Login to your account

Username *
Password *
Remember Me

Create an account

Fields marked with an asterisk (*) are required.
Name *
Username *
Password *
Verify password *
Email *
Verify email *
Captcha *
Reload Captcha
Venerdì, 17 Maggio 2024

Al Salone del libro Loren…

Mag 15, 2024 Hits:289 Crotone

L'Istituto Ciliberto-Luci…

Mag 14, 2024 Hits:139 Crotone

Le opere di Bach: gli eff…

Mag 02, 2024 Hits:433 Crotone

In città l'ultima tappa d…

Apr 30, 2024 Hits:467 Crotone

Convegno Nazionale per la…

Apr 23, 2024 Hits:682 Crotone

L'Associazione "Pass…

Apr 05, 2024 Hits:1091 Crotone

Ritorna Calabria Movie Fi…

Apr 03, 2024 Hits:1086 Crotone

La serie evento internazi…

Mar 27, 2024 Hits:1457 Crotone

Eredità digitale post mortem, intelligenze artificiali e sperimentazioni artistiche, gravidanze fuori dal corpo umano e ridefinizione del genere: sono solo alcuni fra i temi affrontati nel secondo numero di “Calibano. Mefistofele/Postumano”, la rivista di attualità culturale del Teatro dell’Opera di Roma pubblicata dalla casa editrice effequ. Martedì 5 dicembre, alle ore 18.00 con ingresso libero fino a esaurimento posti, la rivista sarà presentata in Sala grigia al Teatro Costanzi con alcuni degli autori, tra i quali Laura Pugno, Serena Guarracino, Christian Raimo, Laura Tripaldi, Simone Sauza, Anna Lea Antolini e Giuliano Danieli. Intervengono anche il direttore di “Calibano”, Paolo Cairoli, la codirettrice editoriale di effequ Silvia Costantino e il sovrintendente dell'Opera di Roma Francesco Giambrone.

Dopo Aida/Blackface (Gennaio 2023) e Madama Butterfly/L’Orientale (Giugno 2023), il volume esce in occasione del Mefistofele di Arrigo Boito che inaugura la stagione 2023/2024 della Fondazione lirica capitolina, e si interroga sul tema del postumano, oggi rintracciabile nelle forme e negli ambiti più svariati. Si parla ovviamente di intelligenza artificiale, e di tutti i rischi anche etici connessi con il suo sviluppo; ma anche di ectogenesi, ossia della gravidanza esterna al corpo della donna; dell’eredità digitale dopo la morte e delle nuove inquietanti forme di interazione con gli avatar dei defunti; del superamento dei limiti fisici e fisiologici nello sport, attraverso l’impiego di dispositivi tecnici e medici. Ampio spazio anche alle arti, con i possibili sviluppi della danza nel metaverso, con uno sguardo sull’uso delle macchine per ampliare le modalità di produzione sonora in musica, e con una ricognizione del postumano nel mondo della graphic novel e delle serie tv. La letteratura offre poi un vasto immaginario di drammi legati al superamento della finitudine umana, da Frankenstein di Mary Shelley a Poor things di Alasdair Gray, recentemente divenuto un film grazie a Yorgos Lanthimos, vincitore del Leone d’oro a Venezia.

Nella rivista trovano spazio anche una testimonianza dell’artista transgender Agnes Questionmark, che intende trascendere con la sua opera non solo il genere ma anche la stessa figura umana, e un racconto inedito di Laura Pugno, antesignana del postumano nella narrativa italiana.
Come sempre, le illustrazioni di “Calibano” sono realizzate con l’ausilio di programmi di intelligenza artificiale (Midjourney e DALL-E 3), con i quali ha lavorato l’artista grafico Merzmensch, mentre la copertina è un collage firmato da Giulio Paolini.

“Calibano” è disponibile in libreria, al bookshop del Teatro e online sul sito effequ. Una selezione di saggi dei tre numeri della rivista è inoltre fruibile gratuitamente sul sito operaroma.it: di Mefistofele/Postumano è pubblicato un testo di Verena Andermatt Conley, docente di Harvard, sulla possibile interpretazione odierna della figura di Faust, accanto a un articolo del musicologo Giuliano Danieli che prende in rassegna le più recenti esperienze del teatro musicale influenzate dal postumano.

Copertina del secondo numero. Credito dell’illustrazione: Collage di Giulio Paolini (Foto Ⓒ Luca Vianello, Torino / Courtesy Fondazione Giulio e Anna Paolini, Torino / Ⓒ Giulio Paolini

 

 

E' morto in un ospedale di Atene, all’età di 90 anni, lo scrittore greco Vassilis Vassilikos, autore del famoso romanzo Z - L’orgia del potere – uscito nel 1966, diventato con traduzioni in 32 lingue un ‘manifesto’ di denuncia della dittatura dei colonnelli in Grecia – che ispirò l’omonimo film di Costa-Gavras. 

