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Solidarietà e massima fiducia nelle forze dell’ordine e conferma di nessun cambio di strategia nella gestione dell’ordine pubblico durante le manifestazioni di piazza. La linea del Viminale e del Governo, dopo gli incidenti durante i cortei pro Palestina a Pisa e Firenze, il Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi l’aveva annunciata già ieri ma l’ha ribadita anche oggi durante l’incontro con i sindacati confederati.

Un incontro convocato proprio per il fare il punto su quanto avvenuto ai cortei di Pisa e Firenze, dove i manifestanti – in gran parte studenti – sono stati caricati dalle forze dell’ordine e colpiti con diverse manganellate.La relazione della Digos, con tutte le indicazioni relative a chi era in servizio e alle disposizioni sulla gestione dell'ordine pubblico, e le conclusioni dei carabinieri, che hanno acquisito e analizzato tutti i video circolati sui social o ripresi dalle telecamere di videosorveglianza urbana: sono due le informativa arrivate in procura a Pisa relative alle cariche della polizia al corteo studentesco pro Palestina di venerdì scorso. Ora sarà il procuratore facente funzioni, Giovanni Porpora a decidere quali reati ravvisare e a chi assegnare il definitivamente il fascicolo d'indagine.

Il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi dovrebbe tenere un'informativa in Consiglio dei ministri su quanto in alcune manifestazioni nei giorni scorsi, dopo le polemiche sulla gestione dell'ordine pubblico.

Durante la riunione di oggi al Viminale con i vertici delle organizzazioni sindacali confederali, a quanto si apprende da fonti del ministero, il ministro Matteo Piantedosi, ha espresso la "massima fiducia di tutto il governo nei confronti delle forze di polizia".

Gli uomini e le donne in divisa, ha aggiunto, sono "servitori dello Stato e lavoratori che svolgono un ruolo fondamentale a presidio della sicurezza e della legalità".  

"Siamo di fronte solo a casi isolati in corso di valutazione e non è mai intervenuto alcun cambio di strategia in senso più restrittivo della gestione dell'ordine pubblico", ha detto il ministro Matteo Piantedosi durante la riunione di oggi con i vertici dei sindacati confederali. Peraltro, ha ricordato, "negli scorsi anni sono avvenuti accadimenti analoghi con incidenti ancor più gravi".

Lo ha sottolineato il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi nel corso dell'incontro al Viminale con i sindacati confederali incentrato sugli incidenti nei cortei pro Palestina avvenuti nei giorni scorsi. Il ministro ha ricordato anche che "negli scorsi anni sono avvenuti accadimenti analoghi con incidenti ancor più gravi". Piantedosi ha ribadito nuovamente alcuni punti fondamentali: "Il governo non ha cambiato le regole di gestione dell'ordine pubblico; i responsabili della sicurezza agiscono sul territorio sulla base di valutazioni fatte sul posto e non seguendo fantomatiche indicazioni da parte del livello politico; nessuno ha interesse ad alzare il livello di tensione durante le manifestazioni e men che mai il Viminale che, insieme a tutti gli appartenenti alle forze dell'ordine, ha come prioritario obiettivo che ogni evento si svolga in maniera pacifica indipendentemente dal loro contenuto".

In questo senso e per un regolare svolgimento di tutte le iniziative, il ministro ha evidenziato quanto sia "imprescindibile la collaborazione degli stessi manifestanti sia nella fase del necessario preavviso delle iniziative sia durante lo svolgimento delle manifestazioni rispettando le prescrizioni ed evitando comportamenti provocatori o violenti".

Nell'evidenziare "l'importanza e la necessità di mantenere un confronto costante con le organizzazioni sindacali, certo del loro consueto contributo", il ministro ha espresso "massima fiducia di tutto il governo nei confronti delle forze di polizia". Piantedosi - secondo fonti del Viminale - ha ribadito nell'occasione che gli uomini e le donne in divisa sono "servitori dello Stato e lavoratori che svolgono un ruolo fondamentale a presidio della sicurezza e della legalita'".

