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Quante volte è capitato di smarrire un oggetto semplicemente perché non si ricorda dove lo si ha riposto? Succede con le chiavi, con i bagagli, con lo stesso telefono e persino con l'automobile, quando la si parcheggia in uno spazio troppo grande e affollato e non si memorizza la posizione esatta.

Sarebbe bello, in tutti questi casi, avere a disposizione una sfera magica o un qualsiasi strumento che permetta di rintracciarlo in fretta, per sapere subito, ad esempio, se il proprio bagaglio è atterrato in un aeroporto diverso dal proprio.

La risposta arriva da un dispositivo della Apple, una delle ultime novità nel settore dei dispositivi mobili, che ha lo scopo preciso di individuare e tenere traccia della posizione dei propri oggetti personali e, in un certo senso, anche delle persone.

AirTag è il suo nome e deve essere posizionato vicino all'oggetto da tracciare: nel cruscotto dell'auto, ad esempio, o nella borsa, agganciato al portachiavi.

Questo dispositivo monta una tecnologia in grado di inviare delle notifiche sul proprio smartphone in caso di smarrimento, attivando quindi la specifica funzione per trovare più velocemente l'oggetto perso.

AitTag funziona con una batteria a bottone ed è quindi necessario prendersene cura perché duri il più a lungo possibile e, soprattutto, saperla sostituire al momento opportuno, perché il dispositivo non smetta mai di essere operativo. La batteria bottone necessaria, come quelle vendute su questo sito, sono facilmente reperibili ovunque, dal proprio rivenditore di fiducia ai negozi online.

Vale la pena quindi capire come sceglierle in modo che durino a lungo.

 

Pile a bottone per AirTag, ecco come sceglierle

 

Le pile piatte, conosciute anche come batterie piatte sono quelle dalla tipica forma sferica, schiacciata, come fossero dei piccoli dischi, e servono a tenere in vita un dispositivo elettronico per tutto il tempo della loro durata, fino a quando non si consumano.

Di solito non sono ricaricabili, pertanto, quando esauriscono la loro carica, è necessario sostituirle.

Possono essere di diverse tipologie, anche se le principali sono quelle alcaline e al litio, sempre non ricaricabili.

Nello specifico la differenza sostanziale è nella durata di carica. Mentre quelle al litio sono più durature, anche se a fronte di un prezzo di acquisto maggiore, quelle alcaline durano meno, sono meno costose e hanno una buona resistenza sia in caso di bassa, che alta temperatura.

I fattori che influenzano il buon funzionamento e la durata della batteria, infatti, sono numerosi e non sempre dipendono dalle caratteristiche intrinseche del prodotto.

Spesso dipende anche dal modo in cui si sfrutta il dispositivo su cui sono montate e da come si riesce a mantenerle nel tempo, per ottimizzare al meglio il loro funzionamento.

 

Mantenere le batterie dell'AirTag per farle durare a lungo

 

Le batterie perché possano durare nel tempo e soprattutto funzionare bene, vanno mantenute nel modo corretto, sia quando sono all'interno del dispositivo, che fuori.

Tante volte, infatti, le pile bottone vengono vendute in confezioni multiple e non vengono impiegate tutte insieme, ma bisogna tenerne conservate alcune, fino al loro utilizzo.

In questi casi è bene conservarle in un luogo asciutto, non esposto a umidità o fonti di calore, perché possano conservarsi adeguatamente.

Una volta montate sul dispositivo AirTag, invece, si possono attuare alcuni accorgimenti proprio per evitare che si verifichi uno spreco di batteria e si renda necessario sostituirle spesso.

Ad esempio, è opportuno non tenere sempre attiva la funzione di tracciamento dell'AirTag, per evitare che il dispositivo sia sempre in funzione e trasmetta notifiche anche quando non è necessario. Per la stessa ragione bisognerebbe cercare di ridurre le notifiche ed evitare che il dispositivo sia esposto a temperature estreme, così da rovinare la batteria o accelerarne il consumo.

