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Renzi contro Conte, Renzi che fa Ciao a Conte. E il Pd con Conte. Ma anche un po' con Renzi. E M5S con Conte, ma anche no. E Salvini e la Meloni contro Conte, Renzi e il Pd e M5S. Lega e Fratelli d'Italia per una Federazione europea e contro l'Unione Europea. Tradotto: voi dateci i miliardi, noi ci facciamo quel che ci pare. Cronache della politica che, come usa dire, fibrilla e un po', come non usa dire, sbava intorno ai 209 miliardi.

Intanto Renzi, lasciandosi sfuggire una battuta con un deputato, dietro le quinte crea ancora instabilità: "Meglio stare fuori dal Parlamento che dentro questo governo". Punta sempre sul fatto che un'eventuale rottura sarebbe più che spiegabile: non sfruttare le opportunità irripetibili del Recovery Fund sarebbe un errore tale da giustificare la crisi. 

"Io mi sto giocando l'osso del collo sui contenuti non su beghe politiche", ha aggiunto ai suoi. Non potrebbero mancare comunque i colpi di scena. Attenzione infatti alla mossa a sorpresa: Italia Viva potrebbe uscire dall'esecutivo, ma per senso di responsabilità potrebbe non togliere la fiducia.

Matteo Renzi torna all'attacco del premier Giuseppe Conte. Lo fa durante una conferenza stampa in Senato, in cui ribadisce le perplessità sul Recovery plan del governo: "Pensiamo che il piano predisposto dal presidente del Consiglio manchi di ambizione, sia senz'anima, si vede che non c'è un'unica mano che scrive. È un collage talvolta raffazzonato di pezzi di diversi ministeri. Si vede la mano burocratica di chi mette insieme i pezzi". 

Poi il leader di Italia viva torna ad agitare la maggioranza: "Se c'è l'accordo" sul Recovery "bene, si va avanti, se non c'è l'accordo è evidente che faranno senza di noi e le ministre si dimetteranno. Non siamo alla ricerca di poltrone ma di idee". Renzi incalza Conte anche a proposito della polemica sugli 007. "Noi non vogliamo che si facciano scherzi su intelligence e servizi segreti - sottolinea - e chiediamo al presidente del Consiglio che affidi la delega a una persona terza".

Conte spinge per parlamentarizzare l'eventuale crisi, così come fece con Matteo Salvini ad agosto 2019. Ma le parole di Renzi tuonano sempre di più: "Io non sono Salvini, non mi faccio mettere in un angolo". C'è chi, come Goffredo Bettini del Pd, sostiene la necessità di un rimpasto. Per ora il premier non ne vuole sentir parlare, anche perché la mossa potrebbe non bastare. 

Si andrà al voto o si troverà una nuova maggioranza in Parlamento? Il Partito democratico - riporta il Corriere della Sera - resta dell'idea che il ritorno alle urne sia la via maestra, visto che un ipotetico gruppo di responsabili non rappresenterebbe un'alternativa solida e concreta: "Non è pensabile che con la pandemia in corso e il Recovery Plan si metta su una maggioranza raccogliticcia".

Il presidente del Consiglio ne parla già da tempo con i suoi consiglieri, meditando una sorta di minaccia verso chi sta continuando a mettergli il bastone tra le ruote: "Come la spiegherebbe Renzi agli italiani?". "Non mi fido", ha confessato a un esponente del Partito democratico. Come si legge su Quotidiano Nazionale, due ministri lealisti gli hanno consigliato di anticipare le mosse del leader di Italia Viva, magari presentandosi davanti alle Camere e chiedendo un voto di fiducia dopo aver messo tutti all'angolo con una domanda chiara: "Volete davvero assumervi il peso di far cadere il governo in piena pandemia e farlo con Salvini?".

C'è confronto, c'è scontro, ci sono critica, denuncia, insoddisfazione. Perfino aria di crisi di governo, perfino vaghissimo odore di elezioni anticipate. Ma non sul che fare con i 209 miliardi. Sul che farci l'intera collettività italiana è sostanzialmente unanime, la politica non fa che rappresentare, sia pure in maniera grottesca, quel che la gente si aspetta. 

Tutti aspettano che i 209 miliardi saranno e debbano essere aumenti di stipendio oppure meno tasse o ancora nuove assunzioni pubbliche o ancora imprese, se non addirittura settori, tenuti artificialmente in economica e aziendale esistenza con i soldi pubblici.

