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Sabato, 01 Giugno 2024

Apertura dei lavori: Margherita Boniver (Presidente della Fondazione Bettino Craxi ETS).
Introduce: Giovanni Orsina (Luiss “Guido Carli” - Presidente Comitato storico-scientifico della Fondazione Bettino Craxi ETS).
"Presentazione del volume "Craxi Andreotti. Politiche, stili e visioni tra conflitti e collaborazioni".
Sono intervenuti: Stefania Craxi, Fabio Martini, Umberto Ranieri, Claudio Signorile, Francesco Verderami, Stefano Andreotti.

Si può affermare che la politica italiana degli ultimi trent’anni è un film che non sarebbe decollato senza Craxi e Andreotti. Nonostante l’immensa diversità, sono stati negli anni ’80 i pilastri della politica estera italiana nel suo momento di maggior successo, quando insieme, lavorando solo di diplomazia, avevano reso la penisola la vera potenza locale nel Mediterraneo. Di quella fase e del loro peso hanno discusso ieri in un convegno organizzato al Senato dalla fondazione Craxi storici, giornalisti, intellettuali assieme a Stefano Andreotti e Stefania Craxi, i figli dei due statisti.

Un forte atlantismo, "coniugato con dignità e grande indipendenza" per usare le parole della presidente della Fondazione, Margherita Boniver li ha uniti: sul fronte internazionale le differenze, se c’erano, riguardavano lo stile, non la sostanza. Andreotti fu d’accordo anche nella mossa più drastica dell’allora premier Craxi: quell’ordine, impartito ai carabinieri, di circondare a Sigonella i marines che circondavano a loro volta l’aereo che doveva portare in salvo il terrorista palestinese leader del gruppo responsabile del dirottamento della nave da crociera Achille Lauro e della morte di un passeggero statunitense.

Il rapporto con i palestinesi, del resto, era sì sincero, ma anche strategico: era una delle leve che permettano di oliare i rapporti con i paesi arabi. Quella politica si basava soprattutto su un rapporto con il mondo arabo e con i paesi mediorientali produttori di petrolio molto più stretto di quanto non gradissero, per ragioni politiche, gli americani e per ragioni di competizione energetica inglesi e francesi. Con il senno di poi non si può non concludere che quella linea fu vincente: "Volevano ritagliare un ruolo importante del nostro paese per la pace nel mondo", sottolinea Stefano Andreotti .

Ricorda ancora Stefano –  il rispetto era profondo e sopravvisse allo tsunami di tangentopoli: "Fino all’ultimo – continua – papà cercò nei limiti delle sue possibilità di trovare una soluzione umanitaria per consentire a Craxi di curarsi in Italia". Allora l’eco di Tangentopoli era ancora troppo fragoroso perché ci riuscisse. Oggi forse inizia ad essere possibile valutare gli anni ottanta, gli anni di Craxi-Andreotti con maggiore lucidità e obiettività. Mentre gli storici concordano sul fatto che Bettino "fu vittima del sistema che voleva riformare", la figlia Stefania sorride amaramente: "Andò in Tunisia non solo perché temeva il carcere, ma aveva pure paura di essere ucciso in prigione". Sospira: "Dopo la sua morte in esilio – dichiara – Andreotti ha partecipato ad ogni iniziativa che ho fatto per mio padre".

Il dibattito è stato organizzato  da Fondazione Bettino Craxi e Franco Angeli editore.
Due uomini siffatti perno dell’intero sistema politico e con loro la memoria di ciò che è stato, anzi la memoria di ciò che siamo stati. La fondazione dedicata allo studio del pensiero e dell’azione politica di Bettino Craxi tenta di colmare questo vuoto con una giornata di studio e riflessione su Bettino Craxi e Giulio Andreotti, protagonisti di rilievo del panorama politico-istituzionale italiano per un lungo tratto di storia del secondo Novecento.

