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Al G7 siamo i poveri al tavolo dei ricchi, i salari lordi di tutti i paesi presenti sono molto superiori ai nostri. Ma in Italia il vero costo è quello di una classe imprenditoriale e politica incapace di competere senza paghe di fame e che accampa scuse attaccando i sussidi.
G7, l’Italia con gli stipendi più bassi d’Europa
Chissà se Draghi al G7 si è vergognato di rappresentare il paese con il più basso salario medio (lordo!)del G7 e dei paesi che hanno l’Euro.
Canada 55000 Us 50000 Germania 44000 Francia 40000
Gran Bretagna 39000 Giappone 37000 Eurozona 37000
Italia 29000 (netto 21000)
Non credo proprio, a lui interessano le armi e i profitti, e su quello siamo alla pari degli altri, anzi facciamo i primi della classe.
La vergogna sociale italiana, scrive Giorgio Cremaschi, su kulturam  è tutta in queste cifre, siamo i poveri al tavolo dei ricchi.Se guardiamo alla Germania un lavoratore del nostro paese prende 15000 euro all’anno in meno e lavora 300 ore in più.

Da noi il salario medio netto, cioè quello che serve per mangiare, è di 21000 euro all’anno e più di 5 milioni di lavoratrici e lavoratori prendono meno di 10000 euro all’anno.

In Italia i salari sono bassi perché produciamo poca ricchezza. Tutti i lavoratori italiani sono pagati mediamente meno dei loro corrispettivi nelle altre economie avanzate europee. Ci sono medici che da noi vengono sfruttati con guardie e gavetta malpagata mentre a 3/400 chilometri verso Nord sono assunti con uno stipendio che gli consente subito di vivere dignitosamente. Ingegneri cui offrono uno stage a 700 euro che oltre Manica vengono assunti con un pacchetto poco sotto i 50.000 (cinquantamila) euro, stock option incluse. 

Molti italiani si accontentano. Poi arriva la ragazza napoletana che rifiuta un lavoro full time a 280 euro e scoppia il caso, che politici e commentatori non colgono, o fanno finta, puntando il dito alla soluzione semplice che non risolve: aumentare per legge il salario. Non funzionerebbe, ma produrrebbe effetti: portare voti e magari spostare un certo numero di contratti fuori dalla legalità. Il legislatore deve accettare, una volta e per tutte, che non può creare posti di lavoro e retribuzioni. Può solo, anzi deve, creare le condizioni in cui l'impresa voglia e possa produrre ricchezza per la quale serve manodopera qualificata. Finché ci saranno meno lavori che lavoratori, questi saranno sempre pagati il minimo sindacale e ci sarà sempre, in fondo alla fila, chi propone e chi accetta condizioni peggiori. Si dovrebbe andare presso quel negoziante che aveva fatto la proposta alla ragazza di Napoli, per scoprire se magari qualcuno che aveva più bisogno non abbia accettato.

Quella è la vera tragedia, perché trasuda povertà. Poi, invece di consolarci che sia stata la cattiveria a spingere il datore a offrire quel compenso umiliante, per lui oltre che per la ragazza, dovremmo approfondire. Chiederci perché uno arriva a offrire tanto poco e perché alla fine qualcuno che accetta lo trova. Scopriremo sì che c'è disperato bisogno di guadagnare, per poco che sia, ma scopriremo pure che quell'attività produce poco reddito, perché la sua clientela spende poco e paga meno. Senza andare fuori dai confini, tutti sappiamo che un'attività qualsiasi, dal bar all'avvocatura, a Milano produce più ricchezza che a Messina. 

 

Fonti il giornale e g.cremaschi

La notizia politica della settimana è senza dubbio la scissione del Movimento 5 Stelle, con Luigi Di Maio che ha scelto di uscire dal partito (di cui fu anche capo politico, dal 2017 al 2020) e porta con sé oltre 60 parlamentari tra Camera e Senato.

