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Cinquanta anni fa moriva John Ronald Reuel Tolkien (1892-1973). L’autore del Signore degli Anelli è stato ricordato da quanti lo hanno amato e continuano ad amare le sue opere. Ci fa piacere ricordarlo attraverso quanto ha scritto nel 2001 un grande appassionato di questo autore, il prof. Marco Tangheroni (1946-2004) che sicuramente oggi lo avrebbe ricordato e celebrato ampiamente. Nel 2001 uscì nelle sale la prima parte della rappresentazione filmica del Signore degli Anelli e un volume di Stefano Giuliano. Il prof. Tangheroni parla di entrambi, ma è nella prefazione al volume di Stefano Giuliano uscito nel 2001, Le radici non gelano. Conflitto tra tradizione e modernità in Tolkien, (Ripostes editore) che si ritrova il pensiero del medievista pisano con alcune interessanti riflessioni personali.

Le riproponiamo dopo più di venti anni perché mantengono la loro freschezza e continuino ad essere uno stimolo a leggere o rileggere questo eterno capolavoro                                                                                                                                    

 “Un gran bel film, non ho dubbi”

 

Esso può piacere, è piaciuto, anche a chi non ha letto il libro. Ma – ed era la scommessa più difficile – può piacere, è piaciuto, anche a chi ha letto il libro e, magari, è convinto, come me, che il romanzo di Tolkien è un grande capolavoro, un classico del XX secolo. Ho sentito diversi appassionati del libro e li ho trovati concordi nell’esprimere una valutazione positiva. Non escludo che il giudizio di  anatici/filologi possa essere diverso; ma occorre saper rinunciare al confronto con le immagini elaborate nella propria mente e non esigere il rispetto di ogni dettaglio. Esso è stato giudicato il miglior

film del 2001 dall’American Film Institute (Afi), vincendo anche per gli effetti digitali e la produzione: possiamo essere, per una volta, d’accordo. Nella sostanza, il regista Peter Jackson ha ben scelto gli attori, ricostruito felicemente gli ambienti, ben utilizzato i meravigliosi paesaggi della Nuova Zelanda (terra in cui il film è stato girato), riportato con chiarezza i dialoghi fondamentali. Anche i tagli – resi necessari dalla lunghezza del romanzo e, quindi, del film, pur diviso in tre parti – sono più che accettabili: quello più vistoso, che ha comportato la rinuncia al pur affascinante personaggio di Tom Bombadil, è ragionevole, trattandosi di episodi autoreferenziali. Né ci si deve scandalizzare del rilievo un po’ accresciuto dato al personaggio femminile di Arwen. Felice è risultato, va aggiunto, pure il doppiaggio italiano, del resto eseguito con la consulenza della Società Tolkieniana Italiana. Dirò anzi che, anche grazie all’uso dei flashback, il ritmo narrativo di questo primo episodio della trilogia è incalzante, distinguendosi dalla lentezza della prima parte dell’opera di Tolkien. Molti lettori hanno stentato a superare le prime duecento pagine, e non pochi si sono scoraggiati; anche se va subito aggiunto che, una volta entrati dentro al mondo tolkieniano, rileggerle è un piacere cui è bello  abbandonarsi. Il successo di questo primo film farà attendere con desiderio la possibilità di vedere gli altri due, già girati. Ma occorrerà, com’è noto, attendere i prossimi due Natali. Intanto, esso stimolerà l’ulteriore fortuna del romanzo, il quale, peraltro ha già avuto un successo duraturo con milioni e milioni di lettori (e di rilettori!), nei più diversi paesi, in diverse generazioni, con varie motivazioni. Alla faccia delle incomprensioni di molti critici. In Italia, poi, il silenzio dell’intelligenkia dominante costituì, a suo tempo, un vero e proprio “caso Tolkien”. Oggi, sconcertata ed impudente, parte della cultura di sinistra cerca improbabili recuperi. Questa non è la sede per approfondire il discorso. Dirò soltanto, per sfiorare polemiche che sono state vivaci nella cosiddetta cultura di destra, che questo romanzo è, a suo modo (il modo con cui può esserlo una storia ambientata in un’epoca pre-cristiana), un classico cristiano. Ed il film, anche da questo punto di vista, rispetta l’opera letteraria. È, infine, bene precisare che il successo e del libro e del film non devono essere interpretati come prova di una colossale crisi collettiva di razionalità, di una pericolosa perdita di senso della realtà. O, meglio, lo sono, come ha scritto Marco Respinti, «se per reale e razionale – magari fra loro coincidenti come vorrebbe Hegel – s’intende solo ciò che è fattuale in senso materiale e addirittura materialistico. No, se – come sta accadendo nella cultura popolare soprattutto a partire dall’ultimo quarto del secolo XX – della realtà e di ciò che non offende ma anzi esalta la ragione umana si ha – anche solo istintivamente,

intuitivamente – una concezione diversa». Insomma. Lo abbiamo atteso per anni; non siamo rimasti delusi.

