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Sabato, 06 Luglio 2024

Dopo due giorni dall'inizio delle operazioni di sgombero, dalla "giungla" di Calais sono usciti già in 4.000, un risultato insperato. Ma adesso viene il difficile. Oltre al ricollocamento nei centri di accoglienza su tutto il territorio francese, ci sono i "duri", forse un migliaio, che ancora non accennano a lasciare il campo. Intanto, sono entrati nella bidonville in smantellamento i servizi di ripulitura, per togliere tutto quello che resta di tende, baracche, bivacchi, bagagli e rifiuti, mentre dalla scorsa notte sono scoppiati diversi incendi nella zona dove si trovano i ristoranti.

Le operazioni per lo sgombero di quella che da molti è stata definita "vergogna d'Europa" dureranno almeno una settimana e della bidonville non dovrà rimanere nulla. "In totale 4.014 persone sono state 'messe al riparo' in due giorni", ha annunciato ieri sera in un comunicato il ministero dell'Interno transalpino. Una trentina sono arrivati a Marsiglia, nuovo centro d'accoglienza dove non piove come a Calais, ci sono letti e docce. Cinquanta sono sbarcati dal bus in Gironda, la regione di Bordeaux, ed hanno preso posto nei bungalow allestiti attorno al castello di un vecchio liceo.

In genere, sono state facilitate le scelte di gruppi etnici di rimanere insieme, 30 sudanesi sono andati nella Charente-Maritime, nelle Lande oltre 80 etiopi, e così via. Nel comunicato di ieri, gli Interni annunciano anche che 1.000 minorenni senza genitori sono stati messi "in sicurezza", mentre 217 che si trovavano a Calais e per i quali sono stati appurati i legami familiari con persone residenti in Gran Bretagna sono già dal 17 ottobre nel Regno Unito.

Ed è proprio da Londra che arrivano le preoccupazioni più forti in queste ore, con i britannici sempre più convinti che i migranti non rinunceranno mai al loro proposito di recarsi Oltremanica. E' l'opinione del Daily Mail, al quale diversi abitanti della "giungla" hanno detto che avrebbero "moltiplicato gli sforzi per attraversare la Manica con qualsiasi mezzo". "Nonostante tutti gli sforzi delle autorità - commenta il Guardian - non c'è alcuna garanzia che non si formerà un altro campo nella regione".

Purtroppo dagli incedi hanno fatto esplodere almeno due bombole a gas e un siriano è rimasto leggermente ferito al timpano. I primi fuochi sono cominciati in prima serata ma tra mezzanotte e le 3 si sono intensificati. Sulle reti all news si parla di almeno una trentina di tentativi di incendio. Poi la situazione è tornata sotto controllo e si è fatta acora pericolosa nella tarda mattinata. 

Le immagini diffuse in diretta dai canali all news francesi sono impressionanti e mostrano fiamme e fumo, ma la prefettura si mostra rassicurante. Secondo le autorità transalpine gli incendi volontari rientrano nel quadro di una tradizione dei migranti. Il fuoco sarebbe infatti un modo per "dire addio" alle loro capanne. "E' il segno che se ne vogliono andare per davvero", commenta un giornalista sul posto. 

Didier Leschi, direttore generale dell'ufficio francese per l'immigrazione e l'integrazione, intervistato in diretta da BFM-TV ha invece lanciato l'allarme: "Quello che sta succedendo è preoccupante", qualcosa di "molto più serio" di quanto si pensi", ha spiegato aggiungendo che "i pompieri stanno intervenendo per domare il fuoco che può essere pericoloso".

Intanto, si assottiglia la pattuglia di quelli che dal campo non sono ancora usciti, e fra questi ce ne sono forse un migliaio che vengono considerati "irriducibili" e rifuggono dall'esodo spontaneo. Ieri pomeriggio, una cinquantina di donne hanno manifestato rumorosamente chiedendo di poter "lasciare la giungla" ma per "andare in Inghilterra".

Fino ad ieri la situazione generale si era mantenuta tranquilla, l'arrivo dei temuti "no borders" non c'è stato e tutto si è svolto con ordine. Ma c'è un nocciolo duro che non uscirà volontariamente dalla bidonville.

 

Lesbo torna a bruciare. Centinaia di immigrati, la maggior parte pachistani e bengalesi, hanno attaccato il centro di accoglienza dell'Unione europea a Moria dove sono stati accesi dei fuochi per protestare contro la lentezza delle procedure per esaminare le richieste di asilo. 

Decine di migranti hanno attaccato e dato fuoco ad una struttura Ue che gestisce le domande di asilo sull'isola greca di Lesbo. La rabbia è esplosa durante una protesta per i ritardi con cui vengono gestite le domande di asilo. La polizia ha detto che circa 70 persone, in maggioranza pakistani e bengalesi, hanno prima lanciato pietre e poi hanno appiccato il fuoco a parte della struttura del campo Moria.

Nessuno è rimasto ferito ma tre prefabbricati sono seriamente danneggiati. Ventidue migranti sono stati arrestati.

Nei giorni scorsi il governo greco ha adottato un documento nel quale si sottolinea la necessità di far calare il numero dei rifugiati presenti a Lesbo. Lo scorso 8 ottobre i funzionari ellenici, riunitisi ad Atene per discutere della crisi migratoria e di come gestire le migliaia di immigrati giunti sull'isola di Lesbo, hanno concordato che le strutture in loco vanno ristrutturate, diminuendo il numero degli stranieri ospitati e velocizzando le procedure di asilo.

La municipalità di Moria, sull'isola di Lesbo, riceverà finanziamenti come ricompensa per i danni subiti dalla presenza di rifugiati nell'area. Verrà inoltre costantemente monitorato il flusso di migranti in arrivo dalle coste turche. Attualmente, le strutture di Lesbo ospitano quasi 6mila immigrati, sebbene il limite massimo stabilito dovrebbe essere di 3.500 persone, in base alle disposizioni del governo ellenico.

