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Sabato, 01 Giugno 2024

Alla vigilia dei 170 anni dalla sua nascita, dall’8 ottobre 2022 Palazzo Bonaparte din Piazza Venezia a Roma ospita la grande e più attesa mostra dell’anno dedicata al genio di Van Gogh. Attraverso le sue opere più celebri - tra le quali il suo famosissimo Autoritratto (1887) - sarà raccontata la storia dell’artista più conosciuto al mondo. Nato in Olanda il 30 marzo 1853, Vincent van Gogh fu un artista dalla sensibilità estrema e dalla vita tormentata. Celeberrimi sono i suoi attacchi di follia, i lunghi ricoveri nell’ospedale psichiatrico di Saint Paul in Provenza, l’episodio dell’orecchio mozzato, così come l’epilogo della sua vita, che termina il 29 luglio 1890, a soli trentasette anni, con un suicidio: un colpo di pistola al petto nei campi di Auvers. Nonostante una vita impregnata di tragedia, Van Gogh dipinge una serie sconvolgente di Capolavori, accompagnandoli da scritti sublimi (le famose “Lettere” al fratello Theo van Gogh), inventando uno stile unico che lo ha reso il pittore più celebre della storia dell’arte. La mostra di Roma, attraverso ben 50 opere provenienti dal prestigioso Museo Kröller-Müller di Otterlo - che custodisce uno dei più grandi patrimoni delle opere di Van Gogh - e tante testimonianze biografiche, ne ricostruisce la vicenda umana e artistica, per celebrarne la grandezza universale. Un percorso espositivo dal filo conduttore cronologico e che fa riferimento ai periodi e ai luoghi dove il pittore visse: da quello olandese, al soggiorno parigino, a quello ad Arles, fino a St. Remy e Auvers-Sur-Oise, dove mise fine alla sua tormentata vita. Dall’appassionato rapporto con gli scuri paesaggi della giovinezza allo studio sacrale del lavoro della terra scaturiscono figure che agiscono in una severa quotidianità come il seminatore, i raccoglitori di patate, i tessitori, i boscaioli, le donne intente a mansioni domestiche o affaticate a trasportare sacchi di carbone o a scavare il terreno; atteggiamenti di goffa dolcezza, espressività dei volti, la fatica intesa come ineluttabile destino. Tutte queste sono espressione della grandezza e dell’intenso rapporto con la verità del mondo di Van Gogh. Particolare enfasi è data al periodo del soggiorno parigino in cui Van Gogh si dedica a un’accurata ricerca del colore sulla scia impressionista e a una nuova libertà nella scelta dei soggetti, con la conquista di un linguaggio più immediato e cromaticamente vibrante. Si rafforza anche il suo interesse per la fisionomia umana, determinante anche nella realizzazione di una numerosa serie di autoritratti, volontà di lasciare una traccia di sé e la convinzione di aver acquisito nell’esperienza tecnica una fecondità ben maggiore rispetto al passato. È di questo periodo l’Autoritratto a fondo azzurro con tocchi verdi del 1887, presente in mostra, dove l’immagine dell’artista si staglia di tre quarti, lo sguardo penetrante rivolto allo spettatore mostra un’insolita fierezza, non sempre evidente nelle complesse corde dell’arte di Van Gogh. I rapidi colpi di pennello, i tratti di colore steso l’uno accanto all’altro danno notizia della capacità di penetrare attraverso l’immagine un’idea di sé tumultuosa, di una sgomentante complessità. L’immersione nella luce e nel calore del sud, a partire dal 1887, genera aperture ancora maggiori verso eccessi cromatici e il cromatismo e la forza del tratto si riflettono nella resa della natura. Ecco quindi che torna l’immagine di Il Seminatore realizzato ad Arles nel giugno 1888, con la quale Van Gogh avverte che si può giungere a una tale sfera espressiva solo attraverso un uso metafisico del colore. E così Il giardino dell’ospedale a Saint-Rémy (1889) assume l’aspetto di un intricato tumulto, mentre lo scoscendimento di un Burrone (1889) sembra inghiottire ogni speranza e la rappresentazione di un Vecchio disperato (1890) diviene immagine di una disperazione fatale. Con il patrocinio del Ministero della cultura, della Regione Lazio, del Comune di Roma – Assessorato alla Cultura e dell’Ambasciata del Regno dei Paesi Bassi, la mostra è prodotta da Arthemisia, realizzata in collaborazione con il Kröller-Müller Museum di Otterlo ed è curata da Maria Teresa Benedetti e Francesca Villanti. La mostra sarà aperta al pubblico fino il 29 marzo 2023.