 

Stefano Giuliano e Tolkien

Prefazione al volume Le radici non gelano. Conflitto tra tradizione e modernità in Tolkien

 

Tolkien, com’è noto, non sempre apprezzava i recensori, i commentatori, gli studiosi del Signore degli Anelli. Mi pare di poter dire che l’importante volume di Stefano Giuliano sarebbe sfuggito al suo biasimo o alle battute salaci con cui liquidava certi interventi. Intanto per una prima ragione: questo autore prende sul serio la sua mitologia; nella sua verità, potremmo dire, cioè nella verità di un mondo “sub-creato”, un secondary world, per esprimersi secondo i termini di Tolkien stesso. Certo, battendo la strada aperta soprattutto da Shippey, basata sull’importanza della filologia per Tolkien narratore, e quindi sull’analisi del rapporto con le diverse tradizioni mitiche, da quelle classiche a quelle celtiche, da quelle anglosassoni a quelle germaniche, qualche rischio Giuliano l’avrebbe potuto correre. Tolkien non amava, in modo particolare, la ricerca delle proprie “fonti”. Ma, si può subito dire, un autore, se ha ragione di pretendere che le analisi critiche si fondino, innanzitutto, sulle sue opere, e non sulla sua biografia o sulle sue stesse dichiarazioni, una volta pubblicati i propri libri – in specie con lo straordinario successo del Signore degli Anelli – non può impedire che gli studi ne approfondiscano la genesi e le interpretazioni. In qualche modo, le sue opere non gli appartengono più; almeno in modo esclusivo. Può soltanto esigere che esse siano serie e quanto più possibile solide. E a me pare che la fatica di Giuliano presenti senz’altro queste caratteristiche di serietà e solidità. La ricerca, nella mitologia, del “materiale” col quale Tolkien costruì il suo mondo non deve limitarsi ad un accumulo di possibili suggestioni. Occorre distinguere ed il nostro autore lo fa – i miti, o gli elementi di miti, che sembrano proprio essere stati recepiti, da quelli che presentano certe assonanze o analogie, ma che non possono essere con certezza considerate come fonti, essendo, magari soltanto assonanze ed analogie tra miti, di quelle che costituiscono la problematica così discussa da diffusionisti e comparatisti, per non parlare del problema degli archetipi. È necessario, poi, essere attenti alle differenze e alle distinzioni. Prendo, dalle pagine che seguono, un esempio. Giuliano ci presenta il personaggio di Gandalf e ne indica i tratti in comune con Merlino e Odino; ma è altrettanto attento ad indicare le «importanti divergenze»: «Merlino e Odino potevano mutare forma a piacimento e trasformarsi in uomini o animali, qualità che Gandalf non possiede affatto, e che invece caratterizza fortemente Sauron, Ugualmente l’aspetto orbo di Odino si ritrova nella mostruosa fisionomia monoculare dell’oscuro Sire e non certo in quella di Gandalf. Infine, l’intima correlazione di Odino con la guerra e la violenza (. . .) nonché la sua azione deliberata nel provocare dissidi tra gli uomini e la morte dei suoi protetti (. . .) si pongono come ulteriori differenze di non poco conto». Inoltre, sottolinea il nostro autore, «un ulteriore elemento separa Gandalf tanto da Merlino che da Odino. Si tratta del sentimento della compassione», manifesto più volte nei confronti sia dei vivi sia dei morti, nemici compresi.