Secondo l'agenzia Agi,c’è da scommettere che nei prossimi giorni, e per diverse settimane, vedremo molti sondaggisti impegnati a misurare l’impatto di questa scissione sull’opinione pubblica, fornendo una stima del potenziale elettorale di “Insieme per il futuro” (questo il nome che Di Maio ha dato alla sua nuova “creatura”).

Per ora, ancora nessun sondaggio è stato pubblicato, e verosimilmente inizieremo ad avere le prime stime entro la prossima settimana. Ma quello che già possiamo vedere, e che la Supermedia di oggi ci conferma, è quanto sia profonda la crisi del M5S. Primo partito – e di gran lunga – come sottolinea Agi, alle elezioni politiche del 4 marzo 2018, quasi dimezzato già poco più di un anno dopo, in occasione delle elezioni europee (17,1%). Da quel momento, il M5S non è più riuscito a risollevarsi, nonostante l’elezione, come suo capo politico, dell’ex premier Giuseppe Conte (uno dei leader politici più apprezzati dagli italiani), poco più di un anno fa. Anzi, da qualche mese il M5S ha intrapreso un’ulteriore china discendente, che lo ha portato oggi al dato peggiore registrato in questa legislatura: 12,3%

Fratelli d’Italia e Partito Democratico continuano a guidare la classifica, separati da circa un punto, con il partito di Giorgia Meloni che fa segnare un nuovo record (l’ennesimo) salendo al 22,6%. Rispetto a un mese fa – secondo l'Agi, ossia all’ultima Supermedia prima del divieto previsto dalla legge in vista delle elezioni amministrative – anche la Lega conferma il suo momento difficile (eufemismo) perdendo esattamente un punto. Sulla scia dei buoni risultati elettorali in alcuni importanti comuni, crescono anche Azione (4,8%) e Italia Viva (2,8%).

La scissione di Di Maio,come sottolinea Agi,apre nuove prospettive anche per ciò che riguarda gli equilibri di coalizione. In attesa di scoprire (o quantomeno di ipotizzare, attraverso i sondaggi) il peso elettorale di “Insieme per il futuro”, infatti, è opportuno fare il punto sui rapporti di forza attuali. Finché la legge elettorale resta quella attuale (il Rosatellum) le coalizioni continueranno ad essere una strada obbligata per massimizzare il risultato. Al momento, il centrodestra resta tuttora – e di molto – la prima coalizione, quantomeno sulla carta, con oltre il 47% dei consensi. Non sembra verosimile che il perimetro del centrodestra (FDI, Lega e Forza Italia, più altri soggetti minori) possa cambiare da qui alle elezioni. D’altro canto, il centrosinistra, ad oggi, non sarebbe competitivo se rinunciasse del tutto ad un’alleanza con il M5S: anche mettendo insieme le componenti “liberal” (Renzi, Calenda, Bonino) raccoglierebbe meno del 30% dei voti.

Ma il nucleo di quel “campo largo” per come lo intende il segretario del PD Enrico Letta è innanzitutto quella componente giallo-rossa (compreso, quindi, il M5S) che oggi fa parte del Governo Draghi e che varrebbe, però, solo il 35,5%. Anche in questo caso, una cifra non in grado di competere con il centrodestra.

Attenzione, però, a dire che i giochi sono ormai fatti. Da qui alle prossime politiche (a cui manca poco meno di un anno) tante cose potrebbero cambiare, magari già da domenica prossima con i ballottaggi. Il centrodestra parte da una posizione di vantaggio, dal momento che amministrava in ben 10 dei 13 capoluoghi al voto; ma se il centrosinistra dovesse portare a casa alcune vittorie simboliche clamorose (ad esempio Verona), magari riuscendo a ribaltare il risultato portando a casa più vittorie del centrodestra, il clima politico nel Paese potrebbe iniziare a cambiare. Senza perdere di vista l’altra grande incognita, anche questa in qualche modo influenzata dalla scissione di Di Maio: le mosse del “grande centro”, un elemento costante della politica nazionale. Lo sfarinamento del Movimento 5 Stelle – evidente nel grafico che confronta la consistenza dei gruppi parlamentari della Camera a inizio legislatura con quella di oggi – ci fa capire quanti siano diventati numerosi i deputati (e le sigle) a caccia di uno sbocco, per lanciare un nuovo progetto politico o – più prosaicamente – per cercare la riconferma nel prossimo Parlamento.