«Siamo felici, emozionati e orgogliosi di portare negli Stati Uniti l’arte di Giuseppe De Nittis e di raccontare al mondo una storia, pugliese e italiana, che parla di cultura e bellezza - ha detto Michele Emiliano, presidente della Regione Puglia - Questa mostra rappresenta un’occasione straordinaria per creare attraverso l’arte nuovi legami e per rafforzare la nostra presenza internazionale».

Da qui è iniziato il viaggio, in anteprima, per i giornalisti e gli esperti intervenuti alla conferenza stampa nella sede dell’Associazione della Stampa Estera a Roma alla scoperta di un pugliese, un italiano, che a Parigi ha lasciato una impronta indelebile. Paul Gauguin, riconosciuto per i suoi studi sul colore e per le sue ambientazioni tahitiane, alla fine del 1884 scriverà: «Tutti copiano De Nittis (...) De Nittis ha raggiunto la perfezione in ciò che gli impressionisti avevano iniziato». L’evento si svolgerà a Washington D.C. dal 12 novembre 2022 al 12 febbraio 2023 in un luogo cult degli Stati Uniti: nel 1921 The Phillips Collection è stato il primo museo americano dedicato all’arte moderna. Lo stimolo nasce dal riallestimento della Pinacoteca De Nittis di Barletta ad opera del professor Renato Miracco, storico e critico d’arte, che insieme a studiosi italiani e statunitensi ha data vita ad una rilettura internazionale di De Nittis.

Dalla riscoperta della grandezza dell’artista Giuseppe De Nittis, ora, partendo da Washington D.C. può nascere anche il desiderio di un viaggio a ritroso, che riporta alla sua terra natia. «La Puglia oggi è fra le destinazioni turistiche più richieste – ha evidenziato il presidente Emiliano -. E questo risultato è fortemente connesso agli investimenti che abbiamo fatto in ambito culturale in tutti questi anni, valorizzando il patrimonio, i talenti, la creatività al massimo delle nostre possibilità. Investiamo tanto nella cultura perché è strategico per la crescita sociale, dell’economia e della formazione dei più giovani. In un dialogo sempre virtuoso tra pubblico e privato. Per la Regione Puglia è un motivo di orgoglio essere al fianco di The Phillips Collection per realizzare un progetto prestigioso come questo».  

«La mostra An Italian Impressionist in Paris: Giuseppe De Nittis, presentata nella prestigiosa sede della Phillips Collection di Washington DC, di concerto con il Comune di Barletta e la Regione Puglia rappresenta una straordinaria occasione per la promozione internazionale di uno dei protagonisti indiscussi del rinnovamento delle Arti nella seconda metà dell’800, nonché un importante momento di confronto tra istituzioni impegnate nell’ambito della diffusione della conoscenza del patrimonio artistico pugliese – ha dichiarato l’arch. Anita Guarnieri, soprintendente all’Archeologia, Belle Arti e Paesaggio delle Province Barletta-Andria-Trani e Foggia -. Dal momento della richiesta del prestito, il Ministero italiano della Cutltura Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Barletta-Andria-Trani e Foggia, d’intesa con la Direzione Generale Archeologia Belle Arti e Paesaggio, ha seguito in maniera scrupolosa l’intero processo, valutando con attenzione ogni fase organizzativa, a fronte di una precisa consapevolezza della portata di tutta l’operazione. Tale lavoro si è inserito in maniera organica in una nuova attività di conoscenza, di pianificazione delle politiche territoriali e di rivalutazione dei beni culturali, avviata soprattutto nell’ultimo anno dal Ministero della Cultura Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Barletta-Andria-Trani e Foggia».

«Giuseppe De Nittis, nell’arco temporale dell’affermazione artistica, non esitò a viaggiare – sottolinea il sindaco di Barletta Cosimo Cannito -. La sua maturità è germogliata attraverso un itinerario nazionale, consacrandosi tra Parigi e Londra, dove estro e genio del pittore barlettano distillarono una quintessenza magicamente riflessa ancora oggi in tanti capolavori apprezzati ovunque. Conoscere e farsi conoscere. Apprendere, sperimentare, condividere esperienze e tecniche sarebbe stato per lui il filo conduttore di un’ascesa perentoria. L’intuizione decisiva per il successo, per dare linfa alla sua ragione di vita».  