Giuliano non lo dice, e forse non lo pensa, ma io vedo in questo aspetto un esempio di quei tratti cristiani largamente presenti in questo racconto “pre-cristiano”. A Frodo, che reagisce impetuosamente al disvelamento iniziale della storia dell’anello più potente di tutti rimpiangendo la mancata uccisione di Gollum da parte di Bilbo, Gandalf risponde «Fu lapietà a fermargli la mano. Pietà e misericordia: egli non volle colpire senza necessità». E ancora: «Molti tra i vivi meritano la morte. E parecchi che sono morti avrebbero meritato la vita. Sei forse tu in grado di dargliela? E allora non essere troppo generoso nel distribuire la morte nei tuoi giudizi». Frodo apprende comunque la lezione, come dimostrerà più volte in seguito. Un discorso analogo si può fare, seguendo il nostro autore, per il personaggio centrale del romanzo, lo Hobbit Frodo. Ciò sia per la pietà, che ha in comune con Gandalf, sia per l’itinerario che percorre in un viaggio che ha carattere ascetico, anche se – ma sarebbe necessaria una discussione dei termini – è eccessivo, come fa il Giuliano, definire la sua figura come quella di un “mistico”. Certo, egli non è un tipico eroe dell’epica (con quel suo continuo porsi in discussione), né un antieroe, come pure è stato detto: avventatamente, come dimostra l’autore di questo libro. Altre notazioni felici troviamo nelle pagine che presentano la figura di Aragorn, che ha indubbiamente diversi aspetti in comune con Artù. Ricordo, in particolare, quanto Giuliano scrive a proposito del potere. Contro certe letture – non estranee al primo successo del romanzo nei campus universitari americani – egli ci ricorda che, come mostra il viaggio di Aragorn a Minas Tirith, teso alla riaffermazione della propria regalità, accanto a un potere «volto al dominio degli esseri viventi e delle cose», c’è, nel Signore degli anelli, un potere «che si ispira a principi trascendenti, che governa senza il bisogno di comandare, teso alla salvaguardia del benessere e dell’identità culturale della comunità». In Aragorn sono evidenti, anche se fortemente rielaborati, i temi, tipici dell’epica medievale, del ritorno del re e del risanamento della terra desolata. Tipicamente medievale, come scrive Giuliano, riprendendo osservazioni di altri interpreti, è anche la concezione del male propria del romanzo, che ha precisi tratti

agostiniani e tomisti. Come appare in Sauron: il male come non-essere. Cito: «Nella prospettiva tolkieniana, il Male non è un’entità a sé stante, ma si denota piuttosto come assenza, vuoto, ombra, oscurità, alterazione fisica; lo Spettro dei Tumuli e i Cavalieri Neri sono fantasmi, il Balrog è una forma scura nell’ombra, gli Orchi hanno fattezze mostruose, Shelob è un ragno abnorme e raccapricciante, il corpo di Saruman, appena morto, avvizzisce e da esso si leva un fumo grigio, ecc.». Sauron, il Grande, il Nemico, l’Oscuro Sire, è ridotto ad un occhio, dai contorni «di fuoco, mentre nel globo vitreo della cornea gialla e felina, vigile e penetrante, si apriva, nel buio di un abisso, la fessura nera della pupilla come una finestra sul nulla», come appare a Frodo nello specchio di Galadriel.

E’ questo un punto importante per una corretta lettura del Signore degli Anelli. Non vi è traccia di manicheismo. Il Bene e il Male non sono affatto su un piano di parità. Sauron – scrive opportunamente Giuliano – non può creare, può solo infettare e corrompere. E di fronte al male ognuno è responsabile della propria scelta, in virtù del libero arbitrio. Una scelta cui nessuno può sottrarsi, perché «potete rinchiudervi in un recinto, ma non potete impedire per sempre al mondo di penetrarvi». Una scelta da compiere ispirandosi a valori perenni: «Il bene e il male non sono mutati in un anno, e non sono una cosa presso gli Elfi e i Nani e un’altra tra gli Uomini. Tocca a ognuno di noi discernerli». È anche falsa l’impressione, che pure fu di non pochi tra i primi lettori e critici, che il romanzo presenti una troppo rigida contrapposizione tra personaggi esclusivamente buoni e personaggi tutto male. Già lo abbiamo notato accennando alla figura di Frodo. Del resto anche gli Orchi furono un tempo elfi e i Cavalieri Neri grandi guerrieri e re. Anche in Gollum, al culmine del processo di sdoppiamento della personalità provocato dal possesso prolungato dell’anello, conserva una personalità positiva, anche se dominata dall’altra. Ma il personaggio che meglio offre una articolata analisi dei meccanismi corruttori di una sapienza originaria è Saruman. Già gran maestro dell’ordine degli Stregoni, egli non si è accontentato del sapere tradizionale, ma si è dato ad invenzioni, compresa la diabolica polvere da sparo, a complesse enormi costruzioni e ad incroci genetici; non ha saputo resistere ad una smodata e presto non disinteressata sete di conoscenza; si è fatto sedurre dalla tentazione del potere (tentazione cui devono resistere tanti personaggi, dalla grande dama elfica Galadriel a Frodo e allo stesso Gandalf; solo l’antico, il più antico di tutti nella Terra di mezzo, Tom Bombadil è da essa immune); aspira ad un governo tecnocratico dominato da pochi saggi e, dopo la distruzione del dominio di Isengard, lo attuerà nella Contea, organizzandovi un regime di stampo comunistico; ha voluto rompere un’oggetto per scoprire come è fatto; ha lasciato il bianco per farsi “multicolore e cangiante”.