I partiti presentano le loro osservazioni al Recovery plan predisposto da Palazzo Chigi. E Renzi va giù duro contro Conte: il suo piano è un collage raffazzonato, senza accordo noi siamo fuori dal governo. Poi attacca il Movimento Cinque stelle che in commissione al Senato ha votato contro la Tav: sono loro a congiurare contro il governo, sostiene il leader di Iv. 

E insiste chiedendo a Conte di cedere la delega sui servizi segreti: «Noi non vogliamo che si facciano scherzi sui temi sulla sicurezza e chiediamo che il presidente del Consiglio affidi la delega ai servizi ad una persona terza». Il Recovery plan sarà al centro di una due giorni di incontri il 29 e il 30 dicembre fra i partiti e i ministri dell’Economia Gualtieri e delle Politiche Ue Amendola.

Forse ieri è partito il conto alla rovescia della crisi di governo. Più in là. Ora c’è il time out di Natale, peraltro segnato dal nervosismo a causa delle indecisioni sulle norme anti-Covid e della persistente crisi sanitaria. Certo è che l’atteso incontro fra Matteo Renzi e Giuseppe Conte è stato molto modesto: «Ecco le nostre proposte», «Grazie vi farò sapere». Una ventina di minuti. C'era poco da verificare. Alla fine, tutto resta sospeso come nel penultimo capitolo di un romanzo giallo.

 

fonti il giornale / sole 24 / tgcom / calciomercato / l'inchiesta

Nel 2020, a causa del Covid con un crollo dei consumi del 10,8% (pari ad una perdita di 120 miliardi di euro sul 2019)si stima la chiusura definitiva di più di 390 mila imprese del commercio non alimentare e dei servizi a fronte di 85 mila nuove aperture. Pertanto, la riduzione delle aziende in questi settori sarebbe di quasi 305 mila imprese (-11,3%).  

Ma non basta tutto questo, arriva anche l "aiuto" sul ennesima catastrofe nel nome del "ce lo chiede l'Europa". Come denunciano in una nota il capo delegazione di Fratelli d’Italia-ECR al Parlamento europeo Carlo Fidanza e il co-presidente del gruppo ECR Raffaele Fitto, dal 1° gennaio 2021 entreranno in vigore le nuove norme Ue sul default.

"Basteranno poche centinaia di euro di scoperto sul conto corrente per essere considerati insolventi e segnalati alla centrale rischi" spiegano Fidanza e Fitto. "Si rischia - osservano -una catastrofe per tante aziende, autonomi e dipendenti provati dal Covid e da ristori ridicoli. A maggior ragione quando finiranno le moratorie sui mutui. Il Commissario Ue all'Economia, già presidente del Pd, Paolo Gentiloni non ha nulla da dire? Andiamo incontro felici alla catastrofe perché ce lo chiede l'Europa ?".

In buona sostanza, sottolinea Antonio Signorini sul Giornale, da gennaio, in caso di conti in rosso, anche per piccole somme, gli addebiti automatici non saranno più consentiti. Se i clienti non avranno sufficienti disponibilità liquide sui loro depositi, le banche potranno fermare il pagamento di utenze, stipendi, contributi previdenziali, rate di finanziamenti. Alle banche il compito di bloccare il trasferimento e cancellare il relativo Rid. È un effetto delle stesse regole che prevedono anche la classificazione di non performing loans (Npl) anche per pagamenti in ritardo di tre mesi su somme a partire da soli 100 euro.

Come spiega Confartigianato, infatti, le nuove regole europee in materia di classificazione dei debitori in “default” (ovvero, in stato di inadempienza di un’obbligazione verso la banca) stabiliscono criteri e modalità più stringenti rispetto a quelli finora adottati dagli intermediari finanziari italiani. Con le nuove regole si specifica che per arretrato rilevante si intende un ammontare superiore a 500 euro (relativo a uno o più finanziamenti) che rappresenti più dell’1% del totale delle esposizioni dell'impresa verso la banca. Per le persone fisiche e le piccole e medie imprese con esposizioni nei confronti della stessa banca di ammontare complessivamente inferiore a 1 milione di euro, l'importo dei 500 euro è ridotto a 100 euro. Diversamente dal passato, l’impresa non potrà più impiegare margini ancora disponibili su sue linee di credito per compensare gli inadempimenti in essere ed evitare la classificazione in default.

