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L’Italia dei giganti del giornalista Georgios Labrinopoulos – a cura di Francesco De Palo per Pegasus Edition, vedrà la sua prima presentazione pubblica a Roma,  all’interno della rassegna internazionale del Libro dal titolo Libri sotto l’albero, nella splendida location di  Palazzo Falletti. C’è già tanta attesa rispetto a questo libro appena uscito, un volume che ricorda gli incontri professionali dell’autore con alcuni  protagonisti della storia italiana, con le loro previsioni politiche, con i loro esempi. Il volume fissa un importante momento di riflessione per soffermarsi su tempi passati ma anche per ragionare su quelli odierni.

George (così lo chiamano i colleghi e amici), quando arrivi nel nostro Paese per la prima volta? E cosa facevi esattamente prima di arrivare qui.

“Sono arrivato in Italia nel 1972; in Grecia vigeva quello che è noto come il regime dei colonnelli, il regime di dittatura militare di ispirazione fascista instaurato il 21 aprile 1967, poi proseguito, sotto varie forme, fino al 24 luglio 1974. All’inizio sono arrivato per motivi di studio, andando a Perugia per imparare l’ italiano all’Università per Stranieri, e poi a Roma, dove ero iscritto alla Facoltà di Lettere e Filosofia (La Sapienza) con  indirizzo Lingua e Letteratura anglo-americana. La mia famiglia è originaria del Peloponneso; vivevamo ad Atene, dove facevo lo studente. In Italia sono arrivato giovane, all’età di 21 anni”.

Quando nasce esattamente l’amore per il giornalismo?

“Quello è  arrivato durante le lezioni universitarie, con il Professor  Agostino Lombardo, che mi ha insegnato analisi del testo delle poesie:  mi ha introdotto nel mondo affascinante dei testi in generale. Avevo fatto anche tirocinio presso un giornale ateniese, dove avevo saputo che cercavano una persona come corrispondente da Roma. Erano i tempi del sequestro Moro, e così sono entrato poi nel 1980  alla Associazione  Stampa Estera in Italia, dove sono ancora membro effettivo”.

In oltre 40 anni di giornalismo, ti sei sempre occupato di Politica. L’Italia dei Giganti vuole essere un omaggio alla tua carriera e al nostro Paese. È corretto?

“Sono per l’esattezza 42 anni che sono corrispondente da Roma presso la Stampa Estera in Italia; volevo celebrare in qualche modo la mia  appartenenza all’ Associazione,  ed ho trovato il modo di farlo con l’idea di questo libro,  oltre che realizzare un omaggio ai miei figli facendo loro capire meglio cosa faceva il loro padre quando erano piccoli o non erano ancora nati. Nei giornali dove ho lavorato ad Atene mi sono sempre occupato di politica, e continuo ad occuparmene anche oggi nei giornali italiani, come il Corriere del Sud. Le interviste contenute nel volume L’Italia dei giganti riguardano personalità della politica italiana realizzate per il giornale presso il quale lavoravo all’epoca, rispolverate per inserirle ed adattarle ad un lavoro editoriale complessivo inedito, mai pubblicato prima. Questi incontri avevano lo scopo di presentare l’Italia di allora –  quarta potenza Mondiale nonché secondo partner commerciale della Grecia negli anni 80/90 –  e farla conoscere attraverso quel certo Personaggio politico intervistato”.

In questo tuo lavoro sono 5 i  grandi personaggi che hanno fatto secondo te la storia della politica italiana negli anni a cavallo tra gli 80 e i 90: Francesco Cossiga, Sandro Pertini, Giulio Andreotti, Bettino Craxi, oltre ad un inedito Papa Giovanni Paolo II. Che ritratto del nostro Paese ne fuoriesce?

“Un’Italia molto diversa da oggi. Un Paese che purtroppo non esiste più. I personaggi politici intervistati, ed in parte anche il Santo Padre Giovanni Paolo II, avevano due compiti precisi, che hanno sempre portato avanti con grande successo: la prosperità dello Stato e del popolo Italiano, e l’appartenenza  all’ Occidente”.

Cosa hai pensato la prima volta che hai incontrato ciascuno di loro?

“E’ stato interessante indubbiamente mettere a confronto i due presidenti, Pertini e Cossiga. Il primo, giornalista e partigiano italiano, è stato il settimo Presidente della Repubblica Italiana ed il primo ed unico socialista a ricoprire la carica. Dal suo mandato ebbe inizio una fase diversa, direi meno ingessata e più popolare per quanto riguarda il ruolo di un Presidente. Di Pertini si ricorda il grido di  ‘Sandro!’ quando si recava in visita ufficiale in città italiane e Paesi stranieri, o quel suo urlo di gioia ai Campionati Mondiali di Calcio del 1982. Nell’intervista che mi ha concesso, Pertini ha fatto anche un riferimento, in tempi non sospetti, circa l’evoluzione che avrebbe avuto nei decenni successivi la Cina, dimostrando una non comune capacità di visione, oltre che di amministrazione contingente. Una rarità guardando al panorama odierno. Mi ha parlato per più di tre ore, e ancora ne rammento l’emozione del racconto, quando mi ha descritto tutta la sua vita da giovane fino all’ingresso in Quirinale.  Cossiga aveva invece una cultura classica, e una  visione ampia in ambito internazionale; seguiva relazioni euro–atlantiche, e possiamo dire tranquillamente che era uno straordinario interprete dell’ancoraggio italiano agli Usa. Senza il suo mandato non so che strada avrebbe intrapreso l’Italia. E’ stato un punto di riferimento primario; di lui non dimentico l’estrazione culturale,  oltre che l’alta capacità politica”.