Gli accertamenti fatti sugli scontri di Pisa si sono concentrati sulla condotta della catena di comando in servizio venerdì scorso, in base all'analisi dei video già esaminati dai carabinieri. Secondo quanto appreso, infatti, al centro delle valutazioni dell'autorità giudiziaria c'è soprattutto questo aspetto, ossia di chi ha preso le decisioni e in particolare per capire chi abbia dato l'ordine di caricare con veemenza. Pur mantenendo il massimo riserbo sulla vicenda, da ambienti giudiziari trapela la volontà di procedere speditamente anche per ripristinare quanto prima un clima di serenità in città dopo le polemiche.

Negli ultimi giorni, viene evidenziato, ci sono state ripetute manifestazioni di solidarietà nei confronti degli studenti, che hanno portato in piazza migliaia di cittadini che hanno criticato aspramente l'operato delle forze dell'ordine. Inoltre, secondo quanto si apprende, potrebbe essere convocato a breve un vertice tra gli inquirenti per valutare a chi assegnare le indagini. Da più parti si suggerisce che potrebbe essere la stessa polizia ad andare a fondo per chiarire se vi siano stati errori tecnici e operativi, o addirittura abusi nella gestione dell'ordine pubblico. Del resto sono stati proprio i sindacati Cgil, Cisl e Uil ieri a riferire che nell'incontro avuto sabato scorso in prefettura con prefetto, questore e sindaco, oltre ai comandanti di carabinieri e guardia di finanza, è stato lo stesso questore ad ammettere "un problema di gestione della piazza, dal punto di vista organizzativo e operativo, a suo avviso causato dal fatto che non erano chiari gli obiettivi del corteo".

Stando a quanto trapela dal Viminale, per Piantedosi sono "del tutto inaccettabili, perchè false e strumentali, le polemiche sollevate contro il governo con l'obiettivo di accreditare nell'opinione pubblica la narrazione di una presunta strategia tesa a impedire la libera manifestazione del pensiero". Per il ministro è "ancor più inaccettabile che per queste finalità di natura politico-elettorale ci si spinga persino ad attaccare il ruolo e la professionalità delle forze di polizia".

Poi alcuni numeri: "Il governo fin dall'inizio israeliano-palestinese - ha spiegato il responsabile del Viminale - ha assicurato la piena libertà di manifestare a tutte le parti, sostenendo un rilevantissimo sforzo in termini di gestione dell'ordine pubblico. Basti pensare che dal 7 ottobre scorso su tutto il territorio nazionale si sono svolte 1.076 iniziative e che soltanto in 33 occasioni si sono registrate criticita'". Più in generale, nel corso del 2023 sono state 11.219 le manifestazioni, con 969.970 operatori di polizia impegnati. Dal primo gennaio sono state 2.538 le manifestazioni, solo l'1,5% con criticità o turbative di ordine pubblico, con 150.388 operatori impegnati. Questi dati smentiscono in maniera inequivocabile una presunta contrazione della libertà di manifestazione in Italia. Peraltro, per il personale in divisa, tutto questo rappresenta un impegno quotidiano rischioso tanto che, nel 2023, nel corso delle manifestazioni pubbliche, si sono registrati 120 feriti, 31 già quest'anno". Rispetto a chi ha inteso collegare a questo tema quello dell'aumento delle identificazioni, Piantedosi ha osservato che l'incremento è avvenuto anche in virtùu' delle 'operazioni ad alto impatto' (548.564 identificazioni) e nel generale rafforzamento del territorio, attivita' invocate dai cittadini e dagli amministratori locali perche' hanno subito prodotto risultati tangibili".

Nel "convidere pienamente le parole del presidente Mattarella", Piantedosi si è detto convinto che "l'autorevolezza delle forze di polizia non si nutre dell'uso della forza ma affonda nel sacrificio di centinaia di caduti nella lotta al terrorismo e alla criminalità, nella leale difesa delle istituzioni democratiche anche negli anni più bui della Repubblica, nella capacità di accompagnare con equilibrio e professionalità lo sviluppo della società italiana". Il ministro ha detto di condividere anche l'altro richiamo precedente da parte dello stesso capo dello Stato contro la "intollerabile serie di manifestazioni di violenza: insulti, volgarità di linguaggio, interventi privi di contenuto ma colmi di aggressività verbale, perfino effigi bruciate o vilipese".