Secondo Giovanni Sabatini, direttore generale dell'Abi, in alcune dichiarazioni riportate da Teleborsa, l'introduzione, prevista per gennaio 2021, del nuovo regolamento europeo sui crediti deteriorati, "rischia di avere gravi conseguenze sul tessuto economico dell'Italia, da un lato limitando fortemente la possibilità per le banche di offrire all'economia l'indispensabile sostegno per uscire dalla crisi e, dall'altro, compromettendo irrimediabilmente la situazione finanziaria di clienti che si trovino a versare in difficoltà, anche solo temporanea". 

Intanto secondo l'Ufficio studi di Confcommercio, delle 240mila imprese sparite dal mercato a causa della pandemia - prosegue la nota - 225mila si perdono per un eccesso di mortalità e 15mila per un deficit di natalità. Una riduzione del tessuto produttivo che risulta particolarmente accentuata tra i servizi di mercato, che si riducono del 13,8% rispetto al 2019, mentre nel commercio rimane più contenuta, ma comunque elevata, e pari all'8,3%. Tra i settori più colpiti, nell'ambito del commercio, abbigliamento e calzature (-17,1%), ambulanti (-11,8%) e distributori di carburante (-10,1%); nei servizi di mercato le maggiori perdite di imprese si registrano, invece, per agenzie di viaggio (-21,7%), bar e ristoranti (-14,4%) e trasporti (-14,2%). C'è poi tutta la filiera del tempo libero che, tra attività artistiche, sportive e di intrattenimento, fa registrare complessivamente un vero e proprio crollo con la sparizione di un'impresa su tre.

Alla perdita di imprese - conclude la nota - va poi aggiunta anche quella relativa ai lavoratori autonomi, ovvero quei soggetti titolari di partita Iva operanti senza alcun tipo di organizzazione societaria. Si stima la chiusura per circa 200mila professionisti tra ordinistici e non ordinistici, operanti nelle attività professionali, scientifiche e tecniche, amministrazione e servizi, attività artistiche, di intrattenimento e divertimento e altro.

Nell'anno dello tsunami coronavirus che ha stravolto abitudini e consumi degli italiani, la spesa per i veicoli si riduce del 15,7%, ma cresce il valore di segmenti chiave legati alla trasformazione tecnologica della casa come l'Information Technology (+23,5%) e i piccoli elettrodomestici (+9,5%). Secondo i dati della 27esima edizione dell’Osservatorio Findomestic, realizzato in collaborazione con Prometeia, gli acquisti di beni durevoli scendono nel 2020 a 61,3 miliardi di euro con una contrazione dell’11,4% rispetto al 2019, in linea con il trend dei consumi tout court. I cali più pesanti si registrano in Lombardia (-12,7%), Veneto (-12,4%) e Marche (-12%).

Il mercato dei veicoli (auto nuova, usata e due ruote) - di fatto azzerato durante il lockdown - riesce a scongiurare il tracollo grazie agli ecoincentivi statali, che hanno determinato una ripresa significativa del settore a partire soprattutto dal mese di agosto, anche se la decelerazione delle perdite era già cominciata a giugno: il 2020, secondo l'Osservatorio Findomestic, si chiuderà a quota 33,5 miliardi. Per le famiglie italiane le auto usate, pur in flessione del 13%, continuano a rappresentare la voce di spesa più consistente con 17 miliardi di euro totali. Le compravendite stimate per la fine dell'anno saranno 2.494.500, il 13,6% in meno rispetto al 2019.

A causa del Covid, si è verificato un vero e proprio crollo delle attività legate al turismo. Nel suo ultimo report sulle prospettive economiche nel biennio 2020-2021, l'Istat sottolinea che "nei primi nove mesi del 2020 rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente il fatturato ha registrato pesanti diminuzioni per le imprese nel trasporto aereo (-58,3%), nei servizi di alloggio (-52,0%) e nelle attività dei servizi delle agenzie di viaggio, dei tour operator e servizi di prenotazione e attivita connesse (-73,2%)".

Nell'eurozona la ripresa dei ritmi produttivi e dei consumi appare legata ai tempi necessari alla diffusione del vaccino e alla implementazione delle azioni legate al Recovery and Resilience Facility Program. Lo sottolinea l'Istat nel rapporto sulle prospettive sull'economia italiana. 

