempre possibile, se c'è la volontà", assicura. L'esempio di "un piccolo passo nella direzione giusta" è il cambio di rotta avvenuto negli ultimi anni nel sistema di reclutamento dell'esercito tedesco. In passato, ha ricordato la commissaria, che in Germania è stata anche ministro della Difesa, "avevamo eccellenti candidati, che sarebbero stati risorse preziose per le forze armate, a volte risorse rare, come persone che parlano l'arabo o il farsi, ma queste risorse non erano valutate, per niente".

"Eppure – ha aggiunto - in una missione all'estero, competenze simili possono salvare la vita dei compagni". Per questo, ha annunciato, la prossima settimana si aprirà un "dibattito strutturato sul razzismo presso il collegio della Commissione europea". L’obiettivo è imporre lo stesso cambiamento, superando "i pregiudizi inconsci" e dando forma concreta al motto "uniti nella diversità". "Non possiamo fermarci a condannare il razzismo ma dobbiamo essere vigili e consapevoli – ha chiarito - se lo incontriamo, dobbiamo parlare e agire immediatamente".

Non tutti, però, sono d'accordo con lei. Protesta su Facebook l’eurodeputato della Lega, Vincenzo Sofo: "La Von Der Leyen utilizza un’inesistente emergenza razzismo per aprire alla possibilità di introdurre delle vere e proprie 'quote nere' per gli immigrati all’interno delle istituzioni politiche, delle forze armate, della pubblica amministrazione, del mondo accademico e privato". "

Assicurare agli stranieri "quote di rappresentanza" in settori strategici, come ad esempio quello militare, secondo il parlamentare, non è esente da rischi. "Basta guardare quello che è successo negli ultimi anni in Francia, con gli immigrati di seconda o terza generazione appartenenti alle forze dell’ordine e aderenti all’ideologia islamista, o nella stessa Germania, dove la maggioranza della popolazione tedesca di origine turca ha dichiarato in un sondaggio che prenderebbe le parti di Ankara nel caso di un conflitto con Berlino".

Insomma, attacca l'eurodeputato del partito di Matteo Salvini, non si può "promuovere l'immigrazione selvaggia stipando nelle periferie, senza curarsi del fatto che aggiungere poveri ai poveri crea una competizione feroce tra le fasce deboli che fanno saltare in aria l'equilibrio sociale". "Basta guardare – continua Sofo – a quello che sta accadendo in questi giorni a Digione, dove bande di immigrati hanno preso in ostaggio una città intera a colpi di kalashnikov, e in tutte quelle periferie in cui le forze dell'ordine non possono più neppure entrare".
 
 
 
 
 
 

L’Italia è il paese dell’area euro, tra quelli maggiori, che soffrirà di più la crisi economica provocata dal coronavirus. Lo prevede il Fondo Monetario Internazionale, nelle proiezioni del World Economic Outlook pubblicate oggi, e riviste per tenere conto degli effetti della pandemia. Anche gli Stati Uniti subiranno una forte perdita, passando dalla crescita del 2,3% alla decrescita del 5,9%. Tutti questi paesi, però, si riprenderanno in maniera sostanziosa nel 2021, grazie alle forti misure adottate dai governi e dalle banche centrali, a condizione però che la situazione sanitaria migliori.

In Italia la decrescita sarà del 9,1% durante l’anno in corso, mentre l’intera area euro subirà una contrazione del 7,5%. Gli Usa Usa scenderanno a -5,9%, il Giappone a -5,2% e il Canada a -6,2%. Andrà meglio per la Cina, dove il pil calerà dal 6,1% del 2019 all’1,2% del 2020, per poi risalire al 9,2% nel 2021.

Se doveva essere un'autocelebrazione, la kermesse degli Stati generali sta fallendo l'obiettivo. E oggi Giuseppe Conte ha dovuto sopportare, oltre alle ennesime accuse degli industriali di essersi presentato solo con un "libro dei sogni" e niente di concreto, anche la plateale protesta del sindacalista degli immigrati Aboubakar Soumahoro.

Come sottolinea il quotidiano il Tempo,terzo giorno di confronto tra il Governo e i rappresentanti delle forze produttive del Paese a villa Pamphili con un colpo di scena: il sindacalista e attivista dei diritti dei braccianti, Aboubakar Soumahoro, si è incatenato davanti alla Villa in segno di protesta contro il Governo.

A pochi metri, nella storica residenza, si sono seduti al tavolo con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, i rappresentanti del commercio, dell'artigianato, della piccola e media impresa, del terziario, fino alla chiusura con Abi e Ania. Il premier è partito dagli ultimi dati Istat, relativi al commercio al dettaglio che «restituiscono - ha detto - un'immagine molto preoccupante.

