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L’ex ministro Fornero: gli italiani? Poco produttivi e troppo costosi

Solopochi giorni dopo l’intervista esclusiva rilasciata lo scorso 29 maggio dall’ex ministro del lavoro a Class TV sulla sua esperienza al Ministero dell’Economia durante il Governo Monti, decine di articoli su internet parlano già di un’Elsa Fornero che punta nuovamente il dito sugli italiani e sul loro lavoro, definendoli ‘poco produttivi e troppo costosi’ per la nostra economia. Già in passato, alcune affermazioni dell’ex ministro avevano sollevato polemiche e malumori. Soprattutto la sua definizione dei giovani, troppo “choosy” nel cercare un lavoro, ancora a caccia del lavoro stabile e poco flessibili, aveva generato dissapori e malcontento nelle nuove generazioni.

Nonostante le affermazioni e i giudizi-che in pochi giorni si sono già ampliamente diffusi nel web- mettano in risalto ulteriori critiche agli italiani sulla loro produttività, l’intervista su Class Tv si è focalizzata su due punti fondamentali e necessari - secondo l’ex ministro - per dare alla nostra economia una nuova struttura solida e competitiva.

Il primo punto analizzato dall’ex ministro del lavoro è quello relativo all’apprendistato che - secondo la sua opinione - deve essere preso più seriamente dalle aziende e dalla società. Nell’affermare quanto bassa sia la produttività del lavoro italiano, Elsa Fornero indica anche come causa primaria il divario esistente tra il tipo di preparazione che la scuola offre e quello che il mondo del lavoro richiede. Facendo un confronto con la Germania, che ha cercato di colmare il vuoto tra il mondo del lavoro e quello dell’istruzione insistendo sul potenziale di un apprendistato svolto seriamente, spiega come nel mondo tedesco si siano creati ponti funzionali tra scuole professionali e imprese, in modo da dare la possibilità ad un giovane apprendista, che lavora in un’impresa, di svolgere anche attività di formazione, integrando l’aspetto pratico a quello teorico e viceversa.

Il secondo punto analizzato durante l’intervista, invece, si focalizza sulla necessità di ridurre il ricorso a contratti di brevissimo termine, che – a suo avviso - non portano ad una soluzione del problema del lavoro e che non hanno vantaggi produttivi né per l’azienda, né per il lavoratore, troppo preoccupato del suo ‘essere precario’ per poter dare il meglio sul lavoro.

<<Con una qualità di contratti migliori, secondo me, si ha la base per quell’azione di medio periodo che è strutturale – afferma - ma dobbiamo sempre partire dalla considerazione che noi abbiamo un’economia in recessione, in crisi, che investe un’economia strutturalmente debole, e noi dobbiamo fare qualcosa per la recessione e per migliorare la struttura dell’economia. La riforma del mercato del lavoro si inserisce in questa seconda, per migliorare l’ossatura>>.

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