Il quotidiano Le Figaro scrive che 1.250 poliziotti sono stati mobilitati per garantire la sicurezza durante l'evacuazione, che secondo le previsioni dovrebbe durare una settimana. I residenti dei comuni che dovranno accoglierli - Allex, Saint-Denis-de Cabanne, San Brevin, sono quelli citati dal giornale - hanno protestato in tutto il Paese contro il loro arrivo. Ma non tutti vogliono rimanere in Francia. Come Ehsan, un afgano di 20 anni, scrive la corrispondente del Guardian, che sta per partire per l'Italia.

A Lesbo decine di migranti hanno attaccato e dato fuoco ad una struttura Ue che gestisce le domande di asilo sull'isola greca. La rabbia è esplosa durante una protesta per i ritardi con cui vengono gestite le domande. La polizia ha detto che circa 70 persone, in maggioranza pakistani e bengalesi, hanno prima lanciato pietre e poi hanno appiccato il fuoco a parte della struttura del campo Moria. 

Dalla Grecia alla Francia e l Italia e in "lotta continua" frasi di altri tempi con il problema immigrazione selvaggia, con il trasferimento di un gran parte di persone provenienti dalla Syria Iraq Pakistan Afganistan e medio oriente al territorio Europeo..

E mentre a Lesbo attaccano i uffici UE, in Italia stanno arrivando circa 4292 migranti che giungeranno oggi in diversi porti italiani dopo i salvataggi tra le coste del Nordafrica e quelle siciliane. Il mercantile Tanker Okyroe giungerà ad Augusta, con 758 persone; la nave Siem Pilot, con 1.117 migranti e 17 salme è giunta a Palermo; la nave Dignity I, con 552 persone e una salma arriverà a Trapani; la nave Werra giungerà con 857 migranti a Messina; la nave Corsi con 358 migranti arriverà a Crotone; la nave Beckett con 650 migranti giungerà a Pozzallo. a nave Aquarius giungerà domani a Taranto con 520 migranti. Nel canale di Sicilia in attesa di altri salvataggi restano la nave Dattilo che ha già a bordo 434 migranti, la nave Iuventa con 278 migranti a bordo, la nave Rio Segura con 117 persone raccolte davanti le coste libiche. 

L'Italia con i migranti "fa la sua parte in modo civile, ma naturalmente non lo possiamo fare da soli: deve essere molto chiaro che questo è anche un messaggio all'Europa", ha detto il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, all'aeroporto di Fiumicino dove ha accolto altri 75 profughi siriani giunti da Beirut grazie al progetto pilota dei 'corridoi umanitari'.

Intanto e' in corso dall'alba lo sgombero della 'Giungla' di Calais. Alle 6:15 circa sono giunti i primi autobus nell'insediamento nel nord della Francia dove vivono da 18 mesi fra i 6.400 e gli 8.300 migranti. "Tutto si sta svolgendo normalmente, in modo organizzato e metodico", ha detto il prefetto del Nord-Pas-de-Calais, Fabienne Buccio, intervistata da BFM-TV. Per ora, ha aggiunto la Buccio, sono partiti "17 pullman con 711 migranti a bordo. Altri tre bus stanno per partire".

Nessuno è rimasto ferito ma tre prefabbricati sono seriamente danneggiati. Ventidue migranti sono stati arrestati. Anche il centro di accoglienza e orientamento di Loubeyrat, nel dipartimento francese del Puy-de-Dome, destinato ad accogliere una parte dei migranti evacuati dalla tendopoli di Calais, è stato colpito questa notte da un tentativo di incendio doloso:. L'edificio era vuoto in quel momento e i pompieri sono intervenuti rapidamente

Mentre è in corso lo sgombero di oltre 6.000 persone dalla cosiddetta Giungla di Calais, Medici Senza Frontiere - che lavora nella Giumngla dall'inizio dell'emergenza - esprime preoccupazione per le persone più vulnerabili, i minori non accompagnati e quanti tenteranno ancora la traversata o vivranno in condizioni di precarietà nei prossimi mesi. "Lo smantellamento di Calais era inevitabile - afferma Loris De Filippi, presidente di Msf - non era pensabile in un paese come la Francia che migliaia di persone, tra cui centinaia di minori non accompagnati, venissero lasciate per anni a vivere in condizioni così indegne e pericolose. 

Ma lo sgombero non risolverà la situazione delle persone, di cui molte in fuga da conflitti e regimi autoritari, che cercano disperatamente di raggiungere l'Inghilterra per riunirsi alle proprie famiglie e che continueranno a tentare la traversata. E siamo preoccupati per tutte le persone che si costruiranno ripari di fortuna in altri siti nel nord della Francia, in una regione dove la temperatura invernale scende molto al di sotto dello zero". Una preoccupazione specifica riguarda i minori. Msf riporta un censimento dell'organizzazione francese Ftda del 12 ottobre, secondo il quale nel campo di Calais vi erano 1.291 minori non accompagnati, in media tra i 14 e i 18 anni (il più giovane 6 anni), che rimarranno a Calais finché non verrà accertata la loro situazione.

Intanto un altro problema della immigrazione selvaggia al nostro Paese : Su delega della Procura di Catania, la Polizia di Stato ha eseguito un'ordinanza cautelare nei confronti di 15 nigeriani accusati di avere gestito una tratta di giovanissime connazionali che avrebbero "reclutato, introdotto, trasportato e ospitato" in Italia per "costringerle ad esercitare la prostituzione". 