E poi arriva Craxi.

“Sì, e fu davvero un ‘gigante’. Per quanto mi riguarda, è  stato l’ultimo leader Italiano che ha mostrato indiscutibile carisma attraverso importanti decisioni politiche anche in senso anche internazionale, assumendosene la responsabilità. Si può essere d’accordo o meno, ma la posizione politica di Craxi è stata granitica ad esempio nella crisi di Sigonella (dal nome dalla base aerea siciliana presso la quale la crisi scaturì nel 1985: n.d.r.), che ha rappresentato un caso diplomatico importante  tra Italia e Stati Uniti, con conseguenze che avrebbero potuto essere pesanti. Per me, Craxi è stato pertanto una immensa figura politica interprete di cambiamenti epocali . Per primo mise anche l’accento sulle difficoltà che avrebbe avuto l’Europa (che si apprestava a Maastricht) a farsi Stato, come dimostrano le cronache di oggi. Previde anche la crisi del socialismo europeo”.

Giulio Andreotti, invece?

“Lui ha aiutato la Grecia ad entrare all’epoca nel MEC (Mercato Comune Europeo), ed è  stato sette volte Presidente del Consiglio e trentadue volte ministro della Repubblica Italiana. Qualcuno ha dimenticato che è stato il politico italiano con il record di incarichi. La Democrazia Cristiana deve il suo lungo percorso governativo alle capacità professionali e personali proprio del suo Presidente Andreotti. Atlantista e multilateralista, è stato interlocutore privilegiato di Capi di Stato e Papi”.

Adesso veniamo all’ultimo ‘gigante’ da te incontrato,  Papa Giovanni Paolo IISoffermiamoci in particolare su di lui:  in quel vostro incontro, il Papa ha parlato di ecumenismo e visioni future. Come sei riuscito nell’impresa, visto che, come è noto, non rilasciava interviste ?

“Conoscere il Santo Padre è stata una emozione indescrivibile. Giovanni Paolo II è stato sempre molto vicino a noi giornalisti della Stampa Estera, ed e stato il Papa che ha visitato la nostra sede quando eravamo in via della Mercede a Roma. Spesso eravamo invitati da lui al Vaticano, e anche alla sua residenza di Castel Gandolfo. Il primo incontro con lui è stato appunto in occasione di una nostra visita ufficiale al Vaticano come stampa estera. Quando l’ho avvicinato, ho realizzato in un attimo di trovarmi di fronte ad un uomo magnetico,  che dava l’impressione di sapere quello che avevi da dire ancora prima che tu pronunciassi parola. Quando dalla Grecia mi chiesero di fare l’intervista con il Papa, non credevano in realtà che sarei riuscito nello scopo. Mi avevano commissionato – in verità –  di incontrare sia il Presidente Pertini che Papa Paolo Giovanni II, ma senza crederci troppo. Avevano buttato l’idea sul tavolo, ma nessuno dei colleghi ci era mai riuscito. Con orgoglio posso dire che all’epoca sono stato l’unico ad avvicinare il Santo Padre e a fare una domanda, per poi ricostruire la sua vita. Nessuno sapeva che io e il suo portavoce, il giornalista spagnolo Joaquín Navarro-Valls, eravamo amici. Joaquín è stato il primo direttore della Sala Stampa della Santa Sede dal 1984 al 2006, divenendo una delle personalità più note del Vaticano durante il pontificato di Giovanni Paolo II.  Grazie a lui ho potuto realizzare questo meraviglioso lavoro. Il mio accordo con Navarro era che io avvicinassi il Santo Padre facendo una domanda. E così feci”.

Rivelaci in anteprima quale è stata la tua domanda al Santo Padre.

“Va bene, te lo rivelo: quando sarebbe venuto a visitare la Grecia”.

E Papa Giovanni Paolo II che cosa ti rispose?

“Mi rispose positivamente. Il suo desiderio di visitare il mio Paese è stato realizzato nell’anno 2001, ma ben 20 anni prima avevo io fatto affiorare questo suo Sogno tramite la nostra chiacchierata. Da cristiano ortodosso quale sono, ho sempre amato Giovanni Paolo II, ed ho pianto tanto alla sua morte. Per tutto il resto dei contenuti, rimando alla lettura del libro”.

L’Italia dei giganti è impreziosita dalla prefazione di Stefania Craxi e dalla postfazione di Symeon Katsinas, Archimandrita della Sacra Arcidiocesi Ortodossa d’Italia. Come mai hai scelto proprio loro?