Dopo la distruzione del suo dominio da parte degli Ent, i pastori di alberi, la sua voce risuonerà ancora suadente e melodiosa. Ma una risata di Gandalf è il preludio allo svelamento e all’annientamento del suo ultimo inganno, come una risata di Galadriel vince le tentazioni dello specchio ed una risata di Eowin è premessa alla smentita alla profezia che rendeva sicuro il Nazgûl. Il riso arricchisce la tradizionale contrapposizione tra la lue e l’ombra, tra il sole e la notte, così ricorrente nel romanzo.

Ho cercato di mettere rapidamente in evidenza alcuni aspetti dell’interpretazione che del Signore degli Anelli dà l’autore di questo libro, accennando, ancor più rapidamente, a qualche riflessione personale. Ma altri aspetti sono ugualmente, o anche maggiormente importanti nell’impostazione di Giuliano. Come il tema del “viaggio nella terra dei morti”, di cui egli mostra la ripetuta utilizzazione nel romanzo. O l’indagine, presente nello stesso titolo del suo libro, sulla posizione di Tolkien nei confronti della tradizione e della modernità.

Su questo punto avrei da fare qualche considerazione su una certa rigidità interpretativa, pur non sostanziale, bensì di accentuazione dei toni. Mi limiterò a dire che “l’evasione del prigioniero” (l’espressione è di Tolkien stesso) non è un rifiuto della realtà del presente in quanto presente, ma una condanna di molti dei tratti che la modernità ha assunto, e in misura minacciosamente crescente. Per questo Tolkien ci teneva a chiarire che la sua non era “la fuga del disertore”. Se è vero che non si può presentare la guerra del Signore degli Anelli come una rappresentazione ispirata alla seconda guerra mondiale (il che pure fu detto), è anche vero che scrivendo a un figlio negli anni del grande conflitto istituì un parallelo tra Sauron ed il nazismo, una delle grandi incarnazioni del Male nel XX secolo. Così come è indiscutibile il carattere comunista, e non semplicemente e genericamente moderno, della riorganizzazione sarumaniana della contea, non inutile appendice alla conclusione della grande storia con la vittoria su Sauron e l’incoronazione del re ritrovato e restaurato. Ma la discussione dovrebbe essere articolata e vasta. Non è questo – nella presente sede – il mio compito.

Dopo aver presentato temi e personaggi principali del Signore degli Anelli, nella seconda parte del libro Giuliano riprende e segue, dall’inizio all’epilogo, la trama del romanzo, accompagnando i molti episodi con un commento ricco di rinvii alle possibili fonti, più o meno dirette, letterarie, folkloriche e mitiche. Il lettore del Signore degli Anelli lontano da un po’ di tempo dalle pagine di Tolkien potrà qui trovare un’ottima guida ad un opportuno “ripasso”. Più difficile, nonostante la scioltezza del racconto, pensare a questo libro come ad un’introduzione al grande romanzo; ma non voglio escludere la possibilità che qualcuno, magari fin qui erroneamente convinto che il Signore degli Anelli sia soltanto un bel libro di avventure fantastiche, possa trovare una sollecitazione alla sua prima lettura. Certo è che anche i buoni conoscitori del romanzo saranno comunque indotti all’ennesima rilettura, sollecitati dai molti stimoli e dai molti suggerimenti dell’importante volume del Giuliano che molto fa riflettere, molto meditare. E non è davvero poco.

Marco Tangheroni

Università di Pisa, Festa di Ognissanti 2001.

 

Il 17 dicembre presso Palazzo Cesi, storica sede della Casa Generalizia dei Salvatoriani in via della Conciliazione, i big della Cultura e delle Attività Sociali saranno insigniti del Premio Internazionale LIBRI per la PACE 2023 

Tra gli eccellenti premiati nella chiusura natalizia annoveriamo il Dr. Salvatore Calleri Presidente Fondazione Caponnetto (www.antonino caponnetto.it), Renato Scalia Presidente Ass.ne Gli Amici di Daniele, la Dr.ssa Cecilia Sandroni founder della piattaforma di diritti umani e cultura www.italiensPR.com, il Dr. Stefano Tamburini scrittore e giornalista, autore di "Il Prezzo da pagare" (storie di donne e uomini ribelli, quando lo sport diventa lotta per i diritti umani e civili), il Dr. Astutillo Malgioglio, medico ex portiere di Roma, Lazio e Inter, protagonista di un costante e coraggioso impegno a favore dell'assistenza e dell'integrazione dei bambini affetti da distrofia, AGESCI Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani. Il riconoscimento BOOKS for PEACE – books for peace.org- viene concesso alle organizzazioni ed alle persone che si prodigano per promuovere la Cultura, l'Integrazione, la Pace, i Diritti Umani e lo Sport a livello mondiale.