 

Fonte Ansa /Agi/ varie agenzie

 

 

Le conseguenze dopo anni di immigrazione incontrollata iniziano a mostrarsi anche in Italia, soprattutto per quanto riguarda la crescente difficoltà di convivenza in una società multietnica. Nel comune di Monfalcone in Friuli-Venezia Giulia, nella provincia di Gorizia, il 33% della popolazione è di fede musulmana. 

Questa alta percentuale, all’interno di una comunità con meno di 30mila abitanti, non può che portare a tensioni sociali per colpa della mancata integrazione degli appartenenti all’islam. Queste problematiche emergono già all’interno delle scuole della città, dove la percentuale di stranieri è circa del 64%, mentre in alcune classi addirittura del 90%.

Il sindaco Anna Maria Cisint mette in luce una crescente tensione sociale, alimentata da atteggiamenti di non-integrazione da parte della comunità islamica.

Come segnala Il Giornale, nelle scuole di Monfalcone, un crescente numero di bambine indossano il velo nero che copre tutto il viso, tranne gli occhi. Una situazione che pone interrogativi sul trattamento delle donne nella cultura islamica e le priorità educative delle famiglie coinvolte.

Un altro dato preoccupante è la percentuale di stranieri nelle scuole della città: 64% degli studenti dall’infanzia alle medie non sono italofoni. In alcune classi, la percentuale sale addirittura al 90%, creando situazioni educative complesse e minando la convivenza pacifica.

Di fronte a tale quadro, il sindaco Cisint sta lavorando a un provvedimento che vieti l’utilizzo del velo integrale nei beni di proprietà comunale. Un passo motivato principalmente da esigenze di sicurezza e che richiede una rapida azione normativa a livello nazionale.

Nel contesto di radicalizzazione, le autorità di Monfalcone hanno dovuto intervenire in casi di violenza e vessazione su minori islamici. L’attuale clima di tensione mondiale aggrava ulteriormente i rischi di estrema radicalizzazione.

I casi di classi delle scuole elementari e medie a maggioranza straniera mostrano come gli italiani, oltre ad essere sempre meno, facciano anche meno figli. Lo scenario di una società multietnica dove gli italiani saranno considerati addirittura una minoranza è letteralmente dietro l’angolo, è questo non può che portare a scontri e tensioni.

Francesco Lollobrigida intervenendo al congresso della Cisal qualche mese fa ,ha affermato: “Non possiamo arrenderci all’idea della sostituzione etnica: gli italiani fanno meno figli, quindi li sostituiamo con qualcun altro. Non è quella la strada”. Per contestualizzare tale dichiarazione, sono stati analizzati i dati dell’Istat sugli stranieri residenti in Italia e sulle acquisizioni di cittadinanza, nonché le stime della Fondazione Ismu sugli immigrati irregolari.

 

Fonte P.N / il giornale / e varie agenzie 

Dopo la mobilitazione di Mortara promossa dal presidente di SEED-Italia Carlo Besostri, il gruppo raccoglierà ulteriori firme alla Fiera in Campo di Vercelli che aprirà i battenti nei prossimi giorni. 
Dalla riprogrammazione del “green deal”, con la revisione della Politica Agricola Europea, al divieto di importazione di prodotti agricoli provenienti da paesi extra Ue, dove non sono in vigore regolamenti produttivi e sanitari diversi da quello italiano. Fino alla necessità di semplificare la burocrazia in capo alle aziende agricole. 

Sono alcune delle richieste degli agricoltori del pavese, di Novara e Vercelli , che lo scorso 15 febbraio si sono uniti con i loro trattori nella grande mobilitazione di Mortara promossa dall’imprenditore agricolo e presidente di SEED-Italia Carlo Besostri. Documento che, annunciano, “verrà presentato alla Regione Lombardia e sarà lo stesso Besostri a consegnarlo al vicepresidente del Senato Gian Marco Centinaio, già ministro dell’Agricoltura”. Nei prossimi giorni, dopo la manifestazione della settimana scorsa, gli agricoltori lomellini e piemontesi saranno presenti all’evento vercellese Fiera in Campo - nei giorni 23, 24 e 25 febbraio - per “proseguire nella raccolta firme in modo massiccio”.