Sono indagati, a vario titolo, di associazione per delinquere, tratta di persone con l'aggravante della transnazionalità e di induzione e sfruttamento della prostituzione. Indagini della Squadra Mobile di Catania hanno evidenziato l'esistenza di più organizzazioni criminali - con basi in Nigeria, Libia, Catania, Campania ed in altre città del Nord Italia - che secondo l'accusa reclutavano in Nigeria giovani donne che, dopo essere state sottoposte a rito vudù ed avere contratto un debito, venivano trasferite dapprima in Libia, quindi condotte a bordo di imbarcazioni in Italia.

Il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan ha difeso la manovra: "Il dialogo continua. La Commissione non ha espresso nessun scetticismo. Stiamo seguendo una procedura che si svilupperà nei prossimi giorni, di valutazione puntuale e specifica delle varie misure. Non è una questione generale di atteggiamento scettico".

Ieri sarebbe scaduto il termine entro il quale il provvedimento sarebbe dovuto approdare in Parlamento. Un passaggio obbligatorio e anche l'occasione per conoscere il dettaglio delle misure, visto che per stessa ammissione del governo il testo aveva bisogno di limature. Correzioni di dettaglio secondo la versione ufficiale, modifiche necessarie a meno che non si voglia rischiare che il provvedimento sia respinto dalla Commissione europea secondo fonti del ministero. Possibile che la versione definitiva arrivi lunedì.

Il testo ieri era blindato nelle stanze di Palazzo Chigi. Da una parte il segno che il premier ha accentrato ancora tutto, compresa la stesura dei testi. Ma anche il segno che il governo intende recepire parte delle osservazioni che sono arrivate da Bruxelles. Possibile quindi che, alla fine, il deficit del 2017 sia al 2,2% e non al 2,3% come nella versione del Consiglio dei ministri e che qualche una tantum presente nella manovra sia trasformata in una voce in entrata stabile. Non l'aumento dell'Iva come vorrebbe la Commissione, ma una entrata a prova di bomba.

Qualche novità ieri è emersa a proposito del decreto fiscale, collegato alla legge di Bilancio. Confermato il tramonto degli studi di settore per alcune categorie a partire dal 2017, con una riforma che dovrebbe comunque andare a regime nel 2018. Al loro posto una sorta di pagella dei contribuenti. Si chiameranno «indici di fedeltà fiscale» e prevederanno meccanismi premiali. Chi rientrerà tra gli affidabili non avrà controlli e potrà avere rimborsi fiscali più veloci, ha spiegato il viceministro all'Economia Luigi Casero.

L'obiettivo è eliminare controlli sui contribuenti a meno che non ci siano sospetti fondati di frodi. Gli studi di settore saranno eliminati in particolare per quelle categorie che hanno ricavi non prevedibili. Ad esempio avvocati e altri professionisti che hanno picchi di lavoro in alcuni periodi e un calo in altri.

"Non c'è nessun condono: chi ha preso la multa la deve pagare. A chi dice che il governo sta facendo i condoni o aiutando gli evasori - ha evidenziato il premier - rispondo che ha fatto nel 2015 il miglior risultato negli ultimi sessant'anni: oltre 14 miliardi dalla lotta all'evasione. Dire che aiutiamo gli evasori è senza alcun riferimento alla realtà. Eliminiamo un meccanismo, quello di Equitalia, che era punitivo per il cittadino". Lo ha detto Matteo Renzi a Rtl 102.5: "Basta con Equitalia come 'killer' dei cittadini, deve essere un consulente".

"La legge di stabilità non cambia" - ha detto il premier - e "spetta alla Commissione dire" se c'è qualcosa che non va, perché l'Italia "non chiede la flessibilità" ma invoca "le circostanze eccezionali per terremoto e immigrazione". "Non abbiamo discusso di legge di bilancio -ha puntualizzato - ma voglio chiarire che non abbiamo chiesto la flessibilità, perché la flessibilità viene concessa una sola volta: abbiamo chiesto ai sensi delle clausole eccezionali dei trattati per il terremoto e l'immigrazione. Ove ci fossero dei dubbi toccherebbe all'Unione Europea cosa dire che non convince. Ma la sostanza delle misure della legge di stabilità non cambiano".

"Tutti gli anni arriva una lettera, c'è una discussione e tutti scrivete 'chissà se l'Italia ce la farà ad avere il via libera della Ue. Ma ricordo - ha detto Renzi - che il nostro deficit è poco sopra il 2 e in Francia è il 3".  "L'Italia - dice - sta facendo la manovra con il deficit più basso dal 2007. Vuol dire che è il deficit più basso di tutti i governi Berlusconi, Monti e Letta. Stiamo procedendo su una strada difficile per tenere insieme l'impegno per la crescita ma anche rispettando le regole".

In mattinata lo stesso concetto ribadito a Rtl 102.5. Sono pronte le osservazioni dell'Ue sulla manovra ? "Non ne abbiamo parlato. Però il tema non cambia assolutamente niente. Potranno scrivere, come si fa sempre - ha detto - una lettera per chiedere maggiori spiegazioni". "La legge di bilancio non si cambia: se l'Ue avrà osservazioni da fare ascolteremo ma questa manovra ha il deficit più basso degli ultimi dieci anni: gli sforzi li stiamo facendo e vogliamo dare un segnale ai cittadini non alle tecnocrazie di Bruxelles", aggiunge. 

"La sostanza della manovra non cambia. La manovra dà due miliardi in più alla sanità, e questi non sono né di destra né di sinistra. La manovra parla di questioni concrete - ha detto - e questo non cambierà per niente. E quante volte abbiamo parlato di Equitalia, non solo Equitalia, ma della filosofia che c'era dietro: ecco questo dal 2017 finalmente sparisce. Insomma la legge di bilancio c'è. Non si cambia".