Nel trimestre febbraio-aprile, il calo complessivo è del 15,8%: si tratta di variazioni negative che abbiamo difficilmente sperimentato negli ultimi decenni».sulle proposte è intervenuto il presidente di Confartigianato Giorgio Merletti: «Dobbiamo utilizzare tutte le risorse europee, senza preconcetti, per realizzare le riforme necessarie, da un lato, a recuperare ritardi, inefficienze e diseconomie esterne alle imprese e, dall’altro, a valorizzare il nostro tessuto produttivo, di cui la piccola impresa di territorio è il punto di forza.

Al tavolo con le associazioni di categoria Conte ha ricordato tutte le misure messe in campo dal Governo: 80 miliardi, più le garanzie per la liquidità, le moratorie sui finanziamenti di famiglie e imprese, le moratorie e le garanzie poste sui crediti delle imprese attraverso il Fondo centrale di garanzia Pmi e le garanzie rilasciate da Sace. E ancora la sospensione di molti pagamenti fiscali e contributivi, l'esenzione dal versamento della prima rata Irap, il contributo a fondo perduto per i soggetti esercenti attività d'impresa e di lavoro autonomo. In discussione, ora, c'è il progetto di piano di rilancio. «Un documento che - ha ricordato il presidente del Consiglio - sotto una serie di obiettivi politici di grande respiro, individua delle linee di intervento articolati in singoli interventi per un totale di 187 progetti. Un documento aperto a suggerimenti, proposte, pareri».

Il premier Conte ha parlato anche di Recovery Fund. «Presenteremo a settembre un piano specifico di Recovery italiano, dovremo selezionare alcuni investimenti specifici che entreranno in questo progetto finanziato dall’Europa - ha annunciato -. Abbiamo la possibilità di chiedere investimenti per la strumentazione, non vogliamo penalizzare nessuno, piuttosto incentivi quindi ai pagamenti digitali che penalizzazioni nel caso in cui non ci si adegui ai pagamenti digitali». A fine giornata Conte ha poi ricevuto il sindacalista Soumahoro che ha chiesto «fatti concreti, non più parole».

Con la Confindustria di Carlo Bonomi "non è una sfida". Il confronto di oggi agli Stati generali "è un modo per prendersi insieme la responsabilità di scegliere la direzione migliore e farlo con le risorse che sono in campo", ha detto la viceministra dell'Economia, Laura Castelli, commentando ai microfoni di Radio Anch'io le recenti dichiarazioni del leader degli industriali. Il governo punta ad una "programmazione su più anni per un Paese che deve ripartire e può farlo solo se si accorda, come fosse uno strumento musicale, e cammina insieme". "Avevamo già lavorato in questa direzione di riduzione dell'Iva per dare una spinta ai consumi, la Germania lo sta già facendo. Per qualche anno si può fare insieme a quella strategia già messa in campo dal presidente del consiglio a favore dei pagamenti elettronici", ha spiegato Castelli, senza specificare quanti punti. Ha però sottolineato che si tratterebbe di un "bel l'elastico per i consumi".

"E' un ragionamento che facemmo allora e secondo me si può riprendere da lì, insieme a una riduzione dell'Irpef e la fiscalità di vantaggio per le imprese". Parlando inoltre del Mes e della richiesta arrivata dal mondo delle imprese, Confindustria compresa, di utilizzare tutte le risorse messe a disposizione dall'Europa, la viceministra ha sottolineato: 'Dobbiamo parlare del cosa e una delle cose di cui dobbiamo parlare è perché ci siano tanti fondi per investimenti, penso all'edilizia sanitaria o scolastica, fermi e non utilizzati. Che senso ha indebitarsi, a tassi di interesse più o meno vantaggiosi, quando in casa si hanno soldi bloccati che non si riescono a spendere?". "L'aiuto deve essere quello di scrivere insieme lo sblocco di molte risorse e poi programmare gli investimenti", ha aggiunto.

La definitiva bocciatura della partecipazione agli Stati generali da parte del centrodestra è arrivata il 10 giugno, dal vertice tra Salvini, Meloni e Tajani è emerso un “centrodestra compatto sul no alla partecipazione agli Stati generali organizzati dal governo a Villa Pamphili". I partiti hanno ribadito di essere pronti a confrontarsi con il governo in qualsiasi momento, ma soltanto in occasioni e sedi istituzionali.

È passata la linea dettata da Giorgia Meloni, dopo che invece Silvio Berlusconi aveva caldeggiato il sì all'invito del governo e lo stesso Matteo Salvini si era detto, l'altra sera, disposto a intervenire al summit di villa Pamphilj.