Nell'area euro, il Pil nel terzo trimestre ha segnato un marcato rimbalzo congiunturale (+12,6% dopo il -11,8% del trimestre precedente). Nel dettaglio nazionale, il Pil tedesco è cresciuto dell'8,5% (-9,8% in T2), quello francese del 18,7% (-13,8% in T2) e quello spagnolo del 16,7% (-17,8% in T2).

Le recenti previsioni di autunno della Commissione europea evidenziano per l'area dell'euro il deciso calo del Pil per quest'anno (-7,8%) mentre per il 2021 si prevede un rimbalzo (+4,2%) che risulterà ancora condizionato dagli effetti della diffusione del virus e delle relative misure di contenimento

Nel prossimo anno la ripresa dei consumi sarà contenuta, condizionata dalla fase di transizione del recupero delle spese nei servizi e della progressiva riduzione dell'incertezza legata all'evoluzione del virus. Nel 2021, è prevista una ripresa della spesa delle famiglie (+4,5%). Quanto ai consumi della Pa, nel 2020 è atteso un aumento del 2% e una stabilità (+0,1%) nel 2021. La ripresa dei contagi, spiega l'istituto di statistica, "è attesa influenzare negativamente i prossimi mesi anche se i provvedimenti varati dal governo dovrebbero consentire una parziale tenuta dei redditi e un contenimento della disoccupazione.

Tuttavia, i dati sulla fiducia di novembre mostrano un generalizzato peggioramento, che ha interessato con maggiore intensità le attese sulla situazione economica e sulla disoccupazione".

 

fonti : ansa/il giornale/sole24

L'avventura di 18 pescatori, tra cui diversi italiani, detenuti in Libia dallo scorso settembre, è stata conclusa dal generale Khalifa Haftar, dopo la mediazione di Atene, con Roma che ha ringraziato il nostro Paese. 

Secondo il ministro degli Esteri, la Grecia aveva un ruolo di mediazione, mentre Nikos Dendias era in costante contatto con entrambe le parti e aveva inviato una lettera pertinente ad Haftar.  

Secondo la stampa Ellenica la Grecia accoglie con favore il rilascio di 18 pescatori, ha affermato in un comunicato il ministero degli Esteri. Il Ministero degli Affari Esteri, su indicazione del Ministro degli Esteri Nikos Dendias, aveva assunto un ruolo di mediazione ed è stato in costante contatto con le due parti negli ultimi tre mesi per porre un lieto fine a questa questione umanitaria.

In questo contesto, il ministro degli Esteri Nikos Dendias ha inviato una lettera al generale Haftar in cui ha sottolineato, tra le altre cose, che la Grecia vuole creare, con l'assistenza di tutti i paesi del vicinato più ampio, un'area di pace, stabilità, basata su relazioni di buon vicinato e pieno rispetto del diritto internazionale.

Il ministro degli Esteri ha inoltre sottolineato che Paesi come Grecia, Italia e Libia, in quanto vicini e legati dalla storia, dovrebbero dare l'esempio di una convivenza armoniosa in una regione travagliata. In questo contesto, conclude, le rispettive controversie dovrebbero essere risolte pacificamente, attraverso il dialogo.

Venerdì scorso, il ministro degli Esteri italiano Luigi di Maio ha inviato un messaggio al suo omologo greco, ringraziandolo per il suo generoso sostegno alla Grecia, sottolineando, tra l'altro, che i pescatori potranno festeggiare il Natale con le loro famiglie.

Secondo le ricostruzioni Italiane, Haftar è stato pressato da più parti per cedere sul rilascio dei marinai, per il quale avrebbe richiesto in cambio ciò di cui parla Di Maio, la riqualificazione dei rapporti con Roma, che si è concretizzato con l’incontro col ministro e col presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e con le photo opportunity collegate. Secondo quanto noto a Formiche.net, per esempio, sia la Grecia (che parla con Haftar in chiave anti-Turchia, disposta sull'altro lato del conflitto libico) che la Russia (partner di Haftar con mire espansionistiche nel Mediterraneo) hanno avuto un loro ruolo nelle trattative; e non solo. Differentemente da quanto detto dall'ex premier Silvio Berlusconi però non è stato grazie a Vladimir Putin che Haftar ha rilasciato i pescatori. 