Nonostante la difficile congiuntura economica tiene l’occupazione nel settore L’industria distillatoria incarna in sé l’essenza della sostenibilità e della circolarità e offre un contributo concreto e significativo al miglioramento della qualità dell’ambiente. È quanto emerge dal report di sostenibilità presentato a Roma da AssoDistil, Associazione nazionale industriali distillatori di alcoli ed acquaviti e realizzato con l’obiettivo di illustrare l’evoluzione nel biennio 2020-2021 dei principali indicatori della sostenibilità ambientale, economica e sociale del comparto. Il report è stilato grazie al contributo di 12 aziende leader associate ad AssoDistil e rappresentative del settore: Bonollo, Bottega, Gruppo Bertolino, Mazzari, Marzadro, Deta, F.lli Francoli, Bonollo U., I.M.A., D’Auria Distillerie & Energia, Acquavite e Bertagnolli. Il rapporto fornisce una fotografia dell’approccio alla sostenibilità dell’intero settore distillatorio. Particolare rilievo è stato dato all’analisi della sostenibilità ambientale con approfondimenti su consumi energetici, emissioni in atmosfera e gestione dei residui di processo e dei rifiuti. Le distillerie rappresentano un esempio di circolarità: massima valorizzazione delle materie prime e seconde, efficienza energetica ed economia circolare sono i tre fattori principali che permettono alle aziende distillatorie di essere sostenibili dal punto di vista economico e ambientale.   “Per 1 consumatore italiano su 2 è importante acquistare alimenti e bevande realizzati da aziende impegnate sui temi delle sostenibilità ambientale, una tendenza di cui potrebbero beneficiare anche le imprese del settore distillatorio, esempio emblematico di sostenibilità ed economia circolare all’interno della filiera agroalimentare italiana” - dichiara Emanuele Di Faustino, Responsabile Industria, Servizi e Retail di Nomisma. “A conferma di ciò – sebbene ad oggi solo il 24% dei consumatori sia a conoscenza della sostenibilità del metodo di produzione della Grappa – ben 7 consumatori su 10 sono interessati al fatto che la Grappa sia prodotta impiegando i sottoprodotti della vinificazione e che a loro volta i residui della distillazione vengono utilizzati per realizzare energia pulita o fertilizzanti” conclude Di Faustino.   La produzione di energia incarna uno degli elementi più innovativi dell’industria distillatoria. Dal report è emerso infatti che la percentuale di energia rinnovabile autoprodotta dalle distillerie risulta essere più che doppia (63,5%) rispetto alla quota di energia fossile acquistata sul mercato (31,5%).   “L’autoproduzione di energia termica ed elettrica da residui di lavorazione consente di minimizzare l’acquisto di energia dal mercato e ridurre l’impatto ambientale e il costo energetico per le imprese, che altrimenti sarebbe eccessivamente oneroso a causa del notevole input energetico necessario nei processi di distillazione, in particolare negli ultimi mesi in cui il prezzo del metano ha raggiunto valori molto elevati” - afferma Sandro Cobror, Direttore di AssoDistil.   Si evince che nell’ambito delle fonti energetiche tradizionali è stato minimizzato il ricorso a forme di energia a elevato impatto ambientale privilegiando soluzioni energetiche meno impattanti come il gas naturale. Il report rivela inoltre un trend di crescita degli investimenti del settore nell’installazione di impianti fotovoltaici e di biogas a zero impatto ambientale, per cui ci si attende nel prossimo futuro una progressiva diminuzione delle emissioni. In particolare, la produzione di energia elettrica fotovoltaica a zero emissioni è cresciuta del 300% dal 2018 al 2021. Inoltre, molto rilevante la produzione di bioetanolo sostenibile da destinare al settore trasporti, un biocarburante in grado di abbattere le emissioni del 75% rispetto alla benzina e che sarebbe il componente ideale per ridurre ulteriormente anche le emissioni delle auto ibride, oggi alimentate con sola benzina.   “Questa seconda edizione del report di sostenibilità evidenzia la convinzione delle imprese che vi hanno partecipato nel promuovere la propria identità di importanti soggetti di sviluppo economico, sociale ed ambientale. Evidenzia poi una precisa filosofia di azione orientata alla condivisione dei progetti di crescita con tutti gli stakeholders, con l’obiettivo comune di salvaguardia dell’ambiente e dell’equilibrio socio-economico” – spiega Antonio Emaldi, Presidente di AssoDistil. “La distillazione in Italia ha origini antichissime e oggi abbiamo avuto la possibilità di ben comprendere come si sia evoluta, raggiungendo importanti traguardi economici e sociali che hanno permesso lo sviluppo di tecnologie prese a modello da molti altri Paesi della Unione Europea. E questo perché si è fatto impresa con responsabilità, con una visione solidamente radicata al passato e nello stesso tempo dinamica, innovativa ed attenta ai cambiamenti”   IL REPORT IN SINTESI   Le distillerie come esempio di circolarità Una delle principali materie prime utilizzate in distilleria proviene dalla filiera del vino: in Italia la superficie vitata rappresenta circa il 5% della superficie agricola utilizzata; se si tiene conto che per ogni ettolitro di vino si producono mediamente 18 kg di vinacce, 6 kg di fecce e 4 kg di raspi, si calcola che se tutti questi sottoprodotti diventassero scarti da smaltire l’impatto ambientale sarebbe davvero importante con circa 1.297.800 tonnellate di CO2 prodotte. Invece, grazie al lavoro delle distillerie, molte di queste emissioni sono evitate grazie a tecniche e tecnologie in grado di valorizzare non solo le materie prime, ma anche sottoprodotti e residui della distillazione stessa per ottenere diversi prodotti destinati a numerosi settori, dall’alimentare a quello della mangimistica, dalla cosmetica e farmaceutica all’edilizia, dall’energia all’agricoltura. Nel complesso, il settore distillatorio nazionale trasforma oltre 13 milioni di quintali di materie prime di origine agricola, molte delle quali scarti di altre filiere, concorrendo in maniera evidente anche alla sostenibilità della filiera a monte. Questo modello efficiente non solo contribuisce alla sostenibilità economica delle aziende ma rende sostenibili i processi distillatori anche dal punto di vista ambientale.   