Esule in Francia e in Italia (1967-74), Vassilikos si batté ostinatamente contro il regime dei colonnelli. Z, pubblicato nel 1966 (in Italia da Feltrinelli), un anno prima che la giunta militare salisse al potere, racconta la vicenda di Grigoris Lambrakis, professore universitario e deputato di sinistra, assassinato nel 1963. 

A contribuire al successo internazionale del libro fu il film interpretato da Yves Montand, Irene Papas, Jean-Louis Trintignan, con la colonna sonora di Mikis Theodorakis, in quel momento chiuso nelle prigioni greche. Costa-Gavras mascherò i fatti cambiando i nomi dei personaggi e ambientando la vicenda in un immaginario Paese mediterraneo, ma la significativa dicitura iniziale suggeriva che “ogni riferimento a fatti reali e persone morte era volontario”.

Nel 2017 aveva rilasciato un'intervista a Matteo Nucci  e il collega scriveva : Cinquant’anni fa, alle due del mattino i colonnelli Georgios Papadopoulos, Nikolaos Makarezos e Ioannis Ladas annunciavano il colpo di stato. Tutto era filato liscio per militari di seconda fascia abituati a muoversi nell’ombra. Fin dalla sera i carri armati avevano occupato i grandi viali progettati per la città ottocentesca. Truppe scelte avevano preso il controllo dei centri di comunicazione e del Parlamento. Paracadutisti si apprestavano ad atterrare sul Ministero della Difesa.

Continua Nucci : Erano mesi che in grande stile e con l’assenso del re Costantino II si preparava il putsch militare ma l’indecisione degli ufficiali maggiori e l’avvicinarsi delle elezioni previste per maggio spinse i militari di livello più basso a prendere le redini. Iniziavano sette anni di dittatura retriva e oscurantista passata alla storia come “Dittatura dei colonnelli”. Vassilis Vassilikos, greco del nord, non aveva ancora compiuto trentatré anni e non era ancora lo scrittore celebre per il romanzo che prese il nome dall’ultima lettera dell’alfabeto, Z, a cui in Italia venne aggiunto il sottotitolo L’orgia del potere.

Tradotto in tutto il mondo sull’onda della trasposizione cinematografica di Costa-Gravas, il libro sarebbe diventato il manifesto della lotta greca per la libertà. Eppure era stato scritto prima del golpe. Gli avvenimenti da cui prendeva spunto risalivano al 1963, all’omicidio per mano di estremisti di destra di Grigoris Lambrakis, “il Matteotti greco” (Z sta per “zi” che in greco significa “vive”). Vassilikos aveva saputo vedere lontano. Come molti della sua generazione, d’altronde, che all’alba del 21 aprile erano pronti a lasciare il Paese.

“Ma io ero già all’estero” racconta oggi, ottantadue anni, appartamento nell’Atene di Colono, dove nacque Sofocle e dove Sofocle fece morire Edipo. “Ero in treno, per la precisione. Viaggiavo dalla Svezia a Venezia dove avrei preso un battello per tornare in Grecia. Mi raggiunsero notizie concitate. Cambiai programma. Scesi a Roma dove avevo molti amici e aspettai di capire come si sarebbe evoluta la situazione. Quando tutto fu chiaro rimasi in Italia, poi mi spostai a Parigi. Finché il mio amico Italo Calvino m’invitò a tornare a Roma. Ho passato nel vostro Paese anni straordinari”.

Nato a Kavala nel 1933 e cresciuto a Salonicco, ad appena diciannove anni pubblica Il racconto di Giasone: è l’inizio di una lunghissima e fortunata carriera, che spazia dalla drammaturgia alla poesia, alla narrativa breve e al romanzo. Spirito inquieto e insaziabile, studia negli Stati Uniti sceneggiatura e regia, una passione che lo porterà in seguito a curare numerose trasmissioni culturali e a dirigere la televisione di Stato greca. Importante il suo impegno civile: il romanzo Z. Anatomia di un crimine politico (1966, Feltrinelli 1969) denuncia l’omicidio del deputato di sinistra Grigoris Lambrakis, ed è subito messo al bando dal regime dei colonnelli. 