Circostanza negata anche da Di Maio. Il rilascio è avvenuto a valle di una serie di interlocuzioni, su cui l'Aise ha avuto il ruolo centrale, e che hanno avuto come contraccambio quel riconoscimento di Haftar come “interlocutore” (così lo chiama Conte), utile al signore della guerra per spingere il suo ritorno in pista. La vicenda è complessa, distante dalla polemica politica interna in cui è stata abbassata dalle forze politiche italiane. La riqualificazione di Haftar è parte di una serie di passaggi che lo hanno visto protagonista nell’accordo sulla riapertura delle produzioni petrolifere, nell’accettazione del meccanismo di contatto militare “5+5” (parte del dialogo onusiano in corso), delle evoluzioni che riguardano la Banca centrale.
Secondo la BBC, le motovedette libiche fedeli ad Haftar hanno catturato i 18 pescatori di base in Sicilia il 1 ° settembre. I 18 sono stati accusati di violare le acque territoriali libiche. L'Italia ha contestato questa affermazione.

La detenzione degli uomini ha causato un danno politico al Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, accusato al vicino di non aver mostrato un pugno contro il generale. Le famiglie dei pescatori avevano fatto una campagna nella capitale italiana Roma per cercare di garantire la loro libertà.
Dei 18, otto sono cittadini italiani. sei tunisini, due indonesiani e due senegalesi. La loro attività di pesca era basata nel villaggio siciliano di Mazara del Vallo e pescavano al largo delle coste libiche in acque ricche di gamberi rossi.

 

fonti :  Ta Nea / Formiche.

Tra giugno ed ottobre circa il 70% delle aziende italiane ha subito cali di fatturato a seguito delle misure anti-contagio, segnala l'Istat nel suo rapporto "Situazione e prospettive delle imprese nell'emergenza sanitaria COVID-19".

Tutt'altro che rassicurante il quadro descritto dall'Istat sulle condizioni delle imprese italiane nel contesto della pandemia di coronavirus. Al momento della stesura del rapporto "Situazione e prospettive delle imprese nell'emergenza sanitaria COVID-19", non tutte le aziende hanno ripreso in pieno l'attività.

"Nel corso della rilevazione, il 68,9% delle imprese ha dichiarato di essere in piena attività, il 23,9% di essere parzialmente aperta - svolgendo la propria attività in condizioni limitate in termini di spazi, orari e accesso della clientela".

"Il 7,2% ha invece dichiarato di essere chiuso: si tratta di circa 73 mila imprese, che pesano per il 4,0% dell’occupazione. Di queste 55 mila prevedono di riaprire mentre 17 mila (pari all’1,7% delle imprese e allo 0,9% degli occupati) non prevedono una riapertura", si legge in un passaggio del rapporto.

“Al contrario degli altri settori simbolo del Made in Italy come moda e automotive, che registrano cali di fatturato superiori al 20% - sottolinea Coldiretti -, le imprese del comparto alimentare mettono a segno un aumento dei ricavi diventando la prima ricchezza del Paese con un valore di filiera che supera i 538 miliardi . Quella agroalimentare è una realtà allargata dai campi agli scaffali che garantisce – continua la Coldiretti – 3,6 milioni di posti di lavoro e vale il 25% del Pil grazie all'attività, tra gli altri, di 740 mila aziende agricole, 70mila industrie alimentari, oltre 330mila realtà della ristorazione e 230mila punti vendita al dettaglio.

Le aspettative sono negative per le medie imprese manifatturiere familiari italiane che stimano di chiudere l'anno con un calo del fatturato dell'11,1%. E' quanto emerge dalla 55esima edizione della ricerca sulle principali Società Italiane dell'Area Studi di Mediobanca, in base a interviste realizzate dalla seconda metà di settembre. Unico settore che resiste alla pandemia quello agroalimentare, nonostante il lockdown abbia messo sotto scacco il mondo della ristorazione. Con il segno più ci sono le aziende del conserviero (+1,3%), dolciario (+2,5%) e il caseario (+4,9%) e altri alimentari (+5,3%). Accusano invece una battuta d’arresto i molini e i pastifici (-4,4%) e il beverage (-2,9%).

Una quota non irrilevante delle imprese denuncia difficoltà nel portare avanti il proprio business.  "Il 32,4% (con il 21,1% di occupati) segnala rischi operativi e di sostenibilità della propria attività e il 37,5% ha richiesto il sostegno pubblico per liquidità e credito, ottenendo nell’80% dei casi."