Per tutti questi motivi, i risultati dei ballottaggi di domenica e i sondaggi che scatteranno le prime istantanee del nuovo quadro politico saranno da monitorare con estrema attenzione.

La Supermedia YouTrend/Agi è una media ponderata dei sondaggi nazionali sulle intenzioni di voto. La ponderazione odierna, che include sondaggi realizzati dal 9 al 22 giugno, è stata effettuata il giorno 23 giugno sulla base della consistenza campionaria, della data di realizzazione e del metodo di raccolta dei dati. I sondaggi considerati sono stati realizzati dagli istituti EMG (14 giugno), Euromedia (14 giugno), Noto (13 giugno), Tecnè (19 giugno) e SWG (14 e 21 giugno).

Fonte Agi

"In totale, dodici Paesi membri sono stati colpiti dal taglio unilaterale delle forniture di gas dalla Russia e dieci Stati hanno diramato un avvertimento iniziale ai sensi delle regole sulla sicurezza dell'approvvigionamento di gas. Il rischio di una totale interruzione delle forniture di gas è oggi più reale che mai". Lo ha dichiarato il vice presidente della Commissione europea, Frans Timmermans, nel suo intervento al Parlamento europeo a Bruxelles. Tuttavia, "gli attuali livelli di riempimento delle forniture di gas è superiore al 50% della capacità totale, ben al di sopra dello scorso anno".

"È un momento decisivo per l'Unione europea. Sono fiducioso che oggi concederemo lo status di Paese candidato all'Ucraina e alla Moldavia e la prospettiva europea alla Georgia. Ma oggi abbiamo anche un importante incontro con i leader del Balcani perché c'è la concreta volontà politica di rivitalizzare il processo con i Balcani". Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha spiegato ai giornalisti quali saranno i punti fondamentali che verranno toccati al vertice Ue-Balcani a Bruxelles.

Durante il Consiglio europeo, quindi, "verrà seguita l'evoluzione in Bulgaria. C'e' la proposta francese per avviare i negoziati con l'Albania e la Macedonia del Nord, è priorità per noi e faremo tutto il possibile per raggiungere questo obiettivo

"La cosa più importante è lavorare tutti assieme e che i Paesi dei Balcani occidentali abbiano buone possibilita' di diventare membri a pieno titolo dell'Unione europea" perche' "hanno lavorato duramente affinche' cio' avvenga". Lo ha dichiarato il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, al suo arrivo al vertice Ue-Balcani occidentali

Intanto la Russia ha affermato che l'aumento dei prezzi dei cereali, che ha sollevato i timori di una crisi alimentare globale, è il risultato di azioni "distruttive" dell'Occidente, non del blocco delle esportazioni dall'Ucraina.

Per spiegare l'aumento dei prezzi dei cereali, per cui Mosca ha rimandato al mittente le accuse di bloccare l'export agricolo dell'Ucraina, la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha elencato alcune ragioni: "Errori sistematici dell'Occidente nella previsione delle sua politiche agricole; l'inflazione globale causata dai miopi meccanismi finanziari e monetari che l'Occidente ha usato durante la pandemia; la mal concepita transizione dei Paesi dell'Europa e del Nord America verso l'energia verde; le sanzioni illegittime che perturbano il funzionamento delle consuete catene merceologiche".