Con questo libro Vassilikòs raggiunge la notorietà internazionale, grazie anche al successo del film Z – L’orgia del potere di Costa Gavras, vincitore dell’Oscar al miglior film straniero e del Premio della giuria al 22º Festival di Cannes. Sono anni di lotta e di febbrile attività creativa per Vassilikòs, che vive in esilio soprattutto in Italia, a Roma: qui scrive molte sue opere di successo e incontra i maggiori intellettuali del tempo (Calvino, Pasolini, Moravia, Sciascia, Eco). Dal 1996 al 2004 è stato ambasciatore per la Grecia presso l’Unesco.

 

Fonte varie agenzie e quotidiani

 

 

 

 

Cinquanta anni fa moriva John Ronald Reuel Tolkien (1892-1973). L’autore del Signore degli Anelli è stato ricordato da quanti lo hanno amato e continuano ad amare le sue opere. Ci fa piacere ricordarlo attraverso quanto ha scritto nel 2001 un grande appassionato di questo autore, il prof. Marco Tangheroni (1946-2004) che sicuramente oggi lo avrebbe ricordato e celebrato ampiamente. Nel 2001 uscì nelle sale la prima parte della rappresentazione filmica del Signore degli Anelli e un volume di Stefano Giuliano. Il prof. Tangheroni parla di entrambi, ma è nella prefazione al volume di Stefano Giuliano uscito nel 2001, Le radici non gelano. Conflitto tra tradizione e modernità in Tolkien, (Ripostes editore) che si ritrova il pensiero del medievista pisano con alcune interessanti riflessioni personali.

Le riproponiamo dopo più di venti anni perché mantengono la loro freschezza e continuino ad essere uno stimolo a leggere o rileggere questo eterno capolavoro                                                                                                                                    

 “Un gran bel film, non ho dubbi”

 

Esso può piacere, è piaciuto, anche a chi non ha letto il libro. Ma – ed era la scommessa più difficile – può piacere, è piaciuto, anche a chi ha letto il libro e, magari, è convinto, come me, che il romanzo di Tolkien è un grande capolavoro, un classico del XX secolo. Ho sentito diversi appassionati del libro e li ho trovati concordi nell’esprimere una valutazione positiva. Non escludo che il giudizio di  anatici/filologi possa essere diverso; ma occorre saper rinunciare al confronto con le immagini elaborate nella propria mente e non esigere il rispetto di ogni dettaglio. Esso è stato giudicato il miglior

film del 2001 dall’American Film Institute (Afi), vincendo anche per gli effetti digitali e la produzione: possiamo essere, per una volta, d’accordo. Nella sostanza, il regista Peter Jackson ha ben scelto gli attori, ricostruito felicemente gli ambienti, ben utilizzato i meravigliosi paesaggi della Nuova Zelanda (terra in cui il film è stato girato), riportato con chiarezza i dialoghi fondamentali. Anche i tagli – resi necessari dalla lunghezza del romanzo e, quindi, del film, pur diviso in tre parti – sono più che accettabili: quello più vistoso, che ha comportato la rinuncia al pur affascinante personaggio di Tom Bombadil, è ragionevole, trattandosi di episodi autoreferenziali. Né ci si deve scandalizzare del rilievo un po’ accresciuto dato al personaggio femminile di Arwen. Felice è risultato, va aggiunto, pure il doppiaggio italiano, del resto eseguito con la consulenza della Società Tolkieniana Italiana. Dirò anzi che, anche grazie all’uso dei flashback, il ritmo narrativo di questo primo episodio della trilogia è incalzante, distinguendosi dalla lentezza della prima parte dell’opera di Tolkien. Molti lettori hanno stentato a superare le prime duecento pagine, e non pochi si sono scoraggiati; anche se va subito aggiunto che, una volta entrati dentro al mondo tolkieniano, rileggerle è un piacere cui è bello  abbandonarsi. Il successo di questo primo film farà attendere con desiderio la possibilità di vedere gli altri due, già girati. Ma occorrerà, com’è noto, attendere i prossimi due Natali. Intanto, esso stimolerà l’ulteriore fortuna del romanzo, il quale, peraltro ha già avuto un successo duraturo con milioni e milioni di lettori (e di rilettori!), nei più diversi paesi, in diverse generazioni, con varie motivazioni. Alla faccia delle incomprensioni di molti critici. In Italia, poi, il silenzio dell’intelligenkia dominante costituì, a suo tempo, un vero e proprio “caso Tolkien”. Oggi, sconcertata ed impudente, parte della cultura di sinistra cerca improbabili recuperi. Questa non è la sede per approfondire il discorso. Dirò soltanto, per sfiorare polemiche che sono state vivaci nella cosiddetta cultura di destra, che questo romanzo è, a suo modo (il modo con cui può esserlo una storia ambientata in un’epoca pre-cristiana), un classico cristiano. Ed il film, anche da questo punto di vista, rispetta l’opera letteraria. È, infine, bene precisare che il successo e del libro e del film non devono essere interpretati come prova di una colossale crisi collettiva di razionalità, di una pericolosa perdita di senso della realtà. O, meglio, lo sono, come ha scritto Marco Respinti, «se per reale e razionale – magari fra loro coincidenti come vorrebbe Hegel – s’intende solo ciò che è fattuale in senso materiale e addirittura materialistico. No, se – come sta accadendo nella cultura popolare soprattutto a partire dall’ultimo quarto del secolo XX – della realtà e di ciò che non offende ma anzi esalta la ragione umana si ha – anche solo istintivamente,