“Quando parlavo con Stefania –  che conosco molto bene – di suo padre Bettino, constatavo ogni volta come fosse affezionata alla  memoria dell’amato genitore. Tra l’altro,  lo ero anche io, e lo sono ancora oggi. Quando ci siamo consultati con il collega Francesco De Palo, che mi ha curato il volume, per decidere gli ultimi dettagli di questo lavoro, il mio primo pensiero è stato per lei. Ero certo che ad un libro che inseriva suo padre tra i protagonisti della storia italiana lei avrebbe volentieri prestato voce introduttiva, per la stima reciproca che abbiamo da sempre l’uno per l’altra. Per quanto riguarda invece Padre Symeon Archimandrita della nostra Chiesa Ortodossa di San Teodoro di Roma, il suo nome era nei miei pensieri perché nel libro si parla di Giovanni Paolo II e pertanto anche di ecumenismo e di avvicinamento  tra religioni diverse. E lui era la persona giusta rispetto alle mie conoscenze dirette. Ringrazio di cuore  entrambi,  perché  mi hanno omaggiato di due sentiti e commoventi interventi scritti, che vi invito a leggere con attenzione”.

Che  radiografia socio-culturale del nostro Paese pensi di aver tratteggiato con il tuo volume?

“Il mio libro non è in ogni caso uno scritto nostalgico, ma ha funzione di memoria:  penso che i 30enni o anche i 40enni di oggi non sappiano cosa esattamente fosse l’ Italia negli anni passati, e qualcosa nel mio libro si può vedere, e qualcos’altro imparare. Ho avuto la fortuna di vivere da studente prima, e da giornalista professionista dopo,  tutti i cambiamenti sociologici e politici degli ultimi 50 anni, data anche la mia età anagrafica non più giovanissima. Devo però dire che l’ Italia del mio libro era indubbiamente un’Italia forte economicamente; una potenza economica mondiale decisiva all’interno della NATO, dell’ Organizzazione delle Nazioni Unite e in Occidente. Penso che, dopo la caduta del muro di Berlino, vi sia  stato un cambiamento politico tale da travolgere molti uomini politici che sapevano trattare di Geopolitica e di Politica nazionale ed  internazionale. Quello che è successo tra il 1992 ed oggi sta davanti ai nostri occhi. Penso che si veda che un certo sogno – quello  di De Gasperi e Spinelli  – riguardo alla Comunità Europea non è stato realizzato, perché la Ue non si è unita come fosse uno Stato, con una politica economica e militare comune”.

Cosa avevano capito di importante a livello di strategie politiche e di previsioni storiche – da quello che risulta dalle interviste che hai fatto con loro – questi ‘Giganti dell’Italia’?

“In breve. Craxi aveva previsto per primo le difficoltà che avrebbe avuto l’Europa a farsi Stato, come dimostrano le cronache di oggi. Pertini – lo ripeto e sottolineo – mi ha fatto un riferimento, in tempi non sospetti, circa l’evoluzione che avrebbe avuto nei decenni la Cina, dimostrando capacità di visione fuori dal comune.  Andreotti era l’ uomo che teneva rapporti diplomatici con i Palestinesi, ed oggi siamo allo sbando politico. Cossiga ci ha unito fortemente come Paese all’America. Il Santo Padre, infine,  sapeva che un giorno sarebbe caduta l’Unione Sovietica. Tutte menti come loro oggi sono difficili da trovare. Non ci sono più uomini di siffatta levatura, ammettiamolo”.

Oggi, alla vigilia dell’elezione del Presidente della Repubblica, cosa ti senti di dire?

“Non so chi diventerà il prossimo Presidente della Repubblica Italiana,  però a mio avviso  i tempi sono maturi affinché anche in Italia il Presidente della Repubblica venga votato dal popolo. Ritengo personalmente che il nuovo Presidente sarà l’ultimo eletto dal Parlamento. Tra l’altro, Giorgio Napolitano e l’attuale, Sergio Mattarella, hanno dimostrato di aver guidato  il Paese in una situazione che è già di semi presidenzialismo. Va ricordato che l’ultimo Presidente del Governo eletto dal popolo è stato Silvio Berlusconi, e tutti gli altri – dal 2011 ad oggi –  sono stati nominati. Situazioni regolarmente prevedibili per legge, certo…ma non sono stati eletti direttamente dalle urne”.

Dove sta andando l’Europa, George?

“Se l’Europa non si decide a diventare un vero Stato, con uniche decisioni economiche,  politiche e militari,  a mio avviso è destinata a fallire, sia come sogno che come realtà. La priorità di  alcuni Stati membri non significa Europa, ma solo privilegiare singoli Stati a discapito di altri. Personalmente, sono per rimanere nella Unione Europea, ma come stato sovrano”.

 

Tra Oriente e Occidente in cerca della fraternità e dell’unità. Il trentacinquesimo viaggio apostolico di papa Francesco da domani al 6 dicembre muove verso il Mare Nostrum alla volta dell'isola di Cipro e della Grecia, sulla rotta degli albori della civiltà e della storia cristiana.

La A degli Apostoli Barnaba e Paolo, la E di ecumenismo, la M di migranti, la U di umanità, la stessa invocata dal Papa nei confronti delle tante persone che annegano nel Mar Mediterraneo. In quel “mare nostrum” sul quale affacciano Cipro e Grecia, pronti ad accogliere, da oggi a lunedì prossimo, il Pontefice. 

