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Alexander Alexandrovich Friedmann

 

Ricordiamo, brevemente, lo status quaestionis riguardante la comprensione dell’Universo, da parte della scienza, alla vigilia degli anni 20’ del secolo scorso, cioè quelli che videro “protagonista” il matematico e meteorologo russo, Alexander Alexandrovich Friedmann (1888-1925): l’uomo che scoprì l’espansione dell’universo. La sua opera, unitamente, a quella dell’abate e fisico belga Georges Lemaitre (1844-1966) e del fisico russo-americanizzato-George Gamow (1904-1968), mutò profondamente la conoscenza e la visione del mondo fino allora comunemente accettate. La portata di quel cambiamento di “paradigma”è radicale, ma non fu, né allora, né oggi, per la verità, adeguatamente compresa, tanto che i tre non godettero, e non godono, di un riconoscimento proporzionale ai loro meriti. Armati unicamente di carta, matita e…ingegno, “sfidarono” e vinsero la battaglia contro un establishment scientifico compattamente schierato a favore di un Universo concepito come eterno, statico e infinito. In uno dei prossimi articoli vedremo che, in realtà, non c’era alcun fatto empirico- l’unico motivo che dovrebbe ispirare e guidare le teorie scientifiche-, che facesse propendere per una tale concezione, ma solo delle pre-comprensioni filosofiche di stampo materialista e antimetafisico. Quelli, dunque, erano gli anni in cui il grande fisico Albert Einstein (1879-1955) era pervenuto con la sua Teoria della Relatività Speciale, prima, e Generale, poi, per la prima volta nella storia dell’uomo, a una descrizione coerente della totalità degli oggetti gravitazionalmente interagenti, cioè del nostro Universo fisico. Le sue equazioni di campo erano esteticamente soddisfacenti e matematicamente “semplici”: due ingredienti indispensabili per una teoria scientifica vera. Tuttavia, qualcosa non quadrava, stonava rispetto al “paradigma”allora vigente: la formula della gravità einsteiniana descriveva un Universo in cui tutto si attraeva, tendendo, così, a convergere in un punto e, dunque, ad autodistruggersi. Lo stesso problema presentava, anche se dovuto a cause di natura diversa, l’universo newtoniano; il grande scienziato inglese credette di“risolvere” la questione, mediante il concetto di sensorium divino, una sorta di connessione tra Dio e lo spazio fisico infinito, che trovò diversi oppositori già all’epoca. In pratica, ogni tanto, Dio avrebbe assestato qualche “colpetto”al punto giusto impedendo, così, all’universo di collassare su se stesso… Naturalmente, Einstein non poteva accettare una simile concezione; tuttavia, altrettanto “fideisticamente”, si impegnò a trovare una soluzione che garantisse sì, in perfetta coerenza con quanto osservato, la stabilità dell’universo, ma al contempo fosse in armonia con l’idea previa, di un universo eterno e statico, secondo le aspettative del mondo scientifico coevo. Einstein, ci riuscì: trovò un espediente ad hoc, la famosissima costante cosmologica, analoga sostanzialmente, agli epicicli del tanto vituperato Tolomeo (100 ca-170). In pratica, era una forza repulsiva fittizia, col valore numerico “giusto”, introdotta da Einstein, - nient’altro, che un sensorium divino moderno- per contrastare la forza di attrazione gravitazionale. Con questo “colpetto”, arbitrario, ottenne un terzo, importantissimo, risultato, che si aggiungeva ai primi due, già conseguiti, indipendentemente, dalla costante cosmologica: 1) Spiegava, altrettanto bene, tutti i fenomeni della meccanica newtoniana 2) Spiegava perfettamente i fenomeni in prossimità di forti campi gravitazionali -es, moto di mercurio al perielio, deflessione di un raggio di luce-, dove la teoria newtoniana perdeva la sua validità. 3) Finalmente, spiegava un universo statico ed eterno. Questa, dunque, era la situazione al momento in cui Friedmann fece il suo esordio nel mondo scientifico. Nacque a San Pietroburgo nel 1888 e visse, dunque, la sua giovinezza in tempi politicamente agitati: si schierò subito contro lo zar Nicola II (1868-1918), in ciò forse stimolato dal suo professore di matematica Vladimir Andreevich Steklov (1864-1926). Proprio Steklov, intuì il suo grandissimo talento matematico; gli propose, mentre era ancora studente, un problema molto complesso, inerente all’equazione di Laplace. Friedmann, lo risolse prontamente, presentandone la soluzione in un testo di 130 pagine, che lasciò basito lo stesso Steklov. Partecipò alla prima guerra mondiale, visse la Rivoluzione russa e la successiva guerra civile; finalmente, in un periodo relativamente calmo, poté frequentare l’ambiente accademico russo, ormai sovietico, nel quale vivrà altrettanti problemi personali, a causa delle sue scoperte. Ma procediamo con ordine. Gli avvenimenti politici prima descritti, per la loro intensità, tennero fuori per un po’ la Russia dal grande flusso di idee della comunità scientifica internazionale. Alla fine, questo isolamento, si rivelò addirittura benefico per Friedmann; infatti, quando “incontrerà”la teoria della Relatività, non si lascerà influenzare dalle idee di Einstein sulla costante cosmologica, che conosceva poco e male. Al cospetto delle equazioni da campo relativistiche, si lasciò guidare, unicamente, dal suo enorme talento matematico; talento