Tra le principali tematiche di questa edizione, patrocinata dall’Agenzia delle Nazioni Unite UNFPA Albania (a cui l’evento è dedicato), dalla FICLU (Federazione delle Associazioni UNESCO Italia) e dai club UNESCO di Brasile, Tangeri e Mauritania, figurano la vita, la maternità, la lotta contro l’infibulazione e il contrasto al fenomeno delle spose bambine.

“Sono molto felice dello sviluppo e del successo che sta avendo il Premio Books for Peace nel mondo - ha detto il presidente Internazionale del Premio Antonio Imeneo -. “Quest’anno abbiamo un motivo di orgoglio in più, abbiamo premiato il Premio Nobel per la Pace 2018, il medico congolese Denis Mukwegw, la vice presidentessa del Parlamento Europeo, Pina Picierno. Abbiamo anche co-organizzato un’edizione del Concerto di beneficenza del Tour Noi di Katia Ricciarelli, Francesco Drosi e Francesco Zingariello per Books for Peace & FISPES Lazio (Federazione Italiana Sport Paralimpici e Sperimentali) al Teatro San Babila di Milano. Chiuderemo in bellezza le attività nel dicembre prossimo con un grande regalo che idealmente metteremo sotto l’albero di Natale”.

Presente in 5 Continenti e in 61 Paesi, il riconoscimento “Books for Peace” – booksforpeace.org- viene concesso alle organizzazioni e alle persone che si prodigano per promuovere la cultura, l’integrazione, la pace, i Diritti umani e lo sport a livello mondiale.

Fonte ItaliensPR

 

È stato presentato alla stampa estera il libro OxyPolitik, il nuovo saggio di Raffaele Rio, Presidente di Demoskopika. Hanno partecipano Raoul “Nobody” Chiesa, Nino Cartabellotta (Presidente Fondazione GIMBE) e Carlo Canepa (Responsabile editoriale)

Durante la conferenza stampa l'autore ha spiegato cosa scrive il suo saggio :

Il numeroso esercito dei politicanti sta consapevolmente diffondendo il suo oppioide: l’OxyPolitik. E lo sta facendo sfruttando principalmente i social, da Facebook a Twitter, passando per TikTok e Instagram. Ha puntato sui social perché sa perfettamente che sono vere e proprie estensioni da cui le persone fanno sempre più fatica a liberarsi; anzi, ne risultano, in qualche modo, “dipendenti”. Il tutto si metabolizza nella piena e cinica consapevolezza che l’opinione pubblica, soprattutto quella tanto fedele ai social network, è quasi sempre distratta, risultando attenta soltanto in brevi frazioni di tempo. Pochi contenuti, quindi, possibilmente ripetitivi e semplificati all’ennesima potenza e serviti al mercato del consenso con tanto di foto e video per accattivare maggiormente l’attenzione con ridotti sforzi mentali. Una allarmante deriva (social)qualunquista che scarnifica messaggi, contenuti e proposte dei rappresentanti del popolo. E intanto criticità e problemi permangono condizionando l’agire politico e la gestione della cosa pubblica.

L’Italia ha un debito pubblico da oltre 2.800 miliardi di euro, incubo dei decisori istituzionali, che complica qualsiasi processo di crescita economica; l’Italia è al 74esimo posto su 209 paesi per qualità dei servizi pubblici in compagnia di Botswana, Polonia, Tonga, India, Vietnam, Ruanda e Costa Rica; l’Italia è il quinto paese europeo dove si pagano più tasse; l’Italia è al 58esimo posto al mondo nella classifica della complessità fiscale; l’Italia ha un contenzioso tributario fatto da 240mila ricorsi per un valore complessivo delle controversie pari a 30 miliardi di euro; l’Italia ha una criminalità organizzata sempre più infiltrata nelle istituzioni politiche ai vari livelli, capace di controllare centinaia di migliaia di voti; l’Italia presenta un divario crescente tra Sud e Nord in numerosi indicatori macroeconomici; l’Italia è contraddistinta da un tasso di disoccupazione nel Mezzogiorno, soprattutto quello giovanile, tra i più alti d’Europa.

Se la ’ndrangheta si presentasse oggi alle elezioni politiche in Italia con un proprio simbolo (infografica 1) e una propria lista, la ‘Ndranghetocrazia, otterrebbe circa 700mila voti (infografica 2) eleggendo otto parlamentari, cinque deputati e tre senatori. Un peso politico identico ai voti ottenuti dai Repubblicani di Trump alle elezioni presidenziali del 2020 nello stato del Connecticut (715 mila voti) e dai Democratici di Biden nel Nevada (703 mila voti) oppure alla somma del consenso ottenuto dallUnione Cristiano Democratica (CDU) e dal Partito Socialdemocratico (SPD), alle Elezioni Federali del 2021 nello Stato di Brandeburgo, pari a 684mila preferenze ottenute (infografica 3).