«Gli italiani non hanno bisogno di altri show e passerelle, c'è bisogno subito della cassa integrazione per milioni di lavoratori, soldi veri per imprenditori e famiglie, scuole aperte e sicure. Il luogo del confronto e della discussione è il Parlamento, non sono le ville o le sfilate. 60 milioni di persone non possono dipendere dall'umore di Rocco Casalino», attacca Salvini.

«Abbiamo sempre detto di essere disponibili al confronto, vogliamo dare nostro contributo, abbiamo sempre risposto positivamente agli appelli: siamo disponibili a confrontarci con il governo sui contenuti prima degli Stati generali, a Palazzo Chigi», ha detto il vicepresidente di Forza Italia Antonio Tajani.

Per Visco,sono quelle della pubblica amministrazione, dell'innovazione, della salvaguardia del patrimonio naturale e storico-artistico. Non è in discussione per Visco la sostenibilità del debito pubblico; d'altro canto, sono punti importanti per il Paese il debito netto con l'estero, la ricchezza reale e finanziaria delle famiglie, il debito privato che ci vedono in posizione migliore di quella di altri importanti partner europei. Occorre agire, mentre cresce l’incertezza e lo scenario di base della Banca d'Italia stima un calo del Pil nell'anno del 9,2 per cento, mentre un altro scenario, sempre dell’Istituto, prevede una caduta del 13,1 per cento. Dove attingere le risorse per gli interventi? Visco ripropone la linea del 29 maggio, la ricomposizione del bilancio pubblico, il contrasto dell'evasione e dell’economia sommersa, la diminuzione del premio al rischio sui titoli pubblici, l'uso pragmatico ed efficace dei fondi europei. Istruzione e ricerca sono settori cruciali di intervento, come lo è il Mezzogiorno dove bisogna intervenire sui fattori alla base dei ritardi rispetto al resto del Paese piuttosto che fare leva solo su trasferimenti monetari.

A questo punto ci si potrebbe domandare: ma Conte non avrebbe potuto recepire “sic et simpliciter” le proposte della Banca d'Italia, anziché mettere in piedi questa sceneggiatura degli Stati Generali che indulge all'effetto-vetrina e rimastica problemi ben noti?

Ma è particolarmente importante la chiusura del discorso del Governatore laddove egli auspica che gli incontri possono concludersi con “ degli atti concreti” per fare avanzare il Paese. Ecco il “ punctum dolens”: la concretezza che continua a mancare e che, invece, di fronte alla perdurante gravità della situazione sarebbe ancor più dovere del Governo osservare rigorosamente ed attuare. Si passerà finalmente dalle parole ai fatti o si continuerà con la descrizione delle aree di intervento, aspettando non si sa a chi tradurre in pratica?

"Mi sarei aspettato che nelle convocazioni a Villa Pamphili il governo presentasse un piano ben dettagliato, un cronoprogramma con gli effetti attesi, una tempistica, gli effetti sul Pil. Io tutto questo non l’ho visto, sarei curioso di leggerlo, vorrei ascoltare tutto ciò". Lo ha detto il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, in occasione del primo incontro con la stampa dedicato ai corrispondenti esteri, in video conferenza, in merito agli Stati generali del governo.

"Noi veniamo da errori di lunga data. Abbiamo problemi di demografia, è un paese che viene fuori da 25 anni di bassa produttività' su questo non siamo mai intervenuti e soprattutto ormai c'è una propensione del pubblico ad entrare come gestore dell'economia cosa che basta vedere Alitalia e Ilva per capire i danni che ha prodotto".

Per poi precisare: "Come Confindustria noi siamo sempre positivi e propositivi e quindi andremo a Villa Pamphili dicendo quello che pensiamo e soprattutto presentando il nostro piano ben preciso".

"Noi ci crediamo, noi non molliamo e ci impegneremo affinché questo paese possa esprimere quelle potenzialità che gli hanno permesso di essere un grande paese trasformatore, di essere il secondo esportatore dopo la Germania e di poter mettere in campo quel modello, come la Germania, di rapporto tra istituzioni e parti sociali che ha consentito di mettere in campo 15 pagine (di piano di rilancio, ndr) e un bazooka di 120 miliardi per rilanciare l'economia", ha aggiunto

Intanto altro che sovranisti italiani. A far crollare il mito dell’euro potrebbe essere la Germania, lo stesso Paese che, nell’ultimo ventennio e grazie proprio alla moneta unica, ha visto crescere il proprio export netto fino a un valore di 3.300 miliardi di euro (a fronte dei nostri miseri 420 miliardi).

Come ha ricordato il quotidiano La Verità, è passato oltre un mese da quando la Corte costituzionale tedesca ha emesso la sentenza che potrebbe cambiare le sorti dell’Eurozona. Il tempo scorre inesorabile e la data spartiacque del 5 agosto si avvicina.

