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Soldi, opere pubbliche, intelligence. Soldi, soprattutto, e in fretta. Insomma, basta chiacchiere, sui migranti «l'Europa deve fare di più», dice Sergio Mattarella. «L'Italia spinge la Ue a intensificare i rapporti con il Mediterraneo e a contribuire allo sradicamento della povertà e allo sviluppo dei Paesi da cui provengono i flussi irregolari». E stavolta pure Matteo Salvini si trova d'accordo: «Il capo dello Stato ha ragione. Quando ero ministro dell'Interno ho dimostrato che ridurre morti e sbarchi è possibile».

Intanto poco piu di un mese fa lungo la riotta terrestre Balcanica dal 15 ottobre sono in azione pattuglie miste serbe e ungheresi per rafforzare i controlli e la sorveglianza lungo la frontiera e intensificare la lotta all’immigrazione illegale.

Si ampliano in tutta Europa i fronti critici per l’immigrazione illegale. L’ultimo in ordine di tempo è quello bielorusso dove ieri due militari polacchi sono rimasti leggermente feriti quando un gruppo di circa 60 migranti illegali afro asiatici ha cercato di farsi strada attraverso il confine.

“Non consentiremo che la vita nel nostro Paese venga in qualche modo modificata” a causa dei migranti – ha detto il ministro dell’Interno Aleksander Vulin. “Per questo la collaborazione con la polizia magiara è molto importante”, Il ministro ungherese Sandor Pinter ha sottolineato che Ungheria e Serbia hanno la stessa posizione in fatto di immigrazione illegale, aggiungendo l’auspicio che altri Paesi europei si uniscano in tale collaborazione nel contrasto all’immigrazione illegale. I rapporti tra Budapest e Belgrado si sono molto rafforzati negli ultimi tempi, anche grazie all’amicizia personale e a gli stretti rapporti personali tra il presidente serbo Aleksandar Vucic e il premier ungherese Viktor Orban.

Ben più grave la situazione in Italia dove il governo attuale e quello precedente non hanno fatto nulla per arginare i flussi.

Anzi, nonostante le continue proteste dell’opposizione di FdI e interne alla maggioranza espresse da Lega e da una parte di Forza Italia, si può affermare che Roma stia facendo di tutto per attrarre sulle sue coste i flussi migratori illegali del Mediterraneo che Malta, Grecia e Spagna stanno arginando invece con successo.

Due gruppi di migranti, 68 nel primo caso e 16 nel secondo, sono sbarcati nella tarda serata di ieri in Salento, tra Santa Maria di Leuca e Otranto.A Leuca è arrivato un motoveliero intercettato da unità navali della Guardia di finanza a dieci miglia dalla costa con a bordo 68 migranti di varie nazionalità, soprattutto iracheni e iraniani, in viaggio da quattro giorni - a quanto si apprende - senza mangiare.

A bordo anche 13 minorenni e otto donne delle quali una incinta.
Poche ore dopo il primo sbarco è stata intercettata al largo di Castro un'altra imbarcazione lunga sette metri con a bordo 16 migranti. Il natante è stato trainato nel porto di Otranto dove i migranti sono stati accolti dai volontari della Croce rossa e sottoposti alle procedure di identificazione.

Le operazioni di sbarco di due giorni fa, degli 847 migranti salvati in mare su barconi dalla nave Sea Eye 4 che è giunta nel porto di Trapani. A bordo vi sono anche 170 minori, tra cui diversi bambini, 53 donne di cui 2 in gravidanza. La maggior parte dei migranti, terminate le operazioni di identificazione e i primi controlli sanitari, sarà fatta salire su due navi quarantena già in porto.  

La nave era arrivata davanti al porto di Trapani già stamattina ma ha dovuto attendere alcune ore prima di ricevere il via libera all'ingresso in porto. Solo ieri sera, due giorni dopo l'ultimo imponente salvataggio di 400 delle 800 persone che ha a bordo, la Sea-Eye 4 aveva ricevuto dalla Guardia costiera e dal Viminale l'autorizzazione a poter sbarcare i migranti in Italia. Non un vero e proprio «Pos», il porto sicuro invocato da giorni dopo che Malta si era rifiutata anche di dialogare con la nave della Ong tedesca, ma comunque un porto dove sbarcare. Una differenza di carattere legale, che evita all'Italia di dover assumere ufficialmente la responsabilità delle 7 operazioni di soccorso portate a termine dalla Sea-Eye 4 in poco più di due giorni, tra martedì e giovedì nelle zone Sar di Malta e Libia e con l'aiuto di un'altra nave Ong, la Rise Above di Mission Lifeline, che è anch'essa entrata stamattina nel porto di Trapani ma senza migranti a bordo.

Ci sono nazioni che utilizzano il tema dell'emigrazione come ricatti. Credo che su questa materia dovrebbe muoversi l'Europa con serietà, ma dovrebbe soprattutto muoversi". Così Giorgia Meloni nel corso di una conferenza stampa. La leader di Fratelli d'Italia, anche alla luce di quello che sta accadendo in Polonia, punta il dito contro Bruxelles. Già, ancora una volta l'Unione europea si dimostra incapace ed impotente di fronte alle crisi migratorie.

