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Rimane altissima la tensione sul dossier ucraino, con Washington e Bruxelles che studiano sanzioni severe e piani di emergenza contro una eventuale riduzione del gas russo, mentre Kiev tenta di abbassare i toni affermando che al momento una minaccia di invasione da parte di Mosca «non esiste». «Ci sono scenari rischiosi - ha spiegato il ministro della Difesa Alexei Reznikov - Ma fino a oggi le forze armate russe non hanno creato unità d'attacco tali da mostrare che siano pronte a un'offensiva domani». Il presidente americano Joe Biden, comunque, ha annunciato che potrebbe considerare sanzioni personali contro il collega Vladimir Putin se decidesse di invadere l'Ucraina. C'è comunque un intoppo nelle relazioni tra Nato, Stati Uniti e Regno Unito, e Paesi europei: questo intoppo ruota attorno all'Ucraina ed è collegato alla Russia. Detto con un'immagine: un C-17 delle Forze armate britanniche ieri è decollato dalla base della RAF a Brize Norton, nell’Oxfordshire, per portare armamenti anticarro leggeri (Law prodotti dalla svedese Saab Bofors) in Ucraina, per arrivare a destinazione l'aereo ha evitato i cieli della Germania, deviando su Danimarca e Polonia prima di atterrare a Kiev. Qualche ora prima, mentre Londra definiva necessaria la spedizione in questa fase di “aumento della minaccia” da parte della Russia, il governo tedesco aveva nuovamente escluso le consegne di armi in Ucraina.

Berlino ha recentemente messo il blocco anche su una fornitura di obici estoni, che Tallin voleva inviare per rafforzare la difesa di Kiev. L’Estonia, con Lituania, Lettonia e Polonia è tra i Paesi che intendono muoversi davvero per rafforzare l’Ucraina: e vogliono farlo sia perché ne condividono le pressioni subite dalla Russia, sia perché cercano di creare un fronte compatto davanti a Mosca. Sentono il peso del destino, temono di essere i prossimi. E questo marca una netta differenza all’interno della Nato, con Stati Uniti e Regno Unito che hanno predisposto aiuti militari, l’Est europeo che chiede di fare sul serio, mentre gli altri europei non si spostano troppo dalle dichiarazioni di “profonda preoccupazione”.

Sono passate poco più di 48 ore dalla consegna delle risposte americane e Nato alla richiesta di maggiori garanzie avanzata dalla Russia. Risposte che avrebbero dovuto rappresentare un nuovo punto di partenza di un dialogo volto a una rapida de-escalation al confine tra la Federazione e l’Ucraina. Invece, in mattinata dall’esecutivo di Mosca è arrivata quella che è a tutti gli effetti una bocciatura: “Nato e Stati Uniti, nelle risposte trasmesse ieri sera a Mosca sulle garanzie di sicurezza, non hanno chiarito le preoccupazioni principali espresse dalla Russia”, ha dichiarato il ministro degli Esteri, Serghei Lavrov, aggiungendo che le risposte sono una base che “permette di avviare una conversazione seria, ma su argomenti secondari“, mentre “in questo documento non vi è alcuna reazione positiva sulla questione principale” che per noi è la “chiara inammissibilità di un’ulteriore espansione della Nato a est e del dispiegamento di armi d’attacco che potrebbero minacciare il territorio della Federazione Russa”.

La Turchia si è offerta di mediare tra Russia e Ucraina. “Grazie, ma no grazie” è la risposta da Mosca, niente tavolo negoziale ma è ben accetto, “lodabile”, ogni sforzo per riportare l’Ucraina al rispetto degli Accordi di Minsk, dicono i russi, che sono i primi a non aver mai voluto implementare quegli accordi. A inizio febbraio il presidente Recep Tayyp Erdogan sarà a Kiev.

Ankara da anni ormai intrattiene stretti rapporti commerciali, anche in campo militare, con la Russia di Vladimir Putin. Così non sorprende che, “quando lo permetteranno i suoi impegni e la situazione della pandemia”, il presidente russo in persona volerà nella capitale turca per incontrare Recep Tayyip Erdogan per arrivare a una mediazione proprio sulla questione ucraina, dopo che il Sultano, all'inizio di febbraio, avrà incontrato il capo dello Stato di Kiev, Volodymyr Zelensky

È una delle evoluzioni più interessanti della crisi in diretta al confine ucraino, dove da settimane la Russia ha ammassato migliaia (centomila, forse di più) di truppe. La Casa Bianca è convinta che sia possibile persino possibile un'invasione in stile classico, e questa è un'evoluzione relativamente nuova. Sebbene un'azione ibrida (infowar, attacchi cyber, operazioni psicologiche, missioni clandestine e false flag, militari senza insegne come i Little Green Men e tutte le varie misure attive aggiornate) sia ancora in cima alla lista delle possibilità, adesso i funzionari che hanno visto i report di intelligence più aggiornati dicono ai media statunitensi che ci sono buone possibilità che con la Russia sia intenzionata a invadere e arrivare a Kiev. Non è chiaro quanto queste dichiarazioni siano preoccupazioni veritiere oppure servano a mettere pressione su Mosca — ossia siano parte di una contro campagna informativa.

In una riunione dei Ministri degli Esteri dei Paesi dell'Alleanza Atlantica e stato detto che , “Il rischio di un conflitto è reale”, ha dichiarato il segretario generale Stoltenberg, che ha nuovamente stigmatizzato “l'ammassamento di truppe” russe al confine. Apertura - comunque - al dialogo; e mercoledì, sul tavolo, vi saranno le “garanzie di sicurezza” richieste dal Cremlino, in particolare l'assicurazione che Kiev non entri mai a far parte della NATO: eventualità che priverebbe Mosca di ogni residua profondità strategica ad occidente, esponendola direttamente a potenziali azioni ostili. Il rischio che la situazione possa sfuggire di mano è insomma concreto. Eloquente la posizione di Edward Leigh: deputato di maggioranza di un Paese di certo non amico della Russia, come il Regno Unito. L'ipotetico ingresso dell'Ucraina nel blocco Nord Atlantico – ha detto - rappresenterebbe “una provocazione pericolosa e non necessaria”.