Entro quel giorno, hanno decretato i giudici di Karsruhe, la Bundesbank (la Banca centrale tedesca) “non può più partecipare all’attuazione e all’esecuzione delle decisioni della Bce”, a meno che quest’ultima non dimostri “in modo comprensibile e comprovato che gli obiettivi di politica monetaria perseguiti …

Nel caso in cui la Bundesbank dovesse smettere di acquistare i titoli dalla Bce, sia nel programma Pspp che nel Pepp, e vendere i Bund in portafoglio, in quel caso ci sarebbero due effetti. Primo: aumenterebbero i rendimenti dei Bund. Secondo: scatterebbe la corsa per vendere i nostri Btp. Un terremoto del genere, in una simile eventualità, potrebbe essere l'antipasto capace di far tramontare l'euro.

Secondo il giornale questa era la presa di posizione dei giudici. E la politica tedesca? Governo e Parlamento dovrebbero, sempre secondo la sentenza, adottare “misure volte a garantire che la Bce effettui una valutazione della proporzionalità”. La Bce non sembrerebbe avere alcuna intenzione di rispettare il giudizio della corte tedesca, dando informazioni o spiegazioni di sorta.

Nel frattempo gli esperti dei servizi di ricerca del Bundestag hanno fornito la loro valutazione al presidente del Parlamento tedesco, Wolfgang Schaeuble. “La Bundesbank deve essere il principale responsabile di questa revisione”, ha riportato il quotidiano Augsburger Allgemeine, in uno stralcio della valutazione. Certo, le analisi del Bundestag sono pareri non vincolanti ma hanno comunque un certo peso specifico.

Angela Merkel è sinora stata molto cauta nel cogliere le conseguenze politiche della sentenza di Karlsruhe e, con ogni probabilità, dietro le quinte spingerà per una mediazione tra Bce e Bundesbank. Per Berlino non avrebbe semplicemente senso sganciarsi da Francoforte ora e in queste circostanze, specie considerato il fatto che nella ripresa europea la Germania detta i tempi con forza e convinzione, il Recovery Fund sta venendo sviluppato al passo del fante tedesco e le istituzioni mobiltate finora (Commissione, Mes, Bei) sono guidate da cittadini della Bundesrepublik.

La pressione congiunta della Cancelleria e della decisa e risoluta risposta della Bce potrebbe dissuadere la Corte di Karlsruhe dall’andare fino in fondo e costringere la Bundesbank a un salto nel buio. In una fase di crisi, lo scontro tra la Corte e la Bce rischia solo di esacerbare la tensione e disperdere energie nella definizione di risposte politiche ed economiche necessarie ad affrontare una crisi senza precedenti.

La prima a tuonare è stata proprio la “diretta interessata”, la Presidente della Banca Centrale Europea,  Christine Lagarde che ha lanciato un messaggio tutt’altro che sibillino ridisegnando il perimetro delle competenze: “Siamo un’istituzione europea con competenze sull’Eurozona. Rendiamo conto al Parlamento europeo e ricadiamo sotto la giurisdizione della Corte di giustizia europea. Continueremo a fare tutto ciò che è necessario per soddisfare il nostro mandato”.

Cm anche la Germania è destinata a uscire a pezzi da questo primo semestre del 2020, nonostante l’inferiore numero di vittime e un lockdown attuato in modo meno invasivo rispetto a molti altri Paesi europei. Dopo la flessione del 2.2% del primo trimestre anche il secondo giro di boa dell’anno sembra tutt’altro che positivo, confermando e anzi peggiorando quello che era stato il rendimento dei primi tre mesi dell’anno.

Tuttavia, mentre il Ministero dell’Economia tedesco continua a sostenere che il peggio sia passato, anche le stime fatte sino a questo momento sul mese di maggio appena trascorso sono state considerate eccessivamente sovrastimate da molti osservatori internazionali

Il crollo della più grande economia europea sotto i colpi della pandemia di coronavirus che ha colpito l’umanità non è però un brutto segnale soltanto per quanto riguarda i confini della Germania. Una drastica riduzione delle sue esportazioni e delle sue importazioni è infatti devastante anche per l’economia agglomerata dell’Europa, che fonda la sua forza in buona parte sulla triangolazione Berlino-Parigi-Roma.