L'Italia si trova in una morsa politica. Da una parte, è costretta a dare soldi ai paesi di esodo affinché impediscano ai migranti di salire sui barconi; dall’altra, scatena gli appetiti dei governi africani che ambiscono a intercettare una parte delle risorse europee per arginare l’immigrazione clandestina. Il meccanismo è noto: i governi africani allentano i controlli alle frontiere e fanno crescere il numero di migranti che si dirigono verso le coste italiane.

l leader della Lega Matteo Salvini va all'attacco su Twitter e si chiede: “Una nave tedesca sta per lasciare in Sicilia più di 800 clandestini. Domanda: i ministri dell'Interno e degli Esteri hanno chiesto a Berlino e Bruxelles di farsi carico di questi immigrati o per loro va bene così?”.

9944 / 30521 / 56009 I arrivi degli immigrati da fondi del Ministero degli Interni
nel 2019 nel 2020 e 2021....comparati nello stesso  periodo dell'anno
la situazione relativa al numero dei migranti sbarcati a decorrere dal 1 gennaio 2021 al 8 novembre 2021* comparati con i dati riferiti allo stesso periodo degli anni 2019 e 2020  

Il 4 novembre oltre mille migranti recuperati da imbarcazioni in difficoltà si trovano su due navi umanitarie a sud di Lampedusa, in attesa di un porto sicuro.

Mentre si lavora alla soluzione di sbarco più idonea - difficile che sia sull'isola - il ministro dell'Interno, Luciana Lamorgese, lamenta la solitudine dell'Italia di fronte alla "costante pressione migratoria dal Nord Africa": è giusto, spiega "che si salvino, ma è ingiusto che siamo solo noi" a farlo: "non può essere un carico che deve avere soltanto il Paese di primo approdo".

Diverso il discorso per l'afflusso 'controllato': oggi al Viminale è stato siglato un protocollo d'intesa con Farnesina, Cei, Sant'Egidio e varie ong per l'apertura di corridoi umanitari che porteranno in Italia 1.200 afghani fuggiti in Paesi vicini come Pakistan e Iran.

Come riferisce l'ansa,nella notte l'ultimo, drammatico, intervento di salvataggio, operato dalla Sea Eye 4 con il concorso della Rise Above (della ong Mission Lifeline). In 400 si trovavano su un'imbarcazione a due piani di legno con lo scafo bucato alla deriva in zona sar maltese. "Malta ha ignorato le segnalazioni di aiuto arrivate da Alarm Phone", denuncia Sea Eye. A bordo della nave della ong tedesca si trovavano altre 400 persone soccorse nei giorni scorsi. Sono ora in 800 sulla Sea Eye 4 . Aiuti e cibo alla nave sono giunti anche dalla Ocean Viking di Sos Mediterranee, che trasporta altre 245 persone salvate in mare. Intanto, non si arrestano gli sbarchi in Calabria, lungo la rotta orientale che parte dalla Turchia. In 75 sono stati recuperati da Polizia, Guardia Costiera e Croce Rossa a bordo di un veliero incagliatosi sulla costa crotonese. Sempre in Calabria, ma più a sud, a Badolato (Catanzaro) un peschereccio ha portato altre 120 persone. Anche in questo caso è stato necessario l'intervento della Guardia costiera, oltre che dei vigili del fuoco.

 

Fonti ansa / il giornale / analisi e difesa / varie agenzie

L’Europa? Un “club cristiano”. Gli “universalismi” su cui orientarsi? Non quello dei diritti umani, ritenuto post-politico e centro di sviluppo di una cultura individualista, ma quello filosofico e quello di matrice cristiana. A scriverlo non è un agitatore sovranista o un politico conservatore, ma una delle più autorevoli riviste di geopolitica sul piano europeo, la francese Le Grand Continent.

Il discorso sulle radici cristiane sottolinea il Giornale dell'Europa è troppo spesso oggetto di opposte - e fuorvianti - strumentalizzazioni e mistificazioni. Da un lato, esso è stigmatizzato e criticato da un europeismo lirico, neo-illuminista, che pretende di trovare nell'auto legittimazione dell'idea, fideistica, di unità europea un fine in sé, pretendendo di costruire nel mondo contemporaneo un'istituzione secolare slegata da tutto ciò che l'Europa ha rappresentato e rappresenta tuttora per la civiltà umana. Dalla parte opposta, l'idea dell'Europa cristiana è troppo spesso vittima degli apologeti dell'occidentalismo più sfrenato, che non mancano di identificare le radici profonde del Vecchi Continente in senso esclusivo o, addirittura, fortemente connotato politicamente.

La testata, scrive Inside Over facente riferimento alla galassia politica liberal e vicina alla sinistra moderata nella laicissima Francia, prende una posizione netta ospitando un confronto tra le opinioni di due prestigiosi studiosi, il politologo Luuk van Middelaar dell”Università di Leida e il filosofo politico Pierre Manent. Entrambi si dichiarano favorevoli a una riscoperta delle radici cristiane dell’Europa come principale viatico attraverso cui ricostruire una visione strategica per il Vecchio Continente, sulla scia di un’identità che sappia evitare sia di prendere le forme di un vetusto nazionalismo su scala europea sia di coltivare l'illusione di sciogliere ogni radicamento in una cittadinanza proto-globale che avrebbe poco di europeo, il sogno di una parte di galassia progressista e no-border.