La portavoce della diplomazia russa ha poi concluso il suo post ricordando che sulla possibilità di una carestia, "gli esperti sono sempre più inclini a uno scenario pessimistico". "Di questo dovrebbero essere incolpati i regimi occidentali che agiscono da provocatori e distruttori", ha denunciato.

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha confermato che sono in corso "negoziati difficili" per sbloccare i porti ucraini e alleviare così la crisi alimentare che ha conseguenze gravi in tutto il mondo. Per il leader di Kiev, l'Africa è "ostaggio" dell'invasione russa dell'Ucraina che ha contraccolpi sulle esportazioni di grano e l'impennata dei prezzi.

Intanto quella che ieri ha lanciato Putin è una minaccia seria per ciò che sottintende, ma non facilmente realizzabile. Ha detto che i Paesi Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) dovrebbero «fondere» le loro monete e farne uscire una nuova che le rappresenti. Essa sarebbe una valida e pericolosa alternativa al dollaro. Un Ecu (il genitore dell'Euro) il cui valore è pari a quanto valgono, con diversi pesi ovviamente, le monete che lo compongono.

L'Europa ci ha messo trent'anni a fare una moneta comune. E alcuni autorevoli economisti, come Milton Friedman, l'hanno criticata anche dopo la sua nascita. Troppo diversi gli Stati che la adottano, con storie, politiche economiche, tassi di interesse e di risparmio troppo diversi. E parlavamo dell'Europa. Pensate un po' voi come sia possibile mettere insieme Cina e India, o Russia e Sudafrica. Ma questo è il punto di vista tecnico.

La parte pericolosa della minaccia putiniana è, come detto, ciò che sottende. I cinque Paesi Brics rappresentano un quinto della ricchezza globale e più o meno la stessa quota di commercio internazionale. Sono dunque un club più ricco di quello dell'euro, nonostante quest'ultimo sia fatto da ventisette nazioni. Hanno, soprattutto in campo agricolo e nelle materie prime, una posizione di leadership oligopolista nel mondo. Non hanno una grande storia comune, ma sotto alle loro stelle vivono tre miliardi di esseri umani: poco meno della metà della popolazione mondiale. Mentre il vecchio continente si sta spopolando.

Insomma se i Brics, più che sulla moneta unica, si mettessero davvero d'accordo coordinando in qualche modo le loro economie e commerci, rappresenterebbero un blocco di giganti rispetto ai nani europei. È questo il messaggio che sottintende Putin quando parla di moneta unica. E per di più lo fa prendendo a suo punto di riferimento il biglietto americano: quello europeo neanche lo considera.

 

 

Fonte Agi / Il Giornale

Lo spostamento dell'ambasciata Usa in Ucraina da Kiev a Leopoli imprime la retromarcia a una giornata che è stata caratterizzata da spiragli diplomatici positivi sul tracciato di una de-escalation.

La decisione prudenziale di muovere la sede diplomatica è coincisa con la dichiarazione del segretario di Stato, Antony Blinken, di una "drammatica accelerazione nell'ammassarsi delle forze russe" al confine, ribadita dal Pentagono e dal portavoce del Dipartimento di Stato, Ned Price, secondo cui non vi sono segnali di de-escalation militare sul fronte russo. E Washington ribadisce che una invasione sarebbe possibile "in qualsiasi momento".

Eppure, lo stesso Blinken ha sottolineato che gli sforzi per una soluzione diplomatica da parte americana continuano, come è stato ribadito anche al termine della telefonata tra il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, e il premier britannico Boris Johnson. Per entrambi, c'è ancora "spazio per la diplomazia".

Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha assicurato che il presidente russo Vladimir Putin è "disposto a negoziare" e aggiunto che la crisi ucraina è solo una parte delle più ampie preoccupazioni relative alla sicurezza che nutre la Russia. "Il presidente Putin ha sempre chiesto negoziati e diplomazia", ha detto Peskov alla Cnn. "E l'Ucraina è solo una parte del problema, è una parte del più grande problema delle garanzie di sicurezza per la Russia e ovviamente il presidente Putin è disposto a negoziare".