intuitivamente – una concezione diversa». Insomma. Lo abbiamo atteso per anni; non siamo rimasti delusi.

 

Stefano Giuliano e Tolkien

Prefazione al volume Le radici non gelano. Conflitto tra tradizione e modernità in Tolkien

 

Tolkien, com’è noto, non sempre apprezzava i recensori, i commentatori, gli studiosi del Signore degli Anelli. Mi pare di poter dire che l’importante volume di Stefano Giuliano sarebbe sfuggito al suo biasimo o alle battute salaci con cui liquidava certi interventi. Intanto per una prima ragione: questo autore prende sul serio la sua mitologia; nella sua verità, potremmo dire, cioè nella verità di un mondo “sub-creato”, un secondary world, per esprimersi secondo i termini di Tolkien stesso. Certo, battendo la strada aperta soprattutto da Shippey, basata sull’importanza della filologia per Tolkien narratore, e quindi sull’analisi del rapporto con le diverse tradizioni mitiche, da quelle classiche a quelle celtiche, da quelle anglosassoni a quelle germaniche, qualche rischio Giuliano l’avrebbe potuto correre. Tolkien non amava, in modo particolare, la ricerca delle proprie “fonti”. Ma, si può subito dire, un autore, se ha ragione di pretendere che le analisi critiche si fondino, innanzitutto, sulle sue opere, e non sulla sua biografia o sulle sue stesse dichiarazioni, una volta pubblicati i propri libri – in specie con lo straordinario successo del Signore degli Anelli – non può impedire che gli studi ne approfondiscano la genesi e le interpretazioni. In qualche modo, le sue opere non gli appartengono più; almeno in modo esclusivo. Può soltanto esigere che esse siano serie e quanto più possibile solide. E a me pare che la fatica di Giuliano presenti senz’altro queste caratteristiche di serietà e solidità. La ricerca, nella mitologia, del “materiale” col quale Tolkien costruì il suo mondo non deve limitarsi ad un accumulo di possibili suggestioni. Occorre distinguere ed il nostro autore lo fa – i miti, o gli elementi di miti, che sembrano proprio essere stati recepiti, da quelli che presentano certe assonanze o analogie, ma che non possono essere con certezza considerate come fonti, essendo, magari soltanto assonanze ed analogie tra miti, di quelle che costituiscono la problematica così discussa da diffusionisti e comparatisti, per non parlare del problema degli archetipi. È necessario, poi, essere attenti alle differenze e alle distinzioni. Prendo, dalle pagine che seguono, un esempio. Giuliano ci presenta il personaggio di Gandalf e ne indica i tratti in comune con Merlino e Odino; ma è altrettanto attento ad indicare le «importanti divergenze»: «Merlino e Odino potevano mutare forma a piacimento e trasformarsi in uomini o animali, qualità che Gandalf non possiede affatto, e che invece caratterizza fortemente Sauron, Ugualmente l’aspetto orbo di Odino si ritrova nella mostruosa fisionomia monoculare dell’oscuro Sire e non certo in quella di Gandalf. Infine, l’intima correlazione di Odino con la guerra e la violenza (. . .) nonché la sua azione deliberata nel provocare dissidi tra gli uomini e la morte dei suoi protetti (. . .) si pongono come ulteriori differenze di non poco conto». Inoltre, sottolinea il nostro autore, «un ulteriore elemento separa Gandalf tanto da Merlino che da Odino. Si tratta del sentimento della compassione», manifesto più volte nei confronti sia dei vivi sia dei morti, nemici compresi.