Cosa dovrebbe dare la sveglia agli europei sulla riscoperta del valore strategico di questi valori? Secondo van Middelaar, sottolinea inside over una lezione inequivocabile è stata quella della disfatta afghana, che ha colto l’Unione Europea rilevante politicamente e spiazzata dall’assenza di capacità di interpretare lo spirito del tempo: “Vent’anni dopo” il disastroso intervento in Afghanistan degli Usa l'Occidente sta “assistendo a un doppio fiasco, uno – molto visibile – per il nostro ottimismo di “costruttori di nazioni” con il recente caos di Kabul, ma anche altrettanto sorprendentemente per le speranze riposte nella globalizzazione economica come precursore della democratizzazione, infranta dall’ascesa di Xi Jinping”. Insomma, la crisi dell'universalismo dirittista e dell'universalismo economico neoliberale di matrice anglosassone a cui l'Europa si è abbandonata in amorosi sensali per decenni.

Entrambi gli approcci scrive il Giornale scontano un forte limite concettuale, un legame di fondo con le analoghe trattazioni proprie del discorso politico statunitense la cui forma mentis ha pervaso oramai, profondamente, la cultura politica europea. E si distanziano profondamente dal serio dibattito sulle radici cristiane della civiltà del Vecchio Continente che è stato inaugurato negli ultimi decenni da figure profondamente influenti sul piano religioso, sociale, culturale, umano e politico come San Giovanni Paolo II.

In uno dei testi pubblicati per riflettere sul futuro dell'Europa scrive il Giornale,e della cristianità, Giovanni Paolo II ha testimoniato la sua personale visione sulla natura con cui ha inteso e interpretato le radici cristiane: come il richiamo a un orizzonte valoriale in grado di riportare l'Europa al progresso materiale e morale dopo il secolo delle idee assassine, il Novecento che ha portato infiniti lutti ai Paesi del continente e messo sotto il fuoco delle invasioni e delle occupazioni la Polonia, "Cristo d'Europa" per eccellenza esposta alle mire e agli appetiti stranieri. Memoria e identità, il saggio in questione, è una riflessione profonda sul senso di dirsi cristiani nell'Europa del secondo dopoguerra, sulla necessità di una direzione morale di marcia e sulla natura più profonda di cosa voglia dire l'adesione alla Chiesa nei tempi segnati dal declino delle ideologie e all'individualizzazione di massa.

Ebbene, sottolinea inside over all’Europa manca un collante per resistere alle conflittualità e alle fasi di grave sconforto. Manca una Stella Polare a cui tendere, una visione di lungo periodo e una narrazione di prospettiva. Quando negli Usa “il Presidente parla a un pubblico americano, o anche a un pubblico internazionale, si posiziona naturalmente come portavoce di una lunghissima storia nazionale che gli americani e il resto del mondo conoscono molto bene. E lo stesso vale per il presidente cinese Xi Jinping”, continua lo studioso. Questa idea di narrazione è il carburante di qualsiasi forma di organizzazione politica ed è ciò che l’Europa avrebbe maggiormente a disposizione, rinunciando ad usare. Un carburante che non può non essere la percezione del retaggio cristiano della cultura del Vecchio Continente. “L’Europa è la storia delle nazioni cristiane che, a un certo punto, hanno fatto la scelta di limitare il posto della religione, di sopprimere il potere di comando della Chiesa. Tuttavia, il rapporto dell’Europa con il cristianesimo è una parte essenziale di questa storia”, risponde al collega Manent.

Continua Inside Over porre la nascita dell’Europa all’Illuminismo, in quest'ottica, taglierebbe fuori l'Europa dalla maggior parte del suo passato, porla agli Anni Cinquanta del Novecento sarebbe addirittura autolesionista. “Nelle prime fonti del Medioevo, i termini cristianesimo ed europa erano quasi intercambiabili”, aggiunge. “Non possiamo cancellarlo”, e questo al di là di qualsiasi discorso sul fatto che l'identità cristiana vada identificata con le semplici radici su cui poggia il Vecchio Continente o con un sistema in continuo movimento.

sottolinea Andrea Muratore nel suo articolo al inside over quanto scrive Le Grand Continent non è in fin dei conti che l'attestazione di ciò che i padri fondatori dell’Europa unita avevano profondamente innervato nel loro pensiero.In figure come Konrad Adenauer, Alcide de Gasperi, Robert Schumann ardeva fortemente il desiderio molto profondo di liberarsi dalle scorie più tossiche del nazionalismo degli Anni Trenta e Quaranta. Questo attaccamento al cristianesimo, cattolicesimo in particolare, per rifugiarsi nel messaggio universale della Chiesa, anche se non era il caso in tutti i futuri Stati dell'Unione, era ritenuto un modo per sfuggire al ritorno del nazionalismo, saldando assieme al retaggio della cultura greco-romana il complesso dell’identità europea.