E con l’Italia ai vertici mondiali dei Paesi più colpiti e la Francia con ben più di una semplice criticità politica da affrontare, la crisi della Germania rischia di essere il colpo del knock out per l’Eurozona. In fondo, storicamente, quando Bruxelles ha iniziato a perdere il traino della Germania a risentirne è stato tutto il mercato comune, anche a causa della fitta presenza mondiale del mercato produttivo tedesco (e del suo import interno all’Unione europea

 

 

 

Nicolas Maduro, all'epoca ministro degli Esteri, diede l'autorizzazione a inviare una valigia contenente 3,5 milioni di euro al consolato venezuelano di Milano destinati al movimento. Il console della legazione diplomatica venezuelana a Milano, Gian Carlo di Martino, fece da intermediario affinché il destinatario finale, Gianroberto Casaleggio, ricevesse il denaro in contanti. Il documento indica Casaleggio come "promotore di un movimento rivoluzionario e anticapitalista di sinistra nella Repubblica italiana". 

Una vera e propria spy story che inizia nel 2010, quando Nicolas Maduro avrebbe fatto inviare 3.5 milioni di dollari al consolato venezuelano a Milano per finanziare il partito fondato da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio. Anzi, secondo Abc, sarebbe stato proprio Casaleggio il destinatario finale dei soldi inviati da Caracas.

La notizia è stata sganciata da Abc: con un articolo intitolato Il chavismo finanziò il Movimento 5 Stelle che oggi governa in Italia. Secondo la ricostruzione fornita da Abc, i soldi partiti da Caracas e arrivati a Casaleggio provenivano "dai fondi riservati amministrati dall'allora ministro degli Interni Tareck el Aissami" - oggi è ministro del petrolio, Ndr) - e una delle persone più importanti della cerchia di Maduro. La figura di Aissami non è esente da ombre. Nel 2017, infatti, il Dipartimento del tesoro americano lo ha colpito con delle sanzioni perché invischiato in un (enorme) giro di droga.

Cosi Nicolas Maduro avrebbe finanziato nel 2010 il M5s: lo afferma il quotidiano spagnolo Abc citando un documento classificato dell'intelligence venezuelana, di cui pubblica una foto. Secondo il giornale, l'attuale presidente del Venezuela, allora ministro degli Esteri di Chavez, avrebbe spedito una valigetta con 3,5 milioni di euro al consolato venezuelano a Milano indirizzati a Gianroberto Casaleggio per finanziare segretamente il M5s. Secca la smentita del capo politico del Movimento, Vito Crimi, e del socio fondatore Davide Casaleggio: "Fake news".  

I 3,5 milioni di euro secondo il quotidiano spagnolo di indirizzo conservatore spiega che il console venezuelano a Milano, Gian Carlo di Martino, fece da intermediario per la transazione finale a Casaleggio, che avvenne in contanti. Il documento indica il co fondatore e ideologo del M5s, morto nel 2016, come "promotore di un movimento di sinistra rivoluzionario e anticapitalista nella Repubblica italiana". I 3,5 milioni di euro - aggiunge il quotidiano citando il documento dell'intelligence, allora guidata da Hugo Carvajal - furono inviati "in modo sicuro e segreto attraverso valigia diplomatica".

La valigetta creò anche un problema interno alla diplomazia venezuelana, rivela il giornale, perché era stata trovata dall'addetto militare che ne aveva informato Carvajal. Questi lo avrebbe tranquillizzato con un dispaccio in cui affermava: "Sono state impartite istruzioni verbali al nostro funzionario in Italia per non continuare a riferire sulla questione, che potrebbe diventare un problema diplomatico" tra Italia e Venezuela. Carvajal è latitante dal novembre scorso dopo l'approvazione della sua estradizione negli Stati Uniti, dove è accusato di narcotraffico e vendita di armi ai guerriglieri delle Farc colombiane. La Spagna, dove si era rifugiato - rimarca il quotidiano -, non era riuscita a impedire la sua fuga.

La somma destinata al Movimento 5 Stelle sarebbe stata attinta da fondi riservati amministrati dall'allora ministro dell'Interno (oggi al dicastero dell'Economia), Tareck el Aissami, che era, ed è, considerato uomo di fiducia di Nicolas Maduro. Aissami - ricorda il quotidiano - è stato oggetto di sanzioni da parte delle autorità statunitensi per reati legati al narcotraffico e al riciclaggio di denaro. Le stesse autorità che pochi mesi dopo adottarono sanzioni economiche contro Maduro accusandolo, subito dopo le elezioni che gli Usa considerano illegittime, "un dittatore che ignora la volontà del popolo".