Fibrillazioni politiche che hanno un impatto diretto sul prezzo del gas in Europa; così come l'attuale crisi in Kazakistan: dossier in un qualche modo collegato, secondo alcuni, alla strategia di massima pressione sul Cremlino. Ma al netto di ogni speculazione appare reale il malcontento di ampie fasce della popolazione kazaka, specie delle periferie. Il Presidente Tokayev, intanto, dopo le aperture dei giorni scorsi – come il ripristino del prezzo calmierato del gpl –, ha optato per la linea dura. “26 criminali armati” sono stati eliminati, ha annunciato il Ministero degli Interni. Tutto ciò dopo l'assalto ad edifici governativi, e l'uccisione di più di una dozzina di agenti delle forze dell'ordine. Scenario da guerra civile, che aveva indotto le Autorità a richiedere l'intervento delle truppe dell'Organizzazione del trattato per la sicurezza collettiva: composta da 6 ex repubbliche sovietiche, guidate dalla Russia. Secondo Mosca, infatti, sarebbero stati anche interventi dall'esterno a far degenerare le proteste contro il carovita. Washington, dal canto suo, ha definito “folli” le accuse circa un proprio coinvolgimento.

Secondo Marta Ottaviani, autrice di "Brigate russe", sulla guerra occulta del Cremlino in una intervista al Il Giorno : La Russia, e il caso Ucraina lo spiega alla perfezione, ha cambiato il modo di fare la guerra. La nostra generazione ha studiato un certo tipo di conflitto, con i carri armati, gli aerei, i movimenti di truppe. A partire dal 2.000, quando Putin ha preso il potere, la Russia ha elaborato una strategia di guerra non lineare, che consiste proprio nel non attaccare direttamente un Paese, ma nel metterlo nella maggior difficoltà possibile, in modo tale da fargli passare periodi di grandissima instabilità. Come accaduto nel 2014 quando il Paese in questione si è spaccato”.

Gli Usa, secondo quanto rivelato da una fonte dell'amministrazione, stanno preparando con gli alleati dei piani di emergenza per compensare una eventuale riduzione delle vendite del gas russo, mettendo in guardia il Cremlino a non usare le forniture energetiche come arma politica. Si guarda a varie aree del mondo, dall'Africa settentrionale al Medio Oriente, dall'Asia agli stessi Stati Uniti, per poter acquistare altri volumi di gas naturale in caso di riduzione delle forniture. Peraltro, alti dirigenti dell'amministrazione Biden hanno spiegato che le forniture all'Europa lungo la rotta ucraina sono già state dimezzate, circa 40 miliardi di metri cubi all'anno contro i precedenti 100. E Washington è in contatto anche con importanti acquirenti e fornitori di gas naturale liquefatto (Lng), con l'obiettivo di assicurarsi piccoli volumi da molte fonti.

Fonti : il Giornale / fatto quotidiano / il Giorno / sanmarino / Formiche

Tra i dossier internazionali più caldi di questo inizio 2022 c’è l'Ucraina. Da diverse settimane ha iniziato a esserci movimento al confine orientale del paese, con la Russia che ha inviato più di 100mila soldati a presidiare. L'Occidente teme che Mosca voglia invadere il suo vicino per affermare una volta per tutte la sua influenza, dopo che ha fatto qualcosa di simile nel 2014 nella regione ucraina della Crimea (e prima ancora in altri stati come la Georgia). Da Mosca accusano invece l’Occidente, o meglio la Nato (Organizzazione del trattato dell'Atlantico del Nord, cioè l'alleanza militare a carattere difensivo tra 30 stati del Nord America e dell'Europa), di star allargando sempre più i suoi tentacoli sugli “stati cuscinetto” della Russia, con tanto di addestramento militare delle forze locali e piani di adesione all'Alleanza atlantica.

La crisi viene affrontata nei colloqui tra Russia e Usa, finora senza coinvolgere direttamente l'Unione europea, malgrado i Paesi europei siano vicini alla Russia e abbiano molto da perdere nel caso in cui la situazione dovesse aggravarsi. L'Ue, seppur impegnata nella transizione ecologica, è tuttora un grande importatore di gas e di petrolio dalla Russia, come ha ricordato mercoledì a Strasburgo il presidente francese Emmanuel Macron. Con i prezzi del gas già alle stelle a causa dell'aumentata domanda cinese e della ricerca di rendimento sulle 'commodities', e i problemi che questo sta già oggi provocando in Europa, è facilmente immaginabile quali sarebbero le conseguenze sul Vecchio Continente della chiusura o delle assottigliarsi del rubinetto russo, che garantisce circa il 40% del gas consumato in Europa.

Il motivo di questo dispiegamento è sempre lo stesso. La Russia continua ad avere mire sui territori contesi dell’Ucraina orientale, inoltre ha interesse a destabilizzare il governo ucraino filo-europeista. Ma soprattutto, da Mosca vogliono mandare un messaggio all'Occidente. Quest'ultimo, sotto la veste degli Stati Uniti, dell'Unione europea e più in generale della Nato, da anni sostiene sia diplomaticamente sia economicamente l'Ucraina. Come ha sottolineato la presidente della Commissione, Ursula Von der Leyen, l’Unione e le sue istituzioni finanziarie dal 2014 a oggi hanno allocato oltre 17 miliardi in trasferimenti e prestiti al paese. La Nato e gli Usa fanno lo stesso, con anche addestramento militare e presenza di propri specialisti sul territorio, come denunciato dal ministro della Difesa russo  Sergei Shoigu alla fine di dicembre. E Mosca, che non ci sta a una tale presenza più o meno diretta occidentale in un'area che continua a ritenere storicamente sotto la sua sfera di influenza, ha alzato la pressione sui confini.

Oggi il presidente dell’Ucraina è Volodymyr Zelensky, eletto nel 2019. Filo-europeista, ha definito il dispiegamento di queste settimane di truppe russe al confine orientale con il suo paese “un ricatto”, sottolineando come l'ultimo dei suoi desideri sia arrivare a una guerra.