Giuliano non lo dice, e forse non lo pensa, ma io vedo in questo aspetto un esempio di quei tratti cristiani largamente presenti in questo racconto “pre-cristiano”. A Frodo, che reagisce impetuosamente al disvelamento iniziale della storia dell’anello più potente di tutti rimpiangendo la mancata uccisione di Gollum da parte di Bilbo, Gandalf risponde «Fu lapietà a fermargli la mano. Pietà e misericordia: egli non volle colpire senza necessità». E ancora: «Molti tra i vivi meritano la morte. E parecchi che sono morti avrebbero meritato la vita. Sei forse tu in grado di dargliela? E allora non essere troppo generoso nel distribuire la morte nei tuoi giudizi». Frodo apprende comunque la lezione, come dimostrerà più volte in seguito. Un discorso analogo si può fare, seguendo il nostro autore, per il personaggio centrale del romanzo, lo Hobbit Frodo. Ciò sia per la pietà, che ha in comune con Gandalf, sia per l’itinerario che percorre in un viaggio che ha carattere ascetico, anche se – ma sarebbe necessaria una discussione dei termini – è eccessivo, come fa il Giuliano, definire la sua figura come quella di un “mistico”. Certo, egli non è un tipico eroe dell’epica (con quel suo continuo porsi in discussione), né un antieroe, come pure è stato detto: avventatamente, come dimostra l’autore di questo libro. Altre notazioni felici troviamo nelle pagine che presentano la figura di Aragorn, che ha indubbiamente diversi aspetti in comune con Artù. Ricordo, in particolare, quanto Giuliano scrive a proposito del potere. Contro certe letture – non estranee al primo successo del romanzo nei campus universitari americani – egli ci ricorda che, come mostra il viaggio di Aragorn a Minas Tirith, teso alla riaffermazione della propria regalità, accanto a un potere «volto al dominio degli esseri viventi e delle cose», c’è, nel Signore degli anelli, un potere «che si ispira a principi trascendenti, che governa senza il bisogno di comandare, teso alla salvaguardia del benessere e dell’identità culturale della comunità». In Aragorn sono evidenti, anche se fortemente rielaborati, i temi, tipici dell’epica medievale, del ritorno del re e del risanamento della terra desolata. Tipicamente medievale, come scrive Giuliano, riprendendo osservazioni di altri interpreti, è anche la concezione del male propria del romanzo, che ha precisi tratti

agostiniani e tomisti. Come appare in Sauron: il male come non-essere. Cito: «Nella prospettiva tolkieniana, il Male non è un’entità a sé stante, ma si denota piuttosto come assenza, vuoto, ombra, oscurità, alterazione fisica; lo Spettro dei Tumuli e i Cavalieri Neri sono fantasmi, il Balrog è una forma scura nell’ombra, gli Orchi hanno fattezze mostruose, Shelob è un ragno abnorme e raccapricciante, il corpo di Saruman, appena morto, avvizzisce e da esso si leva un fumo grigio, ecc.». Sauron, il Grande, il Nemico, l’Oscuro Sire, è ridotto ad un occhio, dai contorni «di fuoco, mentre nel globo vitreo della cornea gialla e felina, vigile e penetrante, si apriva, nel buio di un abisso, la fessura nera della pupilla come una finestra sul nulla», come appare a Frodo nello specchio di Galadriel.

E’ questo un punto importante per una corretta lettura del Signore degli Anelli. Non vi è traccia di manicheismo. Il Bene e il Male non sono affatto su un piano di parità. Sauron – scrive opportunamente Giuliano – non può creare, può solo infettare e corrompere. E di fronte al male ognuno è responsabile della propria scelta, in virtù del libero arbitrio. Una scelta cui nessuno può sottrarsi, perché «potete rinchiudervi in un recinto, ma non potete impedire per sempre al mondo di penetrarvi». Una scelta da compiere ispirandosi a valori perenni: «Il bene e il male non sono mutati in un anno, e non sono una cosa presso gli Elfi e i Nani e un’altra tra gli Uomini. Tocca a ognuno di noi discernerli». È anche falsa l’impressione, che pure fu di non pochi tra i primi lettori e critici, che il romanzo presenti una troppo rigida contrapposizione tra personaggi esclusivamente buoni e personaggi tutto male. Già lo abbiamo notato accennando alla figura di Frodo. Del resto anche gli Orchi furono un tempo elfi e i Cavalieri Neri grandi guerrieri e re. Anche in Gollum, al culmine del processo di sdoppiamento della personalità provocato dal possesso prolungato dell’anello, conserva una personalità positiva, anche se dominata dall’altra. Ma il personaggio che meglio offre una articolata analisi dei meccanismi corruttori di una sapienza originaria è Saruman. Già gran maestro dell’ordine degli Stregoni, egli non si è accontentato del sapere tradizionale, ma si è dato ad invenzioni, compresa la diabolica polvere da sparo, a complesse enormi costruzioni e ad incroci genetici; non ha saputo resistere ad una smodata e presto non disinteressata sete di conoscenza; si è fatto sedurre dalla tentazione del potere (tentazione cui devono resistere tanti personaggi, dalla grande dama elfica Galadriel a Frodo e allo stesso Gandalf; solo l’antico, il più antico di tutti nella Terra di mezzo, Tom Bombadil è da essa immune); aspira ad un governo tecnocratico dominato da pochi saggi e, dopo la distruzione del dominio di Isengard, lo attuerà nella Contea, organizzandovi un regime di stampo comunistico; ha voluto rompere un’oggetto per scoprire come è fatto; ha lasciato il bianco per farsi “multicolore e cangiante”.