In questo contesto, si segnala l'aumento del canale web per realizzare le vendite, quasi raddoppiato con il 17,4% delle imprese coinvolte. Un altro fattore positivo in controtendenza è che circa un'azienda su quattro (25,8%) è orientata ad adottare strategie di espansione produttiva.

A livello settoriale il report Istat segnala che recuperano rispetto ai risultati negativi di marzo-aprile le imprese che operano nelle costruzioni, con il 26,8% che dichiara una stabilità del fatturato e l'11,5% una crescita, contro l'8,3% e il 6,1% di marzo-aprile. La metallurgia presenta una quota relativamente elevata di imprese con flessione del fatturato mentre nelle industrie farmaceutiche l'incidenza di dinamiche positive, pur consistente (22% dei casi), è inferiore a quella di marzo-aprile (28%). La quota di operatori che riportano una perdita di fatturato compresa tra il 10 e il 50% è superiore alla media complessiva (45,6%) nel comparto dei beni alimentari (50,8%) e in quello dei beni di investimento (49,2%). Il commercio, in particolare quello al dettaglio, ha risultati in linea con quelli aggregati nonostante le limitazioni amministrative: il 42,3% registra un calo del 10-50%, il 10,6% di oltre il 50% e l'11,2% di meno del 10%.

Secondo Il Post  si parla di crisi di governo anche come affrontare questa situazione economica con l arrivo dei recovery found, secondo il giornale,l’idea di Conte è creare una «cabina di regia», composta dalla presidenza del Consiglio, dal ministro dell'Economia Roberto Gualtieri – del Partito Democratico – e da quello dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli, del Movimento 5 Stelle. Il ministro degli Affari europei Vincenzo Amendola dovrebbe fare da referente unico con la Commissione europea.

Ai ministri, stando ai piani di Conte, dovrebbero essere affiancati sei manager per ciascuna delle macrocategorie dei progetti, che a loro volta dovrebbero sovrintendere una “task force“ di “tecnici”, il cui numero non è ancora stato definito. La struttura dovrebbe essere istituita con un emendamento alla legge di bilancio che le garantisca poteri speciali.

A opporsi a questo tipo di gestione del piano è stata soprattutto Italia Viva, il partito dell'ex presidente del Consiglio Matteo Renzi che sostiene la maggioranza. Secondo Italia Viva questa forma di gestione creerebbe una struttura parallela che, anziché snellire l’iter di realizzazione dei progetti, andrebbe a sovrapporsi ai ministeri esistenti.

In un'intervista al giornale spagnolo El Pais, Renzi ha detto che «se Conte vuole pieni poteri come Salvini, io dico no», e alla domanda se fosse disposto a far cadere il governo nel caso in cui Conte non dovesse fare un passo indietro ha risposto «sì, perché questo non è un problema di posti, che pure mi hanno offerto. Il meccanismo del dibattito sulle regole istituzionali non può essere compensato con un piccolo accordo».

Non c’è solo Italia Viva a contestare la cosiddetta “task force” sul piano di gestione del Recovery Fund: si sono detti contrari anche alcuni deputati del PD e i presidenti di alcune regioni, i quali vorrebbero avere un ruolo maggiore nella progettazione, realizzazione e gestione dei piani nazionali sui fondi.

Secondo il Tempo Giuseppe Conte non è insostituibile: Mario Draghi sarebbe il preferito dai partiti infatti nel Pd, Stefania Pezzopane è sicura: “dopo Conte? Conte! Credo che le scaramucce di questi giorni verranno superate e andremo avanti”. In Forza Italia, invece, la fedelissima berlusconiana Michaela Biancofiore presuppone tre scenari teorici: “Renzi si stacca e si fa il governo dei due Mattei. Di Maio si stacca con la sua componente pentastellata più moderata, e governa con il centrodestra assieme a Renzi. Il terzo scenario è che Forza Italia appoggi questa maggioranza, ma è davvero improbabile”. Nomi? “Il nome che gira di più é quello autorevole di Draghi, ma ci sono molti altri aspiranti”.  