L'Ucraina è uno stato indipendente dal 1991, anno dello scioglimento dell'Unione Sovietica. Culturalmente e socialmente molto vicina alla Russia, per lungo tempo ha mantenuto ottimi rapporti con Mosca, ma con l'avvento del nuovo secolo il rapporto ha cominciato a deteriorarsi. Nel 2004 le elezioni presidenziali tra il candidato filorusso Viktor Janukovyč e l’oppositore filo-occidentale Viktor Juščenko portarono alla vittoria del primo, ma migliaia di persone riempirono le piazze per denunciare brogli. Venne chiamata la rivoluzione arancione e la Corte suprema le diede ragione, invalidando i risultati e proclamando un nuovo voto. Che vide la vittoria di Juščenko.

Fu un duro colpo per il presidente russo Vladimir Putin, che da quel momento assunse un atteggiamento più aggressivo nei confronti del vicino ucraino che iniziava a guardare verso occidente. Il suo delfino Viktor Janukovyč ricoprì comunque la carica di premier fino al 2007, poi divenne presidente nel 2010 e il problema, per Mosca, sembrava rientrato. Nel 2013 il rifiuto di Janukovyč di firmare l’accordo di associazione con l'Unione europea e la scelta di legarsi in modo ancor più netto alla Russia portarono a profondi moti di piazza, divenuti noti con il nome Euromaidan. Dopo mesi di scontri che costarono la vita a decine di manifestanti e nuove leggi restrittive per limitare il dissenso, nel febbraio 2014 il presidente abbandonò il paese e il parlamento lo rimosse.

Intanto il Vecchio Continente dipende infatti dal gas russo per il 40% dei suoi consumi mentre un altro 30% arriva dalla Norvegia e un 30% da Libia e Algeria. E proprio in questi giorni, gli Usa stanno trattando con il Qatar sulle forniture di gas a favore dell'Europa nel caso di attacco da parte di Mosca. Eppure ancora una volta si tratta di una corsa contro il tempo dato che il gas serve tutto l'anno ma soprattutto in inverno. Gas il cui prezzo è aumentato negli ultimi mesi mettendo a rischio molti impianti che si fermerebbero per l’impossibilità di produrre a costi così elevati.

Di una possibile invasione dell'Ucraina da parte della Russia si parla da due mesi da quando la Russia ha iniziato ad ammassare più di 100mila soldati e armamenti lungo il confine con Kiev. A nulla sono serviti gli sforzi diplomatici. La Russia finora ha sempre negato i suoi obiettivi. Vladimir Putin ha chiesto alla NATO di ritirare le proprie truppe da Bulgaria, Romania e dagli altri stati ex comunisti dell'Europa orientale. A loro volta gli Stati Uniti hanno chiesto il ritiro dei militari russi ammassati al confine orientale ucraino intensificando allo stesso tempo le consegne di armamenti all’Ucraina, per difendersi. L'obiettivo di Mosca sarebbe quello di concludere quanto iniziato nel 2014, quando occupò la Crimea e la annesse. Un attacco che Mosca ha condotto anche a livello informatico, nella notte tra il 13 e il 14 gennaio, con l'obiettivo di destabilizzare il Paese arrivando ad una paralisi totale del sistema informatico a partire dai siti governativi.

Se la Russia dovesse invadere l’Ucraina, cosa succederebbe alle forniture di gas europee? È abbastanza facile capire perché la Ue sia molto preoccupata da un’eventuale escalation militare, visto che attraverso i condotti che viaggiano sotto il suolo ucraino arriva il combustibile che scalda centinaia di milioni di case e permette ad altrettante aziende di lavorare. Come se non bastasse, il braccio di ferro tra Russia e Usa ha fatto tornare a salire il prezzo del gas, che aveva iniziato una lenta discesa, dopo essere schizzato alle stelle verso la fine del 2021, con aumenti fino al 500% rispetto all'anno precedente.La Russia fornisce un terzo dell'intero fabbisogno di gas naturale (450 miliardi di metri cubi, di cui 75 per l’Italia) all’Europa ogni anno.

A questo proposito, secondo quanto riporta il Financial Times sarebbero in corso colloqui tra Usa e Qatar per assicurare la fornitura di gas ai Paesi europei in caso di invasione russa dell'Ucraina. Il Qatar è il terzo Paese al mondo per riserve di gas, dopo Russia e Iran.

Ma quella che potrebbe sembrare una storia d'altri tempi è in realtà la soluzione tampone trovata per sopperire alla sua carenza in Ucraina, che ha già determinato il fermo produttivo di alcune centrali. Come ha fatto un Paese ricco di carbone a ridursi a importare dall'estero una materia prima presente in abbondanza sul proprio territorio?

Dal 1° novembre la Russia ha smesso di esportare il proprio carbone verso Kiev e, in una battaglia di veti incrociati, ha influenzato anche il Kazakistan - altro fornitore ucraino - che si è allineato a Mosca e ha dirottato verso Pechino gran parte del carbone destinato all’export. Il carbone rappresenta circa un terzo della capacità di generazione di energia elettrica installata in Ucraina e, ancora nel 2020, il 70% delle importazioni proveniva dalla Russia. Nonostante il Paese sia il sesto al mondo per riserve di questo prodotto, le principali miniere si trovano nei territori occupati del bacino dei Donetsk nella parte sudorientale dell’Ucraina, impedendo di fatto l’estrazione.

La matrice energetica dell'Ucraina è piuttosto diversificata: secondo Energy Information Administration (EIA) nessuna fonte consta per più del 33% fornito dal gas naturale, seguito dal 30% del carbone e 21% del nucleare (Fig.1); è altresì piuttosto rigida e l'arrivo della stagione invernale con i tradizionali picchi di domanda complica una situazione già non facile. All'interno di questo quadro, stanti i pessimi rapporti con il vicino russo, la carenza di carbone e i frequenti fermi delle datate centrali che bruciano lo stesso per produrre elettricità, va inquadrato il ricorso ucraino a forniture di energia elettrica da Bielorussia e Slovacchia al fine di garantire gli approvvigionamenti energetici a cittadini e imprese e scongiurare possibili blackout, anche a costo di clamorosi dietrofront (dal 1° novembre Minsk era stata messa al bando, per contrasti simili a quelli con Mosca, ma appena due giorni dopo era tornata a essere un partner in questo ambito).