che, ovviamente, si orientò non sulle precomprensioni filosofiche occidentali, ma sulla grandiosità e bellezza originarie delle equazioni einsteiniane, logicamente, prive della costante cosmologica. Come nel gioco del domino, dalle soluzioni originarie scaturiva un universo dinamico e in evoluzione; probabilmente, interessato da una violenta espansione, necessaria, a contrastarne l’attrazione gravitazionale su se stesso: l’esatto opposto di quanto desiderato in Europa. Non solo, ma Friedmann si pose e risolse il problema di cosa sarebbe accaduto variando sia la velocità di espansione, sia la densità media di materia. Il risultato fu sorprendente: scaturirono, addirittura, tre varianti dell’Universo. In breve: con una grossa densità di materia, l’universo sarebbe collassato su se stesso; con una leggera densità, avrebbe continuato a espandersi; con una quantità di materia intermedia, l’espansione avrebbe teso a rallentare, ma non ad arrestarsi del tutto. Una cosa, tuttavia, era certa: pur non potendo ancora scegliere, in base alle verifiche sperimentali, qual era il vero modello di universo, si poteva dire, però, con certezza, che certamente non era quello eterno e statico di Einstein! Friedmann pubblicò questi risultati strabilianti sulla rivista Zeitschrift fur Physik”, nel 1922. Einstein, naturalmente, reagì da par suo; erano tempi, quelli, nei quali in mancanza di evidenze sperimentali, il grande fisico ebreo- tedesco, poteva decretare, con una sua parola, la vita o la morte di una teoria. Presa carta e penna, scrisse una lettera di reclamo al Direttore della rivista: «I risultati relativi al mondo non stazionario contenuti nel lavoro- di Friedmann- mi appaiono sospetti. In realtà, la soluzione fornita risulta non soddisfare le equazioni (della Relatività Generale)». In pratica, Einstein adombrava la possibilità di un errore matematico nel lavoro di Friedmann; ma, così come si dice che è rischioso correggere il latino in bocca a san Girolamo (347-420) lo è altrettanto, cercare di correggere la matematica in bocca a Friedmann, anche se a farlo, è Einstein in persona. Friedmann non si perse d’animo – ricordiamo che stiamo parlando di un giovane che osa combattere contro la stessa istituzione “incarnata”della scienza-, e tramite lettera mostrò che i suoi calcoli erano esatti: in matematica, così come nella scienza galileiana, contano i contenuti provati, non quelli opinati. L’argomento d’autorità non ha alcuna valenza, se non corroborato dai fatti: anche se, il coevo circo mediatico sembra dimenticarlo e agli scienziati, in genere, chiede “verità” su tutto, anche in campi lontani dalle loro competenze. A onore di Einstein, tuttavia, occorre rilevare che ammise prontamente l’errore, scusandosene: «Sono convinto che i risultati ottenuti da Friedmann siano corretti e chiarificatori. Mostrano che oltre a soluzioni statiche (alla relatività generale), le equazioni di campo hanno anche soluzioni mutevoli nel tempo con una struttura spaziale simmetrica». Einstein, ammetteva, dunque, la correttezza delle soluzioni di Friedmann, ma - all’epoca lo poteva ancora fare-, poiché, al tempo, non c’erano, prove sperimentali “preferiva”affidarsi alla soluzione statica introdotta dalla sua correzione ad hoc o costante cosmologica. Friedmann, purtroppo, morì appena tre anni dopo questa vicenda a soli 37 anni, forse per le conseguenze di una polmonite contratta durante un volo in una mongolfiera a 7600 metri d’altezza. Tuttavia, Friedmann non era destinato a trovare pace, nemmeno dopo morto. L’ubicazione della sua tomba, infatti, andò perduta poco tempo dopo la sua sepoltura. Il regime stalinista, infatti, lo considerava un creazionista, per aver destabilizzato la nozione di un universo statico ed eterno, cara al materialismo marxista; pertanto, non si curò affatto, né della sua tomba, né, logicamente, della sua memoria. La sua “fortuna” consisté nell’essere stato sepolto accanto al grande matematico Eulero (1707-1783). Così anni dopo, pur se Eulero era stato spostato, ci si ricordava dell’ubicazione della sua tomba e, conseguentemente, fu “facile” rintracciare quella di Friedmann. A tal proposito si racconta un aneddoto divertente, che merita di essere ricordato. Siamo al cimitero di Smolenskoye e uno studente di fisica, Michail Rosenberg, una mattina ne mette in subbuglio la direzione; infatti, sta scrivendo la sua tesi di laurea e, il suo relatore, Andrei Grib, gli fa capire, che uno dei suoi compiti sarà proprio quello di ritrovare la tomba di Friedmann: se ci riuscirà, sarà ampiamente ricompensato, con un’adeguazione del voto finale. Mentre discute animatamente con un dirigente, è avvicinato da un “becchino”che chiede al direttore il motivo di tale disputa. Così racconta l’episodio, il prof. Jean - Pierre Luminet: «Il direttore del cimitero gli risponde che lo studente cerca un certo Friedmann…Quale Friedmann -chiede l’impiegato-quello che ha scoperto la soluzione cosmologica non statica delle equazioni di Einstein? Sì, Si! grida lo studente. Beh, venga con me, gliela faccio vedere! La tomba del cosmologo è stata ritrovata così. Il becchino non era altri che un ex fisico costretto a lasciare il suo istituto di ricerca per mancanza di fondi». Quasi, quasi sembra una storia dei nostri giorni…