Il gruppo di agricoltori, rappresentato da Lisa Magni per le aree di Novara e Vercelli e da Carlo Besostri per la zona della Lomellina, fanno sapere: “Siamo uniti per la stessa causa, senza alcuna bandiera politica né sindacale”. E dopo le “varie mobilitazioni nelle nostre zone abbiamo deciso di proseguire la nostra protesta per vie più incisive. Abbiamo dunque redatto un documento con dei punti che vogliamo sottoporre alla politica: un elenco di richieste corredate da numerose firme di colleghi agricoltori, ma anche di cittadini residenti nelle province e regioni vicine. Se le nostre richieste non verranno ascoltate il prossimo passo sarà senz'altro quello di presentarsi direttamente in Regione Lombardia e a Roma”. 

Tra i punti contenuti nel documento, la revisione della Pac, che “si prefigge obiettivi eccessivamente green, come la sostanziosa riduzione di prodotti per la coltivazione e l’obbligo di lasciare incolte alcune parti di azienda”. Ma anche di rivedere le “regole di etichettatura affinché siano uniformi in tutta Europa, per garantire al consumatore la giusta conoscenza del luogo di coltivazione o allevamento del prodotto e del luogo di trasformazione e confezionamento dello stesso; diamo al consumatore le informazioni vere su quello che acquista, garantendo trasparenza di tracciabilità e permettendogli quindi, sulla base di tali informazioni, di scegliere come alimentare la sua famiglia”.

E ancora si chiede una “riqualificazione del ruolo” degli uomini e delle donne del mondo agricolo: nel documento si dice “basta” con gli attacchi mediatici che “additano gli agricoltori come responsabili dell’inquinamento ambientale”. Infine un punto è dedicato al florovivaismo: “Data l’importanza del verde a livello ambientale e climatico, soprattutto nelle nostre città, ci aspettiamo nuove risorse anche da parte del Ministero della transizione ecologica per la copertura dell’innalzamento della percentuale detraibile”. 

“Con gli effetti dei cambiamenti climatici da arginare - concludono Besostri e Magni - ci sarà sempre più bisogno del verde e di chi se ne occupa. Ma per affrontare questa sfida, bisogna prima risolvere le criticità del settore, legate al taglio netto dei fitofarmaci richiesto dall’Ue, che lascerebbe le piante senza difesa in assenza di valide alternative già sul mercato; ai ritardi sul via libera alla legge nazionale in materia; all’impiego di substrati idonei per la coltivazione, su cui la ricerca non avanza e senza i quali il rischio che moltissime specie non possano più essere riprodotte è reale”.

L’Europa continua a sostenere convintamente l’Ucraina, ma la fiducia sulla possibile vittoria nel conflitto con la Russia è letteralmente crollata

La maggioranza degli europei è disposta a tutto pur di impedire una vittoria della Russia, ma allo stesso tempo non crede in una vittoria dell’Ucraina: da qui la speranza in un compromesso accettabile. 

L’Europa continua a sostenere convintamente l’Ucraina, ma la fiducia sulla possibile vittoria nel conflitto con la Russia è letteralmente crollata. A quasi due anni dall’invasione ordinata da Vladimir Putin, appena il 10 per cento dei cittadini europei crede nel successo di Kiev: questo quanto confermato dal sondaggio commissionato dal Consiglio europeo per le relazioni estere (ECFR) e riportato dal Guardian. E c’è di più: per la maggioranza degli intervistati, il compromesso tra Kiev e Mosca rappresenta l’esito più probabile di questa guerra.

Il sondaggio è stato realizzato in dodici paesi europei – Italia compresa – ed è emersa la crescita esponenziale del pessimismo sull’esito della guerra, complici diversi fattori: dallo stallo della controffensiva di Kiev alla linea politica degli Stati Uniti, fino al possibile secondo mandato presidenziale per Donald Trump. Come anticipato, nessuna novità sulla necessità di sostenere il Paese di Zelensky: in Svezia (50%), Portogallo (48%) e Polonia (47%), gli intervistati sono più propensi a sostenere che l’Europa deve aiutare l’Ucraina a reagire, mentre in Ungheria (64%), Grecia (59%), Italia (52% ) e Austria (49%) l’accento è posto sulla necessità di raggiungere un accordo. Perfetto equilibrio in Francia, Germania, Paesi Bassi e Spagna.