L'isola di Cipro è la terra di san Barnaba, nato a Pafo. In Grecia l'apostolo delle genti, san Paolo, ha lasciato tracce indelebili. Filippi è stato il primo luogo evangelizzato in Europa e proprio a partire dalla Grecia il cristianesimo si è diffuso in tutto il continente europeo. Il viaggio apostolico di Francesco nei due Paesi del Mediterraneo s’inserisce così nelle traiettorie già tracciate da Benedetto XVI a Cipro nel 2010, e da Giovanni Paolo II nel 2001, in Grecia.  

Cinque giorni, undici discorsi, due omelie e un Angelus scandiranno le tappe: prima a Cipro fino al 4 e poi in Grecia, ad Atene e all'isola di Lesbo. «Per provare ad entrare nelle ragioni e nelle tematiche del viaggio, terrei a mente le parole del Papa nel videomessaggio che ha rivolto sabato scorso ai fratelli e sorelle di questi due Paesi» ha detto il direttore della Sala Stampa vaticana, Matteo Bruni nel consueto briefing con i giornalisti alla vigilia della partenza.

«Il Papa – riprende – parla di pellegrinaggio sulle orme dei primi missionari. Lo definisce un pellegrinaggio alle sorgenti». In questi luoghi infatti è radicata la memoria della cultura occidentale come anche parte di quella del Vangelo e degli Atti degli Apostoli. E proprio il libro degli Atti - con gli apostoli Paolo e Barnaba e il racconto dei loro viaggi attraverso la Grecia e il Mediterraneo, la storia della nascita delle prime comunità cristiane, della Chiesa delle origini - è l'orizzonte del viaggio.

Nella terra di San Barnaba e di San Paolo - quest'ultimo l'apostolo delle genti - e ponte tra Oriente e Occidente a maggioranza ortodossa, il viaggio sarà all'insegna del dialogo ecumenico e fraterno, per la cura del piccolo gregge e l'accoglienza degli ultimi, gli immigrati, confermare nella fede, confortare e incoraggiare le comunità locali  

Dall'isola di Cipro papa Benedetto chiudeva un decennio tragico, segnato dalle divisioni e iniziato con l'attacco terroristico dell'11 settembre 2001. «Lo fece con una riflessione sul senso cristiano della croce, disarmata da ogni senso di contesa, simbolo più eloquente della speranza che il mondo abbia mai visto». Era un modo per chiudere definitivamente con l’uso della croce per qualsiasi crociata politica o guerra religiosa, ha ricordato Bruni. «In Grecia – ha aggiunto – era stato Giovanni Paolo II, con uno storico viaggio del 2001. Un pellegrinaggio sulle orme di san Paolo, seguendo i passi della sua predicazione, nell’ambito del Giubileo del 2000».

C'era stato l'incontro con Christodoulos, e la richiesta di perdono del Papa per gli errori dei crociati. Il primo orizzonte di riferimento è dunque quello della fraternità, del dialogo ecumenico e della comunione tra le Chiese. E a Cipro, da secoli estrema frontiera verso il Medio Oriente, laboratorio di convivenza, terra d’incontro con l’Ortodossia papa Francesco s’incontrerà venerdì 3 dicembre con sua beatitudine Chrysostomos II arcivescovo ortodosso di Cipro presso l’arcivescovato, dopo aver incontrato subito dopo il suo arrivo a Nicosia, la piccola comunità cattolica maronita e latina che fa riferimento al Patriarcato di Gerusalemme dei Latini. Incontro che segna i tanti con i rappresentanti delle Chiese ortodosse che s’andranno anche la successiva tappa in Grecia, nella consapevolezza di come le relazioni crescano anche nel lavoro comune, soprattutto nel campo della carità.

Nel pomeriggio di venerdì 3 dicembre celebrerà una preghiera ecumenica con i migranti a Cipro, e in Grecia, domenica 5 dicembre visiterà nuovamente l’isola di Lesbo con sua beatitudine Ieronymos II arcivescovo di Atene e nella quale era stato già nel 2016 anche con il patriarca ecumenico Bartolomeo I, per dare un chiaro segno che l’aiuto per i migranti e per i rifugiati è una grande sfida ecumenica, che necessita di una comune collaborazione.

Papa Francesco incontrerà e ascolterà nel campo alcune testimonianze dei circa duemila profughi in maggioranza provenienti dall’Afghanistan. L’ultimo giorno ad Atene, lunedì 6 dicembre, sarà scandito da due appuntamenti principali prima della cerimonia di congedo. Riceverà in nunziatura la visita del presidente del Parlamento e incontrerà poi i giovani, a cui rivolgera l'ultimo discorso in programma in questo viaggio prima del rientro a Roma.