«Questo principio lo riconosciamo identico allo spirito che anima la scelta dell’Amministrazione comunale di trasferire provvisoriamente alcune opere oltreoceano affinché, in sedi prestigiosissime, si possa ammirare la maestosa bellezza del tratto pittorico denittisiano che le ha generate – aggiunge il sindaco Cannito -. Non è la prima volta che si pianifica un prestito, rientra nelle dinamiche della cultura moderna attivare circuiti virtuosi. Barletta e il suo patrimonio di storia ed arte meritano di appartenervi stabilmente. Sostenere quest’opinione significa affermare una verità accertata e pianificare un avvenire d’avanguardia per la cultura barlettana. Dobbiamo essere orgogliosi del traguardo all’orizzonte ed esprimere gratitudine nei confronti di tutte le istituzioni coinvolte”. “Sarà una nuova occasione, infine, per visitare la Pinacoteca ospitata a Palazzo della Marra a Barletta nel periodo concomitante all’esposizione negli Stati Uniti – conclude Cannito -. Le 32 opere in partenza saranno sostituite con altrettante opere del De Nittis oggi conservate nei nostri archivi. Il patrimonio dell’impressionista barlettano donato alla città dalla moglie Léontine Gruvelle ci consentirà di riallestire la Pinacoteca in modo da dare ai visitatori di Palazzo della Marra l'’opportunità di apprezzare la grandezza artistica del pittore che seppe incantare Parigi».        

 «Giuseppe De Nittis è stata una delle figure principali del periodo impressionista ma non è stata fatta conoscere ed apprezzare abbastanza negli Stati Uniti, e non guardiamo a lui come invece facciamo per Degas e Manet– dice Dorothy Kosinski, CEO e direttrice di Vradenburg -. La nostra mostra punta i riflettori sul suo ruolo influente nell’arte impressionista, che continua a coinvolgere e a deliziare il pubblico».

«L’idea di questa monografica, la prima sul suolo americano con un catalogo in lingua inglese – ha spiegato il curatore Renato Miracco - è basata su recenti ricerche di studiosi a livello internazionale con la precisa volontà di rileggere Giuseppe De Nittis, personalità poliedrica, innovatore, ispirato da molteplici culture artistiche del momento, sconosciuto al grande pubblico, morto prematuramente, che divenne punto di riferimento per una intera generazione di pittori europei. Dalla Puglia De Nittis si trasferì subito con la famiglia, perdendo presto entrambi i genitori, a Napoli e poi a Parigi e Londra. Lungo il percorso ragionato di questa mostra a Washington D.C., divisa in sezioni, potremo ammirare come De Nittis affronta tutti i temi tipici della pittura dell’epoca – conclude Miracco - dalle vedute urbane alla nuova moda parigina, alle vedute del Vesuvio ed ai magici paesaggi della campagna pugliese e francese».

Questa mostra evento del De Nittis è imponente, per l’enorme valore artistico culturale, ed anche tradotto in cifre ha ricadute importanti per la valorizzazione del turismo culturale in Puglia, regione italiana leader per arrivi nazionali e internazionali:

• La mostra raccoglie 74 opere di cui 60 a firma De Nittis provenienti da 15 Istituzioni Museali come il Metropolitan di New York, a Parigi il Louvre, il Petit Palais ed il Museo della Storia Carnavalet, L’Art Institute di Chicago, Il Fine Art Museum di Boston accompagnate da 14 opere di collezione privata e da raffronti con opere di Edgar Degas, Edouard Manet, Gustave Caillebotte.

• Ci sono due novità eccezionali: De Nittis è, per la prima volta, protagonista di una mostra negli USA. La seconda è che a De Nittis, per la prima volta, sarà dedicato un catalogo di oltre 250 pagine stampato in lingua inglese con il sostegno dell’Ambasciata d’Italia e dell’Istituto Culturale Italiano a Washington D.C.

• L’evento internazionale, che congiunge con un ponte ideale la Puglia a Washington D.C., ha richiesto quattro anni di lavoro ed è frutto di un mirabile esempio di collaborazione fra privati ed istituzioni pubbliche.

La mostra, che vanta l’Alto Patronato del Ministero Italiano della Cultura, nasce in collaborazione con la Soprintendenza all’Archeologia, Belle Arti e Paesaggio della Provincia BAT (Barletta Andria TranI) con la Città di Barletta (Puglia) e la Pinacoteca De Nittis a Barletta (che conserva la grande donazione avvenuta nel 1914 di più di 136 opere da parte della moglie dell’artista), con il sostegno della Regione Puglia e della Fondazione Pino Pascali, in collaborazione con ARET (Agenzia Regionale del Turismo) Pugliapromozione.

 

GIUSEPPE DE NITTIS, L’ARTISTA

Nato in Puglia, nella città di Barletta, il 25 febbraio 1846 e venuto a mancare prematuramente a Parigi il 21 agosto 1884, De Nittis è indubbiamente uno degli artisti più innovatori ed originali dell’800.

De Nittis è una figura centrale negli sconvolgimenti estetici e istituzionali della Parigi del 1870. Eppure, era arrivato nella capitale francese da Napoli solo tre anni prima, nel 1867, all'età di 21 anni. A Parigi, De Nittis riesce rapidamente a farsi un nome quando, nel 1874, Edgar Degas lo invita a partecipare alla prima mostra impressionista, unico artista italiano in esposizione.