In sostanza è fondamentale, nota la rivista francese, l’attestazione del fatto che l’oblio dell’identità cristiana nel discorso pubblico dell'Europa vada di pari passo con il ridimensionamento del ruolo di qualsiasi assetto culturale o sociale che propugni un messaggio di comunità. Quasi come se fosse percepita un'ostilità sostanziale a un passato ineliminabile da cui discendono, del resto, le fonti di molti valori che l'Europa pretende di rappresentare: la dignità umana, la coesione tra i popoli, addirittura la stessa base dell’ideologia dell’economia sociale di mercato poi spiazzata nei trattati europei. L'attestazione di questa realtà, chiude Manent, renderebbe l’Europa più forte e di fatto più adatta al dialogo con altri contesti: “se fossimo un po’ più orgogliosi della nostra storia, sarebbe molto più facile far parte di un mondo plurale con civiltà che incarnano altri modi di vivere”.

scrive inside over : Questo è quanto già negli scorsi anni è stato più volte presentato da due Papi, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, nella loro predicazione pastorale e educativa: l’identità cristiana dell'Europa non è da pensare come a un fuoco in via di spegnimento, ma come a una sorgente a cui continuamente abbeverarsi. Da mettere al riparo sia dalle critiche spesso pretestuoso di un ingenuo europeismo lirico, neo-illuminista, sia dagli apologeti dell’occidentalismo più sfrenato, che non mancano di identificare le radici profonde del Vecchi Continente in senso esclusivo o, addirittura, razzistico. Secondo entrambi i pontefici nel corso dell’ultimo secolo il nazismo e il comunismo prima, il neoliberismo poi, con la loro pretesa di costruire la realizzazione totale della società attraverso progetti materialistici e la loro natura totalizzante in campo sociale hanno rappresentato in tal senso minacce altrettanto gravi alla difesa dell’identità crisitana d’Europa.

Riscoprire la sorgente dell’identità cristiana permetterebbe finisce l articolo,  Andrea Muratore  all'Europa scrive inside over di tornare alle radici della sua costruzione politica e dare un substrato narrativo e, in prospettiva, geopolitico. L'Europa è il continente che ha prodotto una rosa di pensatori in campo politico, economico, filosofico e sociale ampia e unica nella storia: da San Tommaso a Jacques Maritain, da Adam Smith a Carl Schmitt, dal cardinale Richelieu e Nicolò Machiavelli a Max Weber, molti uomini e donne hanno lezioni profonde da dare in un contesto che va visto sempre più in quadro universalista. Unità nella diversità, nel quadro di un passato comune: questa via aiuterebbe molto più del grigio indistinto del cosmopolitismo tecnocratico spesso assecondato da Bruxelles. E non a caso, come più volte ricordato da studiosi come Giulio Tremonti, la classe dirigente europea si è fortemente ridimensionata dall’epoca di una prova tanto importante come la ricostruzione post-bellica ad oggi, avendo perso anche l’orizzonte valoriale di riferimento. Riscoprire con orgoglio e senza ambiguità il punto di partenza di un percorso che ha segnato la storia d'Europa e la formazione di tutti coloro che, indipendentemente dal loro credo, nascono nel Vecchio Continente può essere la strada maestra per far sì che l'Europa torni a giocare da protagonista nella storia.

Fonte Il giornale / Inside Over

Evitare le elezioni anticipate: prima Luigi Di Maio e poi Matteo Salvini, da posizioni diverse, tornano a evocare lo 'spettro' del voto collegato all'ipotesi di una elezione di Mario Draghi al Quirinale.

Per il ministro degli Esteri, il voto minerebbe il percorso di crescita avviato dall'Italia in questi anni e, per questa ragione, sarebbe da evitare. Di Maio, però, non sbarra la strada alla salita del premier al Colle più alto. Non esplicitamente, almeno.

"La destra non usi il Colle per ricattare il Paese con il voto anticipato. Raggiungerebbe l'unico, inaccettabile, obiettivo di bloccare la ripresa", dice il responsabile della Farnesina. Il voto, tuttavia, sembra essere solo una delle opzioni in campo nel caso che si arrivasse a una elezione di Draghi. Alla domanda se voterebbe Draghi al Quirinale, infatti, Salvini risponde "anche domattina. Ma sul Quirinale gli scenari cambiano ogni momento", aggiunge il segretario della Lega, "Draghi è certamente una risorsa per il Paese, ma non so se voglia andarci".  

Giancarlo Giorgetti butta lì, quasi fosse un caso, un pronostico quirinalizio che tiene insieme gli auspici delle diplomazie occidentali con le legittime aspirazioni di un Mario Draghi a cui non dispiacerebbe affatto traslocare armi e bagagli al Colle. Due le soluzioni: confermare Sergio Mattarella «ancora per un anno» oppure, «se questo non è possibile», mandare al Quirinale Draghi. Che «potrebbe guidare il convoglio», cioè il Paese, «dal Colle», dando così vita a un «semipresidenzialismo de facto».

E, comunque, "anche se ci andasse, non credo che ci sarebbero le elezioni anticipate". Parole, quelle di Salvini, che sembrano prefigurare un nuovo esecutivo senza passare dalle urne, il quarto in quattro anni, con quattro maggioranze diverse. Eppure, rimane Mario Draghi la pista più accreditata per il Colle. Anche e soprattutto per il centrodestra. Silvio Berlusconi, almeno sulla carta, rimane il "piano A" di Forza Italia, Fratelli d'Italia e Lega. Il suo nome, tuttavia, è spuntato fuori molto in anticipo rispetto al 'fischio d'inizio' fissato per la fine dell'anno. E, come spesso accade in questi casi, "chi entra Papa esce cardinale", o anche meno.  