Durante la prima tappa a Cipro, in particolare Papa Francesco incontrerà la comunità cattolica di rito latino-maronita, composta da circa 25 mila fedeli, in parte cristiani di origini straniere. I rapporti con gli ortodossi sono abbastanza buoni al punto che il presidente attuale di Cipro donerà un appezzamento di terra per la costruzione della prima Nunziatura proprio all'ingresso di Nicosia, capitale europea divisa da una cinta muraria in due zone, quella meridionale, e quella settentrionale divenuta capitale dell'auto proclamato governo della Repubblica Turca di Cipro Nord. Ma la situazione dei cattolici nel Cipro del Nord non è positiva. Circa seimila maroniti sono stati espulsi dai loro villaggi, smarriti non solo dal punto di vista geografico ma anche esistenziale, luogo dove non è rimasto nessun sacerdote cattolico. 

Dal 1974 l'esercito Turco ha occupato il 37% del territorio Nord dell'isola, schierando più di 40 mila soldati sul confine. Questo 35° viaggio internazionale di Francesco sarà segnato, pertanto, da tematiche molto vaste, compresa la ferita della Cipro divisa, la cui speranza di riunificazione non sarà ignorata dal Papa. Inoltre la scoperta di nuovi giacimenti di gas e petrolio davanti alle coste cipriote e i forti legami economici che avrà con Israele, sono diventati motivo di preoccupazione per la Turchia che ha reso ancora più tesi i rapporti con l’isola. 

Sabato 4 dicembre Francesco arriverà in Grecia; ad Atene la seppur piccola comunità composta prevalentemente da cattolici bizantini, immigrati dell'Ucraina di rito orientale-cattolico, caldei, iracheni e siriani, è già pronta ad accogliere il vescovo di Roma. La Grecia ha quattro diocesi di rito latino e due esarcati, orientale e bizantino, tutti legati a Roma. 

La visita ecumenica, all'insegna della fraternità, rinsaldare il forte legame tra chiesa cattolica ed ortodossa, basato su una carità concreta e fraterna che si mette al servizio del prossimo. Sono poi le periferie ad interessare Francesco; visiterà per la seconda volta il campo profughi dell'Isola di Lesbo, oramai al collasso e minacciato ogni giorno dai nuovi arrivi. Estremamente toccante, sarà l'incontro previsto con i profughi e i rifugiati provenienti da terre segnate dai conflitti del Medio Oriente. Con un messaggio trasversale, che va verso l'Europa e il mondo intero, dove ancora si costruiscono i “muri” dell'indifferenza, il Papa ci invita, dopo la pandemia, a camminare tutti insieme, ricordandoci che “nessuno si può salvare da solo”

Fonti Vatican news avvenire Rai

 

 

Salgono le stime sulla crescita italiana, in un quadro generalizzato di cautela che porta a limare leggermente la stima per l'intero pianeta: la crescita è forte ma è poco bilanciata. E' quanto emerge dall'aggiornamento delle Prospettive economiche, presentate oggi dall'Ocse.

Per quest'anno, l'Organizzazione parigina indica un +6,3% del Pil italiano, contro il +5,9% che si stimava a settembre e il +6% indicato dal governo nella Nota di aggiornamento al Def. D'altra parte, solo ieri l'Istat ha confermato il +2,6% dell'economia tricolore nel terzo trimestre e - grazie a questa spinta - la crescita acquisita per l'intero anno supera i sei punti percentuali. L'andamento previsto per l'Italia diminuirà progressivamente nel 2022 e nel 2023, con una crescita rispettiva del 4,6% e del 2,6%.

L'attuazione delle riforme strutturali per digitalizzare e semplificare la giustizia, aumentare la concorrenza, soprattutto nei servizi, e migliorare l'efficacia della pubblica amministrazione "resta cruciale" per l'Italia, insieme alla riforma fiscale per ridurre il cuneo e la complessità delle imposte sul lavoro: è quanto si legge nella sceda consacrata all'Italia delle Prospettive Economiche dell'Ocse, presentate oggi a Parigi.

Il segretario generale dell'Ocse, Mathias Cormann, presentando le stime economiche dell'Ocse, ha lanciato un severo avvertimento sulle disparità mondiali rispetto alla campagna vaccinale. Disparità, che oltre ad avere conseguenze sulla salute hanno anche un impatto sull'economia. "La copertura vaccinale resta ineguale, nei Paesi in via di sviluppo ma anche qui in Europa", ha detto Cormann. invitando a "proseguire gli sforzi senza tregua" affinche' venga vaccinato "l'insieme della popolazione mondiale". "Omicron potrebbe rappresentare una minaccia per la ripresa"; gli ha fatto eco la capoeconomista dell'Ocse, Laurence Boone.

L'Ocse taglia leggeremente di due punti percentuali le stime del Pil del mondo al 5,6% dal 5,8% rispetto all'Economic Outlook di primavera. Il prossimo anno, spiega l'organizzazione, la crescita sarà del 4,5% per poi rallentare al 3,2% nel 2023. Anche l'andamento dell'economia Usa è stata rivista al ribasso al 5,6% dal 6,9% di maggio (+3,7% nel 2022 e +2,4% nel 2023). In rallentamento anche il Pil cinese che quest'anno dovrebbe crescere dell'8,1% dall'8,5% di maggio e del 5,1% sia nel 2022 che nel 2023.  Previsioni migliori invece per il Pil dell'Eurozona che crescerà del 5,2% quest'anno (+4,3% a maggio), del 4,3% nel 2022 e del 2,5% nel 2023.