Dopo la distruzione del suo dominio da parte degli Ent, i pastori di alberi, la sua voce risuonerà ancora suadente e melodiosa. Ma una risata di Gandalf è il preludio allo svelamento e all’annientamento del suo ultimo inganno, come una risata di Galadriel vince le tentazioni dello specchio ed una risata di Eowin è premessa alla smentita alla profezia che rendeva sicuro il Nazgûl. Il riso arricchisce la tradizionale contrapposizione tra la lue e l’ombra, tra il sole e la notte, così ricorrente nel romanzo.

Ho cercato di mettere rapidamente in evidenza alcuni aspetti dell’interpretazione che del Signore degli Anelli dà l’autore di questo libro, accennando, ancor più rapidamente, a qualche riflessione personale. Ma altri aspetti sono ugualmente, o anche maggiormente importanti nell’impostazione di Giuliano. Come il tema del “viaggio nella terra dei morti”, di cui egli mostra la ripetuta utilizzazione nel romanzo. O l’indagine, presente nello stesso titolo del suo libro, sulla posizione di Tolkien nei confronti della tradizione e della modernità.

Su questo punto avrei da fare qualche considerazione su una certa rigidità interpretativa, pur non sostanziale, bensì di accentuazione dei toni. Mi limiterò a dire che “l’evasione del prigioniero” (l’espressione è di Tolkien stesso) non è un rifiuto della realtà del presente in quanto presente, ma una condanna di molti dei tratti che la modernità ha assunto, e in misura minacciosamente crescente. Per questo Tolkien ci teneva a chiarire che la sua non era “la fuga del disertore”. Se è vero che non si può presentare la guerra del Signore degli Anelli come una rappresentazione ispirata alla seconda guerra mondiale (il che pure fu detto), è anche vero che scrivendo a un figlio negli anni del grande conflitto istituì un parallelo tra Sauron ed il nazismo, una delle grandi incarnazioni del Male nel XX secolo. Così come è indiscutibile il carattere comunista, e non semplicemente e genericamente moderno, della riorganizzazione sarumaniana della contea, non inutile appendice alla conclusione della grande storia con la vittoria su Sauron e l’incoronazione del re ritrovato e restaurato. Ma la discussione dovrebbe essere articolata e vasta. Non è questo – nella presente sede – il mio compito.

Dopo aver presentato temi e personaggi principali del Signore degli Anelli, nella seconda parte del libro Giuliano riprende e segue, dall’inizio all’epilogo, la trama del romanzo, accompagnando i molti episodi con un commento ricco di rinvii alle possibili fonti, più o meno dirette, letterarie, folkloriche e mitiche. Il lettore del Signore degli Anelli lontano da un po’ di tempo dalle pagine di Tolkien potrà qui trovare un’ottima guida ad un opportuno “ripasso”. Più difficile, nonostante la scioltezza del racconto, pensare a questo libro come ad un’introduzione al grande romanzo; ma non voglio escludere la possibilità che qualcuno, magari fin qui erroneamente convinto che il Signore degli Anelli sia soltanto un bel libro di avventure fantastiche, possa trovare una sollecitazione alla sua prima lettura. Certo è che anche i buoni conoscitori del romanzo saranno comunque indotti all’ennesima rilettura, sollecitati dai molti stimoli e dai molti suggerimenti dell’importante volume del Giuliano che molto fa riflettere, molto meditare. E non è davvero poco.

Marco Tangheroni

Università di Pisa, Festa di Ognissanti 2001.

 

Il volume è appena uscito e già se ne parla molto : l’ultima pubblicazione della scrittrice Amalia Mancini (nota nell’ambiente letterario come Amelie) sta riscuotendo curiosità e forte interesse da parte del pubblico. Il titolo? “Falcone e Vespaziani - Un'Alleanza per la Verità”, al momento reperibile su Amazon.