Nell'intervista radiofonica non poteva mancare un riferimento al referendum del 4 dicembre: "I grandi professori del No hanno fatto ricorso anche al Tar del Lazio e anche al Tar del Lazio hanno perso", ha detto tronfio Renzi, "Adesso dobbiamo andare avanti e parlare del merito. Abbiamo il blocco del no, la coalizione del no, con D'Alema, Berlusconi, Fini, Cirino Pomicino, Lamberto Dini, Beppe Grillo". Ma il segretario Pd è costretto ad ammettere che effettivamente la pubblicita di Masai è un po' esagerata: "A questo non arrivo, mi autocontengo. Si contenga...", ha detto imitando la voce di Silvio Berlusconi, "Non me la sento nemmeno io, che pure ho la faccia tosta, di dire che i Masai voteranno Sì. Resta il dubbio di quello che fa Diaco coi Masai, io metto la mia distanza".

Un altro tema su cui Renzi prova a fare la voce grossa - senza grande successo, visto che è saltato pure il bilaterale con Juncker - in Europa. Come fa ancora su immigrazione e manovra: "La legge di bilancio non si cambia: se l'Ue avrà osservazioni da fare ascolteremo ma questa manovra ha il deficit più basso degli ultimi dieci anni: gli sforzi li stiamo facendo e vogliamo dare un segnale ai cittadini non alle tecnocrazie di Bruxelles".

Il premier a Rtl 102.5 ha parlato anche della risoluzione del Unesco sui luoghi santi del medio oriente  definendola una "vicenda allucinante, ho chiesto al ministro Esteri di vederci subito al mio ritorno a Roma. E' incomprensibile, inaccettabile e sbagliato. Ho chiesto espressamente ieri ai nostri di smetterla con queste posizioni. 

"Trovo la risoluzione dell'Unesco - che ha stabilito, con l'astensione dell'Italia, che  il Muro del pianto di Gerusalemme e "arabo" incomprensibile e sbagliata", ha detto il premier italiano a Rtl 102,5, sostenendo di aver convocato Paolo Gentiloni per esaminare la situazione: "È una vicenda che mi sembra allucinante. Ho chiesto al ministro Esteri di vederci subito al mio ritorno a Roma", ha spiegato da Bruxelles dove si trova per il Consiglio Ue, "Non si può continuare con queste mozioni, una volta all'Onu una volta all' Unesco, finalizzate ad attaccare Israele. Credo sia davvero allucinante e ho chiesto di smetterla con queste posizioni, e se c'è da rompere su questo l'Unità europea, che si rompa pure".

La risoluzione dell' Unesco sui luoghi santi del Medio Oriente «è una vicenda allucinante, ho chiesto al ministro Esteri di vederci subito al mio ritorno a Roma. È incomprensibile, inaccettabile e sbagliato. Ho chiesto espressamente ieri ai nostri di smetterla con queste posizioni. Non si può continuare con queste mozioni finalizzate ad attaccare Israele. Se c'è da rompere su questo l'unità europea che si rompa». Lo ha detto il premier Matteo Renzi a Rtl 102.5, commentando la decisione Unesco, con l'astensione dell'Italia.

«Storicamente su queste posizioni andiamo sempre insieme agli altri Paesi europei. Ma trovo la decisione Unesco sinceramente incomprensibile e sbagliata. Non si può continuare con queste mozioni, una volta all'Onu, una volta all' Unesco contro Israele. Sostenere che Gerusalemme e l'ebraismo non hanno una relazione è sostenere che il sole fa buio: una cosa incomprensibile, insostenibile e sbagliata. Ho espressamente chiesto ai diplomatici che si occupano di queste cose che non si può andare avanti così: non si può negare la realtà», ha aggiunto il premier Matteo Renzi a Rtl 102.5.
«Ringraziamo e ci felicitiamo con il governo italiano per questa importante dichiarazione», ha commentato il portavoce del ministero degli Esteri israeliano Emmanuel Nahshon.

"Possibile che il premier non ne sapesse nulla finora ?", si chiedono le opposizioni, Forza Italia in primis. "Forse era impegnato nelle sue trattative con l'Iran, su cui il governo si rifiuta da settimane di rispondere alla mia interrogazione...", lo punzecchia Daniele Capezzone. "Renzi si rivela un pagliaccio", aggiunge Maurizio Gasparri, "Il rappresentante del suo governo per ben due volte si è astenuto su una delibera negazionista che offende gli ebrei di tutto il mondo, ma che mortifica qualsiasi persona di qualsiasi etnia, religione e cultura. Renzi dice che è stata una scelta sbagliata. E perché non ha dato direttive diverse al rappresentante del suo governo che per ben due volte, lo ribadiamo, si è schierato su posizioni di fatto antisemite? Renzi non controlla nulla, non sa nulla, il suo governo è il regno della malafede, dell'approssimazione e dell'ignoranza".

Scrive Fiamma Nirenstein sul quotidiano Il Giornale : È un bagno di realtà il voto di ieri all'Unesco, in cui si è stabilito che secondo la maggioranza del mondo gli asini volano, che Roma non è mai stata la sede del papato, ovvero che la luna è fatta di formaggio, cioè che Gerusalemme è un sito solo musulmano e in particolare lo è il monte del Tempio col Muro del Pianto, chiamato nella risoluzione votata solo «complesso della Moschea»: la risoluzione, purtroppo reale, che è stata votata ci dice infatti che le decisioni e le opinioni espresse dall'Onu e dai suoi succedanei su Israele sono pura menzogna, veleno distillato sui principi stessi della conoscenza, negazionismo pari a quello della negazione della Shoah, distruzionismo pari a quello dell'Isis su Palmira. 