Scienziati giapponesi ed americani hanno scoperto una tecnica veloce ed economica per creare cellule con una capacità embrionali sottoponendo cellule di topi a vari tipi di  stress. Ad evidenziarlo Giovanni D'Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, che segnala la straordinaria scoperta riportata in due articoli pubblicati nella rivista Nature di mercoledì .

Con questi esperimenti che potrebbero aprire una nuova era nel campo della biologia delle cellule staminali, gli scienziati hanno trovato un modo economico e semplice per riprogrammare le cellule adulte di topi nuovamente in uno stato embrionale simile che ha permesso loro di generare molti tipi di tessuto.

'Se funzionasse nell'uomo, questa potrebbe essere l’innovazione che rende definitivamente disponibili una vasta gamma di terapie cellulari utilizzando le cellule del paziente come materiale di partenza' , ha evidenziato Chris Mason, preside della facoltà di medicina rigenerativa presso l'University College di Londra.

La ricerca, evidenzia come le cellule umane potrebbero in futuro essere riprogrammate con la stessa tecnica, offrendo un modo più semplice per sostituire le cellule danneggiate o far crescere nuovi organi per i malati ed i feriti.

Il professor Chris Mason, che non è stato coinvolto nel lavoro, ha detto che questo approccio è stato "il più semplice, più a basso costo e il metodo più rapido" per generare le cosiddette cellule pluripotenti - in grado di sviluppare in molti diversi tipi di cellule - da cellule mature.

Gli esperimenti, hanno visto il coinvolgimento di scienziati del Centro per la Biologia Evolutiva RIKEN in Giappone e Brigham and Women Hospital e della Harvard Medical School negli Stati Uniti.

A partire da cellule adulte e mature, i ricercatori le hanno lasciate moltiplicare e poi le hanno sottoposti a stress "quasi sino al punto di morte", hanno spiegato, esponendoli a vari eventi, tra cui traumi, bassi livelli di ossigeno e ambienti acidi.

In pochi giorni, gli scienziati hanno scoperto che le cellule sopravvissute e recuperate a seguito degli stimolo stressanti  sono ritornate naturalmente in uno stato simile a quello di una cellula staminale embrionale.

Queste cellule staminali create da questa esposizione a sollecitazioni - denominato cellule STAP dai ricercatori - erano quindi in grado di differenziare e maturare in differenti tipi di cellule e tessuti, a seconda degli ambienti sono stati dati.

"Se siamo in grado di elaborare i meccanismi attraverso i quali gli stati di differenziazione sono mantenuti e persi, si potrebbe aprire una vasta gamma di possibilità per nuove ricerche e applicazioni che utilizzano cellule viventi", ha detto Haruko Obokata, che ha guidato l’equipe della RIKEN.

Le cellule staminali sono cellule del corpo e sono in grado di differenziarsi in tutti gli altri tipi di cellule.  Gli scienziati dicono che, contribuendo a rigenerare il tessuto, potrebbero offrire modi di affrontare le malattie per le quali vi sono attualmente solo trattamenti limitati - tra cui le malattie cardiache, il morbo di Parkinson e l’ictus.

Ci sono due tipi principali di cellule staminali: quelle embrionali, ottenute da embrioni e le cellule adulte o iPS, che sono prese dalla pelle o dal sangue e riprogrammate in cellule staminali.

Poiché la raccolta di cellule staminali embrionali richiede la distruzione di un embrione umano, la tecnica è stata oggetto di preoccupazioni etiche e proteste degli attivisti pro-vita.

Dusko Ilic, un ricercatore che si occupa di cellule staminali al Kings College di Londra, ha detto che gli studi pubblicati su Nature costituiscono "un importante scoperta scientifica" e ha predetto che queste scoperte potrebbero aprire "una nuova era nel campo della biologia delle cellule staminali".

"Se le cellule umane avessero potuto rispondere in modo simile a stimoli ambientali comparabili ... resta da dimostrare", ha tuttavia sottolineato in un commento ed ha aggiunto; "Sono sicuro che l’equipe sta lavorando su questo e non sarei sorpreso se riusciranno entro anche quest’anno solare".

Edwin Hubble

 