 "La ripresa globale prosegue ma ha perso slancio e sta diventando sempre più squilibrata", scrive l'Ocse nel World Economic Outlook di dicembre. "Alcune aree dell'economia globale si stanno riprendendo rapidamente, ma altre rischiano di rimanere indietro, in particolare i paesi a basso reddito dove i tassi di vaccinazione sono bassi e la domanda deve ancora riprendersi completamente". In molti Paesi si attenua, evidenzia l'Ocse, "lo slancio derivante dal forte rimbalzo dopo le riaperture a causa delle persistenti strozzature delle catene di approvvigionamento, per l'aumento dei costi e per gli effetti persistenti della pandemia".    

Sono emerse "pressioni inflazionistiche più forti e durature in tutte le economie in una fase insolitamente precoce del ciclo e si registrano carenze di manodopera anche se l'occupazione e le ore lavorate devono ancora recuperare completamente. In forte aumento i costi del cibo e dell'energia, con gli impatti più rilevanti sulle famiglie a basso reddito, così come crescono i prezzi nei settori dei beni durevoli in cui si concentrano maggiormente le strozzature dell'offerta. Questi fattori rendono le prospettive più incerte e sollevano notevoli sfide politiche". L'Ocse prevede che "l'inflazione raggiungerà il picco entro la fine del 2021, per poi rallentare verso livelli coerenti con le pressioni sottostanti derivanti dall'aumento del costo del lavoro e dal calo della capacità inutilizzata in tutto il mondo".

Il tasso di disoccupazione in Italia si attesterà al 9,6% nel 2021 per poi scendere all'8,9% nel 2022 e all'8,4% nel 2023. Lporganizzazione sottolinea come "la ripresa dell'occupazione sia debole" rispetto alla "ripresa delle attività". A sostenere l'aumento dei posti di lavoro sono stati e saranno soprattutto i contratti a tempo determinato. "Ancora contenuta" la "crescita salariale".

L'Ocse rivede al rialzo la stima del Pil italiano per il 2021 portandola al +6,3% rispetto al +5,9% dell'Economic survey sull'Italia di settembre (il governo nella Nadef prevede il +6%). Nel 2022, invece, la crescita dovrebbe attestarsi al +4,6% e al +2,6% nel 2023. È quanto sottolinea l'organizzazione con sede a Parigi nell'Economic Outlook di dicembre.      

"La crescita nel terzo trimestre - si legge nel rapporto - ha mantenuto il ritmo sostenuto dei tre mesi precedenti, con l'attività del settore dei servizi in ripresa grazie all'allentamento delle restrizioni Covid-19. Nel periodo luglio-settembre è proseguita la crescita della produzione industriale e delle vendite al dettaglio, anche se a ritmi più moderati. La fiducia rimane elevata, a livelli superiori o uguali al 2019".  Le interruzioni del commercio globale continuano, sebbene le catene di approvvigionamento locali hanno mitigato in parte l'impatto. Il turismo è rimbalzato nel terzo trimestre, ma i livelli rimangono ben al di sotto del 2019.

Fonti agi repubblica ansa e varie agenzie

La 'due giorni' di incontri con i rappresentanti dell'Unione europea in Qatar è un appuntamento che rientra negli sforzi dei fondamentalisti di migliorare le loro relazioni con la comunità internazionale e ottenere la revoca delle sanzioni economiche.

Secondo l'agenzia di stampa Agi, i talebani hanno chiesto aiuto all'Unione europea per garantire il funzionamento degli aeroporti afghani: la richiesta è arrivata durante la 'due giorni' di colloqui avvenuti nel fine settimana a Doha. Lo ha reso noto il servizio diplomatico dell'Ue, in una nota, aggiungendo che i talebani si sono impegnati anche a consentire la partenza di coloro che lo desiderano.

Uno dei tanti temi di cui si sta discutendo in questi giorni e che riguardano il futuro dell'Afghanistan è quello degli aeroporti del Paese ormai da agosto nelle mani dei Talebani. Gli scali, come quello di Kabul, dai quali nei mesi scorsi migliaia di afghani sono partiti lasciando il Paese alla ricerca di un futuro migliore, rischiano infatti un funzionamento a singhiozzi, se non addirittura la chiusura.

A sentire la versione di Kabul, in particolare, il ministro degli Esteri e leader della delegazione talebana a Doha, Amir Khan Muttaqi, "sono state prese decisioni sull'aumento degli aiuti umanitari e sull'apertura di uffici dell'Unione europea a Kabul"; mentre il principale portavoce dei talebani, Zabiullah Mujahid, ha aggiunto che la delegazione europea "ha promesso la continuata presenza di un ufficio umanitario a Kabul per fornire assistenza".

Come sottolinea Agi Muttaqi ha inoltre confermato che oggi e domani incontrerà la delegazione statunitense per discutere dello sblocco degli asset bancari, degli aiuti umanitari e della riapertura delle ambasciate a Kabul.

"La delegazione afgana ha confermato il suo impegno a garantire e facilitare il passaggio in sicurezza di cittadini stranieri e afgani che desiderano lasciare il Paese", si legge nella nota.