Ma che cosa può avere portato la Russia e la Cina a votare per l'arabizzazione di Gerusalemme se non la fame di potere e l'interesse? Che cosa ha condotto l'Italia, che ospita a Roma l'arco di Tito con i bassorilievi degli ebrei in catene con la Menorah, prova provata della loro appartenenza a Gerusalemme; che cosa ha spinto la Grecia, che mai vorrebbe veder discussa la sua eredità storica, ad astenersi? Ma tant'è: 24 nazioni spudorate, per la maggior parte islamiche, hanno votato a favore; 26 pusillanimi fra cui l'Italia si sono astenute; 6 coraggiose hanno votato contro, Stati Uniti, Gran Bretagna, Lituania, Olanda, Germania, Estonia. 

Si cerca qualche consolazione nell'idea che oggi il voto è meno unanime di quello che sarebbe stato in passato. Ma è poca roba. Le polemiche che lo hanno accompagnato vedono il gesto notevole dell'ambasciatore del Messico Andres Roemer che ha lasciato la sala e ha tentato di cambiare il voto negativo del suo Paese, ed è stato poi licenziato; il tentativo del presidente tedesco del direttivo Michael Worbs che ha espresso opposizione e ha tentato di posporre il voto e poi è stato costretto a autosospendersi; e infine il capo dell'Unesco Irina Bokova, che si era espressa contro e che ha ricevuto quindi minacce di morte e il rafforzamento della scorta.

 

 

 

 

 

 

Tra i due ormai c'è un odio profondo, e non poteva essere altrimenti dopo una campagna che, mai come questa volta, è stata densa di veleni, fango e continue delegittimazioni. "Sei il candidato più pericoloso nella storia delle elezioni americane", dice Hillary a Trump durante uno scambio di accuse scatenato da una domanda sull'offensiva per la riconquista di Mosul. "Sei tu a non essere adatta alla presidenza", ribatte repubblicano, citando il contenuto delle ultime mail diffuse da Wikileaks

Tema, quello delle e-mail svelate dall'organizzazione di Assange, che viene usato diverse volte da Trump per cercare di screditare l'avversaria, evidenziandone le gravi pecche. Hillary risponde infastidita: "C'è il governo russo dietro l'attacco degli hacker che sono entrati in possesso delle email private, passando poi le informazioni. Diciassette agenzie di intelligence, militari e civili, lo confermano. Putin vuole condizionare le nostre elezioni". Poi spara un siluro: Putin "vuole un bamboccio come presidente americano", ribadendo che il suo avversario fa il gioco del presidente russo. "Non lo conosco, non è mio amico - ribatte il tycoon - ma sarebbe positivo se andassimo d'accordo con la Russia, nella lotta contro l'Isis e non solo". Incalzato dal moderatore, che gli chiede se intenda condannare, o meno, l'attività degli hacker, Trump dichiara: "Certo che lo faccio, da qualunque parte arrivi questa attività". Ma insiste: "Lei Hillary, ndr è stata messa da parte dai russi su varie questioni internazionali di grande importanza".

Il Paese ha seguito con il fiato sospeso. E’ probabile che questo terzo dibattito abbia superato ogni record di ascolto. Tanto era alta l’attesa, che centinaia di sale cinematografiche hanno cancellato i programmi per trasmetterlo in diretta, gratuitamente sugli schermi.

Hillary è arrivata al dibattito con un vantaggio di almeno cinque punti nei sondaggi. E tutti scommettevano che i trucchetti che Trump aveva pensato per metterla in imbarazzo non sarebbero riusciti. Dopotutto Hillary non aveva fatto una piega al secondo dibattito, quando Trump aveva portato quattro donne che negli anni Novanta avevano accusato Bill Clinton di molestie sessuali. Per questo terzo appuntamento il magnate ha invece invitato la madre di una delle vittime degli attacchi terroristici di Bengasi dell’11 settembre 2012, oltre alla ex candidata alla vicepresidenza Sarah Palin e al fratellastro di Barack Obama, Malik Obama. Bengasi rimane una freccia nell’arco dei repubblicani contro Hillary, accusata di non aver mandato soccorsi agli americani assediati dai terroristi. Per quanto 9 inchieste del Congresso abbiano confermato che non c’era nulla da fare, i conservatori continuano a considerare Hillary colpevole.

Sarah Palin è stata una dei primi sostenitori di Trump, ed è molto cara all’ala conservatrice del partito. Non era chiaro però come Malik Obama, un personaggio dubbio che Israele considera un nemico pericoloso per le sue simpatie per Hamas, potesse mettere in imbarazzo Hillary: più probabile che Trump lo abbia invitato solo per fare uno sgarbo a Obama, con il quale oramai è ai ferri corti.

Per il sollievo di Trump, dal passato, è ricomparso però uno scandalo sessuale che invece colpisce Bill Clinton, ripreso dal sito ultraconservatore Breitbart, vicino a Trump: una ex giornalista, Leslie Millwee, ha denunciato che negli anni Ottanta, quando era governatore dell’Arkansas, Bill la molestò in tre diverse occasioni, al punto che lei, spaventata, fece venire a vivere con sè la propria nonna.

I problemi di Hillary dal canto loro promettono di continuare come una tortura della “goccia cinese”, e potrebbero incidere sull’affluenza alle urne e sulle possibilità di successo della ex segretario di Stato. I curatori di Wikileaks promettono infatti di continuare a mettere in rete il materiale hackerato probabilmente da individui al soldo di Vladimir Putin. Finora Hillary si è trovata davanti a vari elementi imbarazzanti, che confermano da parte sua opportunismo e alle volte pura e semplice doppiezza, ad esempio nei confronti dei poteri forti di Wall Street. Non c’è dubbio però che le rivelazioni sul suo carattere avrebbero più peso sull’opinione pubblica se non ci fossero le clamorose testimonianze di dodici donne contro Trump. 