"Ridicola fake news""Quella dei presunti finanziamenti del Venezuela al Moviemento 5 Stelle è una fake news semplicemente ridicola e fantasiosa. Sulla questione non c'è altro dire, se non che del lontano 2010 ricordo quando ero candidato presidente alle regionali in Lombardia. Anche allora, così come negli anni a seguire, quella che realizziamo fu una campagna elettorale fatta con pochissime risorse e mezzi, frutto di micro donazioni dei cittadini italiani. Per il resto, valuteremo se adire alle vie legali. Certamente non ci lasciamo distrarre da certe sparate o intimidire da quei partiti e poteri che già le stanno cavalcando per cercare di indebolire la nostra posizione di baluardo a tutela degli interessi dei cittadini". Lo afferma in una nota il capo politico del Movimento Vito Crimi.

"Fake news, ora querele"Secca la smentita anche di Davide Casaleggio, socio fondatore del Movimento. "Tutto totalmente falso. E' una fake news uscita più volte, l'ultima nel 2016. Dalle smentite ora passeremo alle querele                                                                                        
L'ambasciata del Venezuela: "Tutto falso, adiremo vie legali" "Si tratta di un'informazione falsa e assurda, adiremo le vie legali". Con queste parole l'ambasciata del Venezuela a Roma smentisce il presunto finanziamento al Movimento 5 Stelle. La fonte dell'ambasciata riferisce tra l'altro che nel 2010 il M5s era appena nato ed era quindi "completamente sconosciuto in Venezuela" e che all'epoca il console venezuelano a Milano - da cui secondo la ricostruzione di Abc sarebbero passati i 3,5 milioni - era appena arrivato in sede.

L’inchiesta di ABC dice di basarsi su documenti riservati della Dirección General de Inteligencia Militar (Dgcim), agenzia di intelligence venezuelana, nei quali Casaleggio è descritto come «promotore di un movimento di sinistra rivoluzionario e anticapitalista». ABC ha pubblicato sul suo sito uno di questi documenti.

Secondo il quotidiano spagnolo @abc_es, che pubblica doc riservati, nel 2010 il Venezuela chavista ha inviato 3,5 milioni a Gianroberto Casaleggio per finanziare la nascita del M5s attraverso il console a Milano. Nessuno del M5s (Grillo, Di Maio, Crimi) ha risposto alle domande.

Quella dei presunti finanziamenti del Venezuela al Movimento 5 Stelle è una fake news semplicemente ridicola e fantasiosa. Sulla questione non c'è altro da dire, se non che del lontano 2010 ricordo quando ero candidato presidente alle regionali in Lombardia. Anche allora, così come negli anni a seguire, quella che realizzeremo fu una campagna elettorale fatta con pochissime risorse e mezzi, frutto di micro donazioni dei cittadini italiani". Lo afferma in una nota il capo politico del Movimento 5 Stelle Vito Crimi.

"Per il resto, valuteremo se adire alle vie legali. Certamente non ci lasciamo distrarre da certe sparate o intimidire da quei partiti e poteri che già le stanno cavalcando per cercare di indebolire la nostra posizione di baluardo a tutela degli interessi dei cittadini", conclude Crimi. 

"L'ultima assurda sparata contro il Movimento 5 stelle coinvolge addirittura il governo venezuelano. Non bastavano le fake news italiane, adesso usano i servizi segreti venezuelani per screditare il nostro Movimento. La storia della valigetta piena di contanti consegnata direttamente a Gianroberto Casaleggio è degna di una spy story del miglior film di James Bond. Film, appunto, perché non ha, ovviamente, nessuna attinenza con la realtà. Il documento è stato dichiarato falso dalle stesse fonti diplomatiche venezuelane, ma forse non occorre nemmeno scomodarsi troppo per smentire una fake news così palese. Quello che dispiace enormemente, però, è che venga attaccata in maniera così vile una persona come Gianroberto Casaleggio, che non può più difendersi. Chi ha avuto l'onore di conoscerlo può confermare l'assoluta falsità di queste assurde sparate". Così la capo delegazione M5s al Parlamento europeo, Tiziana Beghin commentando un articolo pubblicato dal quotidiano spagnolo Abc.

Intanto il Movimento appare diviso dopo lo scontro Di Battista-Grillo su congresso e leadership. Ieri, intervistato a Mezz'ora in più, su Rai 3,  Alessandro Di Battista ha detto: "Chiedo il prima possibile un congresso del Movimento 5 stelle in cui tutte le anime del Movimento possano dire la loro per costruire un'agenda politica. Così vedremo chi vince". E ancora: "Conte vuole fare il leader del Movimento "si deve iscrivere al M5s e partecipare al prossimo congresso".

Ma Beppe Grillo non sembra essere della stessa opinione: "Dopo i terrapiattisti e i gilet arancioni di Pappalardo, pensavo di aver visto tutto...ma ecco l'assemblea costituente delle anime del Movimento. Ci sono persone che hanno il senso del tempo come nel film 'Il giorno della marmotta'".