E’ lapidario, poi, Osvaldo Napoli, azzurro anche lui. “Se Mattarella vuole un governo che duri fino a fine legislatura ed elegga anche il Presidente della Repubblica c'è solo un nome, e lei sa benissimo qual è”. Draghi? “Perfetto!” Dall'udc, il senatore Antonio Saccone smonta qualsiasi ipotesi: “nomi non se ne fanno perché secondo me non crede nessuno a questa cosa. Detto ciò, auspico nasca una collaborazione alla luce del sole tra maggioranza e opposizione. Il governo di unità nazionale sarebbe un passo di grande maturità che io al momento non vedo”. Dalla Lega, il deputato Luca Paolini osserva: “Cadesse Conte? I più mirano a Draghi ma non so se lui sarebbe disponibile per un governo che in ogni caso dovrebbe durare sei mesi. In ogni caso si tratterebbe di un nome di alto profilo…quindi forse anche la Cartabia, ma tanto per dirne uno”.

 

fonti Sole 24 / il Tempo/ il Post / Sputnik

 

Nonostante l'impegno preso dal ministro Luigi di Maio nell'ottobre 2019 di sospendere la vendita di armi ad Ankara per i bombardamenti in Siria contro i curdi, i big dell'industria bellica tricolore hanno continuato a fare buoni affari con il governo turco: solo nei primi 6 mesi del 2020, secondo l'Opal, sono state vendute munizioni made in Italy per 60 milioni di euro. Fondi che si aggiungono agli armamenti venduti dal 2013 al 2019 per la cifra di 1 miliardo complessivi. Stando all'ultimo report dell'istituto Sipri, il 20% delle armi vendute dall'Italia ai Paesi extra-Ue sono andate alla Turchia, di gran lunga il primo acquirente. Ma non è solo una questione di interessi della nostra industria bellica o più in generale della nostra economia: anche l'attivismo del presidente Recep Tayyp Erdogan in Libia spinge la nostra Farnesina a preferire in sede Ue la carota al bastone.  

L’export di armi italiane verso la Turchia rappresenta solo una piccola parte del totale, ma è cresciuto a ritmi alti negli ultimi anni. Nel 2013 le licenze di export verso la Turchia autorizzate avevano un valore di 11,4 milioni. L’importo è salito a 52,5 milioni nel 2014, 128,8 milioni nel 2015, 133,4 milioni nel 2016, 266,1 milioni nel 2017 e 362,3 milioni nel 2018. Se si vanno a guardare quali sono gli altri acquirenti di armi italiane al primo posto troviamo il Qatar: acquista armi per 1,9 miliardi di euro. Come si può notare nel grafico qui sopra, il secondo è il Pakistan con 692 milioni di euro di operazioni autorizzate nel 2018. Il quarto Paese sono gli Emirati Arabi Uniti, ma in passato hanno suscitato polemiche anche le vendite di armi verso l’Egitto (nel 2018 sono state autorizzate operazioni per 69 milioni).

La Turchia, che recentemente ha inviato le sue truppe in Libia al sostegno di Al-Sarraj, è il terzo acquirente di armi made in Italy, dopo Qatar e Pakistan, e negli ultimi 5 anni ha comprato armamenti per 943 milioni di euro dalle fabbriche italiane.

La tipologia di arma italiana più venduta è l’elicottero da guerra: vale 2,6 dei 5,2 miliardi di euro di autorizzazioni concesse nel 2018. Al secondo posto (459 milioni) c’è la categoria “bombe, siluri, razzi, missili ed accessori”. Ma nella relazione non viene specificato quale tipologia di armi viene venduta a ciascun Paese. Si conoscono, però, le aziende che esportano armi all’estero. Quella che nel 2018 ha ottenuto più autorizzazioni è stata Leonardo, la ex Finmeccanica, con 915 autorizzazioni per un valore di 3,2 miliardi di euro. Leonardo, che ha come principale azionista il ministero italiano dell’Economia e delle Finanze, è infatti la principale società che produce armi in Italia e realizza, tra le altre cose, proprio elicotteri.

Ci sono volute almeno tre versioni e una lunga discussione serale, ma alla fine i leader Ue riuniti a Bruxelles hanno dato il via libera a nuove sanzioni contro la Turchia per 'punirla' della escalation militare lanciata nel Mediterraneo per accaparrarsi una fetta di giacimenti di gas nelle acque di competenza economica di Cipro e della Grecia. La lista delle "personalità ed entità turche" da colpire dovrebbe adesso venire redatta da Bruxelles e varata intorno a marzo.