Concludendo la situazione oggi e la seguente:

Dalla fine di novembre 2021 la Russia ha inviato le sue truppe verso il confine ucraino, la Nato si è mobilitata di conseguenza.

La Russia ha mire sui territori contesi dell'Ucraina, vuole destabilizzare il suo governo filo-europeista e mandare un messaggio all'Occidente.
Secondo alcuni analisti l'invasione dell’Ucraina è imminente, per altri invece il dispiegamento di forze è una forma di ricatto.

Fonti :  lifegate / Ispi / varie agenzie

Fumata nera al terzo scrutinio per l'elezione del Capo dello Stato. La somma di schede bianche, nulle e singoli voti ai vari candidati esclude che possa essere raggiunto il quorum di 673 voti.  Da domani per essere eletti saranno sufficienti 505 voti. Spunta il nome di Elisabetta Casellati, restano sul tavolo i nomi di Casini, Giuliano Amato, ma anche Draghi e Mattarella.

Il presidente uscente Sergio Mattarella ha ottenuto oltre 120 voti. E' quanto emerge dallo scrutinio delle schede della terza votazione per l'elezione del Presidente della Repubblica. Molte schede hanno riportato il nome di Guido Crosetto, oltre 100, quindi molti di più dei 63 grandi elettori di Fdi, mentre a oltre quota 50 si attesta Pierferdinando Casini. Cresce anche il giurista Paolo Maddalena, sostenuto dagli ex grillini di Alternativa C'è, passato dai 39 voti di ieri ai 60 di oggi.

Il risultato dei voti a Crosetto nello spoglio "vuol dire che il centrodestra ha una capacità attrattiva in questo Parlamento, Guido è una persona stimata, lo sappiamo. Sarebbe stato interessante esercitare questa capacità unitariamente oggi". Lo ha detto Giorgia Meloni parlando con i giornalisti alla Camera.

"Io ho fatto la scelta di non continuare a votare scheda bianca per dare un segnale, ma ritengo che il centrodestra in questa partita si debba misurare". Lo ha detto Giorgia Meloni parlando con i giornalisti alla Camera.

"Casellati? È la seconda carica dello Stato, non ha bisogno di essere candidata….
Pera, Moratti e Nordio sono nomi all'altezza. Spero che Conte e Letta non si fermino ai no". Lo dice Matteo Salvini prima di andare nei suoi uffici a Montecitorio. "Il mio tentativo è quello di dialogare" conclude il leader della Lega. "Casellati non fa parte di rose politiche, è lì, è la seconda carica dello Strato, è donna, è stata eletta dalla maggioranza dei senatori, non ha bisogno che la sponsorizzi io o altri. Se uno la chiama penso sia a disposizione", ha aggiunto Salvini. "Il nuovo premier non lo troviamo a Campo de Fiori...Stiamo lavorando già a un Presidente della Repubblica e io ho un'idea. Qualora Draghi lasciasse il governo avremmo settimane di confusione, sarebbe un problema per l'Italia, con la crisi economica, sanitaria...". Così il leader della Lega, Matteo Salvini, arrivando alla Camera.

"A parte che se perdo tre chili male non mi fa, ma il mio tentativo è dialogare, ma per farlo bisogna essere in due. Se mi siedo a un tavolo e mi dicono, 'sono pronto a dialogare ma qualunque nome tu mi faccia è no', allora si capisce che è un dialogo un po' particolare. Noi dei nomi li abbiamo fatti. E ne potremmo farne altri dieci all'altezza, speriamo che ce ne sia uno di questi nomi che vada bene, dopo 30 anni uno non di sinistra". Così il leader della Lega, Matteo Salvini.

"Dicono che nessuno lo vuole votare. Quindi, se nessuno lo vota, è difficile che diventi presidente". Così il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, risponde a 'Fanpage.it' e 'Fattoquotidiano.it' che gli chiedono se Mario Draghi abbia ancora possibilità di essere eletto presidente della Repubblica. E Pierferdinando Casini? "Eh Casini ... quando c'è casino ...".

8.31 - "Casellati? È la seconda carica dello Stato, non ha bisogno di essere candidata…. Pera, Moratti e Nordio sono nomi all'altezza. Spero che Conte e Letta non si fermino ai no". Lo dice Matteo Salvini prima di andare nei suoi uffici a Montecitorio. "Il mio tentativo è quello di dialogare" conclude il leader della Lega.  "Il nuovo premier non lo troviamo a Campo de Fiori...Stiamo lavorando già a un Presidente della Repubblica e io ho un'idea. Qualora Draghi lasciasse il governo avremmo settimane di confusione, sarebbe un problema per l'Italia, con la crisi economica, sanitaria...". Così il leader della Lega, Matteo Salvini, arrivando alla Camera.  

10.20 - Il centrodestra voterà oggi scheda bianca. E' quanto si apprende da fonti del centrodestra dopo l'incontro tra Salvini,Meloni e Tajani.

10.34 - Il coordinatore nazionale di Forza Italia, Antonio Tajani ha riferito di aver sentito Silvio Berlusconi che insisterebbe per "un centrodestra unito". E' quanto emerso, secondo quanto si apprende, dall'assemblea dei grandi elettori di Forza Italia in corso alla Camera. Parlando della terna di nomi proposta dal centrodestra Tajani ha detto che "è una partita a scacchi che vogliamo vincere" e che oggi proseguono le trattative.  

10.53 - Il Pd, il M5s e Leu confermano la scheda bianca alla terza votazione. Lo si apprende da fonti di centrosinistra e lo confermano dal Nazareno.

11.21 - I senatori di Fdi non stanno votando nell'Aula di Montecitorio, dove è in corso la terza votazione per eleggere il Capo dello Stato. Tre senatori del partito di Giorgia Meloni, pur chiamati, non hanno risposto alla prima chiama.