Solo coincidenze, ovviamente. Al netto del fatto che è altamente improbabile che il numero due della Lega - nonché ministro dello Sviluppo economico - si sia ancora una volta avventurato a disquisire di Quirinale senza rete. Soprattutto E, comunque, "anche se ci andasse, non credo che ci sarebbero le elezioni anticipate". Parole, quelle del leghista, che sembrano prefigurare un nuovo esecutivo senza passare dalle urne, il quarto in quattro anni, con quattro maggioranze diverse. 

Ma ieri, di nuovo, Giorgetti è tornato sul tema. Affrontando la questione Colle in un colloquio con Bruno Vespa per il suo libro Perché Mussolini rovinò l'Italia (e come Draghi la sta risanando). L'ultima fatica di una lunga collana di saggi le cui anticipazioni, ormai da circa un decennio, vengono sapientemente veicolate a giornali e agenzie con una tempistica studiata con cura certosina. Ci sta, quindi, che tra i ministri del governo siano in molti a pensare che Giorgetti non abbia semplicemente buttato il cuore oltre l'ostacolo. E che lo schema dei due cammini per il Colle sia di fatto condiviso con i suoi principali interlocutori. 

Con il premier, perché a Palazzo Chigi il ministro dello Sviluppo è da tutti descritto come uno dei pochissimi che ha una consuetudine quotidiana con l'ex numero uno della Bce. Ma anche con le principali diplomazie occidentali, visto che - da Washington a Berlino, passando per Parigi - è forte il pressing affinché l'ex Bce resti a Palazzo Chigi. Auspicio che la diplomazia americana ha ribadito all'Italia anche nelle recenti interlocuzioni romane in occasione del G20. E se Draghi dovesse restare premier nonostante le sue legittime e umane ambizioni, è evidente che l'unico schema alternativo a lui gradito sarebbe quello di continuare la coabitazione con al Quirinale l'attuale capo dello Stato. 

È solo Mattarella, infatti, il garante della sua premiership, l'uomo che l'ha chiamato a prendere le redini di un Paese la cui classe politica era allo sbando, l'interlocutore con il quale si relaziona per tutte le scelte chiave. Quelle relative al Pnrr e non solo. Se cambiasse l'inquilino del Colle, insomma, la strada dello stesso Draghi si farebbe tutta in salita. Al netto del fatto che - chiunque vada al Quirinale a fine gennaio - la maggioranza inizierà comunque a ballare sull'ottovolante. Per dirla con le riflessioni di questi giorni del ministro Dario Franceschini, «dopo l'elezione del presidente della Repubblica l'instabilità sarà inevitabile». «Gestibile», forse, se Draghi resterà a Palazzo Chigi. Altrimenti, anche diventasse premier il superdraghiano Daniele Franco, dal giorno dopo «sarebbe un liberi tutti». 

Ne è consapevole anche un esponente come Gianfranco Rotondi, profondo conoscitore della macchina di Palazzo e delle dinamiche interne al centrodestra: "Sul Quirinale i due leader della destra", Matteo Salvini e Giorgia Meloni, "sono stati correttissimi con Berlusconi. Non è un doppio gioco: si cerca sempre una soluzione unitaria nelle prime tre votazioni e questa può essere solo Draghi, onestamente", spiega Rotondi:

"La candidatura di Berlusconi sopravviene in quarta votazione, nel caso in cui le forze politiche non raggiungano un'intesa unanime. E in questo caso, Salvini e Meloni hanno già detto che sosterranno Berlusconi. A me basta, francamente". Analisi con la quale Rotondi spazza il campo anche rispetto ai malumori che cominciano a serpeggiare in Forza Italia per quello che verrebbe considerato un 'tradimento del Cavaliere per mano dei due alleati.

Il rischio di bruciare nomi e strategie è sempre dietro l'angolo. Non a caso, altre forze politiche tendono a prograstrinare il totonomi. Per il segretario del Partito Democratico, Enrico Letta, "di Quirinale si parla a gennaio" perchè prima, spiega il leader dem, "c'è la legge di bilancio e il Piano di ripartenza e resilienza da 230 miliardi".

Priorità che il Paese non può permettersi di trascurare, come spiega anche il ministro dei rapporti con il Parlamento, Federico D'Incà. "Prima di arrivare alla data" dell'elezione del Presidente della Repubblica "abbiamo otto decreti in conversione, la legge di bilancio, la riforma del civile, la riforma sulla disabilità. Abbiamo un percorso molto pieno da qui al 31 dicembre. Si abbia coscienza che il Paese ci sta guardando e dobbiamo ottenere i miliardi del Pnrr", aggiunge D'Incà. "Occorre che la decisione venga maturata nel tempo con il coinvolgimento di tutti i protagonisti del Parlamento. Mi auguro una convergenza verso figure di altissima autorevolezza del nostro Paese".

Altissima autorevolezza che, per il ministro M5s, manca a Silvio Berlusconi, "invotabile" per i Cinque Stelle. Cinque Stelle e Partito Democratico tengono le carte coperte. Il presidente M5s, Giuseppe Conte, non esclude che l'attuale premier possa passare direttamente da Chigi al Quirinale, anche se "è ancora presto per trarre delle conclusioni, lavoreremo per trovare il candidato migliore e Draghi rientra in questa descrizione ma è chiaro che devono realizzarsi alcune condizioni, ora è prematuro parlarne", dice Conte.