L'iniziativa muove dall’ambizione di proporre una prima e originale analisi storico-scientifica a carattere comparato tra due figure che nel corso della loro lunga esperienza pubblica hanno alternato fasi di vicinanza politica e umana a momenti di conflittualità esasperata.Coadiuvata dalla presenza fra i relatori di personalità del mondo accademico, la Fondazione tratteggia un approccio inedito nel contesto della ricerca storiografica, offrendo le chiavi interpretative utili a riflettere in parallelo sulle visioni politico-istituzionali, sulle ricette economiche, sugli orientamenti di politica internazionale che hanno nutrito le visioni dell’esponente socialista e di quello democristiano in merito al futuro del Paese nel contesto della modernità globale.

 

 

 

Una alleanza per 'l'Indipendenza' nel nome della Costituzione "dove c'è anche traccia di Giovanni Gentile". Una alleanza "che non può che portarci a vincere". Gianni Alemanno scommette sul futuro del suo nuovo movimento -'Indipendenza' appunto il nome scelto- che sottoscrive a Roma l'intesa con l'ex  comunista Marco Rizzo. Formazione nuova di cui l'ex sindaco di Roma, ha svelato ieri simbolo (con fiocco tricolore) e programma e che potrebbe essere già in campo alle prossime europee. Un raggruppamento 'multipolare' che vede insieme ex di An, come Fabio Granata e Marcello Taglialatela, l'ex Casapound Simone Di Stefano, Massimo Arlechino, anche lui ex An e ideatore del simbolo. E personaggi appunto come Rizzo e Francesco Toscano, del gruppo di 'Democrazia sovrana e popolare'. Converge anche Cateno De Luca, sindaco di Taormina, presente in sala e tra gli intervenuti. Non manca un ex leghista come il veneto Vito Comencini, che promette il suo appoggio per le battaglie "identitarie".

L'ex rifondazione comunista scandisce il programma: "Vogliamo un'Italia indipendente che non faccia parte della Nato e dell'Ue, che non sia sotto la dittatura dell'euro". Critiche al premier arrivano anche dall'ex leghista veneto, Vito Comencini.

Il percorso è iniziato mesi fa: si è partiti dal comitato 'Fermare la Guerra' - che, ispirato dalle parole di Papa Francesco, chiedeva la risoluzione del conflitto tra Russia e Ucraina -, per arrivare al 'Forum dell’Indipendenza Italiana'. Alemanno è stato portavoce di entrambi e oggi si propone come ariete del nascente movimento che però sarà incentrato soprattutto sul "Noi". Un partito che andrà oltre destra e sinistra e che cercherà di parlare anche con il mondo del dissenso attirato da alcuni temi. Tra questi spiccano sicuramente il rifiuto dell'europeismo sfrenato e, soprattutto, dell'atlantismo e dell'iper atlantismo. "Uno dei 5 pilastri su cui si fondano i principi del nostro nostro movimento è la Dottrina sociale Cattolica", ricorda parlando con l'AGI Alemanno che non nasconde di essere stato ispirato più volte dalle parole di Papa Francesco sul mondo multipolare.

Non sarà un partito cattolico in senso stretto, ma un movimento che guarderà con grande interesse al mondo dei credenti e avrà, tra i fari, la Dottrina sociale della Chiesa. Unirà alcune battaglie identitarie a difesa della famiglia tradizionale, della vita e contro l'aborto alla lotta per il diritto delle classi più svantaggiate e di una borghesia ormai schiacciata dalla grande finanza industriale e dalle multinazionali. Valori di destra dunque, ma idee di sinistra (citazione by Diego Fusaro, controverso filosofo torinese).

La nuova creatura politica di Gianni Alemanno è pronta ad esordire (non si sa ancora se già alle elezioni europee del giugno 2024) e a stupire (l'obiettivo non dichiarato è superare l'asticella del 4%). Si chiamerà 'Movimento dell'Indipendenza Italiana' e, a farne parte, oltre all'ex sindaco di Roma ed ex ministro dell'Agricoltura, ci saranno, tra gli altri, l'ex CasaPound Simone Di Stefano; Massimo Arlechino, già ideatore del simbolo di Alleanza Nazionale, gli ex An Fabio Granata e Marcello Taglialatela e Nicola Colosimo, portavoce dei giovani di 'Magnitudo'.