Il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha detto a Putin di aver visto una "possibilità" di dialogo diplomatico con l'Occidente sulle preoccupazioni per la sicurezza della Russia e aveva raccomando che tali sforzi continuino. 

Intanto la Russia ha chiesto alla Lituania di revocare immediatamente il blocco del transito di beni soggetti a sanzioni Ue verso l'exclave baltica di Kaliningrad, altrimenti sarà costretta a "contromisure". Vilnius ha replicato che non si tratta di una decisione unilaterale bensì dell'applicazione delle nuove sanzioni decise dall'Unione Europa in seguito all'invasione dell'Ucraina. Da sabato scorso non possono quindi essere più trasportati su rotaia dal resto della Federazione all'ex territorio tedesco - rimasto isolato dal resto della Russia dopo il crollo dell'Urss - acciaio, carbone, materiali da costruzione e tecnologie avanzate come i semiconduttori di ultima generazione.

"Conformemente alle sanzioni Ue ci sono restrizioni a importazioni ed esportazioni in relazione ad alcune merci, inclusa la proibizione del transito di quei beni nel territorio Ue. E la Lituania non fa altro che attuare le linee guida previste dalla Commissione", ha poi spiegato in conferenza stampa l'Alto rappresentante dell'Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, "ma verificheremo ancora gli aspetti legali per assicurarci di essere in piena osservanza delle regole". 

Il blocco copre così tra il 40% e il 50% dei beni che Kaliningrad scambia con la Russia attraverso la Lituania, ha spiegato Anton Alikhanov, governatore dell'Oblast. Alikhanov ha invitato la popolazione a non precipitarsi a svuotare gli scaffali e ha spiegato che i prodotti colpiti dalle restrizioni arriveranno via mare, sia pure in modo più lento e costoso.

Di "decisione illegale" e "senza precedenti" ha parlato il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov. "La situazione è più che seria e richiede una profonda analisi prima che venga adottata qualsiasi misura o presa qualsiasi decisione", ha affermato Peskov.

Una minaccia da non prendere sottogamba. Se Mosca decidesse di passare alle maniere forti e chiudere il corridoio di Suwalki, una striscia di 80 chilometri tra Polonia e Lituania che separa Kaliningrad dalla Bielorussia, le tre nazioni baltiche si troverebbero isolate. E le forze armate di Mosca e Minsk si esercitano da tempo per una simile eventualità.

Dopo aver convocato l'incaricata d'affari lituana ad interim a Mosca, Virginia Umbrasene, il ministero degli Esteri russo ha definito "apertamente ostili" le azioni di Vilnius e ha chiesto "l'immediata cancellazione di queste restrizioni".

"A meno che il transito commerciale tra la regione di Kaliningrad e il resto del territorio della Russia non venga pienamente ripristinato nel prossimo futuro, la Russia si riserva il diritto di agire in difesa degli interessi nazionali", aggiunge la nota, che accusa la Lituania di aver violato i suoi "obblighi legali internazionali", a partire dalla "dichiarazione congiunta del 2002 della Federazione Russa e dell'Unione Europea sul transito tra la regione di Kaliningrad e il resto del territorio russo".

Toni molto più duri sono stati utilizzati da Andrej Klimov, vicepresidente della Commissione Esteri del Consiglio federale, la Camera alta russa, che ha evocato in modo esplicito il rischio di un conflitto armato. Secondo il senatore russo, quello di Vilnius è un "comportamento inaccettabile" che "mette in pericolo l'intero blocco politico-militare" della Nato e che, in assenza di una marcia indietro, "scioglierà le mani" di Mosca perché risolva il problema "con ogni mezzo".