Consumi idrici ridotti   L’acqua è una risorsa fondamentale per le attività della distillazione. Le risorse idriche usate nel processo produttivo provengono principalmente da fonti sotterranee e da fonti di terze parti, mentre si ricorre in misura inferiore alle fonti idriche di superficie. Le acque utilizzate dall’industria distillatoria italiana vengono opportunamente trattate affinché acquisiscano un livello di qualità tale da permettere lo smaltimento negli impianti di depurazione idrica civili. L’immediata conseguenza dell’oculata gestione delle risorse idriche è il contenimento dei consumi di acqua registrato negli ultimi anni, da 1904300 m3 utilizzati nel 2018 si è arrivati a 1672900 m3 del 2021.   Un packaging sostenibile   L’approccio anti-spreco dell’industria distillatoria italiana si riflette anche nella gestione dei materiali da confezionamento e dei rifiuti. Nonostante la scelta dei materiali usati è già orientata verso soluzioni riciclabili e sostenibili come vetro, sughero, legno, alluminio e carta, si registrano investimenti da parte di alcune aziende associate per trovare soluzioni innovative che possano ridurre l’impatto ambientale del packaging. Ad esempio, l’utilizzazione della vinaccia esausta pressata come tappo, della carta di fiori come etichetta oppure il primo prototipo di bottiglia realizzata integralmente con materiali ecosostenibili sviluppata da AssoDistil assieme a primarie aziende del comparto packaging.     Gestione virtuosa dei rifiuti   Nel caso della gestione dei rifiuti, è possibile affermare che la circolarità dell’industria distillatoria ne implica una produzione molto modesta, o quasi nulla in alcuni casi grazie a un’attenta differenziazione dei rifiuti. È interessante notare come il quantitativo di rifiuti non recuperati rappresenti solo lo 0,22% della materia prima alimentata (circa 1.850 tonn/a rispetto a una materia prima in ingresso di circa 900 mila tonn/a). Nello specifico i rifiuti del settore risultano essere: 85,7% rifiuti non pericolosi destinati al recupero e riciclo, 13,7% rifiuti non pericolosi destinati allo smaltimento, 0,6% rifiuti conferiti in discarica non recuperabili e assimilabili ai rifiuti pericolosi, una quota marginale nonostante nel biennio il dato sia affetto dalla dismissione da parte di alcune distillerie di attrezzature obsolete.   Occupazione: tiene in settore nonostante la difficile congiuntura   Il report di sostenibilità non si ferma solo agli ambiti economici e ambientali, ma dà un quadro anche della sostenibilità del comparto da un punto di vista sociale. Emerge che dal punto di vista occupazionale, nonostante le difficoltà del biennio 2020-2021, il settore ha garantito la tenuta occupazionale. Inoltre, nel periodo pandemico la diversificazione della produzione è stata una delle armi vincenti non solo per il mantenimento dei livelli occupazionali del settore ma anche per garantire, attraverso la produzione di alcol etilico, l’offerta di disinfettanti e sanificanti, destinati in alcuni casi anche a iniziative benefiche a sostegno della popolazione e di enti impegnati nella battaglia contro il covid. Responsabilità delle distillerie italiane è di preservare il forte radicamento con il territorio e garantire il rapporto con le comunità locali. Il territorio rappresenta non solo la collocazione geografica delle aziende ma proprio il loro carattere distintivo. Infatti, nonostante molte distillerie a livello nazionale producano lo stesso tipo di prodotto, questi si differenziano poi per caratteristiche che sono espressione del territorio da cui provengono. Forte è il legame delle aziende con le comunità locali: al loro interno viene infatti reclutata la maggior parte della forza lavoro, ma sono anche destinatarie di iniziative come sponsorizzazioni e donazioni, ad esempio promozione di Consorzi locali, creazione di aree verdi, sostegno ad associazioni no profit, sponsorizzazione di associazioni e restauri di edifici pubblici. Sempre nel rispetto del legame con il territorio, le imprese si impegnano in azioni di mitigazione e contenimento delle emissioni con investimenti sia sul fronte della riduzione delle emissioni in atmosfera che sul fronte dell’ampliamento degli impianti di trattamento delle acque reflue. In definitiva dal report di sostenibilità di AssoDistil emerge come vi sia da parte del settore un costante perseguimento di forme di efficientamento energetico e di riduzione del proprio impatto ambientale, conseguenza diretta dell’implementazione delle politiche di gestione ambientale che le distillerie italiane hanno deciso di adottare ormai da anni, in un’ottica di sempre maggiore sostenibilità delle proprie produzioni.