Ma il sodalizio criminale di origine calabrese non ama “mostrarsi in pubblico” scegliendo una strategia più conveniente: sostenere, attraverso i Gruppi di Condizionamento Elettorale, espressione diretta delle oltre 400 ’ndrine sparse nei territori italiani, candidati “appetibili” dell’intero arco costituzionale, condizionando la scelta dei rappresentanti istituzionali e, di conseguenza, ottenendo un ruolo significativo nella gestione, nel controllo degli enti pubblici centrali e locali, nel consolidamento delle relazioni con i gruppi politici, con il sistema burocratico e, infine, all'accaparramento delle gare d’appalto.


In testa per capacità di condizionamento del voto elettorale della ’ndrangheta, si posizionerebbe il Mezzogiorno, all’interno del quale le ’ndrine potrebbero contare su un mercato potenziale di circa 300mila preferenze, ossia poco meno della metà del consenso complessivo italiano “estorto”. Ovviamente in cima si colloca la Calabria in cui si palesa un alto livello di condizionamento politico-elettorale delle oltre 300 ’ndrine attive sul territorio. A seguire l’area del Nord Ovest con Lombardia, Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, che subirebbe il potere di condizionamento dei sodalizi criminali ’ndranghetisti per ben 190 mila voti, pari al 27% del dato complessivo. E, ancora, nei sistemi sociali del Centro-Italia (Lazio, Toscana, Umbria e Marche) con Roma in prima fila, si concentrerà una quota del potere di condizionamento per ben 140 mila preferenze. Infine, nel Nord-Est, la forza coercitiva elettorale della ’ndrangheta esprimerebbe il suo minore potere (70 mila voti), seppur altrettanto preoccupante e significativo concentrati prioritariamente in Emilia-Romagna.

Diffusa indifferenza e generalizzata sfiducia sull’efficacia degli interventi statali è, infine, il sentimento che prevale tra i cittadini residenti nei comuni i cui consigli sono stati sciolti per fenomeni di infiltrazione o condizionamento di tipo mafioso. Un orientamento medio ottenuto analizzando gli ultimi dieci anni dei riscontri realizzati dalle commissioni straordinarie per “misurare” i rapporti tra cittadinanza e amministrazione negli enti locali che coinvolgerebbe ben 560 mila cittadini su una popolazione di riferimento pari a circa un milione di residenti.

In particolare, un cittadino su tre (31,3%) che vive nei comuni commissariati per infiltrazione mafiosa ha manifestato una generale indifferenza sull’operato degli organi di gestione straordinaria. Per il 17% della popolazione locale interessata prevale il senso di rassegnazione, mentre il 9,1% ritiene la presenza delle commissioni straordinarie una perdita di tempo e il 2,9% ha manifestato un sentimento di paura evitando di affrontare l’argomento. Esistono, inoltre, altri due orientamenti diametralmente opposti che si ritiene utile far emergere. Da un lato, il provvedimento di scioglimento viene considera to funzionale a un complotto politico (10,1%) o conseguenza di un errore delle istituzioni (8,2%). Sul versante opposto, l’atteggiamento prevalente dei cittadini che apprendono dello scioglimento del consiglio comunale del comune dove vivono è di indignazione per quanto accaduto (21,4%).

Sono sette le Regioni italiane che nel 2021 non sono riuscite a garantire pienamente le cure essenziali. È questo il dato più forte che emerge dai risultati del monitoraggio dei Livelli essenziali di assistenza calcolati con il nuovo sistema di garanzia pubblicato dal Ministero della Salute. È principalmente il Sud a registrare un livello di sofferenza maggiore nell’erogazione dei servizi sanitari.

E la politica italiana come si è mossa? I risultati dell’analisi puntuale e indipendente dei programmi elettorali condotta dalla Fondazione Gimbe per le elezioni politiche in Italia nel settembre del 2022 restituiscono un quadro deludente. Se da un lato alcune tematiche (riforma della sanità territoriale, potenziamento organico del personale sanitario e superamento delle liste di attesa) sono comuni alle principali coalizioni e schieramenti politici, dall’altro per la combinazione di ideologie partitiche, scarsa attenzione per la sanità e limitata di visione di sistema, le proposte sono frammentate, spesso strumentali, non sempre coerenti e senza alcuna valutazione dell’impatto economico. E, cosa ancora più inquietante, nessuna forza politica ha elaborato un adeguato piano di rilancio per la sanità pubblica, in grado di contrastare la strisciante privatizzazione, al fine di garantire a tutti i cittadini il diritto costituzionale alla tutela del nostro bene più prezioso: la salute.