L'Alleanza Atlantica, prosegue Klimov su Telegram, ""de jure avvia un blocco inaccettabile di un'entità costituente della Federazione Russa attraverso le mani di uno dei suoi paesi membri" e "quest'ultima può essere valutata come un'aggressione diretta contro la Russia, costringendoci letteralmente a ricorrere con urgenza a un'adeguata autodifesa".

Il ministro degli Esteri lituano, Gabrielius Landsbergis, al suo arrivo al Consiglio Affari esteri ha, da parte sua, accusato la Russia di mentire e ha specificato che il parziale blocco non è un'azione unilaterale bensì l'applicazione di un capitolo delle sanzioni Ue che entrava in vigore il 17 gennaio. Di fatto, non è impedito il transito di merci dalla Russia a Kaliningrad ma solo il trasporto dei beni di cui è ora vietata l'esportazione dall'Unione Europea alla Russia. Da Mosca obiettano però che i flussi sono diretti dalla Russia alla Russia. Una questione di non immediata interpretazione, tanto che sabato scorso il viceministro degli Esteri lituano, Mantas Adomenas, aveva affermato - a bando già attivo - di essere in attesa di "chiarimenti dalla Commissione Europea sull'applicazione delle sanzioni europee al transito commerciale verso Kaliningrad.

"Il trasporto di passeggeri e merci non soggetti al regime di sanzioni Ue da e per la regione di Kaliningrad prosegue attraverso il territorio della Lituania. La Lituania non ha imposto restrizioni unilaterali, individuali o aggiuntive a questo transito", ha poi puntualizzato una nota del ministero degli Esteri del Paese baltico, "la Lituania sta attuando in modo coerente le sanzioni dell'Ue.

"Quando c'è il voto sulle sanzioni nei confronti della Federazione russa, l'Italia può imporre un veto". Lo ha detto Maria Zakharova, la portavoce del ministero degli Esteri russo, che intervistata su 'Quarta Repubblica', su Rete 4 ha risposto alla domanda su cosa possa fare l'Italia nell'attuale crisi.


"L'Italia è membro della Nato, ha una voce, un voto e tutti i membri della Nato hanno pari valore: l'Italia ha un voto che pesa quanto quello degli altri. A un certo punto potete dire 'basta, smettetela'. Perché voi volete la pace, volete il gas, volete investimenti reciproci, volete che i turisti russi vengano in Italia".

 

Fonte Agi

 

''Non nascondo la mia soddisfazione... Il centrodestra esce vittorioso al primo turno e Fdi cresce ovunque con dati molto significativi, il fatto che siamo la forza traino è un'indicazione della chiarezza delle posizioni. Agitare l'uomo nero non funziona più...''. 

A fine serata, Giorgia Meloni si presenta nella sala stampa di via della Scrofa per un primo commento al voto amministrativo, che vede il centrodestra vincente al primo turno a Palermo, Genova e l'Aquila. Appare raggiante ed emozionata, perché il sorpasso sulla Lega salviniana è realtà.

Nel giorno del flop dei referendum sulla giustizia e della Caporetto del Carroccio, che precipita dappertutto, anche nelle roccaforti al Nord, a cominciare da Verona, la presidente di Fratelli d'Italia è infatti l'unica a gioire, consapevole che il risultato di oggi le fa compiere un altro passo avanti decisivo verso la leadership del centrodestra, al punto che in tanti scommettono sulla prossima resa dei conti interna.

Il commissario regionale di Fi in Sicilia, Gianfranco Miccichè, forte del 12 per cento azzurro a Palermo, veste i panni del guastafeste ribadendo il 'no' alla riconferma di Nello Musumeci, ma lei prima invita tutti a ''non fare polemiche proprio oggi che dalle urne è arrivata un'indicazione importante per il futuro, un bicchiere quasi pieno'', poi scende sul piede di guerra: ''Ho letto delle dichiarazioni assolutamente fuori luogo, noi non diamo aut aut, ci aspettiamo che non li diano neanche gli altri...''.