L’ autrice si immerge nell'incredibile mondo di due giganti della giustizia e racconta la storia poco conosciuta di una collaborazione, trasformata in amicizia, tra il giudice Giovanni    Falcone,  vittima  della  mafia  nella  tragica strage  di  Capaci del 1992,   e l'avvocato Giovanni Vespaziani, oggi novantaduenne (zio materno di Amelie). Durante gli eventi narrati nel libro, Vespaziani era il Presidente dell'Ordine degli Avvocati di Rieti, incaricato da Falcone di difendere il pentito di mafia Antonino Calderone. Le vicende storiche testimoniano questo contributo cruciale, che insieme a quelli di Tommaso Buscetta ed altri collaboratori di giustizia, ha permesso a Falcone di tracciare la strada per il leggendario maxiprocesso di Palermo contro Cosa Nostra.

In un'Italia avvolta dall'ombra della corruzione e della violenza, il rispetto reciproco, la fiducia e l'impegno per la giustizia hanno tessuto un rapporto di stima tra il coraggioso combattente Falcone  e Vespaziani, anch’egli instancabile difensore della visione di un'Italia libera e onesta. Entrambi, insomma, custodi di un sogno comune per un Paese migliore.

Il contenuto giornalistico di questo nuovo, ultimissimo  libro di Amélie è straordinario non solo perché’ rivela innumerevoli dettagli di una collaborazione epocale tra un magistrato coraggioso e un avvocato determinato, ma anche perché’ presenta un tesoro di contenuti inediti che porteranno nel cuore pulsante di una verità nascosta.

Con 172 pagine cariche di rivelazioni, “Falcone e Vespaziani - Un'Alleanza per la Verità” si rivela molto più di una semplice lettura, trasformandosi in un'esperienza che cambierà la prospettiva del lettore  riguardo ai temi della giustizia, della verità e del coraggio.

Amalia Mancini, nata a Rieti, ha trascorso gran parte della sua vita a Roma, dove ha conseguito la laurea in Lettere con 110 e lode e si è affermata come biografia, scrittrice, giornalista.  Apprezzata dalla critica anche come sceneggiatrice e poetessa, ha studiato a lungo il mondo del giornalismo, dedicandosi perfino ad una tesi sperimentale su questa professione.

Numerosi sono i premi di settore che ha ricevuto nel corso della sua lunga carriera, tra cui il Premio letterario Corrado Alvaro (conferito dalla Presidenza del Ministero per i Beni e Attività Culturali e dalla Fondazione Corrado Alvaro), il Premio Borromini (dedicato alla celebrazione del quarto centenario dalla nascita dello stesso, conferito dal Ministero dei Beni e le Attività Culturali, Ufficio Centrale per i Beni Archivistici),  il Premio Capit Terzo Millennio consegnatole da Piero Angela, il Premio internazionale Altiero Spinelli, il Premio Viareggio Carnevale.

Tra i prossimi impegni di Amalia Mancini a dicembre, il primo sarà a Salerno, presso la sede dello Yachting Club; il 2 in Costiera amalfitana, all’ Aula consiliare Comune di Minori; il giorno 11 a Palermo, all’interno del Palazzo Reale - Assemblea regionale della Sicilia, Sala Piersanti Mattarella. Per poi proseguire a Narni, ed approdare il prossimo anno a Roma (Sala della Protomoteca in Campidoglio il giorno 24 gennaio), e finalmente nella sua Rieti (data richiesta a gran voce da tanti lettori abituali, e al momento ancora da stabilire), Tivoli, Viterbo, Firenze, Siena, Arezzo…in un calendario in itinere e che si prospetta decisamente impegnativo per questa Autrice, attualmente anche presidente di giuria del Campionato Nazionale Cittadinanza e Costituzione.

Tra i numerosi altri incarichi di cui si occupa, ricordiamo che Amalia Mancini è componente del Comitato di redazione del periodico di Informazione culturale “Cultura e dintorni”, e che vanta collaborazioni con varie testate giornalistiche.  Ha consolidato la sua carriera nel campo culturale, collaborando con il Ministero della Cultura per la stesura di biografie di artisti famosi come Totò, Corrado Alvaro, Borromini, Antonio Canova ed altri artisti illustri. Il risultato di questo impegno straordinario è stata la creazione di cataloghi che raccontano in modo avvincente e approfondito la vita e l'opera di questi grandi personaggi.