"L’Italia, per posizionarsi in un mondo multipolare, deve rilanciare il proprio rapporto con i paesi Brics Plus, sviluppando progetti di cooperazione economica, finanziaria e culturale, nel quadro di un positivo e rispettoso rapporto tra Occidente e Oriente, e cercando di coinvolgere le altre Nazioni europee in questi progetti con il 'Sud globale' che è uno spazio abitato da 6.4 miliardi di persone e che rappresenta un grande mercato potenziale per il nostro paese", si legge ancora nel documento. E, per fare questo, "bisogna mettere da parte ogni retorica sulla 'superiorità della civiltà occidentale' e sul 'pericolo delle autocrazie'".

"Oggi nasce un nuovo movimento che ne mette insieme tanti. Così come sono tantissimi i temi e le proposte che faremo: dalla risposta alle emergenze del sociale, a quelle sanitarie e ai vaccini", conclude Di Stefano. E proprio ai vaccini e soprattutto a Big Pharma è dedicata la quinta e ultima parte del programma. "Le multinazionali del farmaco, Big Pharma, stanno costruendo la dittatura sanitaria - si legge -, cominciata con le campagne vaccinali per il Covid e oggi proiettata a conferire ad una Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) privatizzata il controllo della sanità mondiale e della salute di ognuno di noi e delle nostre famiglie". 

"Non condivido il sarcasmo e il corale disprezzo manifestato in questi giorni verso Gianni Alemanno e Marco Rizzo e la loro presunta alleanza "rosso bruna", come è stata definita dai media allo scopo di screditare in partenza. Lo dico oggi in occasione del Forum per l’indipendenza italiana che ha indetto Alemanno a Roma, a cui parteciperà Rizzo.

Conosco Alemanno da svariati anni e ho simpatia per Rizzo; condivido molte delle loro critiche al mainstream e all’establishment, al capitalismo globale, alla politica estera e alla politica sottomessa. Le loro idee sono tutt’altro che isolate, stravaganti o marginali; esprimono anzi un diffuso sentire e un più diffuso scontento, a partire dall’inevitabile delusione nei confronti dei governi che hanno guidato e guidano l’Italia da alcuni anni. Il caso Olanda o Argentina dovrebbe indurre a chiedersi come mai vincono spesso i leader e i movimenti più ostracizzati e screditati dai media". scrive Marcello Veneziani

Fonte adnkronos/affaritaliani/marcello Veneziani/Agi e varie agenzie

 

Il premier e leader del partito conservatore greco Kyriakos Mītsotakīs, uscito vincente dalle elezioni di domenica, chiede un nuovo voto: "Ci stiamo dirigendo verso nuove elezioni (...) il prima possibile", ha dichiarato Mitsotakis durante un incontro con il presidente della Repubblica, Katerina Sakellaropoulou "possibilmente il 25 giugno" ha aggiunto. Nonostante la vittoria schiacciante con oltre il 40% dei voti, Mitsotakis non raggiunge il suo obiettivo di una maggioranza assoluta dei seggi nel nuovo Parlamento e dunque porterà il Paese di nuovo alle urne prima di luglio per consolidare il risultato.

E una vittoria schiacciante, quella del partito conservatore di Kyriakos Mitsotakis nelle elezioni parlamentari di ieri in Grecia.

Tuttavia, è chiaro che Mitsotakis non raggiunge il suo obiettivo di una maggioranza assoluta dei seggi nel nuovo Parlamento e dunque porterà il Paese di nuovo alle urne entro luglio per consolidare il risultato.