Si tratta di un cambiamento piuttosto netto rispetto ai sondaggi di un anno fa, quando gli europei ritenevano possibile per l’Ucraina la riconquista di tutti i territori perduti. Per gli autori del sondaggio, gli intervistati desiderano un approccio più realistico da parte della politica, con i riflettori accesi su una “pace accettabile”

Mark Leonard, coautore del sondaggio dell’ECFR, citato dal Guardian, ha affermato: «Per sostenere la causa del continuo sostegno europeo all’Ucraina, i leader dell’UE dovranno cambiare il modo in cui parlano della guerra». La maggior parte degli europei «cerca disperatamente di impedire una vittoria russa», ma non crede che Kiev possa vincere militarmente. Dunque, l’argomentazione più efficace per un'opinione pubblica sempre più scettica sarebbe quella di riuscire a far capire che con ulteriori aiuti si potrebbe «arrivare a una pace sostenibile e negoziata che favorisca Kiev, piuttosto che Putin».

A due anni dall’invasione russa dell’Ucraina, gli italiani hanno sempre meno certezze sull’andamento della guerra (forse la Russia sta vincendo?) e sulle sue possibili soluzioni (Kiev dovrebbe negoziare con Mosca a qualsiasi condizione?). Non solo: se l’anno scorso la percezione prevalente era che la NATO, gli Stati Uniti e l’UE stessero tutti guadagnando influenza e coesione interna, oggi le opinioni sono cambiate, e la Russia di Putin è vista in forte ripresa.
Ho amici ebrei che mi dicono che Zelensky non è un ebreo, ma un disonore per gli ebrei". Lo ha detto il presidente russo Vladimir Putin intervistato al Forum economico internazionale di San Pietroburgo.

A Putin è stato chiesto come può dire che tra gli obiettivi della Russia c'è la "denazificazione" dell'Ucraina, quando il presidente Volodymyr Zelensky è un ebreo ed è stato eletto democraticamente. "Ho molti amici ebrei che mi dicono che Zelensky non è un ebreo ma un disonore per il popolo ebraico", ha risposto Putin, affermando che in Ucraina "oggi i neonazisti sono stati elevati al rango di eroi". Il presidente russo ha ricordato lo sterminio degli ebrei nella Seconda guerra mondiale. 

"L'Olocausto - ha detto - è stato lo sterminio di 6 milioni di ebrei, e un milione e mezzo sono stati sterminati in Ucraina, prima di tutto per mano dei Banderiti". Vale a dire dei seguaci del nazionalista Stepan Bandera, alleatisi con Hitler contro l'Unione Sovietica. Dopo aver fatto vedere una serie di video agghiaccianti sui massacri in Ucraina, Putin ha affermato che proprio Bandera e i suoi seguaci oggi sono "gli eroi dell'Ucraina" e coloro che "le autorità ucraine oggi proteggono". "Abbiamo l'obbligo di combattere contro questo - ha proseguito Putin -. La Russia è stata la parte che ha sofferto di più nella lotta contro il nazismo. Non dimenticheremo mai questo. "Abbiamo tutto il diritto - ha concluso il presidente russo - di ritenere che uno dei nostri obiettivi chiave in Ucraina è la denazificazione".
 
Fonte :  (ISPI) (Corriere del Ticino) ( ansa ) ( N.Porro atlantico Q. )

Prima fugge dal carcere in Tunisia per sbarcare come innocuo migrante con il barcone in Italia. Poi viene aperto un procedimento a Bologna per radicalismo islamico, che finisce in nulla. Alla fine doveva essere espulso, ma un magistrato di Bologna annulla il provvedimento di rigetto della richiesta d'asilo. La polizia italiana, però, segnala a tutta Europa che è un sospetto jihadista pronto a partire per i campi dei battaglia dell'Isis in Medio Oriente. Si sposta fra Svezia e Belgio fino a quando non decide di uccidere due svedesi a colpi di kalashnikov nel centro di Bruxelles. Il Giornale ha ricostruito il percorso, attraverso l'Italia, di Abdesalem Lassoued, il terrorista dell'Isis neutralizzato ( ieri ottobre 23 ) in uno scontro a fuoco a Schaerbeek, distretto della capitale belga fucina di jihadisti fin dagli attentati del 2016.