Il ministro D'Incà non esclude nemmeno il ricorso alla base per scegliere una candidatura, come fu per Stefano Rodotà a suo tempo. I dem, al contrario, non hanno ancora un nome in 'caldo': fra i gruppi parlamentari si fanno quelli di Paolo Gentiloni, di Rosy Bindi, di Dario Franceschini, ma al momento si tratta più di desiderata di correnti che non di ipotesi concrete. "Le verità", spiega un parlamentare dem di primo piano, "è che sarebbe difficile per tutti dire No a Mario Draghi nel caso la sua candidatura dovesse concretizzarsi".

Uno scenario, questo, che acquista concretezza con il passare dei giorni. Per le voci che vogliono il premier sempre più insofferente dei litigi fra i partiti che sostengono il suo governo, ma anche per le affermazioni dello stesso Draghi che esclude per sé il ruolo di leader: "Io candidato a leader di qualcosa? No no, per carità...". Leader politico no, dunque. "Arbitro e garante delle Istituzioni" si vedrà.

Fonti agi / il giornale e varie agenzie

 

 

 

Nessuno vuole fare il toto-nomi, ma tutti ne parlano. La corsa al Quirinale è apertissima. Lo dimostrano le diverse posizioni espresse all'interno del centrodestra. Se infatti Matteo Salvini e Giorgia Meloni si dicono disposti a fare il nome di Silvio Berlusconi, poco più in là Giancarlo Giorgetti rilancia Mario Draghi. Intervistato da Bruno Vespa per il suo nuovo libro "Perché Mussolini rovinò l'Italia e perché Draghi la sta risanando", il ministro leghista dello Sviluppo economico conferma chiaro e tondo che "Draghi potrebbe guidare il convoglio anche dal Quirinale".

Un'ipotesi a detta di Giorgetti da tenere a mente nel caso in cui Sergio Mattarella rifiuti come ha già fatto il bis: "Già nell'autunno del 2020 - spiega il vicesegretario della Lega - dissi che la soluzione sarebbe stata confermare Mattarella ancora per un anno. Se questo non è possibile, va bene Draghi". In fondo, "sarebbe un semi presidenzialismo de facto, in cui il presidente della Repubblica allarga le sue funzioni approfittando di una politica debole".

Se vuole istituzionalizzare in modo definitivo - dice nel libro Giorgetti - Salvini deve fare una scelta precisa. Capisco la gratitudine verso la Le Pen, che dieci anni fa lo accolse nel suo gruppo. Ma l'alleanza con l'AfD non ha una ragione". Per Giorgetti la svolta europeista di Salvini "è un'incompiuta". Quanto all'ipotesi di un ingresso della Lega nel Ppe "è un'ipotesi che regge se la Cdu non si sposta a sinistra".

"Non ci sono due linee. Al massimo - dice Giorgetti - sensibilità diverse. Amando le metafore calcistiche, direi che in una squadra c'è chi è chiamato a fare gol e chi è chiamato a difendere". "Lei mi chiede - dice ancora Giorgetti a Vespa - se io e Salvini riusciremo a mantenere un binario comune. Continueremo a lavorare così finché il treno del governo viaggia veloce, altrimenti rischiamo noi di finire su un binario morto. Il problema non è Giorgetti, che una sua credibilità internazionale se l'era creata da tempo. Il problema è se Salvini vuole sposare una nuova linea o starne fuori. Questa scelta non è ancora avvenuta perché, secondo me, non ha ancora interpretato la parte fino in fondo. Matteo è abituato a essere un campione d'incassi nei film western. Io gli ho proposto di essere attore non protagonista in un film drammatico candidato agli Oscar. È difficile mettere nello stesso film Bud Spencer e Meryl Streep. E non so che cosa abbia deciso…". Intanto, però, la Meloni continua a mordervi il fondo dei pantaloni, obietta Vespa. «È vero, ma i western stanno passando di moda. Secondo me, sono finiti con Balla coi lupi. Adesso in America sono molto rivalutati gli indiani nativi.

"Io mi sto occupando di salvare le pensioni e tagliare le tasse. Del resto mi occupo dopo. Stiamo lavorando per un grande gruppo che metta insieme il centrodestra in Europa. Non è nessun vecchio gruppo". Così il segretario leghista Matteo Salvini, parlando a margine dell'inaugurazione di una sede del Carroccio a Pistoia, ha risposto a chi chiedeva se ritenesse giusto, come propone il ministro Giancarlo Giorgetti, di completare il processo di avvicinamento della Lega al Ppe.

Intanto in Italia nel 2019, prima della pandemia, circa 5 milioni di persone avevano un salario effettivo non superiore ai 10 mila euro lordi annui, tutte con "discontinuità lavorativa".

E' quanto emerso durante la presentazione del rapporto della Fondazione Di Vittorio-Cgil su "Salari e occupazione".

Oggi risultano circa 3 milioni di precari e 2,7 milioni di part-time involontari, ovvero che lavorano a tempo parziale non per scelta, che si aggiungono a 2,3 milioni di disoccupati ufficiali. Il salario dei part-time italiani, emerge ancora, è percentualmente più basso della remunerazione part-time nella media dell'eurozona di oltre il 10%.