In precedenza abbiamo visto, seppur per sommi capi, quel che è accaduto, secondo la scienza, nei primi tre minuti dopo la Creazione, ossia dopo il “Grande Botto”, che certamente ha originato tutti noi. Ora esamineremo come, nel “breve”arco temporale che va dal 1922 al 1948, nacque e si strutturò l’idea del Big bang, ossia di un Universo originatosi da un inizio molto caldo e denso, che man mano si espande, raffreddandosi, e i cui frazionamenti, continui e successivi, l’hanno, infine, modellato nella forma con la quale ci appare oggi. Queste brevi note, che noi diamo quasi per scontate, non lo erano affatto agli inizi degli anni 20’. All'epoca, -sembrerà strano-, la convinzione più diffusa riguardo al cosmo, era che coincidesse con la nostra Via Lattea e che fosse statico ed eterno… Il primo scossone a questa “costruzione”, naturalmente, lo diede Albert Einstein (1879-1955), che in un articolo celeberrimo, sulle conseguenze cosmologiche della relatività, legò le proprietà strutturali dell’Universo alla gravitazione: aveva fondato la cosiddetta cosmologia relativistica, che costituisce il punto d’origine, obbligatorio, per le idee-base della teoria del Big Bang. Quali sono queste idee-base e chi le formulò? Qui, saltano fuori le prime sorprese, perché i veri protagonisti di questa affascinante storia scientifica delle nostre origini, sono pressoché sconosciuti al grande pubblico. Iniziamo dalle linee portanti del Big Bang: 1) singolarità iniziale, ossia densità e temperatura tendenti all’infinito all’origine del cosmo, dunque della nostra storia, anche personale. 2) Espansione dell’Universo 3) Esistenza di una radiazione di fondo, permeante ogni angolo dell’Universo, eco del “Botto” iniziale e “memoria”, affievolita, dell’universo neonato, primitivo. Solitamente, nella vulgata comune, i padri fondatori della teoria del big bang sono considerati il già ricordato Einstein e l’astronomo americano, Edwin Hubble (1889-1953). Nessuno nega l’importanza, specie di Einstein- senza le cui equazioni del campo non ci sarebbe nessuna teoria del big bang-, o delle osservazioni basilari di Hubble, che primo al mondo “allargò”l’Universo dimostrando la natura extragalattica delle nebulose e chiudendo, di fatto, il Grande Dibattito, del quale ho trattato in un pezzo precedente. Tuttavia, come vedremo più avanti, entrambi, per motivi diversi, filosofici Einstein, pragmatici Hubble, non appoggiarono il modello del Big Bang: anzi, Einstein lo riprovava apertamente trovandolo “abominevole”, per via dell’espansione e dell’”inizio”del mondo. Un modello troppo vicino a quanto raccontato nella Genesi. A onor del vero, con l’onestà intellettuale che lo contraddistingueva, quando l’evidenza dei fatti s’impose, cambiò prontamente idea, riconoscendo i suoi sbagli. Hubble, invece, al quale vengono, in genere, riconosciuti più meriti di quanti effettivamente non ne abbia avuti, sembrava poco interessato ad approfondire il significato delle misure che raccoglieva. Per sua stessa ammissione, non era un teorico: il suo compito era di registrare dati sempre più precisi. In questo fu il migliore. Non sempre si ricorda che l’altra grande scoperta per la quale è diventato giustamente famoso, lo spostamento verso il rosso, red-shift, delle galassie, la compì, per primo, l’astronomo Vesto Slipher, nel 1912. (1875-1969). Naturalmente, Hubble ebbe il merito di misurazioni assai più precise, grazie alle quali, dedusse, che la velocità delle galassie aveva una relazione matematica con la loro distanza. Oggi questa legge, empirica, porta il nome di Legge di Hubble, ma anche in questo caso il merito andrebbe condiviso con l’abate Georges Lemaitre (1894-1966), come vedremo. Le implicazioni di questa scoperta grandiosa erano sorprendenti: se le galassie erano in fuga, voleva dire che un tempo, andando a ritroso, come quando riavvolgiamo un nastro, erano tutte condensate in un unico punto. Come ha scritto il giornalista scientifico Simon Singh: ”Si trattava della prima prova di osservazione a suggerire quello che oggi chiamiamo big bang. Era il primo indizio che indicava la possibile esistenza di un momento di creazione”. Un duro colpo per quelli che nel loro ateismo si sentivano psicologicamente aiutati dall’idea di un cosmo sferico, eterno, infinito e sempre uguale a se stesso, nel tempo e nello spazio. Tuttavia, forse per tenersi lontani dalle polemiche, Hubble e il suo fido assistente, Milton Lasell Humason (, 1891-1972), nello spiegare le loro scoperte scrissero: ” Gli autori sono costretti a descrivere gli evidenti spostamenti delle velocità senza avventurarsi nell’interpretazione e nel loro significato cosmologico”. A onore di Humason, va detto che ebbe il merito di passare dall’incarico di mulattiere presso l'Osservatorio di Monte Wilson, al divenire il fotografo astronomico più bravo del mondo: sue erano le lastre che consentirono a Hubble di scoprire la legge omonima e di portare le prime prove a favore del Big bang. In realtà, i veri “padri” del Big Bang sono stati altri tre scienziati, tanto noti in ambito accademico, quanto sconosciuti e un po’ “sfortunati”- nessuno dei tre ebbe il Nobel che pur avrebbero meritato- a livello popolare. In ordine cronologico: il russo (sovietico) Alexander Friedmann (1888-1925), valentissimo matematico e meteorologo (!); il belga, già ricordato, Georges Lemaitre sacerdote, molto dotato in matematica, e fisico di prim’ordine e infine ancora un russo (sovietico), poi naturalizzato americano, il fisico George Gamow(1904-1968), certamente, il più “noto” dei tre. Per sintetizzare la storia del Big Bang, può essere efficace riportare quanto scritto dall’astrofisico francese Jean-Pierre Luminet: ”Einstein ha elaborato la teoria della relatività generale e scritto le equazioni che regolano le proprietà fisico-geometriche dell’universo, mentre Friedmann ha scoperto le soluzioni non statiche di queste equazioni, che descrivono la variazione temporale dello spazio, e ha intravisto la possibilità che esso abbia avuto inizio in una singolarità. Lemaitre ha collegato l’espansione teorica dello spazio al movimento osservato delle galassie, gettato le basi fisiche del Big bang e anticipato il ruolo fondamentale giocato dalla meccanica quantistica e dall’energia del vuoto. Gamow ha dimostrato come si sono formati gli elementi leggeri nell’Universo caldo dell’origine e ha predetto l’esistenza della radiazione fossile; Hubble, infine, ha dimostrato la natura extragalattica delle nebulose a spirale e ha dato un fondamento sperimentale alla legge di proporzionalità fra la loro velocità di recessione e la loro distanza”. Dalla prossima volta esamineremo il contributo dei tre “sconosciuti”padri del Big bang.

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Proseguendo nell’indagine storica sullo stretto rapporto tra fede cristiana e scienza, già avviato con Scienziati, dunque credenti , Francesco Agnoli arricchisce questa indagine con un nuovo saggio Scienziati in tonaca edito da Lindau (pp. 136, cartaceo € 14,00 - eBook € 9,99) in collaborazione con Andrea Bartelloni, medico pisano già molto attivo sul fronte del monitoraggio del corretto rapporto tra scienza e fede nell’ambito dei testi scolastici.