11.27 - "L'unica carta è Mattarella, l'ho detto anche a Giuseppe (Conte ndr) e spero che divenga la posizione ufficiale del Movimento". Lo ha detto Danilo Toninelli parlando con i cronisti a Montecitorio. "Oltretutto - ha aggiunto - sarebbe la sacelta migliore anche per tutelare Draghi a Palazzo Chigi".

11.40 - Quando si eleggerà il presidente della Repubblica? "Continuo a sperare domani. Ma è domani o dopodomani". Così risponde Matteo Renzi in transatlantico alla Camera. Iv voterebbe Elisabetta Casellati per il Quirinale? "Nel pomeriggio faremo una dichiarazione ufficiale, vediamo che succede stamattina". Lo dice Matteo Renzi in transatlantico. Mario Draghi è bruciato? "No", risponde. "Ho dato la disponibilità sia a Letta che a Salvini, se ci sarà, a partecipare come terzo polo" al vertice del centrosinistra e del centrodestra. "Non sarei così convinto che ci sarà, ma meglio farlo solo se si esce con un accordo o si fa una brutta figura". Lo dice Matteo Renzi, parlando in transatlantico alla Camera.

11.50 - Fratelli d'Italia nel corso della terza votazione voterà Guido Crosetto. E' quanto si apprende da fonti di Fratelli d'Italia.
Breve incontro, a quanto si apprende, tra il leader della Lega Matteo Salvini e la presidente di Fratelli d'Italia Giorgia Meloni. Il colloquio sarebbe avvenuto negli uffici di Fdi. "Fratelli d'Italia non voterà scheda bianca a seguito delle valutazioni dentro il partito. Fermo restando l'assoluta compattezza del centrodestra che non è minimamente in discussione l'immagine che il Parlamento sta dando agli italiani è incomprensibile, dobbiamo dare all'assemblea un segnale: non si può continuare a rimanere per giorni in una situazione di stallo". E' quanto rendono noto fonti di Fdi.

11.56 - Tutti i senatori di FdI che non avevano risposto alla prima chiama della votazione per il presidente della Repubblica stanno votando alla seconda chiama.

Fratelli d'Italia può contare su 63 voti: 21 senatori, 37 deputati e 5 delegati regionali, per un totale di 63 voti. Ma a spoglio del terzo scrutinio, i voti per Guido Crosetto superano di molto i numeri di FdI, attestandosi a oltre 100 voti, quindi un 'sorpasso' per ora di almeno una quarantina di voti.

12.40 - "Non partecipiamo a nessun conclave". L'ha detto il capogruppo di Fratelli d'Italia al Senato, Luca Ciriani ai cronisti dopo aver confermato il voto su Guido Crosetto.

13.05 - Contatti sono in corso, a quanto si apprende da fonti parlamentari, tra i vertici del Pd e il leader della Lega Matteo Salvini. Il tentativo dei dem, che lavorano per un vertice della maggioranza di governo, è di convincere il leader leghista a non procedere domani al voto su un candidato di centrodestra perchè, è il ragionamento, così salta la maggioranza. Si creerebbe un muro contro muro e una situazione di caos con il rischio di precipitare il paese in una situazione di forte instabilità ma il Pd, assicurano fonti del Nazareno, lavora per evitarlo.  

13.13 - "Penso di essere l'uomo politico più antipatico d'Italia, ma anche chi mi odia sa che non faccio operazioni per me". Lo dice Renzi, commentando le voci che vorrebbero voti di Iv sulla eventuale candidatura della Casellati al Colle, in cambio della Presidenza del Senato per IV. "Nessuno me lo ha offerto, ma vi sembro il tipo che dà i suoi voti per uno scambio? Io 'ste cose non le faccio, è una ipotesi che non esiste.Magari mi sfracello nel muro, o faccio sfracellare qualcun altro (sono successe tutte e due le cose) ma non faccio operazioni per me", conclude ricordando che nelle trattative sul Conte ter a Iv fu offerto di tutto

13.59 - Si diffonde tra i parlamentari M5s il timore di una caduta della trattativa per il Colle sul nome della Casellati, da molti definito non votabile. Ma non è solo il profilo della candidatura a mettere in allarme i grandi elettori 5 Stelle: " se il nome è questo andiamo a votare" dice un parlamentare 5 Stelle che segnala il tam tam che gira tra deputati e senatori del Movimento. Il ragionamento che seguono è che se si andasse ad un nome non condiviso tra gli schieramenti, la maggioranza si spaccherebbe con il rischio di produrre l'effetto contrario voluto dal leader M5s Giuseppe Conte, ossia garantire la continuità di governo.

14.19 - "Con Letta non ci sono differenze di valutazione e anche con le altre forze con cui stiamo lavorando. Non parliamo più di vertice di centrosinistra, qui c'è un fronte progressista, ognuno con le proprie sensibilità. Siamo tutti allineati per un presidente super partes e lavoriamo per questo". Così il presidente del M5s, Giuseppe Conte arrivando a Montecitorio. "Casellati non è un candidato qualsiasi, è una carica istituzionale e mettere in gioco una carica istituzionale per una contrapposizione senza una soluzione condivisa sarebbe un grande errore del centrodestra e un grande sgarbo per la carica della presidenza del Senato, ha aggiunto Conte.

14.48 - Lungo incontro tra Enrico Letta e Matteo Renzi alla Camera, negli uffici del gruppo Iv. Il colloquio, riferiscono fonti del Nazareno, è servito a concordare i prossimi passi. Il segretario Dem ha confermato che il Pd è contrario ad una candidatura di parte che spacchi la maggioranza. E che farà il possibile per bloccarla.

"Il centrodestra ha dimostrato quanto tenga al Paese, prima col generoso passo indietro del Presidente Silvio Berlusconi, poi con l'offerta di una terna di nomi di altissimo profilo tra i tanti che avrebbe potuto fare. Di contro, il centrosinistra ha giocato solo ad impallinare pretestuosamente le proposte ricevute senza proporre alternative, nella vana speranza che fosse il centrodestra ad indicare un candidato o una candidata che piacesse al centrosinistra. La misura è colma". Lo dichiara in una nota il senatore di Forza Italia Luigi Vitali.