La leader di via della Scrofa torna a porre i suoi 'paletti' a una coabitazione civile: no alla tentazione del proporzionale; "regole chiare che valgano per tutti''. Della serie: niente giochini sottobanco, ''queste elezioni sono un avviso ai naviganti: i cittadini vogliono un centrodestra non ondivago e chiaramente alternativo alla sinistra''. Da capo dell'opposizione Meloni non risparmia stilettate all'indirizzo dell'esecutivo Draghi e chiede a Lega-Fi di staccare la spina a 'Super Mario', visto che i 5 stelle, ''prima forza di governo in Parlamento'' ha subito ''un enorme calo di consensi, non raggiungendo la doppia cifra praticamente da nessuna parte''.

''M5S non esiste più nella Nazione", avverte,''occorre fare una riflessione: il voto amministrativo ci interroga, lo dico agli alleati, se bisogna ancora tenere in piedi Draghi...". Un concetto ribadito con maggior forza poco dopo: ''Se chiedo a Berlusconi e Salvini di lasciare il governo? Io non pongo le questioni così, ho detto quello che volevo dire e gli altri faranno le loro valutazioni, fossi in loro lo farei...''.

Cosi Il primo turno delle comunali 2022 assegna due verdetti: Fratelli d'Italia è costantemente il primo partito del centrodestra anche nel nord Italia; il Movimento 5 Stelle, nei capoluoghi di provincia, è sempre sotto il 5% dei voti.

FdI supera la Lega a Genova (9,3 contro 6,8%), a L'Aquila (20,6 contro 12,5%), a Padova (8,3 contro 7,3%), a Verona (11,9 contro 6,6%), a Parma (7,6 contro 4,1%), a Como (12,7 contro 6,7%), a Monza (12 contro 7,9%), ad Alessandria (14,8 contro 10,5%), ad Asti (7,7 contro 5,6%), a Cuneo (6,1 contro 6%), a Belluno (10,4 contro 9,4%) a Gorizia (10,8 contro 8,3%), a La Spezia (9,7 contro 7,9%).

Il Movimento 5 Stelle ottiene il suo miglior risultato a Genova, città natale di Beppe Grillo (4,4%). A Taranto 4,2%, a Messina 4,1%, ad Alessandria 3,9%, ad Asti 3,4%. Malissimo a L'Aquila (0,7%) e Frosinone (1,3%). A

Guidonia, dove nel 2017 M5s ottenne il sindaco, i pentastellati scendono dal 20,6% al 4,6%.

Il Pd supera il 20% dei voti a Genova (21%), Padova (21,6%), Parma (24,2%).

Forza Italia va in doppia cifra a Monza (16,38%).

Il centrodestra è largamente in testa dopo il primo turno delle comunali 2022 per quanto riguarda i capoluoghi di provincia.

L'alleanza con FdI, Lega e FI strappa al centrosinistra il sindaco di Palermo (lo spoglio è ancora ai due terzi delle schede con Lagalla al 50,2%), alle liste civiche il sindaco di Belluno e conferma i sindaci di Genova, L'Aquila, Pistoia, La Spezia, Asti, Rieti e Oristano.

Il centrosinistra strappa al centrodestra il sindaco di Lodi e conferma al primo turno i sindaci di Padova e Taranto.
Le liste civiche (i risultati non sono ancora definitivi) confermano il sindaco di Messina.

il 26 giugno avremo un ballottaggio tra centrodestra e centrosinistra ad Alessandria, Monza, Verona, Gorizia, Piacenza, Frosinone, Como (nel capoluogo lariano una lista civica potrebbe andare al ballottaggio al posto del centrodestra), Catanzaro, Cuneo, Lucca, Barletta e Parma. A Viterbo il ballottaggio sarà tra civiche e centrosinistra.