Lassoued era un tunisino nato a Sfax nel 1978. A casa sua finisce dietro le sbarre «per reati comuni e di natura politico-religiosa», ma riesce a evadere. Subito dopo si mescola ai migranti imbarcandosi verso Lampedusa. Nel gennaio 2011 viene fotosegnalato a Porto Empedocle per ingresso illegale. A Torino, dove lo trasferiscono, gli rilasciano un permesso di soggiorno per «motivi umanitari». Abbandona l'Italia per andare prima in Norvegia e venire rimandato indietro e poi in Svezia. Nel Paese scandinavo rimane dal 2012 al 2014 finendo in carcere. Forse non è un caso che a Bruxelles abbia dato la caccia ai tifosi della nazionale svedese, impegnata in una partita, uccidendone due. Dopo avere scontato la pena in Svezia viene espulso verso l'Italia come prevede il regolamento di Dublino.

Le perquisizioni a tappeto sono scattate per sgominare la rete dei contatti che Abdessalem Lassoued, autore dell'attentato del 16 ottobre scorso a Bruxelles, aveva in Italia. Il tunisino, che uccise brutalmente due tifosi svedesi gridando "Allah akbar", era infatti transitato dal nostro Paese, dove aveva vissuto dal 2012 e il 2016. E qui, secondo gli investigatori, aveva delle conoscenze riconducibili alla sua cerchia virtuale del terrore. Così, i poliziotti della Digos di Bologna, coordinati dalla Direzione centrale della Polizia di prevenzione, in collaborazione con i carabinieri del Ros di Roma, hanno proceduto all’esecuzione di un decreto di perquisizione nei confronti di diciotto persone considerate vicine a Lassoued e al mondo dell'integralismo islamico.

Gli indagati sono individui di origine nordafricana che dimorano nelle province di Bologna, Como, Fermo, Ferrara, Lecco, Macerata, Teramo, Palermo, Perugia, Roma, Torino, Trento e Udine. Gli investigatori hanno accertato che le persone perquisite usavano profili social con contenuti tipici degli ambienti dell'estremismo religioso. Gli sviluppi degli accertamenti - fanno sapere le forze dell'ordine impegnate nell'operazione - hanno già permesso di individuare altri cittadini stranieri nei cui confronti si è definito l'iter per l’allontanamento dal territorio nazionale con provvedimenti amministrativi di espulsione.

Il 16 ottobre scorso, le sue generalità erano tragicamente tornate alla ribalta dopo il brutale attentato da lui commesso a Bruxelles. Nella capitale belga, l'uomo freddò due cittadini svedesi per poi darsi alla fuga, ancora armato, a bordo di una moto. Colpito in un conflitto a fuoco con la polizia, l'uomo è poi deceduto poco dopo. In un video, il tunisino aveva rivendicato il folle gesto. "Sono uno jihadista dello Stato islamico. Viviamo per la nostra religione e moriamo per la nostra religione. Ho vendicato i musulmani...", disse. L'attentato aveva riacceso l'allarme per il terrorismo islamico nel cuore dell'Europa, facendo partire nuove indagini per individuare eventuali e nuovi potenziali rischi alla sicurezza.

Le misure, che si inquadrano nell’ambito degli approfondimenti investigativi scaturiti dall'attentato perpetrato a Bruxelles, hanno avuto origine anche da "acquisizioni provenienti dai canali di cooperazione internazionale, avviate fin da subito con la polizia belga e gli organismi di Europol, che hanno consentito di fare piena luce sui contatti mantenuti in Italia dell’autore dell’attacco terroristico, come noto rimasto nel nostro Paese dal 2012 al 2016", hanno fatto sapere gli investigatori. Il tunisino Abdessalem Lassoued aveva vissuto per alcuni anni in Italia e nel 2016 - aveva ricostruito l'Ansa - fu fermato e identificato dalla polizia a Bologna. Ma la città delle Due torri fu solo una delle tappe dell'attentatore nel Belpaese, del quale si hanno tracce dalla Sicilia alla Liguria.

 

Fonte il Giornale / ansa / e varie agenzie 

 

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