I leader, si legge nelle conclusioni, invitano il Consiglio Ue "ad adottare delle liste aggiuntive basate sulla propria decisione dell'11 novembre 2019 riguardo alle misure restrittive a fronte delle attività di trivellazione non autorizzate nel Mediterraneo orientale". Il vertice Ue, inoltre, invita la Commissione e l'Alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza comune "a sottoporre un rapporto sullo stato delle relazioni Ue- Turchia a livello politico, economico e commerciale, e sugli strumenti e opzioni riguardo a come procedere, ivi compresa l'estensione del campo d'applicazione delle decisioni summenzionate (ovvero delle sanzioni, ndr), da considerare al più tardi durante il "Consiglio europeo di marzo 2021".  

Una misura che accontenta, ma non troppo, il fronte pro pugno duro contro Ankara, guidato in modo palese da Atene, ma con alle spalle il supporto della Francia di Emmanuel Macron. Di contro, nel testo non compare quell'embargo alla vendita di armi alla Turchia che la Grecia chiede da tempo. Una richiesta che, a quanto pare, Germania, Italia e Spagna hanno bloccato sul nascere.

Infatti Giuseppe Conte, insieme alla cancelliera Angela Merkel e al premier spagno Pedro Sanchez, avrebbero spinto per "una linea relativamente morbida" sulla Turchia al vertice Ue, come scrive Jacopo Barigazzi su Politico. "Alcuni diplomatici hanno affermato che l'Ue ha cercato di trovare un equilibrio con Ankara, un membro della Nato e un alleato chiave per la migrazione, usando sia la carota che il bastone per cercare di evitare un'escalation - scrive - Tale approccio si riflette nel fatto che il testo, ad esempio, non contiene un embargo sulle armi richiesto dalla Grecia e anche che non vi è alcuna decisione immediata di imporre ulteriori sanzioni".  

Le ragioni economiche e geopolitiche dello stop di Berlino e Roma a questa proposta sono chiare. La Germania è il principale partner commerciale di Ankara, e anche se rispetto a un decennio fa ha ridotto di molto i suoi rifornimenti di armi all'esercito turco, resta ancora un importante supporto per la costruzione di navi militari (le stesse al centro dell'escalation nel Mediterraneo). L'Italia, dal canto suo, ha un interscambio di beni con la Turchia pari a circa 15 miliardi, secondo i dati 2019 del ministero degli Affari esteri: esportiamo soprattutto prodotti chimici e meccanici (anche la plastica non riciclata), ed importiamo autoveicoli, beni agroalimentari e tessili e prodotti mettallurgici. Alla voce export un ruolo di rilievo lo continua a svolgere il mercato delle armi.

Sanzioni a parte, il resto delle conclusioni dei leader Ue sono più che conciliatorie con Ankara: si riafferma il valore strategico dei buoni rapporti fra le due parti, soprattutto sulla questione migratoria, e si ripropone una "agenda positiva" come via da seguire favorita, Innanzitutto, il vertice Ue "nota il ritiro da parte della Turchia della nave Oruc Reis" dalle acque di competenza greca (una delle navi inviate per accaparrasi il giacimento di gas al largo di Cipro) e "insiste per una de-escalation costante in modo da consentire una tempestiva ripresa e una buona continuazione dei colloqui esplorativi diretti fra la Grecia e la Turchia".

Il Consiglio europeo poi "riafferma l'interesse strategico della Ue nello sviluppo di relazioni cooperative e reciprocamente vantaggiose con la Turchia. L'offerta di un'agenda positiva Ue-Turchia - sottolinea - resta sul tavolo, a patto che la Turchia mostri di essere pronta a promuovere un partenariato genuino con l'Unione ed i suoi Stati membri, e a risolvere le divergenze attraverso il dialogo e in accordo con il diritto internazionale. Una tale agenda potrebbe coprire le aree dell'economia e del commercio, dei rapporti tra le popolazioni, del dialogo ad alto livello e della continuazione della cooperazione le questioni migratorie".

I leader dei Ventisette sottolineano "l'importanza di mantenere aperti i canali di comunicazione fra l'Ue e la Turchia", e assicurano che "l'Ue sarà anche pronta a continuare a fornire assistenza finanziaria ai rifugiati siriani e alle altre comunità ospitate in Turchia, e a cooperare sulla gestione responsabile dei flussi migratori verso gli Stati membri e sull'incremento degli sforzi nella lotta contro i network del traffico di migranti". Ultimo paragrafo delle conclusioni sulla Turchia riguarda l'annosa questione cipriota, l'isola ancora divisa in due: una parte nell'Ue, l'altra nella sfera turca.


Fonti Europatoday/web


 

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