Cosi niente stretta di mano tra i due candidati alla Casa Bianca, né all'inizio né alla fine del terzo e ultimo dibattito prima del voto dell'8 novembre. La tensione è alta nell'auditorium dell'University of Nevada di Las Vegas: Hillary Clinton e Donald Trump evitano accuratamente ogni contatto fisico. Sul palco lo scontro è totale su ogni argomento sollevato dal moderatore, l'ottimo Chris Wallace Fox News. Segno di due visioni dell'America molto distanti. Ma non solo.

Il dibattito si apre affrontando il tema della Corte suprema. "Deve essere dalla parte degli americani - dice Hillary -, di tutti gli americani e non solo dei grandi gruppi di potere. Le personerò che nominerò saranno persone che nella vita hanno sempre difeso tutti, a partire, ad esempio, dalla sentenza che garantisce il diritto all'aborto e i diritti civili". Poi anticipa che, se eletta alla Casa Bianca, confermerà la scelta di Obama, che mesi fa indicò il giudice Merrick Garland per il posto lasciato vuoto da Antonin Scalia. Trump prende subito le distanze: "Sono state fatte scelte non corrette da Obama,ndr. 

E fa sapere che intende nomuinare un giudice che sappia difendere la vita, in primo luogo, e poi la Costituzione. Indica espressamente la difesa del II emendamento (diritto a possedere armi) come caposaldo da tutelare. Trump ribatte: "A Chicago, dove c'è una delle leggi più restrittive sulle armi, c'è il maggior numero di morti". E ammette di godere del sostegno della Nra (lobby delle armi): "Ne sono fiero". La promessa a questo punto è d'obbligo: "Nomineremo giudici che sono molto vicini al secondo emendamento". Clinton prova a recuperare terreno: "Capisco e rispetto le nostre tradizioni sul possesso di armi, fa parte della nostra storia, ma credo ci debba essere una regolamentazione". E cita, in particolare, le armi d'assalto e, più in generale, la necessità di fare maggiori controlli prima della vendita.

Sull'aborto, altro tema legato alla Corte suprema, Trump insiste che intende tutelare la vita ma, innanzitutto, vuole che a decidere siano i singoli Stati. Clinton agli antipodi: "Io sostengo la sentenza della Corte che difende il diritto costituzionale su un tema così importante. Il governo può regolamentare ma non intromettersi in una decisione". Il repubblicano la incalza: "Sulla base di questo ragionamento il feto si può eliminare in qualsiasi momento, ma questo non va bene": Hillary ferma sulle proprie posizioni: "Decidono le donne e le loro famiglie. Difenderò sempre questo diritto".

Trump ribadisce senza mezzi termini che il voto è truccato "perché Clinton non avrebbe potuto concorrere" a causa dello scandalo delle email. Clinton "ha distrutto 33mila email dopo essere stata citata dal Congresso. Ha mentito centinaia di volte al popolo, al congresso, all'Fbi, e invece di andare in prigione la fa franca e concorre alla presidenza americana". 

Trump rincara la dose attaccando i media e non si sbilancia sulla decisione di riconoscere, o meno, il risultato delle elezioni in caso di sconfitta: "Deciderò al momento". Da parte sua Hillary osserva che negli Usa "ci sono sempre state elezioni democratiche e il risultato è sempre stato accettato, anche se non piaceva", e accusa Trump di essere "il candidato peggiore della storia delle nostre elezioni". Quanto allo scandalo delle email ricorda che dopo un anno di indagine l'Fbi non ha formulato alcuna accusa a suo carico.

Il candidato repubblicano ribadisce la necessità di "costruire un muro" per contrastare l'immigrazione clandestina e il traffico di droga. "Dobbiamo avere confini forti e sicuri". Clinton risponde che non vuole dividere i genitori dai figli "le deportazioni" che invoca il suo avversario sono "inaccettabili". Trump prova a mettere in difficoltà l'avversaria ricordando che lei nel 2006 voleva il muro. Pronta la replica: "Ho votato a favore (da senatrice, ndr) per la sicurezza delle frontiere, in alcuni posti si possono aumentare i controlli". E rinfaccia al repubblicano di aver fatto lavorare i clandestini per costruire la Trump Tower di New York

Sulla politica estera Trump punta il dito contro l'amministrazione Obama, ricordando che la strategia su Mosul è sbagliata perché l'annuncio dell'offrensiva con mesi di anticipo ha permesso ai leader dell'Isis di scappare e ha affermato che "il vero vincitore sarà l'Iran". Clinton difende la linea del presidente e, a precisa domanda del moderatore, dice che non intende inviare soldati americani in Iraq.

Un altro tema sempre molto sentito dagli americani, quello delle tasse. Trump ribadisce l'intenzione di effettuare "massicci tagli delle tasse". "Il tuo piano invece le aumenterà, è un disastro - dice rivolto a Hillary -. Con Obama il debito nazionale è raddoppiato". Clinton ha pronta la replica: "Trump vuole le tagliare tasse solo ai ricchi e alle grandi aziende, ma questo farebbe aumentare il nostro debito, ci spingerebbe verso una nuova recessione". "Il mio piano - aggiunge l'ex segretaria di Stato - produrrà più opportunità e il suo ci costerebbe in termini di costi di lavoro. Parla di tagli enormi che non si sono mai visti neanche con Bush. Io invece non aggiungerò neanche un centesimo al nostro debito e ho tutte le coperture per il mio piano".

Non poteva mancare, anche questa volta, il tema delle molestie sessuali e delle gravi accuse che sono state rivolte a Trump nelle ultime settimane. Lui ricorda che le sue accusatrici "sono state fortemente sconfessate". E ribatte: "Non ho mai incontrato queste donne, vogliono un quarto d'ora di notorietà oppure sono state pagate da loro" (i democratici, ndr). La Clinton rintuzza la polemica, ricordando che "in numerosi comizi Trump ha detto di non aver fatto quelle cose a quelle donne perché non erano abbastaza carine per essere molestate". E ancora: "Crede che denigrare le donne lo renda più forte, io non penso. Qualsiasi donna sa cosa significa essere trattata in questo modo, ecco come Donald tratta le donne, le denigra".