"Proporre la candidatura della seconda carica dello Stato, insieme all’opposizione, contro i propri alleati di governo sarebbe un’operazione mai vista nella storia del Quirinale. Assurda e incomprensibile. Rappresenterebbe, in sintesi, il modo più diretto per far saltare tutto". Così Enrico Letta su Twitter.

Fonti Agi / Ansa / AdnKronos e varie agenzie
















Il primo scrutinio per l'elezione del Presidente della Repubblica si conclude con una fumata nera. A farla da padrone sono state le schede bianche, complessivamente 672, ma sulla carta dovevano essere circa 200 di più. I grandi elettori sono riconvocati a Montecitorio nel pomeriggio alle ore 15 per la seconda votazione. Anche nello scrutinio di oggi per eleggere il Capo dello Stato occorre il quorum dei due terzi dei votanti.Le schede nulle sono state 49, i voti dispersi 88, tra cui uno per Draghi. Presenti e votanti 976 su 1008.

Nella prima votazione, nella valanga di schede bianche, sono spiccati alcuni nomi. L'ex vicepresidente della Consulta, Paolo Maddalena, candidato dagli ex grillini, è risultato il più votato con 36 voti. Hanno inoltre ottenuto preferenze: il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, 16; la ministra della Giustizia, Marta Cartabia, 9; Silvio Berlusconi, il deputato di Forza Italia Roberto Cassinelli, Guido De Martini, e il deputato ex M5S Antonio Tasso, 7; Umberto Bossi e il presidente di Italia viva, Ettore Rosato, 6; Marco Cappato, 5; il senatore della Lega Cesare Pianasso e Bruno Vespa, 4; il conduttore di un 'Giorno da pecora', Giorgio Lauro, Enzo Palaia, il direttore del Dis, Elisabetta Belloni, la deputata di Italia viva Maria Teresa Baldini, il presidente della Lazio, Claudio Lotito, Pier Luigi Bersani, il giornalista Claudio Sabelli Fioretti, Francesco Rutelli, Amadeus, 3; Giuliano Amato, il presidente del Senato, Elisabetta Casellati, Alberto Angela, Pier Ferdinando Casini, l'ex premier Giuseppe Conte, Gianluca De Fazio, il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, il chirurgo Ermanno Leo, Antonio Martino, il giurista Ugo Mattei, il sottosegretario all'Editoria, Giuseppe Moles, Carlo Nordio, il deputato del Pd Paolo Siani, 2.

I Grandi elettori, intanto, tornano a essere 1009: è stata infatti proclamata deputata Maria Rosa Sessa, detta Rossella, la prima dei non eletti nelle liste di Forza Italia nel listino proporzionale della Campania, al posto del forzista Vincenzo Fasano deceduto domenica scorsa. Il quorum quindi è di nuovo a quota 673. Mentre i Grandi elettori positivi continuano a votare nel seggio drive-in allestito nel parcheggio di Montecitorio

Gli occhi restano puntati su Mario Draghi, candidato in pectore più accredito alla successione di Sergio Mattarella al Quirinale. Il premier ieri è sceso in campo, ha avuto contatti con Salvini, Letta, Conte. E nel pomeriggio si è aperto il dialogo tra il leader della Lega e quello del Pd che oggi dovrebbero rivedersi. Intanto, prima dell'inizio del secondo scrutinio, Letta ha visto Tajani: parlano di un colloquio "costruttivo" in cui sono stati vagliati nomi "con l'auspicio di arrivare a una soluzione equilibrata nell'interesse del Paese.

l centrodestra è pronto a presentare la rosa di nomi per il Quirinale: Letizia Moratti, Marcello Pera, Maria Elisabetta Casellati e Carlo Nordio. Franco Frattini e Pier Ferdinando Casini dovrebbero restare fuori. "I nostri nomi non hanno neppure in tasca una tessera di partito", ha detto Matteo Salvini ribadendo: "Draghi è a Chigi e lavora bene lì". È la seconda giornata di votazioni per eleggere il tredicesimo presidente della Repubblica. Dalle 15 il Parlamento in seduta comune integrato dai 58 delegati delle Regioni è tornato in Aula. Il primo scrutinio di ieri è andato a vuoto: fumata nera con 672 schede bianche votate dai due terzi, cioè la maggioranza che sarebbe servita per eleggere il nuovo capo dello Stato alla prima seduta. E oggi, con ogni probabilità, si replica. L'indicazione arrivata da M5S, Pd e Leu è di confermare la scheda bianca. Lo stesso farà il centrodestra.

Il premier, nel giorno in cui a Montecitorio si svolge la prima votazione per il presidente della Repubblica, torna a palazzo Chigi e si mette in moto. Vede di buon mattino Matteo Salvini e sente al telefono Enrico Letta e Giuseppe Conte. Sui contatti, dalle fonti istituzionali, resta il massimo riserbo ("No comment", rispondono da Palazzo Chigi), ma a sentire i rumors del Transatlantico, l'accordo è tutt'altro che chiuso. Per i parlamentari di centrodestra il faccia a faccia con il leader della Lega "non è andato bene, non come si sperava". "Draghi ha chiesto garanzie sul Quirinale, ma ha rimandato la partita del Governo", racconta qualcuno, che interpreta come un segnale di tempesta la nota diffusa dal leader della Lega in serata: "Sto lavorando perché nelle prossime ore il centrodestra unito offra non una, ma diverse proposte di qualità, donne e uomini di alto profilo istituzionale e culturale, su cui contiamo ci sia una discussione priva di veti e pregiudizi", sentenzia. "Salvini ha parlato per sé, ma ora il premier deve sentire Berlusconi se davvero vuole che la partita 'giri' - gli fa eco qualcun altro - e in ogni caso le posizioni restano distanti".

In Transatlantico le voci si rincorrono: "Se Draghi non capisce che deve sedersi al tavolo con i leader e trattare ora sul Governo, al Colle ci va Casini", è il pronostico di molti, mentre si diffonde la voce di un confronto del premier anche con l'ex leader Udc, tra i papabili anche per palazzo Chigi. "L'accordo si chiude mercoledì e Draghi viene eletto alla quarta", ipotizza invece qualcun altro. Trasversale, poi, è l'ipotesi che alla fine sia Sergio Mattarella a "salvare capra e cavoli".