"Nell'incontro, la delegazione afgana ha confermato il proprio impegno a sostenere e rispettare i diritti umani e le libertà fondamentali, compresi i diritti delle donne, dei bambini e delle persone appartenenti a minoranze, nonché la libertà di parola e dei media, in linea con i principi islamici", aggiunge la nota del servizio diplomatico dell'Unione europea. La delegazione dell'Ue, per conto suo, ha "accolto con favore l'intenzione della delegazione afgana di garantire la parità di accesso all'istruzione per ragazze e ragazzi a tutti i livelli e il diritto delle donne a lavorare in diversi settori e a contribuire all'economia e allo sviluppo dell'Afghanistan".

"A questo proposito, scrive l'Agi, le due parti hanno sottolineato l'importanza fondamentale di mantenere aperti gli aeroporti afghani e la delegazione afgana ha richiesto assistenza nel mantenimento delle operazioni aeroportuali". I talebani si sono anche impegnati a rispettare la promessa di un'"amnistia generale" per i connazionali che hanno lavorato con gli occidentali durante il ventennio di occupazione.

L'incontro, precisa la Ue, "non implica il riconoscimento del governo provvisorio, ma fa parte dell'impegno operativo dell'Unione", nell'interesse di entrambe le parti.
"La delegazione afgana ha confermato il suo impegno a garantire e facilitare il passaggio in sicurezza di cittadini stranieri e afghani che desiderano lasciare il Paese", ha affermato il Seae-Eeas in una nota, precisando che "a tal proposito, entrambe le parti hanno sottolineato l'importanza fondamentale di mantenere aperti gli aeroporti afghani" e che la "delegazione afgana ha richiesto assistenza nel mantenimento delle operazioni aeroportuali". (
 
Fonte Agi / varie agenzie

Il premier Draghi e il presidente francese Macron hanno firmato il Trattato del Quirinale alla presenza del Capo dello Stato Mattarella nel corso della cerimonia svoltasi al Colle.

Alla firma del Trattato del Quirinale è seguita una lunga e intensa stretta di mano tra il premier, il presidente francese e il capo dello Stato, al termine della quale è scattato un applauso. Alla cerimonia presenti anche i ministri degli esteri Luigi di Maio e Jean-Yves Le Drian.

Italia e Francia insieme per un'Europa più forte' - Un legame più forte e strutturato tra Italia e Francia contribuirà a costruire un'Europa più forte. E' questa l'ambizione cui aspira il Trattato del Quirinale, racchiusa nelle parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella al leader francese Emmanuel Macron, ricevuto al Colle alla vigilia della firma del documento che sancirà una nuova "cooperazione bilaterale rafforzata" tra i due Paesi. O meglio, "un futuro comune". Da parte italiana il Trattato, come prevede la Costituzione, sarà firmato dal presidente del Consiglio, Mario Draghi, ma la sede e il nome scelti per finalizzare il nuovo accordo intendono riflettere l'eccezionalità delle relazioni tra Roma e Parigi - pronte a superare alcuni malintesi del passato -, ed evocare quel Trattato dell'Eliseo che nel 1963 riavvicinò Francia e Germania. Il testo verrà poi sottoposto alla ratifica del Parlamento

Cosi il trattato di cooperazione rafforzata firmata stamattina segna un momento storico delle relazioni" tra Italia e Francia: "Da oggi siamo ancora più vicini".

Lo dice il premier Mario Draghi nella conferenza stampa con il presidente francese Emmanuel Macron dopo la firma del Trattato del Quirinale. "Noi, Italia e Francia, condividiamo molto più dei confini, la nostra storia, la nostra arte, le nostre economie e società si intrecciano da tempo.

Per Italia e Francia è il grande giorno, quello della firma del "Trattato del Quirinale", precisamente il Trattato per una cooperazione bilaterale rafforzata. Si tratta di un momento molto importante nella storia recente delle relazioni tra i due Paesi, e l'arrivo del presidente francese, Emmanuel Macron, a Roma, ne è la testimonianza.

Subito dopo la firma del Trattato del Quirinale mentre il capo dello Stato Sergio Mattarella, il presidente francese Emmanuel Macron e il premier Mario Draghi ascoltavano i rispettivi inni nazionali al Colle, nel cielo di Roma sono sfrecciate le Frecce Tricolori e la Patrouille de France, una con i colori della bandiera italiana e l'altra con quelli francesi.

I lavori di preparazione hanno subito un raffreddamento durante la crisi diplomatica tra il governo Conte I e Parigi, nel febbraio 2019, crisi risolta in poche settimane dall'intervento del presidente Mattarella e superata durante un vertice bilaterale che si è svolto a Napoli a febbraio 2020 tra il governo Conte II e lo stesso presidente francese.

L'arrivo di Mario Draghi a palazzo Chigi ha dato lo sprint finale per siglare un trattato fortemente voluto dai due Paesi mentre la Ue guarda a un futuro senza più Angela Merkel, con molte sfide da affrontare.

Gli undici capitoli del Trattato riguardano: Esteri, Difesa, Europa, Migrazioni, Giustizia, Sviluppo economico, Sostenibilità e transizione ecologica, Spazio, Istruzione formazione e cultura, Gioventù, Cooperazione transfrontaliera e pubblica amministrazione. Sono accompagnati da un programma di lavoro di una trentina di pagine, che individua in modo concreto le modalità con cui i due governi devono raggiungere gli obiettivi indicati.