Tra i suoi libri: “Lucio Battisti l’enigma dell’esilio”, “L’amore piace a tutti”, “La Tata dei Divi”. E’ coautrice del volume “Giovani e Droga, Perché?” e curatrice del libro “Le mie Prime vere Scarpe”. Con la prima edizione di “Emozioni Private”, che diversi siti specialistici hanno posto in testa alla classifica dei 10 migliori libri su Lucio Battisti, l’autrice ha vinto il Premio Unpli (Unione Nazionale Pro Loco d’Italia Comitato Provinciale di Salerno 2019) e il Premio Internazionale Spoleto Art Festival Letteratura 2021. Ad “Emozioni private”, nella edizione ampliata pubblicata nel 2023, in occasione degli 80 anni dalla nascita di Lucio Battisti, sono stati assegnati il Premio Scriptura artistico letterario internazionale di Nola (Na), fondato, promosso e organizzato da Anna Bruno; il Premio Internazionale Salvatore Quasimodo per la sezione “Saggio o Tesi di laurea”; il Premio Cartesar Carlo de Iuliis; il Premio Internazionale Spoleto Art Festival Letteratura, il Premio Switzerland Literary Prize.

Autrice finanche di 20 sillogi poetiche inedite, le sue opere abbracciano una vasta gamma di generi, dalle commoventi storie d'amore alle profonde analisi psicologiche, dalle affascinanti biografie ai volumi dedicati all’arte.

Questo e molto altro, per una eccezionale interprete di vicende e sentimenti dei nostri giorni.

 

Fonte uff.stampa di Lisa Bernardini

 

 

 

Il 17 dicembre presso Palazzo Cesi, storica sede della Casa Generalizia dei Salvatoriani in via della Conciliazione, i big della Cultura e delle Attività Sociali saranno insigniti del Premio Internazionale LIBRI per la PACE 2023 

Tra gli eccellenti premiati nella chiusura natalizia annoveriamo il Dr. Salvatore Calleri Presidente Fondazione Caponnetto (www.antonino caponnetto.it), Renato Scalia Presidente Ass.ne Gli Amici di Daniele, la Dr.ssa Cecilia Sandroni founder della piattaforma di diritti umani e cultura www.italiensPR.com, il Dr. Stefano Tamburini scrittore e giornalista, autore di "Il Prezzo da pagare" (storie di donne e uomini ribelli, quando lo sport diventa lotta per i diritti umani e civili), il Dr. Astutillo Malgioglio, medico ex portiere di Roma, Lazio e Inter, protagonista di un costante e coraggioso impegno a favore dell'assistenza e dell'integrazione dei bambini affetti da distrofia, AGESCI Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani. Il riconoscimento BOOKS for PEACE – books for peace.org- viene concesso alle organizzazioni ed alle persone che si prodigano per promuovere la Cultura, l'Integrazione, la Pace, i Diritti Umani e lo Sport a livello mondiale.

Tra le principali tematiche di questa edizione, patrocinata dall’Agenzia delle Nazioni Unite UNFPA Albania (a cui l’evento è dedicato), dalla FICLU (Federazione delle Associazioni UNESCO Italia) e dai club UNESCO di Brasile, Tangeri e Mauritania, figurano la vita, la maternità, la lotta contro l’infibulazione e il contrasto al fenomeno delle spose bambine.

“Sono molto felice dello sviluppo e del successo che sta avendo il Premio Books for Peace nel mondo - ha detto il presidente Internazionale del Premio Antonio Imeneo -. “Quest’anno abbiamo un motivo di orgoglio in più, abbiamo premiato il Premio Nobel per la Pace 2018, il medico congolese Denis Mukwegw, la vice presidentessa del Parlamento Europeo, Pina Picierno. Abbiamo anche co-organizzato un’edizione del Concerto di beneficenza del Tour Noi di Katia Ricciarelli, Francesco Drosi e Francesco Zingariello per Books for Peace & FISPES Lazio (Federazione Italiana Sport Paralimpici e Sperimentali) al Teatro San Babila di Milano. Chiuderemo in bellezza le attività nel dicembre prossimo con un grande regalo che idealmente metteremo sotto l’albero di Natale”.

Presente in 5 Continenti e in 61 Paesi, il riconoscimento “Books for Peace” – booksforpeace.org- viene concesso alle organizzazioni e alle persone che si prodigano per promuovere la cultura, l’integrazione, la pace, i Diritti umani e lo sport a livello mondiale.

Fonte ItaliensPR

 

Pubblicità laterale

  1. Più visti
  2. Rilevanti
  3. Commenti

Per favorire una maggiore navigabilità del sito si fa uso di cookie, anche di terze parti. Scrollando, cliccando e navigando il sito si accettano tali cookie. LEGGI