Draghi è la somma delle debolezze altrui, ma la via del Colle è ancora lastricata di inciampi. La storia rivela che ogni volta che c'è stata incertezza a ridosso poi le votazioni si sono protratte per giorni e giorni.  Fu così nel 1964 per Saragat, ventuno votazioni. Per Leone nel 1971, ventitré votazioni. Per Pertini nel 1978, sedici votazioni. Le elezioni lampo di Cossiga e Ciampi rappresentano in fondo delle eccezioni (una sola votazione). Sette anni fa Sergio Mattarella venne eletto alla quarta, Matteo Renzi lo ufficializzò all'ultimo giorno utile, ma già il 19 gennaio, a due settimane dall'incoronazione, il quadro era delineato. Repubblica titolava così un pezzo informato di Goffredo De Marchis: "La sfida Amato-Mattarella.

Fonti Varie agenzie / Rai / Repubblica 

 

 

Nonostante il susseguirsi di contatti e incontri, ultimo in ordine di tempo quello in queste ore tra il Segretario di Stato americano Antony Blinken e il Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov a Ginevra, l’escalation delle tensioni tra Russia e Ucraina delle ultime settimane rischia di sfociare in una guerra.

"Gli alleati della Nato stanno mettendo le forze in allerta e stanno inviando navi e caccia in Europa dell'Est, per rinforzare la nostra capacità di deterrenza e difesa, mentre la Russia continua ad aumentare la propria presenza militare dentro e fuori dall'Ucraina".Lo sottolinea la Nato in una nota.Gli Stati Uniti hanno ordinato l'evacuazione delle famiglie dei diplomatici in Ucraina.

E l'amministrazione statunitense sconsiglia anche ai cittadini americani di recarsi in Russia. Kiev critica, giudicandolo "prematuro" ed "eccessivo" l'ordine impartito da Washington di evacuare i familiari dei diplomatici Usa dall'Ucraina. "Con tutto il rispetto del diritto degli stati stranieri di garantire la sicurezza delle loro missioni diplomatiche, noi consideriamo questa misura presa dagli americani come prematura ed eccessiva", dichiara in una nota il portavoce del ministero degli Esteri ucraino, Oleg Nikolenko. "A meno che il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, non abbia qualcosa da dirci di importante, il personale dell'Unione Europea non ha in programma nessuna evacuazione dall'Ucraina", commenta l'Alto rappresentante della politica estera Ue, Josep Borrell, prima del consiglio affari esteri a Bruxelles, commentando l'annuncio Usa dell'evacuazione delle famiglie dei diplomatici. "Non credo che si debba drammatizzare la situazione, i negoziati con la Russia sono in corso, non penso che si debba lasciare l'Ucraina", ha aggiunto Borrell.

Le premesse per una simile escalation c'erano da tempo, tuttavia è difficile capire perché la situazione si stia degradando così rapidamente proprio adesso, otto anni dopo lo scoppio della crisi ucraina e un (relativo) congelamento del conflitto nel Donbass. Ha inoltre un che di paradossale il fatto che il massiccio dispiegamento di truppe russe alla frontiera con l'Ucraina negli ultimi mesi abbia coinciso con l'avvio negli Stati Uniti della Presidenza Biden, che si era invece aperta con l'annuncio di un rilancio di negoziati su temi specifici di sicurezza con Mosca dopo il quadriennio di Trump.

Resta impossibile dire con certezza quale siano le vere intenzioni di Mosca, e se il Cremlino abbia o meno una strategia predeterminata. È difficile pensare che lo scopo primario dell’ammassamento di truppe russe al confine sia stato quello di invadere l’Ucraina. In primis, non c’è un territorio preciso a cui la Russia potrebbe guardare - contrariamente alla penisola di Crimea nel 2014 - né forze in Ucraina che rivendicano, come era successo nel Donbass, l’indipendenza territoriale, che Mosca potrebbe utilizzare come occasione per penetrare il territorio ucraino in nome della difesa di comunità russofone.

Putin non ha tutti i torti quando delinea la necessità di un mondo caratterizzato da un maggiore equilibrio di poteri rispetto a quello esistente tuttora. Tuttavia il Presidente russo non è esente da responsabilità a riguardo. L’Ucraina sarebbe certamente rimasta legata alla Russia se avesse visto in quest'ultima più un alleato che un oppressore. Lo scarso successo ottenuto dall’unione doganale è da imputarsi anche alla volontà, da parte della Russia, di rendere i Paesi ex sovietici sudditi del loro forte vicino. Guardando all'economia, ben pochi ad oggi si fidano dell’orso russo: il rublo ha perso metà del suo valore negli ultimi due anni. Gli investimenti esteri in Russia sono diminuiti drasticamente a seguito delle tensioni in Crimea. Secondo la classifica “ease of doing business 2016”, stilata dalla World Bank, il Paese si colloca al cinquantunesimo posto su 189, dopo Stati come Messico, Montenegro, Perù, solo per fare alcuni esempi (l'Italia si colloca al 45esimo posto). 

L’escalation da parte russa è iniziata con l'invio di truppe al confine ucraino nel marzo-aprile 2021, proseguito la scorsa estate e diventato sistematico e su larga scala a partire da novembre (si parla al momento di circa 170 mila unità). Nel frattempo, le relazioni con gli Stati Uniti, già molto tese, si sono ulteriormente degradate. Se a giugno in vista dell'incontro con Biden le due parti si erano trovate lontane su molte posizioni, ma dialoganti sulla questione del controllo degli armamenti, a dicembre Mosca ha presentato agli Stati Uniti un ultimatum per iscritto, chiedendo - ai fini di una de-escalation - che la NATO si impegnasse a negare formalmente l'ingresso dell'Ucraina e della Georgia nell’Alleanza, pur sapendo che la richiesta non avrebbe mai potuto essere accettata.