Tutto ha avuto inizio il 25 febbraio. Quattro giorni dopo, nella zona di Alzano e Nembro, i positivi sono 103. Il 3 marzo, dei 372 casi totali registrati in provincia, ben 58 sono a Nembro e 26 ad Alzano. A Roma, nonostante i continui allert lanciati dal Pirellone, nessuno si prende la briga di adottare le stesse misure applicate a Codogno e a Vo' Euganeo. E così si va avanti senza far nulla fino al 6 marzo, quando, invece, tutta la Lombardia diventa zona rossa. Alla domanda sul perché sia stata presa questa decisione, il premier aveva spiegato che il virus si stava diffondendo in tutta la Regione. Il 28 aprile la giornalista Francesca Nava aveva provato a mettere alle strette Conte. Che, però, aveva così risposto: "Se lei un domani avrà la responsabilità del governo, scriverà lei i decreti e assumerà tutte le decisioni". Nell’esecutivo qualcuno ha ipotizzato che non vi fossero abbastanza militari per controllare i confini. Repubblica parla invece di militari già mobilitati dalla Difesa, arrivati nella provincia e pronti a intervenire da un momento all’altro.

Il premier Giuseppe Conte è stato sentito stamani a Palazzo Chigi dai pm che indagano sulle zone rosse di Alzano e Nembro, in Lombardia. La pm di Bergamo Maria Cristina Rota, infatti, era arrivata a Palazzo Chigi per la deposizione del premier nell'inchiesta sulla mancata istituzione delle zone rosse nel Bergamasco. Dopo l'audizione del premier Conte, durata tre ore, è stata la volta del ministro dell'Interno Luciana Lamorgese. Il ministro Lamorgese ha lasciato poco fa Palazzo Chigi dove è stata sentita in qualità di persona informata sui fatti dai pm di Bergamo nell'ambito dell'indagine sulla mancata zona rossa ad Alzano Lombardo e Nembro. l'audizione del ministro è durata circa un'ora. Dopo l'audizione del premier Conte e del ministro dell'Interno Lamorgese ora anche il ministro della Salute Roberto Speranza viene sentito dai pm di Bergamo a Palazzo Chigi.

Obiettivo è verificare se la scelta di tenere aperta l’aerea abbia fatto aumentare i contagi. In questo caso si procederebbe per epidemia colposa. E i magistrati dovrebbero stabilire se la decisione di chiudere doveva essere presa dal governo o se invece potesse farlo la Regione Lombardia. Ecco perché è fondamentale chiarire il ruolo del governo.

Maria Cristina Rota in toga è il procuratore che oggi sta ascoltando Giuseppe Conte, Roberto Speranza e Luciana Lamorgese per provare a far luce sulla fumosa questione della mancata zona rossa in Val Seriana. Bergamasca doc, online non si trovano suoi ritratti né è disponibile sul sito del Tribunale un curriculum. Ieri il Corriere le ha dedicato solo un pezzetto di spalla, giusto qualche nozione. "Amante dei viaggi", "allieva di Spataro", "di fede valdese", di lei si dice sia stata "uno dei primi magistrati a utilizzare le intercettazioni telefoniche (e le reazioni degli indagati agli articoli di stampa) per risolvere un caso di nera clamoroso". Indagava sull’omicidio di suor Maria Laura Mainetti, uccisa a coltellate a Chiavenna il 6 giugno del 2000. Venti anni esatti dopo, Rota si ritrova a Roma con in mano un'inchiesta molto più scottante di quella delle tre minorenni che ammazzarono la religiosa alla termine di un rituale satanico.

Quando nel 2018 divenne procuratore aggiunto, fu scelta con 14 voti su 22 contro lo “sfidante” Enrico Pavone. Magistrato dal 1992, dopo le esperienze a Lecco e a Milano (minori), da ormai 17 anni è in attività nella sua città. Il Corriere di Bergamo la definì la pm "dei casi scomodi" e a favorirla nel ruolo di vice pare sia stato il suo "curriculum di più ampio respiro". Le sue inchieste spaziano dalle fasce deboli ai reati finanziari e fallimentari. Se si cerca nell'archivio dell’Eco di Bergamo, spuntano ritagli della sua attività investigativa: le bombe piazzate in una villa a Gazzaniga nel 2014, la “banda del Ragno” dedita a estorsioni e usura, il fallimento della Maxwork. 