Sempre più italiani apprezzano i vantaggi del food delivery, non solo nella quotidianità, ma anche durante le giornate di festa: la tentazione di restare a casa, evitando il caos dei locali è troppo forte, soprattutto quando il cibo di qualità si può ricevere tranquillamente a casa. Natale, Pasqua, San Valentino sono momenti felici da condividere con le persone care, ma nei quali non ci si vuole stressare, basta un click per far sentire l’ospite davvero a casa propria.

Negli ultimi anni la spesa online è cresciuta considerevolmente e i ristoratori hanno dovuto fare i conti con una maggiore consapevolezza sulle questioni riguardanti l’impatto ambientale.
Partendo proprio dal packaging, che deve essere sempre più sostenibile. Il settore degli imballaggi alimentari è il punto dal quale ripartire, acquistando contenitori take away sostenibili e resistenti, come quelli presenti sul sito di Rajapack.

È innegabile che l’utilizzo degli imballaggi sostenibili possa aiutare a ridurre l’impatto ambientale e migliorare la percezione del brand agli occhi del consumatore, che sarà molto più propenso a lasciare recensioni positive sui vari portali e a ordinare altre volte. Inoltre, scatole, ciotole, buste possono essere personalizzate, dando un’idea di cura del particolare, che piace sempre più al consumatore attento.