Nel 2022, elaborando i dati Eurostat, l’Italia ha registrato il suo record storico della pressione fiscale, con il 43,7% del Pil che va nelle casse dello Stato. Nel 1995, infatti, l’ammontare del prelievo operato dallo Stato e dagli altri enti pubblici sotto forma di imposte, tasse e tributi, si era attestato al 40,3%. Per operare, inoltre, un confronto con tutti gli altri paesi, risulta necessario utilizzare i dati al 2021. E così emerge che l’Italia, con il 43,6%, è il quinto paese europeo dove si pagano più tasse. Peggio soltanto Danimarca (48,3%), Francia (47%), Belgio (46%) e Austria (43,7%). La media dell’Unione Europea, invece, si attesta sul 41,6% del Prodotto interno lordo. Ma quante tasse si pagano in Italia? Tasse e imposte, a tutti i “livelli fiscali territoriali”, sarebbero quasi 70 ripartite nel modo seguente tra le categorie individuate, anche se in qualche caso interscambiabili: imprese e associazioni (18), persone fisiche (7), auto e trasporti (13), casa e immobili (10), tasse sul consumo energetico (4), tasse relative a procedimenti e atti legali e amministrativi (6), imposte su attività finanziarie e di trading (5), altre imposte (4).

La guerra in Ucraina ha rallentato la ripresa e ha fatto aumentare i prezzi non solo dell’energia, ma anche di tanti altri prodotti, molti dei quali necessari alla produzione agricola. In coincidenza con lo scoppio del conflitto in Ucraina, la variazione tendenziale (ossia rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente) dei prezzi di energia elettrica e combustibili ha subìto, elaborando i dati Istat, un rialzo più che rilevante principalmente nell’ultima parte del 2022 e nei primi mesi del 2023: mediamente il 130% nell’ultimo trimestre del 2022 e il 42% nel primo trimestre del 2023. E, inoltre, il conflitto avrebbe generato, al mese di settembre 2022 secondo una recente stima di Demoskopika, una perdita di valore aggiunto pari a oltre 16 miliardi di euro. A soffrire maggiormente i settori cosiddetti energivori: trasporti, prodotti derivanti dalla raffinazione del petrolio, chimica, prodotti metallurgici, costruzioni. Oltre 2,3 milioni, inoltre, le aziende attive nei settori maggiormente legati all’energia.


Oltre 7 dichiarazioni su 10 di esponenti politici risultano prive di fondamento, di dati e fatti in grado di garantire loro accuratezza, veridicità e credibilità. Dato ancora più allarmante se si prova a quantificarlo: su 1.097 esternazioni da parte dei rappresentanti del popolo, ben il 76,3% risulta, totalmente o parzialmente falsa.  È quanto contenuto in Oxy Politik che ha provato a tracciare una classifica delle principali forze politiche italiane che si sono contraddistinte per un livello maggiore di dichiarazioni non confermate da fatti, dati e fonti, o solo parzialmente confermate.

Qual è, dunque, la classifica dei partiti Pinocchio? (infografica 4). In vetta, si colloca il movimento della Lega di Salvini, con un rapporto tra dichiarazioni scorrette e parzialmente scorrette che arriva all’88,6% dei casi monitorati. Immediatamente dopo si posiziona Forza Italia con l’83,6%. Sopra la media del sistema italiano, altre due soggetti dell’agone politico. Impegno Civico di Luigi Di Maio, nato nell’agosto del 2022 in occasione delle elezioni politiche, ma già contraddistinto da un elevato livello di dichiarazioni poco veritiere: per lui un terzo posto nel medagliere con il 77,8%. E subito a seguire, Italia Viva dell’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi con il 76,6%. Al di sotto del dato medio italiano (76,3%), le rimanenti forze politiche che si è riusciti a monitorare per numerosità delle dichiarazioni dei loro esponenti negli anni. Da Fratelli d’Italia, partito dell’attuale presidente del Consiglio Giorgia Meloni (75,5%), al Movimento 5 Stelle (75,3%), al Partito Democratico (67,7%). Elaborando, infine, dichiarazioni con dati, fatti e verdetti per come rilevati dall’autore di Oxy Politik, i migliori piazzamenti spettano all’Alleanza Verdi e Sinistra e ad Azione di Calenda & Company rispettivamente con il 66,1% e il 64%.