Quando fu nominata, l’allora procuratore capo Walter Mapelli disse: “C’è piena sintonia, farà un buon lavoro”. E se oggi la Rota si trova nel ruolo di procuratore “facente funzione” lo si deve alla morte prematura proprio di Mapelli, magistrato noto per l’inchiesta sul “Sistema Sesto” che investì l’ex presidente della provincia di Milano, Filippo Penati.
La prima riunione del comitato tecnico scientifico su Alzano e Nembro si svolse il 3 marzo e in quella sede Brusaferro contattò Gallera per conoscere la situazione. Il 5 marzo Brusaferro rinnovò la richiesta di chiusura e il 6 marzo ci fu una riunione alla protezione civile con Conte e Speranza. Durante quel vertice si decise di dichiarare l’intera Lombardia «zona rossa». Il provvedimento fu firmato la notte dell’8 marzo e divenne operativo il 9.

Conte continua ripetere di essere assolutamente sereno, ricordando, come riportato da Repubblica, che quello di venerdì non sarà un interrogatorio ma un’audizione. Nulla di cui preoccuparsi, quindi. Praticamente una chiacchierata. Certo di aver fatto le scelte giuste in un momento difficile da riuscire a gestire. Ma non è arroganza la sua, ha tenuto a precisare, perché il governo e gli esperti hanno fatto tutto ciò che era possibile fare. Conte ha poi sottolineato di non aver avuto un manuale da poter seguire e che ogni decisione presa è stata scelta di volta in volta. Ha poi aggiunto: “Ben vengano le indagini, i cittadini hanno il diritto di sapere, noi rappresentanti istituzionali abbiamo il dovere di rispondere. Se c’è un'inchiesta da parte di una procura, è giusto che il presidente del Consiglio si renda disponibile in quanto persona informata sui fatti”.

Intanto però, il governatore della Lombardia Attilio Fontana e l’assessore al Welfare Gallera, sono già stati sentiti in procura e la pm, dopo la loro audizione aveva detto, in riferimento alla mancata zona rossa, che era una decisione governativa. Passando quindi la palla a Conte & C. Convocazione per il premier e i ministri Lamorgese e Speranza. Palazzo Chigi ha diffuso una dichiarazione, ribadendo che “anche la Regione poteva istituire zone rosse, come previsto dalla legge. In particolare, dall’articolo 32 della legge del 23 dicembre 1978 numero 833 richiamato dal decreto legge 6/2020". In realtà, il diritto dice tutt'altro. E, infatti, il procuratore facente funzione di Bergamo, Maria Cristina Rota, ha già fatto sapere di non coindividere affatto la posizione del presidente del Consiglio. "Da quello che ci risulta è una decisione governativa", ha spiegato in una intervista al Tg3.

Salvini: «Spettava al governo Conte creare zone rosse». «Premier ascoltato da Procura? Non commento con parole mie ma con quelle del pm  spettava al governo creare le zone rosse, la Regione Lombardia non aveva alcuna responsabilità». Cosi il leader della Lega, Matteo Salvini, rispondendo ai cronisti a Bagheria.  

"Ai magistrati di Bergamo Conte non potrà rivolgersi come ai giornalisti: Quando avrete le mie responsabilità deciderete voi. Se si azzarda lo ammanettano direttamente a Palazzo Chigi", premette Storace in un intervento sul sito de Il Secolo d'Italia. "L'arroganza non paga più, soprattutto da quando non si può più sperare in qualche aiutino modello Palamara", aggiunge tagliente. E ancora: "Il premier sognava i riflettori degli stati generali dell’economia. Dovrà sopportare quelli più fastidiosi degli inquirenti", conclude Storace.

il breve commento, firmato da Francesco Storace, sul fatto che Giuseppe Conte è stato chiamato dai magistrati di Bergamo, un interrogatorio per comprendere cosa sia accaduto in relazione alla mancata istituzione della zona rossa ad Alzano e Nembro, in Lombardia, nei giorni più drammatici del coronavirus.

Anche Taormina ha già presentato una denuncia in tal senso: “Si, ho presentato una denuncia alla Procura di Roma con la quale sollevavo un interrogativo sulle modalità utilizzate per affrontare il coronavirus. La mia denunzia è stata supportata da documenti che provenivano dal ministero della Sanità“.

L’attenzione dell’avv. Carlo Taormina cade sui ritardi: “Il punto centrale è l’aver ritardato di 40 giorni l’intervento drastico che poi abbiamo avuto il 9 marzo. Ed è stato quello il periodo in cui si sono accatastati i contagi e i morti, soprattutto nelle zone della Lombardia che ben conosciamo. Nella denunzia avevo fatto specificamente presente anche il problema della mancata istituzione delle zone rosse per Lodi, Nembro e Alzano Lombardo e aree limitrofe. Avevo sollevato questo tema ponendo l’accento su quelle che io ritengo omissioni governative. Avevo anche indicato i consulenti tecnici per sapere se questa condotta fosse stata indirizzata da loro o se si trattasse solo di una scelta di tipo politico”.

 

 

 

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