LA MOSTRA INNOVATIVA

Questa mostra è totalmente innovativa poiché cerca di riscoprire la figura di De Nittis all’interno del più vasto movimento impressionista, unitamente all’incredibile amicizia e collaborazione - aldilà del mero termine “impressionismo” - che intercorreva tra Giuseppe De Nittis, Édouard Manet, Edgar Degas e Gustave Caillebotte, fornendo un nuovo punto di vista nello studio dell‘Impressionismo, uno dei più importanti movimenti artistici della storia.

Nel catalogo in inglese - oltre ai saggi del prof. Renato Miracco, storico e critico d’arte, curatore della mostra – ci sono i saggi di Robert Jensen (professore d’Arte all’Università del Kentucky) e Marina Ferretti Bocquillon (già Direttrice scientifica del Musée des Impressionismes di Giverny, Francia).
 
I PARTNERS DELLA MOSTRA

MiC Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Barletta-Andria-Trani e Foggia, “The Phillips Collection”, Comune di Barletta, Pinacoteca De Nittis, Fondazione Pino Pascali, Regione Puglia, AReT (Agenzia Regionale del Turismo) Pugliapromozione.

I SOSTENITORI  

I sostenitori della mostra sono: Ednah Root Foundation and Martha Johnston and Robert Coonrod: Inoltre, la mostra è stata realizzata grazie a: The Phillips Collection’s Exhibitions Endowment Fund, che è generosamente supportata da the Sherman Fairchild Foundation, Michelle and Glenn Engelmann, Robert and Debra Drumheller e The Marion F. Goldin Charitable Fund.


I CURATORI DELLA MOSTRA

Professor Renato Miracco, storico e critico d’arte nonché curatore della Pinacoteca De Nittis di Barletta, e la dott.ssa Susan Behrends Frank, curatore per The Phillips Collection.  

Un'opera della Reggia di Caserta del pittore di Corte Jacob Philipp Hackert è stata rielaborata dal Liceo artistico statale di San Leucio per la JuveCaserta. 

Il Museo è un istituto al servizio della società che offre esperienze diversificate per l’educazione, il piacere, la riflessione e la condivisione di conoscenze. Esso lavora in un sistema di relazioni e pone al centro la collettività e il sostegno ad iniziative attente all'impegno sociale. In questo spirito di progettualità condivisa, il Museo Reggia di Caserta ha reso possibile la rielaborazione dell'immagine del dipinto di Hackert "Mietitura a San Leucio" per la campagna abbonamenti della squadra di pallacvanestro della città.

L'istituto scolastico ha presentato la richiesta di utilizzare l'opera per promuovere la partecipazione degli studenti alla realizzazione di un progetto congiunto di arte e sport. Attraverso la valorizzazione di uno dei dipinti della Reggia di Caserta, i ragazzi hanno lavorato alla comunicazione della JuveCaserta e, con la dicitura "Campagna Felix", promosso anche l'immagine del territorio. Gli alunni hanno proposto una rivisitazione del quadro del grande pittore del Regno di Napoli, riproducendo nella parte anteriore della scena di paesaggio un campo di pallacanestro e i giocatori. 

"Mietitura a San Leucio", guazzo su cartone di Hackert esposto lungo il percorso degli Appartamenti Reali, venne realizzato nel 1782 per Ferdinando IV di Borbone che volle vedere raffigurato il suo monte: "San Leucio mi è sempre piaciuto e in gioventù vi ho trascorso molti giorni. Perciò mi piacerebbe vederlo raffigurato in un bel dipinto". Hackert ne tracciò il disegno mentre i mietitori erano all'opera. Il re si fermò a osservarlo e gli piacque così tanto che ordinò che gli fosse portata una sedia per accomodarsi affianco all'artista e vedere come l'opera prendesse forma. Fu proprio Ferdinando a chiedere che i mietitori e le donne fossero in primo piano e che vi fossero aggiunti ragazzi che giocavano. Una veduta che conteneva già, quindi, un profondo legame con la collettività. 