La popolarità non è gratuita, tutt’altro. Uno sforzo per la classe politica battente bandiera italiana che comporta investimenti economici. Per avere un’idea, seppur parziale e indicativa, degli investimenti della propaganda politica sui social, si è analizzata la raccolta pubblicitaria su Facebook e Instagram, accedendo alla libreria delle inserzioni e limitando la ricerca all’Italia e alla categoria “Temi sociali, elezioni e politica”. In termini di raccolta pubblicitaria, il peso delle principali forze politiche vale quasi 4 milioni di euro in circa quattro anni. Ma quale soggetto politico ha investito di più? Analizzando i dati della raccolta per i social del gruppo Meta (Facebook e Instagram), sicuramente la Lega di Salvini che con quasi un milione di euro rappresenta un quarto (24,8%) del totale degli investimenti complessivi dei soggetti politici italiani. A seguire il Partito Democratico che, nell’arco temporale considerato, ha versato nelle casse di Mark Zuckerberg oltre 592 mila euro e, a pochissima distanza, Fratelli D’Italia con più di 579 mila euro investiti in inserzioni su Facebook e Instagram. Molto attivi sul versante social-pubblicitario anche le due forze politiche dell'ormai tramontato “Terzo polo”, Azione di Calenda e Italia Viva di Renzi rispettivamente con 352 mila euro e 348 mila euro di spesa totalizzata per la propaganda elettorale. (infografica 5).

Esiste un nesso tra la partecipazione al voto e l’uso dei social network? I dati, seppur espressione di un’analisi preliminare, sembrerebbero sostenere questa l’ipotesi. Mentre, infatti, il livello di affluenza si riduce negli anni (75,2% nel 2013, 72,9% nel 2018 e 63,9% nel 2022 per le elezioni politiche) in direzione diametralmente opposta si muove la quota di cittadini che usa le reti sociali (54,9% nel 2013, 65,2% nel 2018 e 67,2% nel 2022).

Inoltre, per avere un’idea ancora più evidente dell’astensionismo o del “voto mancato”, è sufficiente applicare alle tre singole competizioni elettorali poc’anzi osservate, il tasso medio di affluenza alle urne che si è registrato in Italia fino al 1976, pari al 93,17% ottenendo, in qualche modo, la quota di italiani che ha rinunciato ad andare a votare: nel 2013, con una simile affluenza si sarebbero recati alle urne 7,6 milioni di italiani in più, nel 2018 oltre 9,4 milioni di individui fino ad arrivare alla più recente elezione del 2022 che avrebbe, nella nostra simulazione, visto una maggiore partecipazione al voto pari a ben 13,5 milioni di elettori.


Se, infine, si prova a generare una previsione per l’immediato futuro sulla base dei trend storici e dei comportamenti dell’elettorato attivo fino ad ora registrati, potrebbe verificarsi che in occasione delle prossime elezioni politiche previste, alla loro data naturale, nel 2027, si recheranno alle urne circa il 54%, poco più della metà, quindi, degli aventi diritto al voto. Un risultato, dunque, scarno per qualsiasi maggioranza che uscisse vittoriosa dalle urne e, soprattutto, poco edificante per la democrazia italiana e per le sue istituzioni di rappresentanza.

Le maggiori sigle sindacali italiane perdono migliaia di iscritti all’anno. I numeri non lasciano spazio a dubbi: dal 2011 al 2022, i tesserati hanno registrato una contrazione di circa 850mila persone, di cui oltre 582 mila residenti nelle realtà regionali del Mezzogiorno, pari a poco meno del 70% della contrazione complessiva. È la Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori (Cisl), in valore assoluto, a subire il maggiore decremento con un calo di ben 491 mila iscritti seguita dalla Confederazione Generale Italiana del Lavoro (Cgil) con meno 476 mila tesserati. In controtendenza, l’Unione Italiana del Lavoro (Uil) che nell’arco temporale considerato fa registrare un incremento di poco meno di 118 mila iscritti. Anche l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) raccoglie i dati sulle adesioni ai sindacati dai siti dei sindacati stessi. La densità sindacale (Trade Union Density), definita come il numero di iscritti netti al sindacato (escludendo cioè coloro che non fanno parte della forza lavoro, disoccupati e lavoratori autonomi) in proporzione al numero dei dipendenti, conferma un calo manifesto delle iscrizioni ai sindacati italiani a partire dal 2013: dal 35,7 al 32,5 segnando il minimo storico degli ultimi 20 anni.

L’83,7% dei giovani italiani ritiene che l’incitamento all’odio in rete comporti “conseguenze sulla vita reale degli offesi” a cui fa immediatamente eco una consistente quota del 79,5% che lo ritiene una “forma molto grave di aggressione dell’altro”. A chiudere l’orientamento di condanna la percezione di chi pensa che l’hate speech sia un fenomeno “legato a maleducazione” di chi lo commette (76,9%). Sul versante “giustificazionista”, inoltre, il 41,3% ritiene che le social insidie siano una “modalità tipica della comunicazione online” (41,3%) mentre per il 27,2% “sono solo parole”. Il 25,6% pensa che l’hate speech “evita che l’odio si esprima nella vita reale” e per il 20,4% risulta un “modo accettabile per ridurre la rabbia”.

 

 Fonte  Raffaele Rio, presidente di Demoskopika

 

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