Già lunedì 29 novembre per implementare il primo capitolo della collaborazione parlamentare prevista, il presidente della Camera, Roberto Fico, e il suo omologo francese, Richard Ferrand, firmeranno un accordo di cooperazione tra i due Parlamenti.

Il programma di lavoro prevede anche riunioni congiunte dei Consigli dei ministri, ogni anno un vertice bilaterale e la ricerca costante di una posizione comune non solo nell’Ue ma anche nelle istituzioni internazionali, come l'Onu o la Banca Mondiale.

Nella conferenza stampa il presidente del Consiglio Draghi ha ricordato Valeria Solesin, "uccisa insieme a tanti francesi e a giovani di altre nazionalità nel vile attentato" del Bataclan a Parigi sei anni fa. "Almeno una volta ogni trimestre un ministro italiano parteciperà a un consiglio dei ministri del governo francese e viceversa", ha detto il premier Mario Draghi. "Almeno una volta ogni trimestre un ministro italiano parteciperà a un consiglio dei ministri del governo francese e viceversa", annuncia Draghi sottolineando che "la nostra sovranità, intesa come capacità di indirizzare il futuro come vogliamo noi, può rafforzarsi solo attraverso una gestione condivisa delle sfide comuni. Vogliamo favorire e accelerare il processo di integrazione europea". 

Poi, continua Draghi:  "Negli ultimi mesi i rapporti tra Italia e Francia si sono ulteriormente avvicinati. Cooperiamo sui temi che stanno più a cuore ai nostri Paesi, istituiamo un servizio civile italo-francese, un comitato di cooperazione transfrontaliero, riconosciamo la necessità di una politica di gestione dei flussi migratori condivisa dall'Unione Europea basata su principi di solidarietà e responsabilità".

 
"Le regole di bilancio in vigore fino alla pandemia, già allora non erano sufficienti, erano regole procicliche che per certi aspetti aggravano il problema invece di aiutare a risolverli. Una revisione era necessaria, oggi è inevitabile", il messaggio è "che senza un forte sostegno non saremmo passati attraverso la pandemia, non ce l'avremmo fatta". Lo dice il premier Mario Draghi, che invita a "correggere il passato" e "disegnare il futuro" con le nuove regole. "Questo va fatto con l'Ue e bisogna che i Paesi si dotino strumenti che li rendano più forti in questa discussione: in questo modo Italia e Francia vogliono procedere".

"Questo Trattato sancisce l'amicizia profonda che ci unisce", ha detto Macron in conferenza stampa con il premier Mario Draghi a Villa Madama ringraziando coloro che lo hanno reso possibile, come Sergio Mattarella che ha vegliato sui lavori che hanno portato a termine.  Con il Trattato del Quirinale "creeremo una visione geopolitica comune: condividiamo la visione europea e internazionale", contribuiamo a costruire una "difesa europea comune più forte che contribuisca alla Nato, avremo una cooperazione rafforzata nella lotta contro le migrazioni illegali e i trafficanti, per proteggere le frontiere esterne dell'Europa", afferma Macron.

Il presidente francese, parlando a Villa Madama al fianco di Draghi, ha voluto ringraziare gli sforzi della diplomazia italo-francese per la conclusione di questo accordo. Il capo dell'Eliseo ha citato l'inizio di tutto, a Lione nel 2017, definendo quasi una "anomalia" l'assenza di un accordo tra Italia e Francia come quello tra Francia e Germania. Macron ha rivolto, come prima Draghi, un ringraziamento a Sergio Mattarella, da sempre impegnato nel rafforzamento del legame tra i due Stati e ha definito il Tratto del Quirinale come "segno della profonda amicizia" tra Italia e Francia.

"Era quasi un'anomalia non avere questo trattato, tante cose ci uniscono: la nostra cultura, i nostri artisti. Siamo in questa città che rappresenta tanto, anche per il destino dell'Europa, la Francia e l'Italia hanno da fare tanto insieme, hanno fatto tanto insieme, lo abbiamo fatto sotto la pandemia, ci siamo battuti per la Libia, abbiamo testimoniato tutte queste convergenze anche durante il G20". Il presidente francese ha poi aggiunto: "Noi siamo entrambi paesi che hanno dato tanto al commercio, all'industria e questa amicizia viene da lontano, è profonda, stiamo aprendo un nuovo capitolo storico nelle nostre relazioni, metteremo le nostre affinità a servizio del progetto europeo". Sulla questione migratoria, Macron ha ribadito la volontà e il bisogno di "proteggere le frontiere esterne" dell'Unione europea, rilanciando l'idea di un "umanesimo con regole" per gestire al meglio i flussi migratori. Il capo dell'Eliseo ha espresso i suoi propositi sul tema dell'immigrazione: "Dobbiamo accogliere e integrare chi viene secondo le regole e ha propensione a restare, ma poi ricondurre nei Paesi di origine chi non ha questa propensione".

Fonti varie agenzie / agi / ansa e il giornale

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