La Direzione della Reggia di Caserta ha svolto in questi anni, presso le sue centinaia di migliaia di visitatori, un'intensa attività di promozione delle risorse paesaggistiche, storiche, artistiche, sociali ed enogastronomiche del territorio. Ha accolto, quindi, con molto interesse l'iniziativa della scuola e della società sportiva che favorisce anche la conoscenza di un'opera del patrimonio museale da parte delle nuove generazioni. "Avvicinare i più giovani alla cultura è una delle finalità dell'azione quotidiana del Museo e i valori di cui lo sport è portatore, come la condivisione, la partecipazione e il rispetto, sono espressioni di cultura - afferma il direttore della Reggia di Caserta Tiziana Maffei - La JuveCaserta è, del resto, uno dei simboli della città. Intere generazioni si sono appassionate alla sua storia e alle sue vicende. Il patrimonio culturale assolve alla sua funzione se entra nella vita delle persone, se stabilisce un contatto, se riesce a creare suggestioni nella comunità. Credo che questa iniziativa abbia un grande potenziale educativo". 

Canova oltre l’artista; oltre il geniale scultore acclamato dai contemporanei come il nuovo Fidia; oltre il Maestro che, senza rinunciare ad essere moderno, fece risorgere l’antico in scultura e, oggi come ieri, incanta con la bellezza eterna e senza tempo delle sue opere, magicamente percorse da un palpito di vita.

Bassano del Grappa, tra i luoghi più significativi per la conoscenza del grande artista e da sempre motore nello studio e nella valorizzazione della sua opera, segna un momento fondamentale nelle celebrazioni ufficiali per i 200 anni dalla sua morte, con un’ampia e originale mostra che, dal 15 ottobre 2022 al 26 febbraio 2023 presso il Museo Civico della città, andrà “oltre” l’universo estetico canoviano.

Una rassegna che restituirà un’immagine inedita del grande scultore, affascinante e attualissima, svelando l’uomo, il collezionista, il diplomatico, il protettore delle arti: una tra le personalità più significative del mondo culturale e politico a cavallo tra XVIII e XIX secolo.

Protagonista di un periodo di grandi stravolgimenti storici e politici, tra guerre e rivoluzioni che cambiarono il volto dell’Europa, Antonio Canova (1757 – 1822) regalò al mondo la speranza nel futuro attraverso la creazione di un’arte in perfetto equilibrio tra reale e ideale, avvicinando l’uomo al mito e ispirando azioni e sentimenti di armonia e di pace.

Curata da Giuseppe Pavanello e Mario Guderzo con la direzione scientifica di Barbara Guidi, organizzata dai Musei Civici di Bassano del Grappa in collaborazione con Villaggio Globale International, realizzata con il sostegno della Regione del Veneto, con il patrocinio e il contributo del “Comitato Nazionale per le celebrazioni del bicentenario della morte di Antonio Canova” e con l’evento di apertura posto sotto l’Alto Patronato del Parlamento Europeo, “IO, CANOVA. Genio europeo” intende indagare alcuni aspetti mai affrontati prima in una mostra, tra cui la formazione, le passioni di collezionista, la partecipazione alla storia europea di questo straordinario artista che fu capace di orientare il gusto di un’intera epoca.

L’evento celebrativo è posto sotto i patrocini del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Ministero dell’Istruzione, Ministero della Cultura, Ministero del Turismo e Provincia di Vicenza e ha visto lo straordinario sostegno del mondo imprenditoriale locale, intervenuto in qualità di mecenate e attraverso l’adozione ideale di un’opera di Canova in prestito alla mostra o di intere sale espositive.

Un racconto per immagini che al ricco patrimonio artistico e documentario di Canova presente a Bassano, custode di uno dei fondi più ampi e importanti al mondo per lo studio e la conoscenza del grande scultore, affianca prestiti nazionali e internazionali: dai capolavori del Maestro - come il marmo della “Principessa Leopoldina Esterhazy Liechtenstein”, il grande gesso della “Religione” dei Musei Vaticani, l’imponente “Marte e Venere” dalla Gipsoteca di Possagno, realizzato per Giorgio IV d’Inghilterra, l’“Endimione dormiente” dall’Accademia di Belle Arti di Ravenna o la “Danzatrice col dito al mento” della Pinacoteca Agnelli, per citarne alcuni - alle molte opere che permettono di ricostruire il contesto in cui Canova visse e operò.

Tra queste, lo splendido “Ritratto del Senatore Abbondio Rezzonico” di Batoni, il “Ritratto di Clemente XIII” di Mengs e quello dell’ “Imperatore Napoleone I” di Gérard, i preziosi dipinti di Tiepolo e Moretto da Brescia appartenuti a Canova, fino ai capolavori di Paolo Veronese, Ludovico Carracci e Guido Reni che egli stesso ricondusse in Italia nel 1815 grazie a una coraggiosa missione diplomatica. Nel complesso, oltre 140 opere tra sculture, dipinti, disegni e documenti preziosi, provenienti da importanti collezioni pubbliche e private italiane ed europee – le Gallerie degli Uffizi di Firenze, la Pinacoteca Nazionale di Bologna, il Museo di Castelvecchio di Verona, il Museo Correr di Venezia, la Protomoteca Capitolina, i Musei Vaticani, la Malmaison di Parigi, l’Albertina e il Kunsthistorisches Museum di Vienna, lo Schloss Esterhazy, l’Alte Pinakothek di Monaco, il Musée National du Château de Fontainebleau o la Daniel Katz Gallery di Londra per citarne alcuni, – accompagneranno i visitatori prima dentro l’universo creativo del maestro, poi sulle orme del “viaggiatore” Canova dall’Italia alle grandi corti d’Europa.