Nuova Democrazia (ND) ottiene il 40,8% dei voti (su risultati ancora parziali), in netto vantaggio sulla sinistra dell'ex premier Alexis Tsipras, che si ferma al 20% dei voti, davanti al partito socialista Pasok-Kinal che incassa l'11,6%.

Salutando la sua vittoria come "un terremoto politico", Mitsotakis, al timone dal 2019, ha già fatto capire che vuole andare a nuove elezioni, che potrebbero tenersi alla fine di giugno o all'inizio di luglio, e gli consentiranno, se confermerà questa performance, di ottenere la maggioranza assoluta. "Il risultato ha dimostrato che ND ha il consenso dei cittadini a governare da solo", ha detto il leader conservatore.  

Le elezioni di ieri si sono svolte infatti con un nuovo sistema elettorale proporzionale, che elimina l'assegnazione dei 50 seggi al partito più votato, ma quando si tornerà a votare il premio di maggioranza verrà reintrodotto: e al governo di destra basterà il 37% dei voti per governare con la maggioranza assoluta dei seggi.

Mitsotakis, laureato ad Harvard ed ex consulente di McKinsey, è arrivato al voto con il vento in poppa. La Grecia gode quasi di buona salute economica: la disoccupazione e l'inflazione sono diminuite, la ripresa del turismo post-Covid ha portato la crescita al 5,9% nel 2022.  

Il risultato è un duro colpo per Tsipras, che ha perso la sua quarta battaglia elettorale consecutiva dopo essere stato premier dal 2015 al 2019, mandato durante il quale ha condotto i negoziati molto difficili con i creditori che fecero quasi uscire la Grecia dall'euro. Tsipras ha lasciato sul terreno un terzo dei voti ottenuti nel 2019, e in alcune aree è perfino arrivato alle spalle del partito socialista Pasok-Kinal, guidato dal 44enne Nikos Androulakis.  

Un'altra vittima del voto è stato l'ex ministro delle Finanze, Yanis Varoufakis, il cui partito di sinistra anti-austerità MeRA 25 non arriva in Parlamento.

Del resto, il migliore alleato del governo di destra sono state le divisioni dell'opposizione, che è andata al voto frammentata e conflittuale.

Mitsotakis ha commentato: "Correremo più velocemente, per migliori stipendi, posti di lavoro, un migliore sistema sanitario, una Grecia più forte" e ha aggiunto: "Sono fiero e sento il peso della responsabilità per un risultato così importante".

Il voto di ieri è il primo della Grecia da quando la sua economia ha cessato di essere sotto stretta supervisione da parte di istituti di credito internazionali che avevano fornito fondi di salvataggio durante la quasi decennale crisi finanziaria del Paese.

La politica, per Kiriakos Mitsotakis, è cosa di famiglia dai primi istanti di vita. Si dice «nato prigioniero politico», perché quando il 4 marzo 1968 è venuto al mondo era ai domiciliari, imposti al suo clan dalla giunta militare. Quando aveva sei mesi di vita i suoi lo portarono in Turchia, in un esilio che sarebbe durato sei anni. Poi i colonnelli sono caduti. I Venizelos-Mitsotakis no.

Certo Kiriakos Mitsotakis non è il solo politico greco ad appartenere a una dinastia. Il suo ex ministro dei Trasporti, che poi si è dimesso in seguito al tragico incidente ferroviario di Tempi, il 1 marzo scorso, è nipote di presidente, un altro dei tre Kostas Karamanlis che si sono avvicendati nella politica del Paese, uguali persino nel nome. A marzo si è dimesso, scusandosi per le colpe infrastrutturali che hanno portato al peggiore incidente ferroviario della storia greca (57 morti, 85 feriti). 

Alle elezioni di maggio si è ricandidato ancora con Nea Demokratia, e gli elettori — della sua circoscrizione di Serres, in Macedonia Centrale — hanno perdonato anche lui. Poi ci sono i Papandreou; i Bakoyannis — come il 47enne Costas, sindaco di Atene, anche lui di Nea Demokratia — imparentati ancora con i Mitsotakis. Ma nessuno riesce come Kiriakos Mitsotakis, ora alle soglie del secondo mandato, a presentarsi come un «uomo nuovo», quasi un outsider, al servizio della svolta del Paese verso il progresso.