Intanto volete sapere in quale Paese si concentra il maggior interesse per la candidatura di Hillary Clinton ? La risposta è: il Canada, per vicinanza geografica ma anche per affinità ideologiche con la candidata democratica. E per quella di Donald Trump ? La risposta è: sempre il Canada, per ragioni uguali e contrarie. Se vi sorge il dubbio che delle elezioni presidenziali americane si interessino soprattutto i canadesi siete in errore. Il tema appassiona semmai soprattutto il mondo anglosassone nel suo insieme: dopo il Canada infatti vengono l'Irlanda, la Nuova Zelanda, l'Australia e il Regno Unito. In Africa, oltre al Sud Africa che possiamo considerare parte del gruppo di cui sopra, spicca per livello d'interesse il Kenya, che evidentemente sente vicini i temi americani per il tramite del presidente Obama, il cui padre era keniota.

I giornalisti si spremono le meningi per evitare banalità e repliche, ma un «aiutino» - confessiamolo - è sempre utile. Per i veri maniaci della materia, il sito «World Potus» (Potus, per chi non lo sapesse, è la sigla che identifica il President Of The United States) è una miniera di informazioni molto specifiche, con un occhio particolare per la percezione che nei diversi angoli del mondo si ha della campagna per la Casa Bianca, per i suoi temi e i suoi protagonisti. I dati sono ottenuti valutando le ricerche effettuate dagli utenti del motore di ricerca Google nel mondo.

«World Potus» è interessante da spulciare soprattutto perché mostra nel dettaglio quali sono i Paesi in cui è più viva la curiosità per i singoli candidati in rapporto a temi specifici. 

L'Italia? Confermando una tendenza piuttosto provinciale, compare raramente tra i Paesi più presenti. É al nono posto per l'incrocio Trump-rifugiati ma di quel che pensa la Clinton sull'argomento pare non interessarsi ; sale al settimo per quello tra Trump e il petrolio e mostra una piuttosto sorprendente attenzione per le attitudini di entrambi i candidati verso la politica estera settimo gradino mondiale in entrambi i casi. Stimolano un po' di curiosità tra gli internauti italiani anche i temi della Brexit e dell'aborto.  

Un esempio concreto: quale Paese manifesta più interesse per conoscere l'opinione di Trump sul controllo delle armi? Norvegia e Svezia, per misteriose ragioni. E in quale si cercano più informazioni sulla posizione dei due candidati sul matrimonio omosessuale ? Nettamente il Belgio, per ragioni ancor più oscure. E via così.

Le ricerche non mancano di fornire risultati anche più inattesi di questi: ci si aspetterebbe, ad esempio, che fossero i Paesi europei o quelli arabi a interessarsi all'incrocio tra i due candidati alla Casa Bianca e lo Stato islamico. E invece no: al primo posto c'è largamente il Sud Africa, seguito dal solito Canada, e solo sul quinto gradino troviamo il Libano. Il tema dei rifugiati in rapporto a Trump e Clinton non stimola tanto la curiosità degli europei, quanto quella dei lontanissimi australiani, mentre i coinvoltissimi tedeschi sono solo al terzo posto, evidentemente convinti che decida tutto Angela Merkel.

Obama, accogliendo Renzi al suo arrivo alla Casa Bianca con la moglie Agnese, ha lodato il premier italiano. "Buongiorno, e' l'ultima visita e cena di Stato che faccio da presidente. Abbiamo tenuto il meglio per la fine", ha esordito il presidente americano. Con l'Italia "patti chiari e amicizia lunga", ha aggiunto

"Mi considero italiano onorario", ha detto Obama ricordando i suoi viaggi in Italia con Michelle. "Amiamo il vino, il cibo, Sophia Loren", ha tenuto a sottolineare Obama. "Sono particolarmente grato per la partnership con il mio buon amico Matteo Renzi", ha detto Obama, "guardatelo: e' giovane, e' bello, ha lanciato una visione di progresso che non affonda le sue radici nelle paure della gente ma nelle loro speranze".

Renzi dal canto suo ha risposto esprimendo grande stima: "Con te, Mister Presidente, la storia si e' fatta". Dopo questa accoglienza in pompa magna c'è stata tra i due leader una calorosa stretta di mano nello studio ovale e un bilaterale.

"Paolo Gentiloni è uno dei migliori colleghi che si possa avere ed è un amico": lo ha detto il capo della diplomazia americana John Kerry durante il pranzo al Dipartimento di Stato con il premier Matteo Renzi, al quale hanno partecipato lo stesso Gentiloni e il vicepresidente Joe Biden. Al tavolo principale anche Susan Rice, consigliera per la sicurezza nazionale, l'ex segretario di Stato Colin Powell - con cui Gentiloni si è intrattenuto a lungo - e altri membri del governo Usa come il ministro dell'Energia Ernest Moniz e stretti collaboratori di Obama, come Valerie Jarrett.

"Sta facendo le riforme in Italia, a volte incontra resistenze e inerzie ma l'economia ha mostrato segni di crescita, anche se ha ancora tanta strada da fare", ha detto il presidente americano alla Casa Bianca dopo il bilaterale tra i due leader. Il Sì al referendum del 4 dicembre può "aiutare l'Italia verso un'economia più vibrante" ma Renzi, ha proseguito Obama, "deve restare in politica" a prescindere dal risultato del voto poiché rappresenta "una nuova generazione di leader non solo in Italia ma in Ue e nel mondo". "Non ci sarà nessun cataclisma se vince il No", ha poi commentato Renzi.  Il presidente americano, ribadendo la sua gratitudine per la forte alleanza con l'Italia, ha anche rivolto un pensiero ad Amatrice e alla ricostruzione post-terremoto. 