La mostra rievocherà anche le vicende di alcune importanti commissioni, come il “Damosseno” e “Creugante”, l’“Ercole e Lica”, il Monumento funerario per Orazio Nelson e quello per Papa Clemente XIII, il monumento equestre a Ferdinando IV di Borbone e quello per Napoleone; racconterà i rapporti con i mecenati, pontefici, principi e nobili, dai Falier ai Rezzonico, da re Giorgio IV ad Alexander Baring, da Papa Pio VII a Francesco I d’Austria, da Josephine de Beauharnais a Paolina Bonaparte, fino a Napoleone. Evocherà infine le relazioni che Canova ebbe con artisti, e letterati coevi, come Angelika Kauffmann, Anton Raphael Mengs, Carlo Albacini.

Un evento eccezionale è rappresentato dall’arrivo a Bassano del Grappa, dall’Inghilterra, del grande marmo riscoperto solo di recente - dopo quasi due secoli in cui se ne erano perse le tracce - e mai esposto prima in una mostra: la “Maddalena giacente”, l’ultimo capolavoro di Canova. Realizzata poco prima di morire per Robert Jenckins, secondo conte di Liverpool e primo ministro inglese, la splendida figura distesa è stata riconosciuta dopo molti anni di oblio e può essere oggi mostrata in tutta la sua struggente bellezza.

Tre saranno i capitoli in cui si svilupperà il percorso espositivo, firmato dallo Studio Antonio Ravalli Architetti nell’ambito di un più ampio progetto di riqualificazione di tutto il Museo Civico di Bassano: “L’ uomo e l’artista”, “Canova e l’Europa”, “Canova nella Storia”, quest'ultimo dedicato al rapporto che lo scultore ebbe con Napoleone e i Bonaparte e ai viaggi compiuti a Londra e Parigi nel 1815 per giudicare i marmi del Partenone e recuperare le opere d’arte che i francesi avevano sottratto dalla Penisola.

A lui - capace di attirare la benevolenza, la stima e l’amicizia di tanti potenti - venne infatti affidato da Ercole Consalvi, segretario di Stato dalla Santa Sede, il difficile compito del recupero delle opere trafugate dai francesi in seguito al Trattato di Tolentino del 1797. Un’impresa quest’ultima che trova particolare evidenza nella mostra e che ci ricorda una volta di più l’importanza della figura di Canova per l’arte italiana, al di là del suo genio d’artista. Nonostante le accese opposizioni che incontrò e le tante ansie che la missione a Parigi procurò al suo carattere mite, Canova seppe infatti cogliere la positiva congiuntura a livello internazionale e giocare d’astuzia e diplomazia. Così mentre Dominique Vivant Denon, direttore del Louvre dal 1802, difendeva il bottino francese con le unghie e con i denti, Canova cercò il sostegno di Hamilton sottosegretario del Ministro degli Esteri britannico, di Wellington grande comandante inglese che aveva sconfitto Napoleone a Waterloo e del cancelliere austriaco Principe di Metternich; e con un drappello di soldati austriaci e prussiani fece incursione al Louvre staccando dai muri e recuperando dalle sale buona parte delle opere reclamate dagli Stati pontifici.

Il 25 ottobre 1815 un convoglio di 41 carri trainati da 200 cavalli con 249 opere lasciò Parigi per raggiungere le varie destinazioni in Italia. I carri furono accolti dalle popolazioni locali in festa ed esultò anche Giacomo Leopardi per le opere “ritornate alla patria”.

In mostra a Bassano a testimoniare questo momento anche l’antico calco in gesso del “Laocoonte” prestato dai Musei Vaticani, la “Deposizione” di Paolo Veronese, “La Fortuna” di Guido Reni, la monumentale “Assunzione della Vergine” e “La Carraccina” di Agostino Carracci.

Canova, che era riuscito ad ottenere anche un contributo dai diplomatici inglesi per finanziare le spese di trasporto, si sarebbe di lì a poco recato anche a Londra. «II Canova a Londra? - commenterà il segretario di Stato Consalvi - Anche la torre dovrà muoversi quando sarà giunto Canova. E questi c ...... mi condannavano di aver scelto questo raro artista per tal negoziato? Abbiamo qui molti uomini, ma la maggior parte scarsi di odorato. Vale più in queste cose il nome di Canova, che tutti noi».