La spesa online ha spopolato durante la pandemia, per diventare un’abitudine ormai radicata  nella mente delle persone che non hanno mai amato le lunghe file alle casse dei supermercati. Stesso discorso vale per il cibo, dal sushi (sempre in cima alle classifiche), alla pizza, ai dolci (spopolano, oltre al sempreverde gelato, il tiramisù, la cheesecake e i cupcake), gli italiani vogliono mangiare bene, ma a casa propria.

Come anticipato, il boom del food delivery ha avuto come diretta conseguenza il fatto che i ristoratori si siano dovuti adeguare al cambiamento in atto, investendo in primis in qualità del cibo. Prodotti a km zero, di stagione, cibi buoni e perché no, anche belli da vedere.

Infatti, non c’è cosa peggiore che fare un ordine affamati, attenderlo con trepidazione e trovare il cibo tutto sballottato nei contenitori. Ecco, questo è davvero un cattivo biglietto da visita.

Gli imballaggi alimentari di qualità hanno notevoli vantaggi: sono spesso riciclabili e hanno un basso impatto ambientale; conservano il cibo rispettandone le proprietà organolettiche e distinguono il brand dalla concorrenza.

In conclusione, i ristoratori sono chiamati, anche in termini di business, a garantire una consegna che sia puntuale, ma anche impeccabile, partendo proprio dal confezionamento dei cibi.

I dati sul settore della ristorazione rivelano che al momento non ci sono abbastanza camerieri sul mercato. La domanda di professionisti qualificati nel nostro Paese è in forte crescita, soprattutto adesso con la bella stagione ormai alle porte.

Lavorare come cameriere è un ottimo modo per iniziare a familiarizzare e a entrare in contatto con il mondo della ristorazione. Anche perché le attività del settore sono alla costante ricerca di personale, sia nelle città più grandi che nelle più piccole realtà di provincia. Anche le prospettive economiche della professione possono essere piuttosto redditizie, specialmente se ci si riesce a muovere bene sul mercato e se si sono acquisite le giuste competenze teoriche e pratiche.

Il Contratto collettivo nazionale (CCN) prevede che la retribuzione minima di un cameriere professionista sia di 1.250 euro netti al mese (1.500 euro lordi). Lo stipendio può aumentare con l’esperienza o in corrispondenza di determinati periodi dell’anno - si pensi all’estate - in cui i carichi di lavoro sono generalmente maggiori. Ma anche le mance lasciate spontaneamente dai clienti soddisfatti del servizio ricevuto possono contribuire a incrementare le entrate di un cameriere.

Occorre infine ricordare che i guadagni possono variare anche in base alla tipologia di locale in cui si lavora. È infatti risaputo che nei ristoranti stellati la retribuzione media mensile sale. Partendo da un minimo di 1.750 euro, può anche arrivare a superare i 2.000 euro al mese. Le cifre si alzano per i maître che, in funzione dell’esperienza, prendono mediamente dai 1.250 euro al mese (personale alle prime esperienze) fino ai 3.000 euro al mese (maître professionisti).

Con la primavera ormai alle porte e l’aumento della domanda, questo è quindi il periodo giusto per cercare un impiego nella ristorazione. Tutti gli interessati possono trovare offerte lavoro come cameriere aggiornate consultando la filiale digitale di Jobtech camerieri.it, interamente dedicato al mondo dell’Ho.Re.Ca. Il portale è ricco di annunci con posizioni part-time e full-time, ideali anche per chi volesse conciliare il lavoro con lo studio o per chi volesse arrotondare le entrate mensili con un secondo impiego.

Del resto, le opportunità non mancano, specialmente se si pensa che al momento mancherebbero all’appello più di 39mila camerieri (fonte: Centro Studi della Federazione Italiana Pubblici su dati Istat e Inps). In uno scenario come quello appena descritto, i datori di lavoro fanno a gara per procurarsi camerieri qualificati, capaci di garantire la continuità e la qualità dei servizi offerti.