Non una apologetica astratta e teoretica (che pur sarebbe necessaria, ma a cui, per certi aspetti, si può rimandare anche al volume precedente succitato) bensì una galleria di studiosi con le loro scoperte ed invenzioni. Tutti rigorosamente credenti, e praticamente tutti cattolici (en passant si cita un anglicano), moltissimi addirittura sacerdoti, lungo un periodo che va dalla fine del Medioevo agliinizi del Novecento.

Nell’agile studio dei due autori scorronole diverse discipline scientifiche che grazie a questi scienziati cominciano prendere forma o a realizzare importanti progressi: si parte dell’eliocentrismocon il vescovo medievale Nicole Oresme e con il canonico agostiniano Copernico; si prosegue dimostrando che, inoppugnabilmente,il padre del magnetismonon è lo scienziato inglese Gilbert bensì il gesuita Leonardo Garzoni;si enumerano i progressi della scienza idraulica grazie alle scoperte e alle invenzioni del sacerdote Benedetto Castelli e successivamente a un altro sacerdote, Giovanni Battista Venturi, delle cui geniali scoperte ancor oggi traiamo benefici( si pensi all’ effetto-Venturiapplicato al volo degli aerei);alla citologiacon il sacerdote Bonaventura Corti e il parroco belga Jean BaptisteCarnoy;all’elettricità animale e alle neuroscienze con il devotissimo laico Luigi Galvani; la mineralogia e la cristallografia con il sacerdote René Just Haüy; la sismologia e la meteorologia che di fatto nascono nei monasteri e trovano in alcuni monaci e religiosi i primi veri studiosi e i primi inventori di strumenti per l’osservazione e la rilevazione di questi fenomeni naturali; la genetica con il famoso monaco agostiniano Mendel; la micologiagrazie alla paziente opera di riproduzione grafica e di catalogazione delle migliaia di specie di funghi ad opera del sacerdote trentino Don Giacomo Bresadola(a migliaia, in Europa, morivano ogni anno per avvelenamento all’epoca) e, per concludere, con il padre della teoria del Big Ben,il sacerdote George Eduard Lemaître.

Non si pensi a un libro riservatoai soli appassionati o competentidel sapere scientifico infarcito di incomprensibili nozioni tecnico-scientifiche. Il libro infatti scorre piacevolmente grazie alla capacità degli autori di intrecciare felicemente le conquiste,le invenzioni e le scoperte scientifiche operate dai protagonisti con la loro vicenda umana e spirituale, ben stagliando anche lo sfondo storico entro cui operavano.

Proprio sotto questo aspettovi sono alcuni passaggi che assestano dei veri e propri colpi bassi ai pregiudizi ampiamenti diffusi e pacificamente trasmessi dalla ancora dominante cultura laicista.

Intanto vediamo le classi dirigenti dell’epoca, laiche e religiose, seriamente impegnate nella realizzazione di opere pubbliche volte a migliorare le condizioni e la qualità della vita delle comunità del tempo, immagine contrastante con quell’immobilismoimputato a una concezione politica e sociale retrograda, di cui la religione cattolica sarebbe stato il principale puntello. E parallelamente vediamouna Chiesa cattolica che, soprattutto nei monasteri e attraverso l’ordine gesuita, costituire, con naturalezza, il cuore e l’anima della ricerca scientifica.

Tratteggiando la luminosa figura di Luigi Galvani, marito e credente esemplare, ci si imbatte in un’altra figura straordinaria, il cardinale Prospero Lambertini, arcivescovo di Bologna e futuropapa Benedetto XIV. Il Cardinal Lambertini volle fondare proprio nella città di cui era pastore l’Istituto delle Scienze “ un ambizioso progetto volto a contenere entro le stanze di un’antica dimora senatoria della città l’intera enciclopedia del sapere scientifico moderno” e nel momento in cui l’Istituto entrò in crisi non esitò a donare strumenti e a finanziare l’Istituto stesso per consentire di pagare gli stipendi aiprofessori. Siamo agli albori dell’epoca dei Lumi, ma lo spirito enciclopedico di organizzazione del sapere, come si può notare, non è ad appannaggio dei soli Philosophes.

Anzi, sorprendentemente, scopriamo che la promozione della donna è largamente anticipata dalla Chiesa sempre attraverso l’opera del Cardinal Lambertini che assunse nel 1732, indifferente alle polemiche del mondo accademico, Laura Bassi, prima donna a ricevere un incarico pubblico come insegnante universitaria, affidandogli l’incarico di docente di “filosofia universa” e fisica sperimentale”, facendola entrare poi anche nella prestigiosa AccademiaBenedettina. Dopo di lei, entrarono altre sette donne. Una vera rivoluzione per l’epoca.

E ancora, in piena Rivoluzione Francese, vediamo come i tedofori della Luce e del Progresso giunsero a negare le cattedre a questi scienziati per la loro fedeltà alla Chiesa e al contempo possiamo ammirare il coraggio di questi uomini di scienza e/o sacerdoti che, a costo di perdere l’incarico o addirittura di essere imprigionati come preti refrattari, scelsero in molti casi di non collaborare con le nuove autorità rivoluzionarie.