Alla mostra erano stati ufficialmente concessi in prestito dal Museo Statale Ermitage di San Pietroburgo alcuni dei famosi marmi di Canova lì conservati. Analogamente, dal Museo Nazionale di Kiev doveva giungere la “Pace”, splendida allegoria in marmo, mai tanto attuale.

Allo scoppio del conflitto russo-ucraino, la rinuncia a tali prestiti è stata inevitabile e convinta. Ciò non ha impedito - grazie anche generosità e alla fiducia di tanti musei, istituzioni e collezionisti italiani e stranieri che hanno concesso in prestito opere di grande delicatezza e rilevanza, alcune delle quali mai esposte prima in Italia - di dare vita ad una mostra rigorosa ma avvincente, capace di evocare, attraverso la storia di un uomo, un’intera epoca. La speranza e l’augurio di tutti è che le opere Canova dalla Russia e dall’Ucraina possano essere esposte nuovamente assieme, a testimonianza di nuovi tempi di serenità, di pace e di dialogo.

 

 

 

Recuperato,ritorna in Italia lo straordinario gruppo scultoreo di Orfeo e le Sirene Sotto l’egida del Ministero della Cultura e grazie al sostegno della Direzione generale Musei, l’opera dal valore inestimabile è esposta al Museo dell’Arte Salvata, all’interno del Museo Nazionale Romano, dal 18 settembre al 15 ottobre 2022 per poi essere trasferita al Museo archeologico di Taranto dove entrerà in collezione. Il rimpatrio dell’opera è stato possibile grazie alla complessa attività investigativa condotta in Italia e all’estero dai Carabinieri della Sezione Archeologia del Reparto Operativo del Comando per la Tutela del Patrimonio Culturale (TPC), coordinata dalla Procura della Repubblica di Taranto, in collaborazione con il District Attorney's Office di Manhattan (New York – U.S.A.) e lo Homeland Security Investigations (H.S.I.).

Il gruppo in terracotta, a grandezza quasi naturale, del IV secolo a.C, trafugato negli anni ‘70 da un sito archeologico tarantino e acquistato successivamente dal The Paul Getty Museum di Malibu (Los Angeles - U.S.A.), tornerà dopo l’esposizione romana nella sua terra d’origine ed entrerà a far parte della collezione permanente del Museo Archeologico di Taranto (MArTA).

 “Ancora un importante rientro di uno straordinario capolavoro d'arte che era stato illecitamente sottratto al patrimonio dello Stato italiano”, ha dichiarato Dario Franceschini, Ministro della Cultura. “Come ormai abbiamo definito, dopo il passaggio al Museo dell'Arte Salvata, il gruppo scultoreo tornerà nel territorio dal quale è stato strappato, a Taranto, ed entrerà quindi nel patrimonio del Museo Archeologico Nazionale della città. Un ringraziamento al Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, che anche in questa occasione, grazie alla forte collaborazione con le autorità e le forze di polizia americane, ha consentito il rientro in Italia del capolavoro. Un grazie anche alle autorità italiane, in particolare alla Procura di Taranto”. “Un recupero straordinario di un capolavoro unico dell’arte greca del IV sec. a.C., scavato clandestinamente nel territorio di Taranto”, dichiara Massimo Osanna, Direttore generale Musei, “ed è proprio al museo Marta di Taranto che tornerà. Il gruppo scultoreo rappresenta un mito antico e, forse, adornava la tomba di un adepto ai misteri orfici, colui che, conducendo una vita in purezza, assicurava all’anima una sopravvivenza ultraterrena. Le sirene, che guardano Orfeo, non sono come le immaginiamo oggi, ovvero donne con il corpo di pesce. Sono rappresentate come figure ibride di donna e di uccello, secondo l’iconografia più antica, che verrà superata da quella a noi più familiare soltanto nel Medioevo. Il gruppo era originariamente dipinto, e possiamo ipotizzare che, grazie alla pittura, vi fosse un intenso gioco di sguardi tra le sculture, che costituiscono davvero un esemplare unico perché raramente una scena mitica come questa veniva rappresentata in terracotta, non abbiamo paralleli nel mondo antico”. “Il ritorno di Orfeo e le Sirene è uno dei recuperi più importanti di sempre, nella storia dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale e nella storia d’Italia. Alla bellezza della Legalità, aver ottenuto per via giudiziaria la restituzione del bene, fa da specchio la legalità della Bellezza, un’indagine messa al servizio di un reperto di impareggiabile valore artistico. Sembra impossibile che tanti secoli addietro i nostri antenati fossero in grado di realizzare tanto. Eppure è così, e offrire allo sguardo di tutti questo gruppo scultoreo può ricordarci da dove veniamo e quali traguardi siamo in grado di raggiungere”, aggiunge il Gen. B. Roberto Riccardi, Comandante Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale. “Quando un’opera d’arte di così inestimabile valore torna nel suo territorio di origine è una grande conquista per tutti, non soltanto per il mondo dell’arte e dell’archeologia, ma per l’intero Paese che si riappropria di un tassello fondamentale delle sue origini e quindi della sua cultura”, commenta Stéphane Verger, Direttore del Museo Nazionale Romano “e siamo lieti di accogliere nel Museo dell’Arte Salvata, creato proprio per questo, il primo grande successo quale è il recupero dell’Orfeo e le Sirene dopo l’inaugurazione di questo spazio”.