Il Reddito di cittadinanza cambia e si sdoppia: il sussidio contro la povertà, secondo le anticipazioni riportate dal Corriere della Sera sul provvedimento allo studio del ministero del Lavoro, dovrebbe essere diverso a seconda della situazione familiare sia per importo che per durata.

Secondo l'agenzia ansa le famiglie senza persone occupabili dovrebbero prendere un importo più alto ed averlo più a lungo mentre le famiglie con persone occupabili dovrebbero avere al massimo 375 euro al mese (contro i 500 attuali) ed al massimo per un anno contro i 18 mesi delle famiglie povere senza occupabili.

La nuova misura dovrebbe chiamarsi Mia (Misura per l'inclusione attiva) e partire da agosto. Una stretta dovrebbe arrivare anche sul tetto Isee per avere diritto al sussidio che dovrebbe scendere a 7.200 euro dai 9.360 attuali.

"Il Mia secondo ansa nasce dalla volontà di risolvere il tema delle politiche attive e di spostare quello che oggi è un sussidio sul tema della politica attiva. Quindi, ovviamente, non è una retromarcia. Si era detto che si sarebbe cambiato il Reddito di cittadinanza. Si era detto che si sarebbe immaginata una misura che avrebbe consentito a chi non può lavorare di essere sostenuto e a chi non vuole lavorare di dover lavorare per forza, se la vuole. E questo si sta facendo. Con il Mia ci sarà, entro certi limiti, con determinate possibilità, la concorrenza tra lavoro e Reddito di cittadinanza". Lo ha detto Federico Freni, sottosegretario al ministero dell'Economia, parlando ad Agorà Rai Tre.

Secondo le anticipazioni del Corriere ci sarà comunque una stretta sul sussidio anche per le famiglie senza persone occupabili. Per queste potrebbe arrivare la riduzione del contributo per l'affitto, oggi fissato al massimo a 280 euro al mese, ma anche la riduzione della durata dell'assegno dopo la prima richiesta. Al momento il Reddito di cittadinanza si può chiedere senza limiti solo aspettando un mese tra una domanda e l'altra (la durata per ogni domanda se non cambiano le condizioni della famiglia è di 18 mesi) mentre la nuova misura potrebbe prevedere la riduzione della durata per la seconda domanda a un anno. 

Per le famiglie con persone occupabili la durata dovrebbe scendere a un anno per la prima domanda e a sei mesi per la seconda. Se poi si vorrà fare una terza domanda si dovrà aspettare un anno e mezzo. Il nuovo sistema dovrebbe essere pensato per spingere le persone quanto più possibile a cercarsi un lavoro estendendo la possibilità di mantenere l'assegno a fronte di retribuzioni fino a 3mila euro l'anno a tutti i tipi di lavoro dipendente. La nuova misura dovrebbe rivedere anche il requisito sugli anni di residenza in Italia necessari per ottenere il sussidio portandoli da 10 a 5 rispondendo così alle richieste dell'Unione europea e dovrebbe modificare la scala di equivalenza che ha prodotto disparità a favore dei nuclei con un solo componente e a scapito delle famiglie numerose (il primo componente ora vale uno a fronte dello 0,2 dei minori).

Anche i minorenni con almeno 16 anni saranno tenuti all'obbligo di partecipazione attiva, formazione e lavoro nel nuovo sussidio contro la povertà se non impegnati in un percorso di studi. E' quanto emerge dalla bozza di riforma del Rdc. Nel Mia sono tenuti a questo obbligo "tutti i componenti il nucleo familiare maggiorenni ovvero minorenni che abbiano adempiuto agli obblighi scolastici". Sono esclusi dall'obbligo i beneficiari della Mia over 60, nonché i componenti con disabilità. Possono essere esonerati dall'obbligo i componenti con carichi di cura (figli minori di tre anni di età o disabili in condizioni di gravità).

Fonte ansa e varie agenzie

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