In realtà, e questo studio lo evidenziaperfettamente, la connessione tra cristianesimo e scienza è strettissima, necessaria e inevitabile: la fede nel Dio creatore del cielo e della terra, che crea per mezzo del Verbo abilita lo scienziato credente meglio di chiunque altro, a leggere la natura e l’universo come un libro scritto da Dio di cui gli uomini devono pazientemente e con umiltà decifrare il codice e scoprirne le leggi. Lo scienziato credente consapevole della partecipazionedella ragione umana a quella divina e consapevole che l’universoe la natura sono dotati di una razionalità intrinseca impressa dal Creatore, ha una maggiore facilità nel cogliere il nesso logico e scientifico di quest’opera divina. Le basi della scienza moderna e le premesse di molte invenzioni e scoperte scientifiche sono nate proprio nelle epoche di Cristianità grazie proprio a una ordinata visione del mondo capace di esprimere un sapere unitario e armonioso nel quale fede, ragione, scienza e tecnica, non sono contrapposte o caoticamente disposte l’una accanto all’altra, bensì coordinate, perché volte contemporaneamente al duplice obiettivo del perseguimento del bene comune e della gloria di Dio.

Big_bang

 

C’eravamo lasciati, nella breve descrizione della storia dell’universo, al Tempo di Planck; prima di ripartire da lì, è necessario fare alcune considerazioni di natura filosofica in generale ed epistemologica in particolare. Questa esigenza scaturisce dal fatto, che il cosmo-in quanto tale-, si lascia “comprendere”da noi in maniera adeguata, pur se non esaustiva. Questo fatto, che purtroppo non “solletica”l’intelligenza coeva, troppo appiattita sul dato quantitativo, non poteva, però, lasciare indifferente una coscienza raffinata, come quella di Albert Einstein (1879-1955), che, a tal proposito, all’amico, editore e corrispondente di una vita, Maurice Solovine (1875-1958), scrisse: ”Ciò che ci dovremmo aspettare, a priori, è proprio un mondo caotico del tutto inaccessibile al pensiero.” Ancora, commentando l’evidente ordine oggettivo, chiosò: ”E’ questo il “miracolo”che vieppiù si rafforza con lo sviluppo delle nostre conoscenze”. Occorre poi rimarcare i limiti della conoscenza scientifica sperimentale; mass media, ed anche la scuola, purtroppo, trasmettono sempre l’immagine di una conoscenza scientifica, infallibile, assimilata in toto, alla conoscenza stessa. In pratica, uno può diplomarsi o, addirittura, laurearsi, senza avere mai avuto la percezione, nel corso del suo curriculum scolastico, degli “scossoni rivoluzionari”, che fisica quantistica, relatività e teoremi di Godel hanno apportato alle scienze “esatte”. In estrema sintesi: 1) la costante di Planck, - data dal rapporto fra energia e frequenza di un fotone- che è la più piccola quantità d’energia misurabile nell’universo, ha introdotto un limite di divisione di ogni radiazione e, conseguentemente, anche di ogni divisibilità. 2) Se Max Planck (1858-1947) ha scoperto un limite inferiore, Einstein ne ha scoperto uno superiore: la velocità della luce nel vuoto; niente può superarla e, neanche, raggiungerla.3) Godel (1906-1978) ha scoperto, con i suoi teoremi d’incompletezza, che la dimostrabilità è un concetto più debole della verità: cioè, non sono vere solo le cose che posso dimostrare. Basterebbero queste poche nozioni per dare ai ragazzi una percezione diversa del mondo che li circonda, stimolando in loro la riflessione: perché questi limiti? Perché questi valori, per giunta calcolabili, e non altri? Chi li ha decisi? Nel concludere questa breve introduzione epistemologica, riporto una puntuale definizione dei limiti del metodo scientifico, scritta dall’astronomo Piero Benvenuti: ” Il metodo scientifico basa la sua indiscussa potenza sulla possibilità di verificare con l’esperimento l’adeguatezza della rappresentazione matematica (il modello) della realtà fenomenologica. La scienza ha però riconosciuto che l’esperimento stesso ha dei limiti di applicabilità, che limitano conseguentemente la possibilità di utilizzare il metodo sperimentale in ogni situazione”. Chiarito questo punto vitale, vediamo le tappe che hanno portato progressivamente dal big bang iniziale a…Cosimo Galasso…che sta scrivendo questo pezzo, al PC, in un tardo, e soleggiato, pomeriggio dicembrino! Specifico subito, che la storia del Big Bang che riporterò, sarà solamente quella suffragata dalle evidenze sperimentali, senza lasciar spazio a nessuna fantasia esotica; per arrivare allo scrivente e, dunque, a ognuno di voi occorre partire dal Big Bang. Concretamente siamo tutti figli di quel “Gran Botto”iniziale, - databile a circa 13,8 miliardi di anni or sono- compreso il mondo che ci circonda; ne portiamo alcune tracce tangibili anche dentro di noi; di più, se vogliamo ammirarne dei “segnali”, basta guardare il video nebbioso di un televisore: più avanti svelerò il “mistero”… Chiariamo immediatamente un punto: studiando il Big Bang noi non fotografiamo, né tantomeno vediamo l’istante della creazione! Abbiamo visto che il metodo scientifico può esprimersi validamente solo su grandezze numeriche: ES, sarei ridicolo se cercassi di “pesare” su una bilancia, esprimendolo poi in chilogrammi, l’amore che provo verso mia figlia! Come insegnava il fisico e filosofo benedettino Stanley L. Jaki: ” Non è possibile associare alcuna misurazione quantitativa all’esistenza di oggetti, che indichiamo col verbo è o sono, e neppure alla parola nulla. E’ per questo che la transizione dal non-essere all’essere