Il gruppo scultoreo

Il gruppo scultoreo in terracotta raffigura Orfeo - il mitico cantore che, con la sua voce, poteva domare persino Cerbero, il feroce cane degli Inferi - e due Sirene - spaventosi esseri mitologici dalla voce così incantevole da far impazzire i marinai che passavano accanto a loro. Secondo il mito, Orfeo avrebbe sconfitto le Sirene durante il viaggio di ritorno degli Argonauti, nei pressi di un’isola della Sicilia o dell’Italia del Sud. La vittoria di Orfeo sulle Sirene rappresenta simbolicamente il trionfo dell’armonia musicale, un concetto chiave del pensiero filosofico e politico pitagorico, particolarmente diffuso nelle città della Magna Grecia. L’opera è stata prodotta proprio in questo ambiente greco d’Occidente, più precisamente in un atelier di Taranto, dove in effetti sarebbe stata scoperta. Proveniente forse da un monumento funerario o da un santuario, si data alla fine del IV secolo a.C.

Operazione “Orpheus”

L’indagine, mirata a contrastare il traffico illecito di beni archeologici di provenienza italiana in ambito internazionale, è stata sviluppata a più riprese dalla Sezione Archeologia del Reparto Operativo TPC. Lo spunto si è avuto quando i militari hanno scoperto che un noto indiziato di reati contro il patrimonio culturale aveva messo in atto una serie di traffici di reperti archeologici, provento di scavo clandestino nella provincia di Taranto, avvalendosi di un’organizzazione con propaggini internazionali.  Nel corso delle attività investigative si appurava che il noto trafficante aveva avuto un ruolo nelle vicende relative allo scavo clandestino e all’esportazione illecita del gruppo scultoreo denominato Orfeo e le Sirene avvenuto negli anni ‘70. In effetti, dalla documentazione individuata e dagli accertamenti svolti, veniva assodato che i preziosi reperti erano stati scavati e rinvenuti in frammenti presso un sito tarantino da alcuni tombaroli del posto, i quali li avevano ceduti ad un noto ricettatore locale, con contatti con la criminalità organizzata, che, a sua volta, li aveva ceduti ad un altro ricettatore, con contatti internazionali e titolare di una galleria d’arte in Svizzera. Le sculture, in frammenti, vennero affidate ad un altro soggetto specializzato nel trasferire beni culturali all’estero, che effettuò il trasporto in Svizzera, dove vennero affidati ad un restauratore che li ricompose e ridiede forma alle opere. Dopo un periodo di giacenza in Svizzera, in attesa di un compratore, le sculture furono acquistate dal The Paul Getty Museum di Malibu (Los Angeles - U.S.A.) grazie all’intermediazione di un funzionario di una banca svizzera. Le informazioni condivise con l’Assistant District Attorney Matthew Bogdanos del District Attorney's Office di Manhattan (DAO) e la stretta collaborazione instaurata con quell’ufficio e con lo Homeland Security Investigations hanno consentito il sequestro del gruppo scultoreo dal valore inestimabile e il suo rimpatrio, per la restituzione al patrimonio culturale nazionale.

Con Orfeo e le Sirene sono tornati a casa in questi giorni 142 oggetti recuperati negli Stati Uniti d’America, dei quali si era avuta la restituzione lo scorso luglio. Si tratta di beni databili tra il 2500 a.C. e il VI secolo d.C. risalenti alle civiltà romana, etrusca, apula e magnogreca. In occasione del viaggio che ha visto i Carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale toccare New York e Los Angeles, il 6 settembre ne sono stati restituiti all’Italia altri 58 che rientreranno nei prossimi mesi. Si tratta di un flusso importante di archeologia trafugata. Nello stesso filone ulteriori 201 reperti erano stati rimpatriati dagli USA a partire dallo scorso dicembre, una parte di essi costituisce l’esposizione con la quale il 15 giugno è stato aperto il Museo dell’Arte Salvata

 

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