Stilando una lista non esaustiva, alcuni elementi spiegano il cambio di atteggiamento di Mosca. Il primo, di contesto, è la generale radicalizzazione delle posizioni dell’establishment russo (parallela a un'influenza crescente delle élite militari) che sostiene la necessità di imporre più nettamente, se necessario anche con la forza, la visione revisionista di Mosca per la costruzione di una nuova architettura di sicurezza europea. Il secondo è l’evoluzione della situazione in Ucraina. Negli ultimi mesi il governo di Volodymyr Zelensky ha approvato una serie di leggi che limitano l'utilizzo della lingua e dei media russi e che, di conseguenza, riducono ulteriormente la possibilità che il Donbass russofono venga in futuro reintegrato dall'Ucraina in linea con le condizioni di Mosca inserite nel protocollo di Minsk (al momento l'unico accordo, negoziato da Francia e Germania, a cui è appeso formalmente il destino della regione). In tale contesto, in Russia si discute in queste settimane l'idea di riconoscere le due entità separatiste di Donetsk e Lugansk, cosa che affosseranno definitivamente l'accordo.

Guardando ai principali alleati Usa, questi ultimi si collocano alle prime posizioni del mondo in termini di PIL pro capite e ricchezza. Lo stesso non può dirsi per le repubbliche ex sovietiche, vessate da corruzione e clientelismo. Forse uno degli esempi più lampanti dell’insuccesso sovietico è la Germania Est. A seguito della caduta del muro di Berlino, la Germania impiegò diversi anni e una quantità considerevole di risorse per ammodernare la parte del Paese che fu in mani sovietiche, con un processo che continua tuttora. Difficile imputare tutto questo alle trame politiche occidentali. L'impressione è che l'orso russo abbia perso terreno sull’occidente e che tenti di attribuire le conseguenze dei suoi errori in campo politico ed economico agli Stati Uniti e ai loro alleati europei.

Le proteste in Ucraina cominciano nel novembre 2013, quando il Presidente dell’epoca, Viktor Yanukovych, sospende i preparativi per l'implementazione di un accordo economico con l'Unione europea avallato da tutti i partiti eccetto il partito comunista, accettando al contempo un'offerta di aiuto economico proposta da Putin. Proteste filo-europee (“Euromaidan”) esplodono a Kiev e si estendono a diverse altre città ucraine, con l'obiettivo di ottenere le dimissioni del Presidente e indire nuove elezioni. Yanukovich, dopo diversi tentativi di reprimere le proteste, è spinto a firmare un accordo con i dissidenti per porre fine alla crisi poco prima di lasciare l'incarico nel febbraio 2014.

Mentre un nuovo parlamento filo-europeo si stabilisce a Kiev, in Crimea uomini armati prendono il controllo degli edifici pubblici, instaurando un autoproclamato governo filorusso. Il 18 marzo del 2014, a soli due giorni da un referendum per l'indipendenza della Crimea dall'Ucraina proposto dal governo filorusso (e considerato illegale dall’OCSE), la Russia annette la Crimea.

Sulla scia delle istituzioni politiche, hanno da subito criticato la politica estera del Cremlino: l’annessione della Crimea è avvenuta unilateralmente, senza una formale dichiarazione di guerra all’Ucraina. Inoltre, Putin avrebbe approfittato della caduta del Governo e della confusione nel Paese per impossessarsi del prezioso avamposto militare (la penisola ospita uno dei maggiori contingenti militari russi al di fuori del proprio Paese, nonché un avamposto si notevole rilevanza militare sul mar Nero). La campagna mediatica internazionale contro il gesto russo continua tuttora: a titolo di esempio citiamo un recente articolo del “The Economist” dedicato alla vittoria del famoso festival Eurovision da parte di una cantante Tartara proveniente dalla Crimea, contraria all’annessione.

D'altra parte la repentina mossa del Cremlino trova poche scusanti nell'opinione pubblica europea: il Paese più vasto del mondo è visto come una potenza militare aggressiva che costringe i propri vicini a stipulare patti di dubbio valore economico, punendo chi si oppone con brutali azioni militari. In termini di diritto internazionale, l'annessione della Crimea alla Russia è un atto illegale: al diritto all'autodeterminazione dei popoli invocato da Putin per giustificare l'annessione è subordinata l'integrità territoriale dello Stato in questione, l’Ucraina. Eccezioni come il Kosovo (spesso citato da Putin) sono avvenute in seguito ad interventi del Governo centrale mirati a penalizzare la popolazione di una determinata regione o cultura. Nel caso del Paese ex jugoslavo, per esempio, Belgrado abolì unilateralmente l’autonomia del Kosovo garantita dalla Costituzione.

Intanto Londra annuncia il ritiro del suo personale dall'ambasciata di Kiev per la "minaccia crescente" della Russia nei confronti dell'Ucraina. Lo fa sapere il Foreign Office, a poche ore dall'ordine impartito dagli Stati Uniti di evacuare dall'Ucraina i familiari dei diplomatici Usa, aggiungendo che però l'ambasciata britannica resta aperta per il disbrigo degli affari essenziali. "Alcuni membri del personale dell''ambasciata" e i loro familiari "si stanno allontanando da Kiev in risposta alla minaccia crescente della Russia", si legge nella nota.

"Sulle sanzioni vogliamo agire in forte coordinamento con i nostri partner: gli Usa, il Canada e il Regno Unito. Al momento stiamo continuando a costruire un forte pacchetto di sanzioni, ma nulla di concreto verrà approvato oggi", spiega ancora Borrell. "C'è un processo, il processo è in corso, sarà tutto pronto quando necessario, ma oggi non annunceremo nulla", aggiunge.

Intanto, il sindaco di Kiev, Vitali Klitschko, accusa la Germania di "tradimento" e "omissione di soccorso", in un duro intervento pubblicato in esclusiva dalla Bild di oggi, a causa della mancata consegna di armi all'Ucraina da parte di Berlino. "Questa è omissione di soccorso e tradimento degli amici, in una situazione drammatica, nella quale il nostro Paese viene minacciato dalle truppe russe su diversi confini", afferma. "Molti si pongono la domanda: con chi sta il governo tedesco? Dalla parte della libertà e dunque dell'Ucraina, o dalla parte dell'aggressore?". "Adesso serve un chiaro segnale dal paese più importante d'Europa", aggiunge.

Fonti :  caffè geopolitico / huffpost / ansa

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