"Penso - ha aggiunto - che l'Europa possa e debba fare di più. L'Italia considera l'esempio americano come il punto riferimento per questa battaglia". Obama ha poi detto che "Matteo ha ragione quando dice che l'Italia ha mantenuto la sua parole rispetto all'Ue sulle riforme e l'Ue deve trovare il modo per crescere più rapidamente". Renzi ha affermato di accettare le regole Ue "talvolta un po' a malincuore. Vorremmo regole diverse ma finché non cambiano le rispettiamo".

I due leader hanno parlato anche di politica estera. Quella di "Mosul sarà una lotta difficile" ma "l'Isis sarà sconfitta", ha detto Obama. "Mentre qualcuno sceglie l'odio e la cultura dell'intolleranza, noi vogliamo scommettere sulla libertà, sulla nostra identità e i nostri ideali", ha ribattuto Renzi. Il presidente americano ha anche ringraziato l'Italia "per il suo ruolo chiave nella coalizione contro l'Isis".

La coppia presidenziale ha poi offerto a Renzi ed alla moglie Agnese la 'State dinner', massimo omaggio che l'amministrazione Usa riconosce ai capi di Stato e di governo. Un assist a Renzi anche in vista dell referendum di dicembre che il capo del governo italiano ha valorizzato portando con se' alcuni simboli del Belpaese, da Benigni ad Armani, da Giusi Nicolini a Bebe Vio. 

Agnolotti di patate dolci con burro e salvia, insalata di zucca, braciole di manzo con colatura di rafano e friarielli. E' un omaggio a piatti italiani, rivisitati con verdure dell'orto della Casa Bianca, il menu' che lo chef Mario Batali ha servito nella cena di stato offerta da Barack e Michelle Obama al premier Matteo Renzi e alla moglie.

I colori caldi dell'autunno, bouquet rosa e gialli, abbelliranno i tavoli del dinner che e stato svolto sotto una tenda sul prato sud della Casa Bianca. Una location ideale per queste giornate estive a Washington.

Nel suo brindisi alla cena di Stato, Renzi ha a sua volta reso omaggio a Barack Obama accostandolo ad un ''maestro del Rinascimento'' che lavora con gli allievi della sua bottega per migliorare il mondo, e aggiungendo che la moglie Michelle è ''allo stesso livello" dopo i suoi discorsi nella campagna presidenziale. "Ci hai dato l'opportunita' di lavorare insieme a te per migliorare il mondo e pensare ad un futuro come ad un luogo di speranza'', ha detto rivolgendosi al presidente Usa, ringraziandolo per il suo ''servizio" in questi otto anni. E ribadendo che Italia e Usa ''condividono a tavola vino e cibo cosi' come condividono gli stessi valori''.

Il premier ha ringraziato ancora Obama per questo ''incredibile onore e privilegio'' e scherzato su una seconda, futura cena nella sua citta', dopo che Obama avra' terminato il suo mandato: ''possiamo organizzare una visita a Firenze, andare agli Uffizi, di fronte al David, e poi fare non una cena di stato ma andare in una osteria per vedere se i pomodori italiani sono piu' buoni di quelli dell'orto di Michelle''.

Sull' 'orto di Michelle' ha scherzato anche Roberto Benigni, raccontando di avere consigliato alla First lady di coltivare "il cavolo nero perche' lei non capisce molto di cavolo. Siccome io sono di origini contadine le ho consigliato il cavolo nero nero che cresce in Toscana''. E sulla cena ha fatto una sintesi nel suo consueto stile: ''E' stata una cosa bellissima, ci siamo parlati, abbracciati, scambiati emozioni'', ha riferito ai cronisti durante la cena, sottolineando tra le sensazioni piu' forti quella dell'amicizia e di ''stare di fronte a due persone irripetibili, straordinarie: ci si sente contemporanei di qualcuno''.

Benigni, accompagnato dalla moglie Nicoletta Braschi, ha riferito che una figlia degli Obama ''ha visto 20 volte il suo film 'La vita e' bella': mi ha fatto molto piacere''. Poi ha elencato gli altri ospiti italiani di un evento ''al quale non si poteva dire di no''. 

Intanto il centrodestra e compatto "Il referendum è un test politico per Matteo Renzi". Lo affermano compatti Silvio Berlusconi, Giorgia Meloni e Matteo Salvini che si sono incontrati questa mattina ad Arcore per definire una linea comune in vista del voto del prossimo 4 dicembre.

"La prova referendaria ha anche un indubbio valore politico, poiché attraverso di essa il presidente del Consiglio, il terzo premier consecutivo non eletto dagli italiani, cerca una legittimazione che non merita, visti i fallimenti del suo governo in ogni settore, dall’economia all’occupazione, dalla politica internazionale alla sicurezza dei cittadini, al contrasto all’immigrazione clandestina", dicono i tre leader del centrodestra al termine del vertice.

Un incontro per ribadire "la ferma opposizione di tutto il centrodestra a un progetto di riforma che non risolverebbe nessuno dei problemi del Paese, né in termini di efficienza né di contenimento dei costi, mentre produrrebbe un preoccupante deficit di democrazia limitando la possibilitàdi espressione di voto degli italiani e determinando il serio rischio di consegnare ad una ristretta minoranza di sinistra il controllo dell’esecutivo e degli organi di garanzia".

I leader di Forza Italia, Fratelli d'Italia e Lega Nord hanno anche parlato della strategia da tenere dopo il referendum in caso di vittoria del No. L'idea è quella di dare vita "ad una nuova fase costituente per una riforma che, realizzi alcuni obbiettivi fondamentali: elezione diretta del Capo dello Stato, un vero federalismo, il dimezzamento del numero dei parlamentari e del loro costo".

 

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