La percentuale di part-time involontario in Italia è la più alta a livello europeo: nel 2020 arriva a segnare il 66,2% sul totale degli occupati a tempo parziale, contro il 24,7% dell'Eurozona. Durante la presentazione del Rapporto è stato inoltre ricordato come il cosiddetto tasso di disoccupazione "sostanziale" calcolato dalla Fondazione Di Vittorio nel 2020 risulti pari al 14,5% rispetto al 9,2% del tasso di disoccupazione ufficiale, che corrisponde a quasi 4 milioni, un numero che ai 2,3 milioni di disoccupati aggiunge coloro che sarebbero disponibili a lavorare ma non cercano perché sono scoraggiati, bloccati per la cura di figli o anziani o sono sospesi, in attesa di riprendere l'attività. "Risulta evidente che il tema del lavoro riguarda la quantità di occupazione ma anche tanti aspetti della sua qualità", ha sottolineato il presidente della Fondazione, Fulvio Fammoni, richiamando l'attenzione sulle modalità di utilizzo del Pnrr e dalle scelte della legge di Bilancio. "Se davvero si punta ad uno sviluppo duraturo - ha affermato - il problema non può essere semplicemente l'utilizzo totale e tempestivo delle risorse a disposizione, ma come questa situazione straordinariamente favorevole per le quantità di risorse, risolve o meno questi problemi strutturali".

Nel 2020, con l'esplodere della pandemia, il salario medio di un dipendente a tempo pieno in Italia è diminuito del 5,8% rispetto al 2019, con una perdita in termini assoluti di 1.724 euro nell'anno. Il calo più ampio nell'Ue (-1,2% in media) e nell'Eurozona (-1,6%). Il ricorso alla cassa integrazione e ai Fondi di solidarietà ha tuttavia più che dimezzato la riduzione del salario medio annuale che così 'integrato' si è fermata a 726 euro in meno (-2,4%). Emerge dal rapporto della Fondazione Di Vittorio della Cgil su "Salari e occupazione", che sottolinea la funzione positiva del blocco dei licenziamenti e degli ammortizzatori.

 

Fonti varie agenzie

 

 

"Il G20 si impegnerà per avere il 70% della popolazione vaccinato contro il Covid entro metà del prossimo anno. È un impegno ambizioso che sosteniamo".  Questo l'annuncio della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, in conferenza stampa in vista del Summit di Roma. La cooperazione con Mario Draghi "è stata ed è eccellente", ha aggiunto ricordando come "abbiamo avuto il G20 Salute che ha posto le basi per le discussioni che facciamo ora. C'è stata un'ottima preparazione senza la quale non staremmo affrontando questi temi ora".
L'Ue ha mantenuto la sua promessa: almeno una dose su due di quelle prodotte in Europa sono e saranno esportate nel mondo

E il prossimo anno ci aspettiamo più di 3,5 miliardi di dosi di vaccini prodotte in Ue, la cui maggioranza sarà esportata". Lo ha detto la presidente della commissione Ue Ursula von der Leyen nel corso della conferenza stampa sul G20 di Roma.

"Essendo la riunione delle 20 maggiori economie del mondo, avremo una visione a 360 gradi sul mondo, ma mi concentro sui tre temi principali: come far terminare la pandemia di Covid-19, le questioni della ripresa economica globale e del cambiamento climatico", ha spiegato von der Leyen. E, sul tema vaccina, la numero dell'esecutivo uno ha ricordato come l'Ue finora abbia esportato "1,2 miliardi di dosi di vaccino, verso 150 paesi e fornito 880 milioni" ai Paesi più vulnerabili. "Quello di cui abbiamo bisogno è un Oms forte, per preparare meglio il mondo alla potenziale prossima pandemia", ha ancora osservato von der Leyen richiamando l'attenzione sulla necessità di una risposta globale "più strutturata". "Devono essere anche rafforzati i sistemi sanitari, che si sono dimostrati non abbastanza resilienti. Non ci siamo ancora, devo dire, nei negoziati del G20: ci sono visioni differenti su come farlo, ma spero che troveremo un accordo", ha concluso."Il G20 dovrà trovare un'intesa su una riforma fiscale globale".Lo ha detto la presidente della commissione Ue, Ursula von der Leyen in una conferenza stampa sul G20, ponendo l'accento sulla necessità di una "ripresa equa" nel post-Covid. Dobbiamo porre attenzione sulla giustizia e credo che questo è quello che fa la tassa minima globale. Siamo pronti a implementare velocemente. Entro la fine di quest'anno faremo già una proposta", ha aggiunto.

"Dal punto di vista della pandemia l'obiettivo principale è l'impegno del G20 a raggiungere il target del 70% della popolazione vaccinata nel mondo. L'Ue ha mantenuto la sua promessa: almeno una dose su due di quelle prodotte in Europa sono e saranno esportate nel mondo. E il prossimo anno ci aspettiamo più di 3,5 miliardi di dosi di vaccini prodotte in Ue, la cui maggioranza sarà esportata", ha aggiunto.