Nelle precedenti elezioni comunali il centrodestra vinse in 17 capoluoghi: Alessandria, Asti, Como, Lodi, Monza, Verona, Gorizia, La Spezia, Piacenza, Pistoia, Frosinone, Rieti, Vierbo, L'Aquila, Catanzaro e Oristano.
Il centrosinistra vinse in 5 capoluoghi: Cuneo, Padova, Lucca, Taranto e Palermo.

Le liste civiche vinsero in 4 capoluoghi: Barletta, Parma, Messina e Belluno.

Dopo il flop sui quesiti sulla giustizia, la politica chiede di rivedere l'istituto del referendum. I dati sull'affluenza parlano chiaro: solo due elettori su dieci hanno deciso di partecipare alla consultazione. Il 20,9% degli aventi diritto, per dirla con i dati del Viminale.

Molto meno del 50% più uno prescritto dalla Costituzione. Il risultato peggiore della storia repubblicana. Diverse le proposte in campo che i politici dei vari schieramenti tornano oggi a ribadire. Riccardo Magi, parlamentare di +Europa, chiede di modificare il quorum e di "ridefinire i poteri della Corte Costituzionale nel giudizio di ammissibilità" dei quesiti. "Una soluzione - dice a Repubblica - potrebbe essere quella di legare la validità del referendum al 25% dei favorevoli, cioè dei Si' all'abrogazione: in questo modo anche chi è per il No, sarebbe incentivato a recarsi a votare".

Se non si interverrà in questo senso, avverte, "vincerà sempre il partito del non voto". Benedetto della Vedova, segretario di +Europa, condivide il pensiero del collega di partito. "Dobbiamo capire se lasciare il quorum al 50%, che è grosso modo la partecipazione al voto in molti Comuni, abbia ancora un senso. Se vogliamo che il referendum possa avere prospettive come strumento di democrazia, dobbiamo discutere anche di questo".

Tra chi chiede una modifica del numero legale c'è anche il leader della Lega: "Una riflessione va fatta, perchè se si va avanti di questo passo nessun referendum raggiungerà il quorum", afferma Matteo Salvini, mentre Mario Segni spiega a La Stampa: "Bisogna avere il coraggio di ammettere che un altro tassello del nostro sistema costituzionale è saltato, credo definitivamente. Se non si riforma il quorum, lo strumento referendario è praticamente morto". Un istituto, ricorda, "importantissimo per la democrazia che ha permesso di decidere temi come il divorzio e la legge elettorale".

Per Andrea Cangini, senatore di Forza Italia, è necessario "salvare l'istituto referendario, ormai inconciliabile con il crollo generalizzato delle passioni civili e delle affluenze elettorali: eliminiamo il quorum e prevediamo che la Corte costituzionale si esprima prima e non dopo la raccolta delle firme", afferma. Anche per Loredana de Petris, capogruppo di Leu a Palazzo Madama, l'esito del voto di ieri impone un ripensamento dell'istituto referendario, "che è prezioso e deve essere salvaguardato", e "pone un problema serio sul quorum. Non è possibile - sottolinea - che i No possano avvalersi dell'astensione come se fosse un voto a favore della loro posizione. Il quorum deve quindi essere modificato e il referendum deve essere considerato valido se vota la metà più uno degli elettori che avevano votato nelle precedenti elezioni politiche", suggerisce.

Di segno opposto il parere del Movimento 5 stelle. Maria Edera Spadoni, vice presidente della Camera, esclude una "crisi dei referendum e della democrazia diretta: siamo di fronte alla crisi di una politica più attenta a tutelare sè stessa che a dare risposte ai bisogni reali delle persone", dice e ricorda che nel 2011, " temi che evidentemente stavano davvero a cuore delle persone, non ci furono problemi di quorum. Se si fossero trattati temi quali il salario minimo, la cannabis legale, il ddl Zan, l'eutanasia, certamente l'affluenza sarebbe stata molto più ampia", conclude.

 

Fonte Agi

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