non è di competenza della scienza fisica o di qualsiasi scienza che abbia a che fare con delle misurazioni”. Ciò vuol dire che t=0, non lo vedremo mai; peraltro, come dimostrato dal potente teorema della singolarità di Hawking-Penrose, un universo dominato dalla Relatività Generale implica un punto iniziale in cui le dimensioni dell’universo sono pari a zero, mentre raggiungono valori infiniti sia la temperatura sia la densità. Se per la matematica questo è un risultato coerente, per la fisica non ha molto senso: diciamo che riflette la nostra ignoranza su come agisce la gravità in quelle condizioni estreme. Ad ogni modo, il teorema di singolarità implica un inizio dell’universo; cosa che molti, per motivi filosofici, vogliono evitare. Si sono cercate varie scappatoie, ma senza successo; naturalmente, la fisica quantistica è stata utilizzata come via preferenziale per “aggirare”l’ostacolo di un” inizio”, perché è più adatta a descrivere il comportamento di atomi e nuclei: a fini pratici, però, non ha funzionato. Lo stesso Hawking ha cercato di “fuggire” dal “suo” Teorema…, ma il cosmologo Denis Sciama, a lui e ad altri che pensavano di non aver bisogno di una singolarità in un universo regolare, ha ricordato che: ”Questo argomento non è valido: è stato dimostrato da S. Hawking, G. Ellis e R. Penrose che, finché la materia dell’universo obbedisce a una ragionevole equazione di stato, allora secondo la relatività generale vi devono essere state nel passato una o due singolarità fisiche (…) Considerazioni di meccanica quantistica potrebbero permettere di evitare una vera e propria singolarità ma apparentemente non possono impedire alla densità di diventare effettivamente molto alta, ad esempio 10-59 gr cm-3, che corrisponde a un raggio di curvatura di 10-26cm. Per ogni scopo pratico una densità simile potrebbe essere considerata una singolarità”. Possiamo invece ripartire da quel Tempo di Planck ed anche sperare, un giorno, di risalire ancora più indietro, nel cosiddetto regno della gravità quantistica, ossia quando saremo riusciti a unificare le quattro forze fondamentali della natura, originariamente fuse insieme. Ci vorranno, però, acceleratori ancora più grandi del LHC, che ha scovato il fantomatico bosone di Higgs, o particella di Dio, com’è mediaticamente conosciuta. Tuttavia, non siamo nemmeno sicuri di riuscire a raggiungere, un giorno, nei nostri acceleratori, le energie necessarie per verificare sperimentalmente questa teoria Insomma, è una fisica ancora di là da venire. Torniamo sul terreno solido della scienza galileiana, cioè verificata. Planck, acutamente, per ottenere le misure quantistiche di base- che, infatti, portano tutte il suo nome-, combinò assieme le costanti fondamentali della natura: la gravitazione universale, la velocità della luce e la costante di Planck, appunto. Ottenne così anche la lunghezza di Planck- oltre la quale non si può scendere-, pari a 10-33 cm. Per “visualizzarla”-si fa per dire…-, prendete un normale righello e focalizzate la vostra attenzione sul primo millimetro, poi, unicamente con la vostra capacità astrattiva, immaginate di dividere quel millimetro per uno, due, tre…fino a centomila volte. Dopo esservi riposati un po’, quel che è rimasto, lo dividete un miliardo di volte; ma non è finita, occorre dividere ancora un altro miliardo di volte e poi un altro ancora: il valore così ottenuto è il diametro dell’universo al tempo di 10-43 sec, che, infatti, è il tempo che un raggio di luce impiega ad attraversare una sfera di 10-33 cm! Pensate, il mio lungo viaggio per giungere fino a voi è partito da lì; anzi, in qualche modo, “eravamo tutti lì!” La fisica del nucleo atomico e quella delle particelle, unitamente agli acceleratori, ci hanno permesso di ricostruire con una certa accuratezza i primi tre minuti, con l’incertezza della primissima frazione, come già detto: questo è un risultato straordinario! Va ricordato, come dice Benvenuti, che sulla primissima frazione: ” Grazie allo sviluppo della fisica quantistica, noi non riusciremo mai a osservare, nel senso del metodo scientifico, quell’istante”. Riprendendo il discorso, al tempo di Planck l’universo inizia a espandersi e a “raffreddarsi”, la gravità subito si separa dalle altre forze; la sua intensità è così elevata che l’universo misura appena 10-28cm e, conseguentemente, la temperatura era sbalorditivamente alta: 10-32K! Giunti al tempo di 10-35sec l’universo avrebbe subito un rigonfiamento eccezionale dalle dimensioni subnucleari a un’arancia di circa 10 centimetri: è il momento inflazionario, che nella sua parte scientificamente sana rappresenta l’universo come gonfiato nelle sue fasi embrionali ad una velocità molto maggiore della sua successiva espansione (S Jaki) ”. Al contempo, la forza nucleare forte si separa da quella elettrodebole e l’energia inizia a “condensarsi”in materia: quark, elettroni e rispettive antiparticelle. A 10-32 sec si ha, invece, la separazione tra le due componenti della forza elettro-debole. Più avanti, a 10-6 sec, la temperatura è scesa a 1013 K, ciò permette ai quark di combinarsi e di dare origine ai nucleoni, cioè protoni e neutroni. Questo è anche il tempo in cui materia e antimateria si danno “battaglia” in quel brodo “primordiale”: infatti, poiché sono identiche in tutto, eccetto che nella carica elettrica- sono opposte-, quando s’incontrano, si “annichilano”, cioè cessano di essere quel che sono e si riducono a energia, sotto la forma di fotoni. Qui accade un primo “miracolo”, un primo avvenimento che deve stimolare la nostra riflessione; se da quel brodo primordiale fossero emerse esclusivamente quantità uguali di materia e antimateria oggi noi non ci saremmo: l’intero Universo sarebbe un immenso oceano ripieno ovunque di fotoni. Che accadde? Ci fu un eccesso leggerissimo di materia sull’antimateria; il fenomeno non è stato capito totalmente, ma una prima, parziale, soluzione fu trovata nel 1964 da due fisici americani: Val Fitch e James Cronin. Studiando il decadimento del mesone K zero, una particella instabile, scoprirono che esso decade in un tempo impercettibilmente più lungo della sua antiparticella. Il merito dei due fisici americani fu quello di aver scoperto che la produzione di materia supera quella di antimateria con un fattore di una parte su dieci miliardi! In pratica, siamo figli di quella leggerissima asimmetria: se Cosimo Galasso sta scrivendo questo pezzo, è perché ogni 10 miliardi di antiprotoni, all’alba dei tempi, si produssero dieci miliardi e uno protoni. In questo modo, non ci fu soltanto radiazione!Una tale minima differenza non può non far sobbalzare: il nostro brodo non è più tanto primordiale, ma ben specifico e inomogeneo. Il prof. Giovanni Bignami, astrofisico e Accademico dei Lincei, a tal proposito, ha scritto: ”Ricordiamoci con reverenza (…) di questa asimmetria”. Anche i due scopritori rimasero sgomenti; quando nel 1980 ritirarono il premio Nobel per la fisica, dichiararono: ” E’ veramente un arcano” (Val Ficht) “Trovo difficile dare alla mia famiglia anche una pallida idea di quello che ho fatto”. (James Cronin) Passiamo ora in rapida carrellata quel che accadde dal primo secondo ai primi tre minuti. Al primo secondo avevamo, ormai, le basi della materia, quelle a noi più familiari: protoni, neutroni ed elettroni e, inoltre, la temperatura era scesa a “solo” 10 miliardi di gradi e l’universo era diventato grande quanto una sfera di ben 100 mila Km. Poi, dopo il protone, che è anche il nucleo dell’idrogeno, si formò un suo isotopo: il deuterio, il cui nucleo contiene anche un neutrone e perciò è detto “idrogeno pesante”. Tutto il deuterio che troviamo oggi risale al Big Bang, non conosciamo altro modo di produrlo. Le temperature ancora elevate favorirono la fusione nucleare, sicché vincendo la repulsione dovuta alle cariche elettriche si fusero assieme due nuclei di idrogeno pesante, originando l’elio, il cui nucleo- fatto da due protoni e due neutroni- è solidissimo e costituirà la base del futuro carbonio,motore della vita. Entro i primi tre minuti la temperatura era ancora così elevata da permettere la nascita, sempre per fusione, del litio con tre protoni e del berillio con quattro. Giunti a 3 minuti e 46 secondi la temperatura del cosmo è troppo bassa perché favorisca la fusione di altri elementi pesanti, che saranno “cotti” più tardi, nelle stelle. La nucleosintesi cosmologica o primordiale, a questo punto, è cessata; da quel momento e per i successivi 380 mila anni la situazione è più tranquilla, ma quasi altrettanto decisiva. Questo calderone ripieno di protoni, nuclei di deuterio, litio ed elio continua a espandersi e a raffreddarsi. Inizialmente, gli elettroni a causa delle temperature ancora elevate, hanno un moto così frenetico, che non riescono a legarsi ai protoni liberi per formare atomi neutri, legandosi così ai fotoni, verso i quali hanno grandissima affinità. In questo modo, però, non essendo i fotoni liberi di vagare, non si vede nulla. Solo dopo 380 mila anni, quando la temperatura del cosmo è ormai scesa a soli 3000 K, gli elettroni, non più frenetici, hanno iniziato a legarsi ai protoni, lasciando, così, liberi i fotoni e…finalmente fu la luce! Ora, se ricordate, era rimasto un “mistero” da svelare, quello relativo alla “nebbia” di un televisore; accendete il vostro apparecchio e cercate una frequenza, dove non avete registrato alcun canale. Davanti a voi si paleserà la classica immagine nebbiosa; osservate bene i puntini bianchi frammisti agli altri: sono fotoni. Adesso fate attenzione; è accertato che in media un fotone su 100 proviene dalla radiazione di fondo del cosmo: state osservando, in diretta, e sul vostro televisore, le”ceneri”del Big Bang! Pensate, quei fotoni provengono direttamente dai confini del cosmo visibile… Pertanto, questo è un altro limite; con i nostri telescopi, anche se ne costruissimo di giganteschi, comunque non potremmo valicare la soglia dei 380 mila anni luce: non ci sono fotoni da catturare! E…per arrivare a Cosimo Galasso? Beh, ci son voluti quasi altri 13,8 miliardi di anni e una serie innumerevole di passaggi, che però in un Universo finemente sintonizzato ad accogliere la vita, ed anche la vita intelligente, non è stata ostacolata. Da notare, tuttavia, che la vita intelligente non sembra, però, essere il risultato esclusivo di protoni, neutroni ed elettroni, i quali, è evidente (!), non “secernono”pensiero. Direi che è un caso classico, in cui la somma è più delle parti: quello in più richiama fortemente il Trascendente. Tuttavia, nella parte organica, Cosimo Galasso, così come ciascuno di voi, è figlio del Big Bang. Il prof. Giovanni Bignami, in maniera icastica, ha così sintetizzato questa verità: ”Nel nostro corpo infatti ci sono parecchi kilogrammi di atomi di idrogeno (e magari qualche atomo originale di elio e litio): i loro nuclei si sono formati 13,7 miliardi di anni fa, sono la nostra etichetta “made in Big Bang”.

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