Dal 2019, quando Mitsotakis è diventato premier per la prima volta, Tsipras e il suo partito sono sempre stati di sei punti percentuali fissi sotto di lui, nei sondaggi. Ma il voto di ieri ne ha divorati altri 14. Come è stato possibile? «Il vero avversario della sinistra non è nemmeno Mitsotakis, ma la sinistra stessa. Continua a non trovare un’identità dopo gli anni della crisi», spiegava al Corriere la notista politica di Kathimerini Dora Antoniou. Il partito socialista Pasok, andato bene dopo anni di vacche magre, ha fatto palesemente incetta di voti di Syriza. Bene anche i comunisti del KKE. «E poi Syriza ha inanellato errori clamorosi». Quasi incredibili.

Venerdì, secondo il corriere della sera,a poche ore dal silenzio elettorale, l’ex ministra di Tsipras Theano Fotiou ha detto che «le riforme le deve pagare la classe media». Cioè chi guadagna, e lo ha ripetuto, «più di cinquemila euro l’anno». Il giorno prima l’ex ministro George Katrougalos si era fatto scappare un «tasseremo gli autonomi» che lo ha costretto a ritirarsi dalle elezioni. «E a parte queste boutade, l’assenza di una politica economica credibile da parte di Syriza, a cui la gente non ha ancora perdonato l’austerity del 2015, è costata carissima». 

Nemmeno le politiche migratorie dure — sottolinea il corriere della sera,la costruzione e la proposta di prolungamento di un muro con la Turchia per fermare chi arriva dall’Asia centrale; il video di pochi giorni fa che mostra la guardia costiera greca abbandonare in mare un gommone di donne e bambini - gli costano troppo dissenso. L’economista radicale Yanis Varoufakis, il cui partito alle elezioni è rimasto sotto la soglia di sbarramento e quindi archiviato, ha parlato di una «orbanizzazione» o di una «erdoganizzazione» del Paese, con la vittoria di Mitsotakis: pugno duro, paura per lo stato di diritto, sovranismo e liberismo economico. Una ricetta che ai greci, reduci da un decennio nero di osservati speciali dell’economia europea, evidentemente non fa paura.

Mitsotakis si propone soprattutto come l’uomo della crescita, e delle riforme che «per metterle in atto», ha detto nel discorso in cui ratificava la vittoria elettorale, «hanno bisogno del mandato pieno degli elettori». Tradotto: con il voto di ieri Nea Demokratia guadagna 146 deputati. Ne mancherebbero cinque per la maggioranza assoluta, e nulla osterebbe alla vecchia tradizione politica del «mercato delle vacche»: si potrebbe, e si è sempre fatto, convincere qualche deputato neoeletto a passare con i conservatori. O si potrebbe tentare un’alleanza improbabile con i socialisti, i cui telefoni il governo di Mitsotakis ha intercettato fino all’estate scorsa in uno scandalo che non è costato, nei sondaggi, neppure un decimale.

Ma anche questa strada resterà percorsa solo formalmente, e a breve Kiriakos Mitsotakis rimetterà il mandato di formare il governo nelle mani della Presidente della Repubblica. Che lo passerà al secondo classificato, Tsipras: il quale però non ha i numeri, né gli alleati, per una proposta concreta. Venticinque giorni dopo il nulla di fatto — dunque si pensa il 25 giugno o il 2 luglio — la presidente riconvocherà le urne. Con la nuova legge elettorale, che ritorna ai vecchi, cospicui premi di maggioranza (fino a 50 deputati), Mitsotakis sarà primo ministro praticamente per acclamazione, e potrà governare da solo.

Fonte corriere della sera . rai..e varie agenzie

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