"Uno dei nostri obiettivi è vaccinare mondo, facilitando la capacità dei Paesi in via di sviluppo. Abbiamo speso più di un miliardo in Africa per questo. Vogliamo portare la tecnologia Rna al continente africano. Con Senegal Ruanda e Sudafrica abbiamo fatto buoni progressi. Ora ci impegneremo nella cooperazione con Ghana, Egitto, Marocco, Kenya. Sosteniamo in pieno l'obiettivo dei Paesi africani, che è quello di diventare più indipendenti nella produzione dei vaccini arrivando alla produzione del 60% nel 2024, mentre ora è solo l'1%", ha proseguito la presidente della Commissione europea parlando del G20 a Roma.
"La cooperazione con Mario Draghi" al G20 "è ed è stata eccellente"

"Domani si svolgerà a Roma la riunione del G20 dei ministri della Salute e della Finanza. Il mio obiettivo è portare in quella sede di discussione una priorità: gli investimenti sulla salute e sui servizi sanitari nazionali come prima mattonella per la ripartenza a livello globale e come premessa per qualsiasi ripartenza anche di natura economica e sociale", afferma il ministro della Salute, Roberto Speranza, in occasione della riunione L20, l'incontro delle organizzazioni sindacali internazionali e dei sindacati dei paesi del G20 oggi a Roma. E il primo ambito dentro cui "deve giocarsi questa prima fase di investimenti e di collaborazione internazionale è sicuramente quello dei vaccini, che - ha sottolineato Speranza - devono essere considerati un bene pubblico globale e diritto di tutti e non privilegio di pochi. Abbiamo bisogno che questo principio, affermato anche nella Dichiarazione di Roma, possa realizzarsi nel più breve tempo possibile e tradursi in un'iniziativa concreta". Questo significa, ha aggiunto, "impegnarsi per portare le dosi in ogni angolo del mondo, lavorare per il trasferimento tecnologico, consentire a tutti i Paesi di poter accedere a questa risorsa fondamentale. Questo è giusto sul piano etico ma anche semplicemente sul piano sanitario, perché portare il vaccino in ogni angolo del mondo è l'unica garanzia per evitare la formazione di ulteriori varianti che potrebbero rendere ancora più complessa questa battaglia". "La lotta alle diseguaglianze resta cioè una priorità su cui dobbiamo muoverci sia a livello nazionale sia a livello internazionale. La mia opinione è che questo si può fare con un impegno molto forte da parte dei governi e l'auspicio è che questo G20 - ha concluso - possa imprimere un'ulteriore accelerazione dentro questa traiettoria di sfida, e penso che i governi sono più forti con il dialogo e se hanno la capacità di ascoltare i soggetti esterni della società, in questo quadro credo molto nel ruolo del sindacato".

Prima di partire per il G20 in Italia Joe Biden va al Congresso per definire con i Dem i dettagli del suo piano per welfare e clima per poi svelarli in un discorso in tv alle 11.30 locali (le 17.30 in Italia). Lo riferiscono fonti della Casa Bianca, mentre la Cnn parla di un rinvio di alcune ore della partenza per Roma. Si prevede che la spesa del piano si aggiri sui 1750 miliardi. Secondo i media Usa, Biden si attende ora il consenso di tutto il partito sulla sua agenda, che gli permetterebbe di volare al G20 e poi alla Cop26 con un grosso successo di politica interna.

Il presidente e la first lady partiranno per Roma alle 12.35 locali (le 18.35 in Italia) dalla Joint Base Andrew, in Maryland, e arriveranno nella capitale italiana nella notte, alle 2.10, informa la Casa Bianca. Domani Joe Biden e la first lady Jill saranno ricevuti dal Papa, poi il presidente Usa avrà bilaterali con il premier Mario Draghi, con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e con il presidente francese Emmanuel Macron.

Intanto se si guarda alle pensioni di vecchiaia (95.303) si evince come siano di meno rispetto a quelle liquidate prima dei 67 anni. L'importo medio delle pensioni liquidate è di 1.456 euro ma quello dei trattamenti anticipati, è di 2.109 euro. Per le donne le pensioni complessive sono state 358.758 ma le anticipate sono state 90.163, circa un quarto.

Sono oltre 5,3 milioni i pensionati che nel 2020 hanno avuto un reddito da pensione complessivo inferiore a 1.000 euro. Lo si legge nell'Osservatorio Inps sulle pensioni e i beneficiari del sistema pensionistico secondo il quale il 33,4% dei pensionati complessivi è sotto questa soglia percependo solo il 12% dei 307.690 milioni di euro erogati per le pensioni nell'anno. La maggioranza dei pensionati sotto i 1.000 euro sono donne (3,4 milioni). Nella fascia delle pensioni più alte, superiori a 4mila euro al mese ci sono 585mila pensionati (il 3,6% del totale) con redditi per oltre 40 miliardi complessivi (il 13,2% del totale).

Le donne sono la maggioranza dei pensionati ma ricevono solo il 44% del reddito da pensione complessivo. Emerge dall'Osservatorio Inps "Prestazioni pensionistiche e beneficiari del sistema pensionistico italiano" secondo il quale le donne sono il 52% dei 16.041.202 pensionati. Hanno percepito però in media nel 2020 16.233 euro a fronte dei 22.351 medi degli uomini con una differenza del 27%. Alle donne sono stati erogati nell'anno 134.919 milioni di euro complessivi di pensione e a fronte dei 172.771 degli uomini. Nel complesso l'Inps ha erogato per pensioni nel 2020 307,69 miliardi di euro.

 

Fonti varie agenzie ansa agi

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